dal tempo della prova…, il tempo dell’amore

 

Il Signore chiama la Madre ad entrare in un nuovo ambiente, in una nuova spiritualità. Vedremo come lei continuerà, in un cammino di vera disponibilità, ad accogliere le prove personali ed anche le inevitabili incomprensioni come segno del provvidenziale amore di Dio e come mezzi per il suo personale cammino di santificazione. L’Istituto delle Claretiane è stata una realtà tanto cara alla Madre, dove trascorse nove anni significativi per la sua vita e il suo cammino ascetico.

Le Missionarie Claretiane

L'aspetto originale e caratteristico di S. Antonio María Claret (+ 1870), fu l'aver favorito la fondazione di tanti Istituti ed Associazioni (1), tra i quali l'Istituto delle «Religiosas de Enseñanza de María Inmaculada» o «Misioneras Claretianas».

L'Istituto è stato fondato a Santiago de Cuba il 25.8.1855 da S. Antonio Mª Claret e dalla M. Mª Antonia París, per il ministero dell'educazione cristiana.

Lo sviluppo di questo Istituto fu alquanto travagliato, dato che in origine si reggeva come un insieme di monasteri autonomi, soggetti alla clausura, sotto la regola di San Benedetto (2) e aperti al tempo stesso all'insegnamento e all'educazione cristiana. Tale configurazione un po' ibrida secondo i canoni, fece fatica ad essere riconosciuta da parte dell'autorità ecclesiastica.

Nel 1914 il canonista Padre Felipe Maroto, Claretiano, cominciò a preparare l'unificazione dell'Istituto. Dei sette monasteri esistenti, sei aderirono al progetto di unificazione (3) mentre il monastero di Carcagente della diocesi di Valencia scelse di restare autonomo.

Nei giorni 5-7.10.1919 si celebrò il Capitolo generale sotto la presidenza del Padre Maroto, visitatore apostolico. Il 24.8.1920 un decreto della S. C. dei Religiosi unificò canonicamente le case dell'Istituto, convertito in Congregazione di voti semplici, dedicata all'educazione cristiana (4).

Fin dall'origine della fondazione, la giornata di una religiosa Claretiana prevedeva:

«(...) Ogni giornata iniziava con la recita di Mattutino e Lodi. Durante il giorno andavano svolgendosi le altre ore dell'Ufficio divino. L'intimità con Dio, aveva inoltre i suoi momenti forti, nella Santa Messa e nelle due ore di preghiera personale quotidiana suddivisi in tre tempi, due di mezz'ora e uno di un'ora, distinti tra la mattina e la sera (...)

Le Costituzioni imponevano come regola di ricevere la Comunione di domenica e nei giorni festivi; niente però impediva che il Confessore nel convento fosse più generoso e permettesse quindi di comunicarsi varie volte nel corso della settimana e addirittura ogni giorno (...) Seguendo gli ideali originari del Padre del monachesimo occidentale (S. Benedetto), si organizzò nel convento il lavoro, il silenzio e l'allontanamento dal mondo. E in ciò i fondatori furono esigenti (...) Il digiuno, le discipline, le penitenze più varie erano pratiche volontarie quotidiane. E riguardo a questo, con la Madre fondatrice in prima fila, tutte tendevano a superare il limite di quanto era permesso; tutte dovevano essere frenate, piuttosto che stimolate nel loro cammino di penitenza (...) L'insegnamento era gratuito, solo le alunne interne pagavano la pensione corrispondente al collegio e, sia le esterne che le interne, pagavano gli studi straordinari (...) Il numero ideale delle alunne, secondo il pensiero della Madre fondatrice, in ogni collegio, doveva corrispondere a 200 esterne e 40 interne. I nuovi collegi costruiti avrebbero dovuto essere in grado di ospitare tale numero di persone (...)

Ciò che più interessava esaminando le aspiranti erano i motivi che le spingevano a chiedere di entrare: "La cosa in cui deve maggiormente sforzarsi consiste nel dirmi con semplicità assoluta quale è il motivo che la spinge a farsi suora: se per vivere e morire crocifissa con Cristo in tutti i suoi sentimenti e energie sia nella povertà, nell'obbedienza che nella mortificazione, distaccata da tutto il creato per vivere solo per il Creatore, perché in questo consiste l'essere della suora e di ogni religioso. Il vero religioso deve essere completamente morto a se stesso senza avere più un "voglio" né "non voglio" nella più piccola cosa anzi, ogni sua volontà e giudizio lo dona (consegna) al proprio superiore perché sia lui, che è rappresentante di Dio stesso, l'arbitro di tutto il suo corpo e della sua anima» (5).

