Villena: i primi passi

Desideriamo seguire la Madre nel nuovo ambiente di Villena, nell'Istituto delle Figlie del Calvario, in cui lei ha scelto di vivere, consacrando tutta la sua vita a Cristo. Vedremo che è una realtà segnata dalla sofferenza, dal dolore, dal limite umano, dalla precarietà, che mettevano in pericolo anche la sopravvivenza dell'Istituto stesso. Qui, al di là di ogni aspettativa umana, delle reali difficoltà da lei incontrate, la Madre si dona totalmente a Dio e riceve da Lui un «nome nuovo», «profetico», ad indicare la sua speciale missione (1).

 

L'Istituto delle Figlie del Calvario

Ci sembra necessario tentare di conoscere, attraverso documenti e testimonianze, l'ambiente in cui la nostra Madre fece la sua prima professione religiosa. Per questo si propone un excursus storico delle Figlie del Calvario (Hijas del Calvario) (2), della loro unica comunità che, in quell'epoca, ancora rimaneva a Villena.

L'Istituto era stato fondato nel 1863 a Seo de Urgel (Lérida), da una giovane chiamata Esperanza Pujol (3). Questa giovane di straordinaria pietà passava ore intere nella contemplazione dei dolori di Gesù; perché fossero in molti a riparare, sentì l'ispirazione a fondare un Istituto che fosse straordinariamente austero nella regola di vita e nella contemplazione della Passione di Gesù, pur dedicandosi, per quanto possibile, all'educazione cristiana delle bambine. Nel timore di essere ingannata dal demonio, chiese consiglio e parere al Santo Vescovo di Trajanopolis, Don Antonio María Claret, sottoponendogli anche il progetto della Regola. Egli così le rispose:

«Real Sitio de Aranjuez, il 4 maggio 1863. – Abbiamo letto le regole e costituzioni delle Figlie del Calvario e ci sembra che, se si osservano fedelmente, Dio nostro Signore sarà servito, le Figlie del Calvario si santificheranno e permetteranno a tante anime di salvarsi...» (4).

Incoraggiata da queste parole, Esperanza Pujol, all'età di 43 anni, nel 1863, fondò in Urgel (Lérida) la prima casa del nuovo Istituto con l'approvazione del Vescovo della diocesi José Caixal.

Nel giro di 30 anni si trasferirono a Tortosa, Alicante, Elche, Játiva, Murcia, per fermarsi nel 1900 a Villena, che era in quel periodo l'unica casa dell'Istituto (5),

Dove sorgeva il convento di clausura di Villena c'era una cappellina (ermita), risalente forse al 1700, chiamata «El Calvario» o «Las Tres Cruces»; da questa prese nome anche il Monastero. Il convento, costruito su una piccola montagna che dominava il paese, era fatto in muratura molto povera, prevalentemente argilla e pietre, ed era adiacente ad una cappella costruita in stile arabo, con tre cupole. Al tempo della Madre, il convento poteva accogliere, oltre le monache, una quarantina di bambine, durante il giorno, per la loro istruzione e formazione.

Da alcune ex-alunne del collegio, ormai anziane, si seppe che le suore vivevano nella estrema povertà (6). Non avevano né acqua, né luce elettrica e neanche servizi igienici; dormivano nello scantinato sottostante la cappella e le aule del collegio. Per l'acqua si servivano di «aljibes», pozzi di acqua piovana, tirando su l'acqua con un secchio legato ad una catena. Da sotto i ruderi del monastero, ormai demoliti dal 1990, si poteva accedere anche agli scantinati, oscuri e malsani, senz'altra apertura che piccole finestrelle quasi a livello del terreno (7).

Dopo il 1921, anno in cui avvenne l'annessione dell'Istituto con le RMI (Missionarie Claretiane), di cui avremo modo di parlare, il convento fu ampliato, fino al punto da poter accogliere 300 bambine circa. Mantenne un vero splendore fino agli anni 1930-1931 quando, con la proclamazione della Repubblica, cominciarono anche per Villena grosse difficoltà. Il Municipio voleva impossessarsi dell'edificio e tolse il sussidio per l'educazione gratuita delle giovani povere. Gli stessi vicini cominciarono a dar fastidio alle suore, minacciandole di volerle impiccare tutte e di dare fuoco al convento... Di fatto il 14 marzo 1936, il convento fu dato alle fiamme e non fu più riattivato (8).

La vita del convento era caratterizzata da una intensa contemplazione della Passione di Gesù, così come esigeva la spiritualità delle Figlie del Calvario. Si conservavano in esso «Los pasos de semana santa», che certamente erano oggetto di culto per le religiose e le bambine (9).

Il 20 novembre 1900, la stessa Fondatrice chiese al Vescovo di Murcia l'autorizzazione per poter stampare un libro da lei scritto, intitolato «Los martirios de Jesucristo» (10), che sicuramente servì come testo di meditazione non solo per le religiose, ma anche per le bambine del collegio (11). Pur non essendo di grande valore letterario, tale scritto deve aver avuto un posto determinante nella vita della Madre che si formerà nella sua vita religiosa a questa scuola: meditare sulle sofferenze di Gesù in croce; immolarsi al Suo posto, in olocausto, come vittima di gratitudine, di amore e di riparazione; condividere con Gesù la scelta di sacrificarsi ogni giorno e morire per salvare gli altri. Su questo, infatti, impronterà tutta la sua spiritualità.