Vedremo la Madre progressivamente entrare in questo stile di donazione totale ed incondizionata. Privata della salute e della comprensione delle Superiore, imparerà a morire a se stessa ed avrà modo di sperimentare il totale abbandono in Dio, «senza più avere un voglio né non voglio».

Avvenuta la annessione delle Figlie del Calvario, il Governo generale delle RMI nominò superiora del convento di Villena la Madre Patrocinio Pérez de S. Tomás (6). Le religiose ancora valide dell'estinto Istituto furono trasferite in diverse case. La Madre, il 30 novembre 1921, dopo appena nove giorni dalla sua professione come Claretiana, fu destinata alla casa di Vicálvaro-Madrid (7).

 

Provata nella malattia

Nei 7 mesi che seguirono il trasferimento, la Madre dovette sottoporsi a ben tre interventi chirurgici. Il primo fu al ventre, per una cisti ovarica. La stessa Madre, nella sua deposizione attesta:

«L'operazione fu fatta nel gennaio del 1922, nell'ospedale di S. Carlo a Madrid; mi operò il dottore Recasens; so che mi aprirono il ventre e credo che l'operazione consistette nell'estirpazione di un ovario e nell'asportare parte della matrice (utero), stando a quello che mi disse il medico prima di operarmi» (8).

Gli altri due furono eseguiti con l'intento di correggere un'ernia traumatica post-operatoria, provocata dal primo intervento subìto (9). L'ultimo di questi interventi all'ernia era riuscito abbastanza bene ma, afferma la stessa Madre:

«Dopo poco tempo che uscii dall'ospedale ebbi la disgrazia, scendendo una scala carica di uno scatolone, di cadere, mi uscirono i punti interni e si aprì tutta la ferita rimanendo l'addome completamente aperto all'interno...» (10).

Questa volta non si fece ricorso ad un intervento chirurgico. Il Dr. Pérez del Yerro consigliò un tipo di fasciatura che non potè essere tollerato e che produsse, dopo solo una quindicina di giorni, uno sfogo su tutto il corpo.

«Un giorno, il 5 di settembre, entrò la mia buona Madre priora e mi disse di fare una novena al Cuore Immacolato di Maria invocando la salute per intercessione del V. P. Claret. La iniziai quello stesso giorno però senza alcuna fiducia, il giorno seguente le chiesi una reliquia del V. Padre e la misi sul ventre. Durante il giorno elevai al cielo innumerevoli suppliche per intercessione del mio buon Padre. Nel corso della notte quando erano circa le due del mattino, mi svegliai avendo l'impressione di avere la ferita rimarginata, però mi sembrava impossibile; nonostante tutto mi girai su un fianco e non vedevo niente; allora mi misi in piedi sul letto e vidi che non mi cadeva niente. Alle 5 venne la Madre infermiera e le raccontai ciò che mi era accaduto dicendole che se lo riteneva opportuno avrei potuto alzarmi; lei riferì questo alla Rev.ma Madre Priora, la quale restò sorpresa udendo che stavo bene, venne subito dicendomi che le sembrava una cosa materialmente impossibile e perfino giunse a dirmi che era una mia illusione. Le risposi che poteva essere così, però potevo provare ad alzarmi. Allora mi alzai; senza più fasce e senza niente; e vedemmo che veramente stavo bene. Da allora cominciai a fare tutto quello che mi si presentava, anche strofinare i pavimenti e molte volte prendere oggetti con forza senza che mi sia accaduto niente» (11).

Il fatto straordinario del 7 settembre 1922 curò la Madre della ernia ma lasciò intatto il quadro generale della sua salute. La sofferenza non le darà tregua. Già da tempo, infatti, presentava sintomi di gastrite, forse provocata, o almeno accentuata, dalla narcosi a base di cloroformio usata nei tre interventi chirurgici subiti in sette mesi. Nel febbraio 1925 l'ulcera allo stomaco, fino ad allora trascurata, le causò continui vomiti ed emorragie di sangue che resero il suo stato molto grave (12).