 

Un nome per una missione

Dio nella Storia Sacra tracciata con il popolo di Israele, nell'affidare una missione dava alla persona prescelta un nome nuovo: «non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham perchè padre di una moltitudine di popoli ti renderò» (Gen 17, 5). Lo stesso Gesù tra i Dodici, chiamò «Simone al quale impose il nome di Pietro» (Mc 3, 16) perchè su di lui avrebbe edificato la sua Chiesa. Anche per la Madre, come vedremo, il nome nuovo che le verrà dato alla prima professione indicherà, profeticamente, tutta la sua vita.

La Madre iniziò la sua formazione religiosa in vista dei voti che emise il 15 agosto 1916, assumendo il nome di «Esperanza de Jesús Agonizante» (12). Con tutta probabilità tale nome le è stato imposto, poiché ella stessa diceva che non lo avrebbe mai scelto. Una figlia ricorda:

«[...] Quando io stavo per iniziare il noviziato, la Madre mi domandò quale nome mi sarei messa. Io le risposi che avrei gradito che fosse stata lei a darmi il nome. La Madre oppose qualche resistenza ricordando il fatto che a lei misero nome Speranza contro il suo gradimento, perchè Speranza era una donna molto sudicia del suo paese [...]».

Va anche sottolineata ed appare molto significativa la perfetta concordanza con il nome della sua Fondatrice.

Nel desiderio di un vero cammino di santità e di conformarsi a Cristo, non si meraviglia quando anche la sua strada è segnata dalla croce. Soffre, non comprende, ma, nonostante tutto, è desiderosa e disposta a seguire le vie sulle quali vuole condurla il suo «Buen Jesús». Attraversa momenti di dubbio, di buio, ma rimarrà sempre fedele a quel nome che il Signore le ha dato.

In questo nome troviamo riassunta tutta la sua vita. Una vita donata come una vera madre per i suoi figli, per i più bisognosi. Una vita spesa per portare «speranza» in tante situazioni di miseria morale e materiale. Una vita che riceveva la sua forza dall'appartenenza a Cristo, ad un Cristo Agonizzante e Crocifisso al quale vuole somigliare e che vuole seguire.

Tale nome sembra profeticamente segnare il programma della sua vita. In molti modi, anche straordinari, la nostra Madre è stata associata e ha partecipato alla Passione di Cristo. Numerosissime sono le testimonianze dei suoi figli e delle sue figlie in tal senso.

Anche nei primi periodi della vita religiosa della Madre troviamo documentati questi fenomeni mistici da testimoni oculari, come per esempio nel diario di Madre Aurora Samaniego (13).

 

Il «Calvario» di Villena

«Così il giorno di S. Teresa entrai nella Congregazione fondata da P. Claret, in quella piccola Comunità delle Religiose del Calvario e che per me, durante il tempo che vi trascorsi si trasformò in un vero calvario» (14).

Nei ricordi di quella esperienza, non troviamo nelle parole della Madre risentimento, rabbia, vittimismo, ma una serena valutazione degli eventi ed una profonda gratitudine perchè grazie a quelli lei potè camminare sul sentiero della santità.

Ma, proviamo a vedere in concreto quale era la situazione in cui, ogni giorno, la nostra Madre si trovava a vivere.

La Madre, oltre alla enorme povertà materiale a cui si è accennato, trovò nella comunità anche mancanza di carità ed una certa rilassatezza, dovute forse al fatto che era una comunità di sette suore molto anziane (15). La vita nel convento di Villena, come attesta lo stesso Cepeda, non doveva essere molto facile: «...la vita di sacrificio e di penitenza che praticavano intimoriva le giovani che chiedevano di essere ammesse» (16). Questa affermazione può aiutarci a comprendere quali furono gli ideali che, fin dall'inizio, spinsero la Madre, la quale si mostrò desiderosa di raggiungere la santità, innamorata, intraprendente, sensibile alle necessità dei più poveri, attiva ed impegnata in un cammino ascetico impostato con molto coraggio e decisione.

Anche un altro episodio aiuta a capire quanto deve essere stato duro e difficile il periodo che la Madre ha trascorso a Villena. Ella stessa raccontava che, un giorno, mentre faceva la via crucis nella cappella, alla quarta stazione, l'incontro di Gesù con sua Madre, le sembrò di sentire una voce che le diceva: «Anche tu mi vuoi lasciare sola?». Purtroppo, di questi episodi non esistono testimoni oculari e quindi non si è riusciti a raccogliere notizie più precise.