Significative ed indicative di un personale ed impegnato cammino ascetico, le parole della Madre nella sua deposizione:

«... così debbo dire che da circa un anno cominciai a sentirmi delicata di stomaco, constatando un bruciore abbastanza forte; inoltre, quando mangiavo, avevo per parecchio tempo malessere e dolore; poi iniziarono a formarmisi delle piaghette in bocca, queste mi sparivano e dopo poco tempo tornavano a riprodursi, notando che, quando mangiavo qualcosa piccante, salata o grassa, le condizioni dello stomaco e della bocca peggioravano; molte volte mi è successo che, mangiando qualcosa di questo genere, non mi era possibile fare la digestione così, dopo aver trascorso un brutto momento, finivo per rimettere e a volte vomitavo del sangue. Così ho trascorso 5 o 6 mesi fino a quando nell'agosto del 1924 peggiorai e mi vidi costretta a dire alla mia Superiora che non mi sentivo bene e che vomitavo ciò che mangiavo però non le dissi niente di ciò che mi era successo. Questa buona Madre stava a letto e mandò la Madre infermiera per vedere ciò che mi accadeva, questa credette che avevo bisogno di una purga e me la diede, subito la rimisi e in seguito vomitai abbastanza sangue e così da quel momento mi sembrava di sentire in mezzo allo stomaco come se avessi una ferita che mi dava abbastanza da offrire a nostro Signore...» (13).

Come si vede la Madre descrive con semplicità e chiarezza il suo stato di salute. Non giudica la consorella che, somministrandole una medicina sbagliata, aggrava le sue condizioni. Fa di questa sofferenza una occasione di offerta al Signore.

Tutto questo fu così grave per la Madre che, come ella stessa dichiara, la condusse alle porte della morte (14). La Madre prosegue:

«Domandai al mio buon Padre di ottenermi dal Signore la salute, se era conveniente per me (...), il giorno seguente la Madre Superiora mi chiese se avessi la forza di ricevere la Santa Comunione, le risposi affermativamente, allora andò ad avvisare perché me la portassero. Intanto, io tornai a raccomandarmi al mio santo Padre con una tale fiducia che mi è impossibile spiegare, poco dopo ricevetti la Santa Comunione e con essa il beneficio della salute. (...) Il medico (...) mi disse: "Madre, Dio la ama molto"» (15).

Tuttavia, si può supporre che, umanamente, anche per la Madre non deve essere stato facile vivere questi mesi di infermità. Nonostante la giovane età ed il desiderio di lavorare, sentiva di gravare sulla comunità, dovendo dipendere dalle cure delle consorelle. Il suo affidamento alla Provvidenza di Dio e alla sua volontà sono quindi da considerare frutto di una lunga ascesi.

Anche dopo il suo trasferimento nella casa di Vélez Rubio, la Madre si ammalò:

«... a Vélez Rubio sono stata male altre due volte. (...) Di questa infermità la prima si verificò nell'inverno del 1925 e consistette in disordini (desarreglos) proprii della donna, con emorragia per lo spazio di un mese, per cui il medico mi obbligò a rimanere a letto per alcuni giorni; secondo me ciò provenne perchè trascuravo di mangiare e mi sentivo debole...

Dalla seconda infermità fui colpita nel marzo del 1926, e consistette nella stessa cosa della malattia precedente; e siccome stavo molto debole, il medico mi fece delle iniezioni, poichè rovesciavo persino il brodo, questo accadde per due giorni, a causa della nausea che avevo di mangiare. L'infermità mi durò per una quindicina di giorni, rimasi a letto e mi visitava il Dottor D. Raffaello Nevado» (16).

Nella seconda infermità a cui allude la Madre, ella continuò a dar prova di un estremo coraggio e mortificazione:

«... stando a Vélez Rubio, e aiutando le suore a lavorare nell'aia mi si riaprì la ferita del ventre, e siccome portiamo internamente camicia di lana, e tenuto conto del gran caldo la ferita mi si infettò. Io non dissi nulla e così passai circa un mese. La ferita frattanto si estese a tutta la cicatrice e si formò del pus. Poi lo dissi alla Suora infermiera la quale me la curò con acqua sublimata, e così la ferita si chiuse a poco a poco. Di questo non ne ho fatto parola al medico» (17).