Un figlio però, ricorda di quanto la stessa Madre gli raccontò circa questo primo periodo della sua vita religiosa:

«nel primo periodo di vita claustrale, mentre si preparava alla professione fu improvvisamente colta da dubbi contro la fede: tenebre fittissime; era nella persuasione che tutto è vano, non si dà sopravvivenza dell'anima, non c'è paradiso, Cristo non è affatto Dio, ma un uomo generoso che ha visto crollare tutti i suoi ideali nella morte. Questa suggestione era più forte di lei e la dominava tutta; nè osava manifestarla al confessore o ad altri per timore di ingenerare in essi lo stesso stato d'animo. La prova durò parecchi mesi; non le venne però l'idea di abbandonare il convento e ritornare nel mondo; continuò la sua vita di claustrale osservantissima; era sacrestana e adempiva il suo ufficio curando la cappella e preparando con diligenza quanto occorreva per la messa e la comunione e si disponeva a fare la sua professione animandosi con questo pensiero: "anche se non è Dio Gesù è sempre un Uomo grande e generoso..., vissuto e morto per un ideale sublime..., io voglio imitarlo e dedicargli la mia vita egualmente". Quand'ecco una sera, mentre si disponeva a risalire in cella in preda a questi pensieri, le apparve il Signore in una smagliante visione e rimase in estasi per varie ore. Con questo ogni tentazione disparve e nessun dubbio turbò più la sua fede e la sua speranza».

Per la Madre quindi non furono facili l'abbandono e la confidenza totale nel Signore, soprattutto nei momenti di buio e di aridità che attraversò nella sua vita. I pensieri che annota nel suo diario, molti anni più tardi, sono espressione del suo cammino nella incondizionata fiducia in Dio Padre, anche nei momenti di prova:

«ora no ti sento, non ti trovo e mi sento sola, affranta e afflitta. Ma in queste condizioni ti aspetto per tutto il tempo che desideri, e godrò e gioirò nella Tua misericordia» (17).

Proprio perché fiduciosa nella infinita misericordia di Dio, la Madre finiva col cercare rifugio nel suo «Buen Jesús». In questi momenti dolorosi si proponeva di chiedere con insistenza al Signore che le insegnasse a confidare soltanto in lui e mai negli uomini: «Haz, Jesús mío (...) que de Ti espere siempre todo conforto» (18). Ma, a volte, tanta era la sofferenza, che ne sentiva tutto il peso. Allora Gesù si convertiva per lei nel Maestro che ammonisce ed esorta:

«il Buon Gesù (...) durante l’estasi mi ha detto solamente: "non mi vedi con te nella lotta?". Sí, Gesù mio. "E allora, perché ti affliggi in questo modo, sapendo che mai mi separo da te e ti aiuto sempre nel combattimento?"» (19).

Nel periodo vissuto a Villena la Madre sperimentò prove interiori ed altre dovute alle incomprensione e alle difficoltà comunitarie. Uno dei suoi figli afferma:

«(...) dovette soffrire per un altro verso: fu infatti sorpresa in cappella a tarda ora dalle altre monache per il motivo sopra descritto che loro non potevano immaginare, nè lei rivelare. Si cominciò a sospettare di lei fino al punto che la relegarono per punizione in un altro convento, finchè a Dio piacendo ogni sospetto fu dissipato».

«Flamenca», mistica e madre

Testimonianze dirette si hanno invece sulla vita che la Madre condusse a Villena.

La Sig.ra Virtudes García Román frequentò il convento delle «Tres Cruces» nel periodo in cui vi stette la Madre e ricorda molti aneddoti. Afferma che Madre Speranza era la più giovane e più attiva della comunità; insegnava alle bambine a cucire e si prendeva cura di loro. La Sig.ra Josefa Ros Gutiérrez aggiunge che tutte le bambine le volevano tanto bene «porque era muy simpática» e «flamenca», cioè estroversa, attraente, aperta, ed esercitava un certo fascino su di loro. Anche la Sig.ra Carmen Gil afferma: «tenía aire», «mucho atractivo», «se ganaba el personal». Un'altra ex-alunna,, la Sig.ra Catalina, Navarro Sancho, racconta che essendo lei molto vivace ed irrequieta, un giorno la Madre le dette uno schiaffo ma subito dopo, dispiaciuta, le si inginocchiò dinanzi e, piangendo, le chiese scusa. Aveva anche tanta attenzione per i familiari delle bambine, tanto che, spesso, quando la sera rientravano a casa, dava loro qualcosa da portare.

La Sig.ra Carmen Gil ricorda quando la Madre usciva a fare la questua per il paese e che, appena la gente la vedeva, esclamava a gran voce: «La Madre Esperanza! La Madre Esperanza!», riversandosi per la strada per darle qualcosa.

La Madre, come ricordano le ex-alunne di Villena, guidava personalmente la recita del rosario, pregava molto e, a volte, rimaneva tanto assorta, sino al punto che la religiosa che le stava accanto doveva scuoterla; altre volte rimaneva «como elevada del suelo». Accadeva anche che non uscisse dalla stanza per tre o quattro giorni ed allora chiamavano il sacerdote. La Madre, mossa dal desiderio che le bambine crescessero nell'amore al Signore, le preparava con attenzione materna alla loro Prima Comunione e infondeva nei loro cuori il desiderio di riparare le offese fatte al Signore, soprattutto con le bestemmie; la Sig.ra Carmen Gil, a questo proposito, ricorda che lei tuttora recita l'atto di riparazione ogni qualvolta sente una bestemmia.

Quando Madre Speranza, nel 1921, fu trasferita a Madrid, la gente del paese, pur non spiegandosi come avesse fatto a saperlo, si ritrovò alla stazione per un saluto affettuoso ed accorato alla Madre.

Colpisce vedere i sentimenti con cui queste anziane signore conservano nella memoria e nel cuore un così grato ricordo di lei. Ognuna di loro si è sentita amata ed attesa come «la niña preferida o predilecta de la Madre» (20).

Questo spirito di maternità e di donazione caratterizzerà tutta la sua vita e la porterà, fin dai suoi primi passi, a farsi «strumento» nelle mani del Signore. Una volta compresa la volontà di Dio, anche attraverso le mediazioni umane, ella, pur di santificarsi, sceglierà di essere come una «scopa».

 

domande per la riflessione e il dialogo

Proviamo a pensare al contrasto che deve aver vissuto la Madre: da una parte il «grande sogno di diventare santa» e dall’altra la prima esperienza di vita religiosa che, lungi dall'essere idealizzata ed astratta, è caratterizzata da prove esterne ed interne, da una profonda crisi di fede, da un ambiente povero materialmente ed umanamente, tutto ciò unito ad una profonda esperienza spirituale-mistica e ad una esperienza gioiosa di donazione materna nella missione.

Alla luce di tutto ciò:

  1. Come rileggo e valuto i miei primi passi nella vocazione alla vita religiosa, alla vita di famiglia? Ripenso al primo ambiente: alle esperienze concrete, alle persone, alle gioie e alle difficoltà, alle attese e alle delusioni.

  2. Qual è il "nome nuovo" che il Signore vuole svelarmi? Quale quello che desidera dare alla nostra famiglia?

  3. Come trovare il giusto equilibrio perché gli ideali non restino in aria e, d'altra parte, le difficoltà reali non spengano la speranza?

  4. Di fronte alle difficoltà nella fedeltà alla vocazione ricevuta e di fronte alla tentazione di «guardare indietro» ci dice qualcosa la voce sentita dalla Madre: «Anche tu mi vuoi lasciare sola?».

 

traccia per la riflessione personale e la condivisione

Il Signore chiama alla sua sequela, ponendo delle condizioni che implicano il distacco del discepolo da qualsiasi interesse terreno e da se stesso per abbandonarsi fiduciosamente a Lui: è quanto è accaduto alla nostra Madre che, come abbiamo visto, già dai primi anni della sua vita religiosa, ha sperimentato difficoltà e prove che hanno fortemente inciso sulla sua interiorità, determinando il suo progressivo innamoramento per Gesù crocifisso.
Chiediamo al Signore di illuminarci con la sua misericordia, perché possiamo convincerci che le difficoltà sono il banco di prova per costruire l'autenticità della risposta alla vocazione a cui Dio ci chiama, qualisiasi essa sia. Ognuno potrà leggere i testi proposti alla luce del proprio stato di vita.

 

Lettura dal Vangelo di Luca 9, 57-62

«Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: " Ti seguirò dovunque tu vada". Gesù gli rispose: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". A un altro disse: "Seguimi". E costui rispose: "Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre". Gesù replicò: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va e annunzia il regno di Dio". Un altro disse: "Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa". Ma Gesù gli rispose: "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

 

Papa Francesco, 22.9.2013. Incontro con il mondo della cultura

[…] Non voglio fare una lezione accademica, anche se il contesto e voi che siete un gruppo qualificato forse lo richiederebbero. Preferisco offrire alcune riflessioni a voce alta che partono dalla mia esperienza di uomo e di Pastore della Chiesa. E per questo mi lascio guidare da un brano del Vangelo, facendone una lettura "esistenziale", quello dei discepoli di Emmaus: due discepoli di Gesù che, dopo la sua morte, se ne vanno da Gerusalemme e tornano al paese. Ho scelto tre parole chiave: disillusione, rassegnazione, speranza.

1. Questi due discepoli portano nel cuore la sofferenza e il disorientamento per la morte di Gesù, sono delusi per come sono andate a finire le cose. Un sentimento analogo lo ritroviamo anche nella nostra situazione attuale: la delusione, la disillusione, a causa di una crisi economico-finanziaria, ma anche ecologica, educativa, morale, umana. E’ una crisi che riguarda il presente e il futuro storico, esistenziale dell’uomo in questa nostra civiltà occidentale, e che finisce poi per interessare il mondo intero. E quando dico crisi, non penso ad una tragedia. I cinesi, quando vogliono scrivere la parola crisi, la scrivono con due caratteri: il carattere del pericolo e il carattere dell’opportunità. Quando parliamo di crisi, parliamo di pericoli, ma anche di opportunità. Questo è il senso in cui io utilizzo la parola. Certo, ogni epoca della storia porta in sé elementi critici, ma, almeno negli ultimi quattro secoli, non si sono viste così scosse le certezze fondamentali che costituiscono la vita degli esseri umani come nella nostra epoca. Penso al deterioramento dell’ambiente: questo è pericoloso, pensiamo un po’ avanti, alla guerra dell’acqua che viene; agli squilibri sociali; alla terribile potenza delle armi – ne abbiamo parlato tanto, in questi giorni; al sistema economico-finanziario, il quale ha al centro non l’uomo, ma il denaro, il dio denaro; allo sviluppo e al peso dei mezzi di informazione, con tutta la loro positività, di comunicazione, di trasporto. E’ un cambiamento che riguarda il modo stesso in cui l’umanità porta avanti la sua esistenza nel mondo.