Anche durante uno dei suoi primi ricoveri all'ospedale San Carlos in Madrid, la Madre non mancò di lasciare un segno edificante del suo passaggio. Sr. Vicenta, Suora della Carità di S. Vincenzo De Paoli, nel 1922 prestava lì il suo servizio in qualità di infermiera, ebbe a raccontare che quando fu ricoverata la Madre,

«lei (...) le aveva messo una borsa d'acqua calda ai piedi gelati; la borsa troppo bollente le bruciò i plantari dei piedi e dovettero medicarglieli. Il medico andò su tutte le furie e trattò male l'infermiera, davanti a tutti, dicendole che era incompetente. La Madre ne prese le difese dicendo al medico che non doveva rimproverare l'infermiera ma lei, perchè avrebbe dovuto dirle che la borsa scottava ed invece non aveva detto nulla. Diceva questa suora che mai le era capitato di sentirsi difendere da un malato e che aveva desiderato tanto rivedere Madre Speranza che le aveva usato tanta carità» (18).

 

«... en ello aprendí a amar»

Per la Madre, le sofferenze fisiche e morali diventano il luogo per imparare ad amare, tanto che anni più tardi dirà: «la scienza dell’amore si apprende nel dolore» e così scriverà: «Signore, ti ringrazio, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire».

La Madre, in un suo scritto raccolto nel volume «La perfezione della vita religiosa», descrive un fatto che, con tutta probabilità, è una nota autobiografica:

«Figlie mie, (...) non molto tempo fa parlavo con un amico di Gesù, cioè con un anima che amava, e mi diceva che aveva sofferto molto a causa di un castigo che i suoi superiori avevano creduto opportuno dargli: "Ho sofferto molto, diceva, vedendo che mi si accusava di cose che non avevo fatto né pensato. La natura ribelle mi induceva a scusarmi però fissando lo sguardo al Crocifisso, recuperavo il coraggio per fare il contrario. Mi vedevo disprezzata da tutti, sola e senza affetto, priva persino del necessario; tuttavia ero felice, molto felice, ma senza allontanare lo sguardo dal Crocifisso che mi diede la grazia affinché, durante i 6 mesi di isolamento - tale fu, infatti, il castigo che mi imposero - non uscisse dalle mie labbra lamentela alcuna e in questa situazione imparai ad amare"» (19).

Attraverso questi eventi, il Signore andava forgiando la personalità ed il cuore della Madre che si sentiva sempre più attratta dal suo amore e dalla sua misericordia. La Madre, infatti, andava cogliendo ogni difficoltà e contrarietà come un gesto ed un'attenzione misericordiosa del Signore che la chiamava a superare e a vincere la sua natura, così da prepararla a grandi cose. Possiamo dire che la Madre visse realmente il suo quotidiano, facendo fruttare i «talenti» che il Signore le affidava, scoprendo nella comunità il «cesello» che l'avrebbe aiutata a santificarsi.

Già in questo tempo, emerge con evidenza come la Madre avesse molto vivo il senso della riparazione e come non mettesse al primo posto se stessa, bensì il bene altrui. Avremo modo di vedere come ella sceglierà di essere quel piccolo chicco di grano che vuole marcire ed immolarsi per portare la vita ai fratelli e come il Signore non si farà vincere in generosità associando la Madre alla sua Passione.

domande per la riflessione e il dialogo

  1. «Viviamo abbracciati alla croce con il nostro Dio e Signore? La sua volontà è la nostra? Abbiamo cercato sempre la sua gloria anche a costo della nostra vita, onore e benessere?» (M. Speranza, El pan 7, 79).

  2. «Nel momento della prova come ci siamo comportati? E quando ci sembrava che Gesù ci avesse abbandonato come lo abbiamo cercato?» (M. Speranza, El pan 7, 81).

  3. «Gesù può rimproverarci con forza, tagliare e pulire come gli sembra opportuno, certo che accoglieremo gli avvisi e le correzioni? O siamo tra coloro che sono duri di cuore, per cui Gesù è costretto a lasciarci, sapendo che non corrisponderemo ai suoi avvisi e alle sue correzioni?» (M. Speranza, El pan 7, 89).

  4. «Padre mio, come vede il buon Gesù mi tratta ancora come una bambina, capace solo di assaporare le dolcezze dell'amore, ma incapace di soffrire. Perché il buon Gesù mi tratta in questo modo, padre mio, dopo avergli tante volte chiesto la grazia che la mia vita sia un soffrire continuo?» (M. Speranza, El pan 18, 1446).