2. Di fronte a questa realtà quali sono le reazioni? Ritorniamo ai due discepoli di Emmaus: delusi di fronte alla morte di Gesù, si mostrano rassegnati e cercano di fuggire dalla realtà, lasciano Gerusalemme. Gli stessi atteggiamenti li possiamo leggere anche in questo momento storico. Di fronte alla crisi ci può essere la rassegnazione, il pessimismo verso ogni possibilità di efficace intervento. In un certo senso è un "chiamarsi fuori" dalla stessa dinamica dell’attuale tornante storico, denunciandone gli aspetti più negativi con una mentalità simile a quel movimento spirituale e teologico del II secolo dopo Cristo che viene chiamato "apocalittico". Noi ne abbiamo la tentazione, pensare in chiave apocalittica. Questa concezione pessimistica della libertà umana e dei processi storici porta ad una sorta di paralisi dell’intelligenza e della volontà. La disillusione porta anche ad una sorta di fuga, a ricercare "isole" o momenti di tregua. E’ qualcosa di simile all’atteggiamento di Pilato, il "lavarsi le mani". Un atteggiamento che appare "pragmatico", ma che di fatto ignora il grido di giustizia, di umanità e di responsabilità sociale e porta all’individualismo, all’ipocrisia, se non ad una sorta di cinismo. Questa è la tentazione che noi abbiamo davanti, se andiamo per questa strada della disillusione o della delusione.

3. A questo punto ci chiediamo: c’è una via da percorrere in questa nostra situazione? Dobbiamo rassegnarci? Dobbiamo lasciarci oscurare la speranza? Dobbiamo fuggire dalla realtà? Dobbiamo "lavarci le mani" e chiuderci in noi stessi? Penso non solo che ci sia una strada da percorrere, ma che proprio il momento storico che viviamo ci spinga a cercare e trovare vie di speranza, che aprano orizzonti nuovi alla nostra società. E qui è prezioso il ruolo dell’Università. L’Università come luogo di elaborazione e trasmissione del sapere, di formazione alla "sapienza" nel senso più profondo del termine, di educazione integrale della persona. In questa direzione, vorrei offrire alcuni brevi spunti su cui riflettere.

a. L’Università come luogo del discernimento. E’ importante leggere la realtà, guardandola in faccia. Le letture ideologiche o parziali non servono, alimentano solamente l’illusione e la disillusione. Leggere la realtà, ma anche vivere questa realtà, senza paure, senza fughe e senza catastrofismi. Ogni crisi, anche quella attuale, è un passaggio, il travaglio di un parto che comporta fatica, difficoltà, sofferenza, ma che porta in sé l’orizzonte della vita, di un rinnovamento, porta la forza della speranza. E questa non è una crisi di "cambio": è una crisi di "cambio di epoca". E’ un’epoca, quella che cambia. Non sono cambiamenti epocali superficiali. La crisi può diventare momento di purificazione e di ripensamento dei nostri modelli economico-sociali e di una certa concezione del progresso che ha alimentato illusioni, per recuperare l’umano in tutte le sue dimensioni. Il discernimento non è cieco, né improvvisato: si realizza sulla base di criteri etici e spirituali, implica l’interrogarsi su ciò che è buono, il riferimento ai valori propri di una visione dell’uomo e del mondo, una visione della persona in tutte le sue dimensioni, soprattutto in quella spirituale, trascendente; non si può considerare mai la persona come "materiale umano"! Questa è forse la proposta nascosta del funzionalismo. L’Università come luogo di "sapienza" ha una funzione molto importante nel formare al discernimento per alimentare la speranza. Quando il viandante sconosciuto, che è Gesù Risorto, si accosta ai due discepoli di Emmaus, tristi e sconsolati, non cerca di nascondere la realtà della Crocifissione, dell’apparente sconfitta che ha provocato la loro crisi, al contrario li invita a leggere la realtà per guidarli alla luce della sua Risurrezione: «Stolti e lenti di cuore… Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella gloria?» (Lc 24,25-26). Fare discernimento significa non fuggire, ma leggere seriamente, senza pregiudizi, la realtà.

b. Un altro elemento: l’Università come luogo in cui si elabora la cultura della prossimità, cultura della prossimità. Questa è una proposta: cultura della vicinanza. L’isolamento e la chiusura in se stessi o nei propri interessi non sono mai la via per ridare speranza e operare un rinnovamento, ma è la vicinanza, è la cultura dell’incontro. L’isolamento, no; vicinanza, sì. Cultura dello scontro, no; cultura dell’incontro, sì. L’Università è luogo privilegiato in cui si promuove, si insegna, si vive questa cultura del dialogo, che non livella indiscriminatamente differenze e pluralismi - uno dei rischi della globalizzazione è questo -, e neppure li estremizza facendoli diventare motivo di scontro, ma apre al confronto costruttivo. Questo significa comprendere e valorizzare le ricchezze dell’altro, considerandolo non con indifferenza o con timore, ma come fattore di crescita. Le dinamiche che regolano i rapporti tra persone, tra gruppi, tra Nazioni spesso non sono di vicinanza, di incontro, ma di scontro. Mi richiamo ancora al brano evangelico. Quando Gesù si avvicina ai due discepoli di Emmaus, condivide il loro cammino, ascolta la loro lettura della realtà, la loro delusione, e dialoga con loro; proprio in questo modo riaccende nei loro cuori la speranza, apre nuovi orizzonti che erano già presenti, ma che solo l’incontro con il Risorto permette di riconoscere. Non abbiate mai paura dell’incontro, del dialogo, del confronto, anche tra Università. A tutti i livelli. Qui siamo nella sede della Facoltà Teologica. Permettetemi di dirvi: non abbiate timore di aprirvi anche agli orizzonti della trascendenza, all’incontro con Cristo o di approfondire il rapporto con Lui. La fede non riduce mai lo spazio della ragione, ma lo apre ad una visione integrale dell’uomo e della realtà, e difende dal pericolo di ridurre l’uomo a "materiale umano".

c. Un ultimo elemento: l’Università come luogo di formazione alla solidarietà. La parola solidarietà non appartiene solo al vocabolario cristiano, è una parola fondamentale del vocabolario umano. Come ho detto oggi, è una parola che in questa crisi rischia di essere cancellata dal dizionario. Il discernimento della realtà, assumendo il momento di crisi, la promozione di una cultura dell’incontro e del dialogo, orientano verso la solidarietà, come elemento fondamentale per un rinnovamento delle nostre società. L’incontro, il dialogo tra Gesù e i due discepoli di Emmaus, che riaccende la speranza e rinnova il cammino della loro vita, porta alla condivisione: lo riconobbero nello spezzare il pane. E’ il segno dell’Eucaristia, di Dio che si fa così vicino in Cristo da farsi presenza costante, da condividere la sua stessa vita. E questo dice a tutti, anche a chi non crede, che è proprio in una solidarietà non detta, ma vissuta, che i rapporti passano dal considerare l’altro come "materiale umano" o come "numero", al considerarlo come persona. Non c’è futuro per nessun Paese, per nessuna società, per il nostro mondo, se non sapremo essere tutti più solidali. Solidarietà quindi come modo di fare la storia, come ambito vitale in cui i conflitti, le tensioni, anche gli opposti raggiungono un’armonia che genera vita. In questo, pensando a questa realtà dell’incontro nella crisi, ho trovato nei politici giovani un’altra maniera di pensare la politica. Non dico migliore o non migliore ma un’altra maniera. Parlano diversamente, stanno cercando… la musica loro è diversa dalla musica nostra. Non abbiamo paura! Sentiamoli, parliamo con loro. Loro hanno un’intuizione: apriamoci alla loro intuizione. E’ l’intuizione della vita giovane. Dico i politici giovani perché è quello che ho sentito, ma i giovani in genere cercano questa chiave diversa. Per aiutarci all’incontro, ci aiuterà sentire la musica di questi politici, "scientifici", pensatori giovani.

Prima di concludere, permettetemi di sottolineare che a noi cristiani la fede stessa dona una speranza solida che spinge a discernere la realtà, a vivere la vicinanza e la solidarietà, perché Dio stesso è entrato nella nostra storia, diventando uomo in Gesù, si è immerso nella nostra debolezza, facendosi vicino a tutti, mostrando solidarietà concreta, specialmente ai più poveri e bisognosi, aprendoci un orizzonte infinito e sicuro di speranza.

 

Lettura da «La Perfección de la vida religiosa», consejos prácticos di nostra Madre del 1933

«Figlie mie, un’Ancella dell’Amore Misericordioso deve sforzarsi di amare molto Gesù e di chiedergli con insistenza che, giacché ci ha fatto dono della grazia della vocazione religiosa, non siamo vili e sia nostro desidero prendere sulle nostre spalle il peso della croce; e se qualche volta la nostra natura rifiutasse la sofferenza, non spaventiamoci, né crediamo che tutto sia vano. No, figlie mie, Gesù ci ama più di ogni altra cosa e, nonostante la nostra ripugnanza alla sofferenza, se gli diciamo di voler bere il suo calice, Egli non può rifiutarci.