  5. Ci lasciamo educare dagli eventi, dalla vita? Riconosciamo in essi il passaggio della volontà del Signore?

 

traccia per la riflessione personale e la condivisione

Proseguendo il nostro itinerario di riflessione sulla vita della Madre, abbiamo visto come seppe vivere le numerose prove che sperimentò nei primi anni di vita religiosa. Indubbiamente ella, pur nella sofferenza, seppe andare al di là dei singoli eventi che per lei divennero, anzi, un aiuto ad unirsi maggiormente al Signore.
Vogliamo chiedere anche per noi il dono della fede perché nella nostra vita sappiamo valorizzare le sofferenze fisiche e morali, considerandole come occasioni per crescere nell'amore e nella misericordia.

 

Lettura dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani 8, 31-39

Inno all'amore di Dio
«Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio ed intercede per noi.
Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore».

 

Papa Francesco, 9.9.2013. Meditazione mattutina nella Chiesa di Santa Marta

«Fanno tristezza quei sacerdoti che hanno perso la speranza. Per questo Papa Francesco nella messa celebrata questa mattina, lunedì 9 settembre, a Santa Marta, ha rivolto ai sacerdoti presenti l’invito a coltivare questa virtù «che per i cristiani ha il nome di Gesù». «Vedo tanti preti oggi qui — ha detto — e mi viene di dirvi una cosa: è un po’ triste quando uno trova un prete senza speranza, senza quella passione che dà la speranza; ed è tanto bello quando uno trova un prete che arriva alla fine della sua vita sempre con quella speranza, non con l’ottimismo, ma con la speranza, seminando speranza». Perché vuol dire, ha aggiunto, che «questo prete è attaccato a Gesù Cristo. E il popolo di Dio ha bisogno che noi preti diamo questa speranza in Gesù, che rifà tutto, è capace di rifare tutto e sta rifacendo tutto: in ogni eucaristia lui rifà la creazione, in ogni atto di carità lui rifà il suo amore in noi».

Il Pontefice ha parlato della speranza ricollegando la riflessione odierna a quelle dei giorni precedenti, durante le quali aveva proposto Gesù come la totalità, il centro della vita del cristiano, l’unico sposo della Chiesa. Così oggi si è soffermato sul concetto espresso nella Lettera di san Paolo ai Colossesi (1, 24-2, 3): Gesù «mistero, mistero nascosto, Dio». Un mistero, quello di Dio, che «è apparso in Gesù» che è «la nostra speranza: è il tutto, è il centro ed è anche la nostra speranza».

Purtroppo però, ha osservato il vescovo di Roma, la «speranza è una virtù» considerata «abitualmente di seconda classe. Non crediamo tanto — ha spiegato — nella speranza: parliamo della fede e della carità, ma la speranza è un po’, come diceva uno scrittore francese, la virtù umile, la serva delle virtù; e non la capiamo bene».

L’ottimismo, ha spiegato, è un atteggiamento umano che dipende da tante cose; ma la speranza è un’altra cosa: «È un dono, è un regalo dello Spirito Santo e per questo Paolo dirà che non delude mai». E ha anche un nome. E «questo nome è Gesù»: non si può dire di sperare nella vita se non si spera in Gesù. «Non si tratterebbe di speranza — ha precisato — ma sarebbe buonumore, ottimismo, come nel caso di quelle persone solari, positive, che vedono sempre la metà piena del bicchiere e non quella vuota».

Una conferma di questo concetto il Papa l’ha indicata nel brano del Vangelo di Luca (6, 6-11), nel riferimento al tema della libertà. Il racconto di Luca mette davanti agli occhi una duplice schiavitù: quella dell’uomo «con la mano paralizzata, schiavo della sua malattia», e quella «dei farisei, degli scribi, schiavi dei loro atteggiamenti rigidi, legalistici». Gesù «libera entrambi: fa vedere ai rigidi che quella non è la strada della libertà; e l’uomo dalla mano paralizzata lo libera dalla malattia». Cosa vuole dimostrare? Che «libertà e speranza vanno insieme: dove non c’è speranza, non può esserci libertà».

Tuttavia il vero insegnamento da trarre dalla liturgia odierna è che Gesù «non è un guaritore, è un uomo che ricrea l’esistenza. E questo — ha sottolineato il vescovo di Roma — ci dà speranza, perché Gesù è venuto proprio per questo grande miracolo, per ricreare tutto». Tanto che la Chiesa in una bellissima preghiera dice: «Tu, Signore, che sei stato tanto grande, tanto meraviglioso nella creazione, ma più meraviglioso nella redenzione...». Dunque, ha aggiunto il Papa, «la grande meraviglia è la grande riforma di Gesù. E questo ci dà speranza: Gesù che ricrea tutto». E quando «ci uniamo a Gesù nella sua passione — ha concluso il Papa — con lui rifacciamo il mondo, lo facciamo nuovo».