Ora come un buon Capitano vorrà provare l’animo di chi si propone di chiedergli cose grandi come bere al calice della sua passione; se Lui ritiene che l’anima è disposta a bere con Lui il calice , pian piano le sussurra: "Guarda, ti dò sofferenze, pene, contrarietà e ciò che più ti rattrista, cioè la mia assenza. Non mi sentirai, non mi ascolterai, mi cercherai e non mi troverai e non ti visiterò con le mie consolazioni. Potrai berlo, figlia mia?". Si, Gesù mio, per tuo amore e per la salvezza delle anime".

Allora, figlie mie, è bello vedere come Gesù si compiace a mettere alla prova l’anima che lo ama sul serio e come lei soffre e, senza ricordarsi di ciò che Lui le ha offerto, lo cerca sconsolata, pensa di averlo offeso, che non la ama più, e arde dal desiderio di prendere Gesù e accoglierlo nel suo cuore.

Allora Lui le risponde tra le tenebre quasi sussurrando: "Non ti sforzare di catturarmi in te ma nel rifugiarti tu dentro di Me" e cioè: "Figlia mia, entra tu in Me, perché io sono già in te". Ma l’anima turbata per la perdita di Gesù, non capisce e invece sentirsi consolata da queste parole si riempie di angoscia continua a bere il calice amaro dell’abbandono aumentando nella sua anima quel fuoco di amore che brucia».

 

Lettura «Exhortación» di nostra Madre (13.9.1965)

«Cerchiamo di avere fede ed amore, così vedrete come la Vita Religiosa diventa soave. La Vita religiosa pesa? Sì, figlie mie, è pesantissima per coloro che alimentano il loro amor proprio, i loro desideri, le loro aspirazioni... poiché in essa bisogna camminare sempre diritte senza sbandare da una parte o dall’altra, altrimenti va male; si deve sempre fare la volontà dell’altro... Il Signore chiama molte anime alla vita consacrata.

Non ci si può santificare nel mondo? Si, forse sareste state buone, avreste dato buon esempio, ma il Signore vi ha chiamato alla vita religiosa. Si soffre più nella vita religiosa che nel mondo? No, sicuramente non si soffre più che nel mondo, ma il fatto di non poter fare la propria volontà dalla mattina alla sera... costa, figlie mie. "Adesso mi vien voglia di fare una cosa ma non posso farlo, dico: Signore, no, per tuo amore; potrei usare questo o quello, no, Signore prendilo Tu, mi privo per amor tuo. Ora è questa l’obbedienza che mi costa, Signore, per amore tuo, sei Tu che me lo chiedi" Molte volte saranno cose piccole, ma il Signore non misura le cose ma il sacrificio e l’amore con cui si fanno. Figlie mie, abbiate sempre fisso questo pensiero; il Signore mi ha chiamato alla vita religiosa, non per studiare, per scrivere, per cantare o per fare questo o quello... NO; mi ha chiamato per santificarmi. Debbo santificarmi come vuole Lui. Per questo ogni giorno chiedetegli: "Signore, dammi la fede, dammi l’amore e dimmi come vuoi che io mi santifichi. Muovimi a destra e a sinistra, purché io mi lasci guidare da Te, mediante l’obbedienza nel modo e come a Te piace". Fatelo, figlie mie, che io prego sempre così: che le mie figli si santifichino costi quel che costi».

 

Preghiera della Madre:

«Ti prego, Gesù mio, abbi pietà di me e non lasciarmi sola in questa aridità e oscurità. (...) E’ questo, Gesù mio, il calice che mi hai promesso? Ti piace vedermi soffrire da sola? Se sì, ti dico una e mille volte Dio mio, che ripongo e la mia fiducia e abbandono nelle tue mani e così molte volte ti dirò, Gesù mio, ho posto in Te tutta la mia speranza, la tua giustizia mi salvi, Dio mio. Sii per me un Dio protettore e un rifugio per mettermi in salvo».

Recita del Magnificat

 

 


(1) I documenti che da ora in avanti verrano citati potranno essere consultati nei volumi «El camino de la misericordia» inviati ad ogni Comunità. Si trovano raccolti in ordine cronologico e sono contrassegnati dal numero del documento.

(2) Da non confondere questo Istituto con le «Misioneras hijas del Calvario», di diritto pontificio dal 1924. Fondato nella città di Messico nel 1885 da Ernestina Larraínzar (+ 1925), nata a Roma nel 1854 perché suo padre era ministro plenipotenziario del Messico presso la S. Sede. Fu aiutata nella fondazione dalla sorella Enrichetta (+ 1906) e dal Padre Emanuele Ortiz, OFM.Oss. (+ 1892). Scopo dell'Istituto è l'educazione della gioventù, la cura dei malati ed i ritiri per gli esercizi spirituali. Dal dicembre 1970 ha Casa generalizia in Roma, Via G. Galli 30 (cf. Rocca Giancarlo, in d.i.p. vol. V, Roma 1978, coll. 1543-1544).

(3) Pujol Madre Esperanza de jesús agonizante: nacque nel 1820 a Teres di Lérida e morì a Villena il 27 febbraio 1902.

(4) cepeda f.a., La Sierva de Dios M. Mª Antonia París, Madrid 1928, p. 299.

(5) Cf. cepeda f.a., La Sierva de Dios Mª Antonia París, Madrid 1928, p. 300.331; alvarez gómez j., Historia: RR. de Mª Inmaculada, Misioneras Claretianas, Madrid 1980, p. 1076.

(6) Cf. Declaraciones de las exalumnas de Villena, (Proc.-Documenta, pp. 8522-8526, doc. 08051). Quattro ex-alunne fecero una dichiarazione che firmarono alla presenza del parroco, don Arsenio Irigoyen (cf. Proc.-Documenta, pp. 8517-8537).

(7) Ibid.

(8) Nel gennaio 1990, il Comune decise di radere al suolo i pochi ma preziosi resti del monastero e della chiesa, per creare un belvedere («mirador»), su Villena, malgrado che, nell'ottobre 1989, il Sindaco avesse assicurato alle Congregazioni dell'Amore Misericordioso di accettare un progetto di conservazione e sistemazione del monastero, prontamente studiato e presentato al Comune.
A Collevalenza, tra i preziosi ricordi, si conserva un plastico del monastero («maqueta»), di notevoli dimensioni, omaggio della «Cofradia Marinos Corsarios» di Villena; eseguito in scala, secondo le riproduzioni del tempo, ricco di particolari minuziosamente eseguiti, è stato un validissimo aiuto per aver un quadro esatto della struttura dell'antico convento e delle parti aggiunte dopo il 1921.

(9) Cf. Declaraciones de las exalumnas de Villena; lettera di M. María Luisa de S. Juan Lloret, rmi a P. Felipe Maroto, cmf in data 4.3.21.

«Los pasos de semana santa», che in Spagna si portano in processione appunto nella settimana santa, rappresentano scene della Passione di Gesù.

(10) Tale autorizzazione le verrà concessa il 13.6.1901. Il libro è edito dalla «Escuela Tipográfica Salesiana - Calle de Sagunto (Valencia)» e composto di 120 pagine. Nelle prime 99 parla delle sofferenze che il Signore patì nell'ora della sua Passione, a partire dall'agonia nell'Orto degli Ulivi, fino alla Sua deposizione nel sepolcro. Nelle restanti pagine affronta i seguenti temi: la Resurrezione di Gesù, la Sua Ascensione al Cielo e la discesa dello Spirito Santo. Il libro è suddiviso in tante brevi meditazioni che ripercorrono in modo penetrante i momenti più dolorosi della Passione di Gesù; al termine di ogni meditazione viene suggerito un proposito, attinente all'argomento trattato (cf. ACAM, doc. 8048).

(11) Cf. Declaraciones de las exalumnas de Villena (Proc.-Documenta, p. 8522, doc. 08051).

(12) Cf. ACAM, doc. 6844, C102/103, Pérez del Molino M. Mª Esperanza: Appunti. Cf. anche lettera al Santo Padre, in data 30.6.1921, che le otto Religiose del Calvario sottoscrivono, chiedendo l'annessione alle RMI (cf. lettera della Comunità di Villena al Santo Padre, 30.6.1921, doc. 5977).
Tutte le religiose del «Calvario», al professare e all'assumere il nuovo nome, erano solite aggiungere anche un particolare ricordo della Passione di Gesù: flagellato, incoronato di spine, agonizzante, legato alla colonna, umiliato, ecc.
P. Juan Postíus, nell'«Informe extraoficial de la supuesta curación instantánea y perfecta de la M. Esperanza de Santiago», afferma che la Madre emise la sua professione, anche se è impreciso nella data e nel nome che assunse quando era Figlia del Calvario (cf. Padre Postíus, nel «información extraoficial» sulla supposta guarigione della Madre, 9.12.1925, doc. 7407).

(13) 'Tres Libretas', 5.5.1927, doc. 5984.

(14) Exhortación, 15.10.1965,. El pan 21, 721

(15) Sor María Cols di 94 anni malata di mente e Sor Concepción Miralles di 81 anni, con paralisi parziale, entrambe allettate; Sor Rosario Guerrero ancora novizia e poi non accettata perché non idonea; Sor Mercedes Vilar Prat e Sor Consuelo Andágar García, tutte di oltre 60 anni; Sor Carmen Estenagas Albero e Sor Dolores Burgullos Escudero (cf. Historia de la Casa de Villena, «Acta» di professione, 21.11.1921, doc. 8010 o cepeda f.a., La Sierva de Dios M. Mª Antonia París, Madrid 1928, pp. 304-305). Cf. anche Madre Mª Luisa Lloret de San Juan a Padre Felipe Maroto, 8.10.1921, doc. 8086.

(16) cepeda f.a., La Sierva de Dios M. Mª Antonia París, Madrid 1928, p. 300.

(17) Diario, 5.10.1941. El pan 18, 663

(18) Diario, 16.11.1942. El pan 18, 852

(19) Diario, 29.2.1952. El pan 18, 1135

(20) Cf. El camino de la misericordia, «Cenni storici», pp. XVII-XXIII.