 

Papa Francesco, 13.10.2013. Per la "giornata mariana" in occasione dell’Anno della fede

Nel Salmo abbiamo recitato: "Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie" (Sal 97,1).

«Oggi siamo di fronte ad una delle meraviglie del Signore: Maria! Una creatura umile e debole come noi, scelta per essere Madre di Dio, Madre del suo Creatore.

Proprio guardando a Maria, alla luce delle Letture che abbiamo ascoltato, vorrei riflettere con voi su tre realtà: prima, Dio ci sorprende; seconda, Dio ci chiede fedeltà; terza, Dio è la nostra forza.

1. La prima: Dio ci sorprende. La vicenda di Naaman, capo dell’esercito del re di Aram, è singolare: per guarire dalla lebbra si rivolge al profeta di Dio, Eliseo, che non compie riti magici, né gli chiede cose straordinarie, ma solo fidarsi di Dio e di immergersi nell’acqua del fiume; non però dei grandi fiumi di Damasco, ma del piccolo fiume Giordano. E’ una richiesta che lascia Naaman perplesso, anche sorpreso: che Dio può essere quello che chiede qualcosa di così semplice? Vuole tornare indietro, ma poi fa il passo, si immerge nel Giordano e subito guarisce (cfr 2 Re 5,1-14). Ecco, Dio ci sorprende; è proprio nella povertà, nella debolezza, nell’umiltà che si manifesta e ci dona il suo amore che ci salva, ci guarisce, ci dà forza. Chiede solo che seguiamo la sua parola e ci fidiamo di Lui.

Questa è l’esperienza della Vergine Maria: davanti all’annuncio dell’Angelo, non nasconde la sua meraviglia. E’ lo stupore di vedere che Dio, per farsi uomo, ha scelto proprio lei, una semplice ragazza di Nazaret, che non vive nei palazzi del potere e della ricchezza, che non ha compiuto imprese straordinarie, ma che è aperta a Dio, sa fidarsi di Lui, anche se non comprende tutto: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola" (Lc 1,38). E’ la sua risposta. Dio ci sorprende sempre, rompe i nostri schemi, mette in crisi i nostri progetti, e ci dice: fidati di me, non avere paura, lasciati sorprendere, esci da te stesso e seguimi!

Oggi chiediamoci tutti se abbiamo paura di quello che Dio potrebbe chiederci o di quello che ci chiede. Mi lascio sorprendere da Dio, come ha fatto Maria, o mi chiudo nelle mie sicurezze, sicurezze materiali, sicurezze intellettuali, sicurezze ideologiche, sicurezze dei miei progetti? Lascio veramente entrare Dio nella mia vita? Come gli rispondo?

2. Nel brano di san Paolo che abbiamo ascoltato, l’Apostolo si rivolge al discepolo Timoteo dicendogli: ricordati di Gesù Cristo, se con Lui perseveriamo, con Lui anche regneremo (cfr 2 Tm 2,8-13). Ecco il secondo punto: ricordarsi sempre di Cristo, la memoria di Gesù Cristo, e questo è perseverare nella fede; Dio ci sorprende con il suo amore, ma chiede fedeltà nel seguirlo. Noi possiamo diventare "non fedeli", ma Lui non può, Lui è "il fedele" e chiede da noi la stessa fedeltà. Pensiamo a quante volte ci siamo entusiasmati per qualcosa, per qualche iniziativa, per qualche impegno, ma poi, di fronte ai primi problemi, abbiamo gettato la spugna. E questo purtroppo, avviene anche nelle scelte fondamentali, come quella del matrimonio. La difficoltà di essere costanti, di essere fedeli alle decisioni prese, agli impegni assunti. Spesso è facile dire "sì", ma poi non si riesce a ripetere questo "sì" ogni giorno. Non si riesce ad essere fedeli.

Maria ha detto il suo "sì" a Dio, un "sì" che ha sconvolto la sua umile esistenza di Nazaret, ma non è stato l’unico, anzi è stato solo il primo di tanti "sì" pronunciati nel suo cuore nei suoi momenti gioiosi, come pure in quelli di dolore, tanti "sì" culminati in quello sotto la Croce. Oggi, qui ci sono tante mamme; pensate fino a che punto è arrivata la fedeltà di Maria a Dio: vedere il suo unico Figlio sulla Croce. La donna fedele, in piedi, distrutta dentro, ma fedele e forte.

E io mi domando: sono un cristiano "a singhiozzo", o sono un cristiano sempre? La cultura del provvisorio, del relativo entra anche nel vivere la fede. Dio ci chiede di essergli fedeli, ogni giorno, nelle azioni quotidiane e aggiunge che, anche se a volte non gli siamo fedeli, Lui è sempre fedele e con la sua misericordia non si stanca di tenderci la mano per risollevarci, di incoraggiarci a riprendere il cammino, di ritornare a Lui e dirgli la nostra debolezza perché ci doni la sua forza. E questo è il cammino definitivo: sempre col Signore, anche nelle nostre debolezze, anche nei nostri peccati. Mai andare sulla strada del provvisorio. Questo ci uccide. La fede è fedeltà definitiva, come quella di Maria.

3. L’ultimo punto: Dio è la nostra forza. Penso ai dieci lebbrosi del Vangelo guariti da Gesù: gli vanno incontro, si fermano a distanza e gridano: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!" (Lc 17,13). Sono malati, bisognosi di essere amati, di avere forza e cercano qualcuno che li guarisca. E Gesù risponde liberandoli tutti dalla loro malattia. Fa impressione, però, vedere che uno solo torna indietro per lodare Dio a gran voce e ringraziarlo. Gesù stesso lo nota: dieci hanno gridato per ottenere la guarigione e solo uno è ritornato per gridare a voce alta il suo grazie a Dio e riconoscere che Lui è la nostra forza. Saper ringraziare, saper lodare per quanto il Signore fa per noi.

Guardiamo Maria: dopo l’Annunciazione, il primo gesto che compie è di carità verso l’anziana parente Elisabetta; e le prime parole che pronuncia sono: "L’anima mia magnifica il Signore", cioè un canto di lode e di ringraziamento a Dio non solo per quello che ha operato in lei, ma per la sua azione in tutta la storia della salvezza. Tutto è suo dono. Se noi possiamo capire che tutto è dono di Dio, quanta felicità nel nostro cuore! Tutto è suo dono. Lui è la nostra forza! Dire grazie è così facile, eppure così difficile! Quante volte ci diciamo grazie in famiglia? E’ una delle parole chiave della convivenza. "Permesso", "scusa", "grazie": se in una famiglia si dicono queste tre parole, la famiglia va avanti. "Permesso", "scusami", "grazie". Quante volte diciamo "grazie" in famiglia? Quante volte diciamo grazie a chi ci aiuta, ci è vicino, ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio. E’ facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma andare a ringraziarlo: "Mah, non mi viene".

Continuando l’Eucaristia invochiamo l’intercessione di Maria, perché ci aiuti a lasciarci sorprendere da Dio senza resistenze, ad essergli fedeli ogni giorno, a lodarlo e ringraziarlo perché è Lui la nostra forza. Amen».

 

Letture della Madre

«Exhortación» ad un gruppo di pellegrini malati (30.9.1959) El pan 21, 1-6

«...a coloro che stanno soffrendo moltissimo, io dico loro: figli miei, rallegramenti! Perché il Signore vi chiama alla santità e ad essere vittime di espiazione; approfittate di questo dono per giungere alla santità che Lui aspetta da voi. Io vi dico che ho gelosia di voi e di tutte le anime che soffrono. Figli miei, non considerate il dolore come una croce, ma come un dono di Dio e approfittatene. E' il signore che vi prova e Lui è Colui che vi chiama alla santità, siate coraggiosi, siate soldati di Cristo sebbene non vi muovete, sia nel dolore che nella sofferenza. Badate, figli miei, che soffrire con gioia per nostro Signore è una cosa ammirabile (meravigliosa)! Io, quando vedo un'anima che soffre, una creatura che non si può muovere, che non è capace di fare nulla a motivo della sua malattia, che ha libero solo il cuore per dire: "Signore voglio amarti", provo gelosia e soffro, perché vorrei essere come loro. Coraggio, figli miei, coraggio, figli miei! Soffrite con gioia e lodate il Signore. Intercedete per la pace, implorate per le famiglie che soffrono, pregate per tante mamme che soffrono vedendo i propri figli che non possono muoversi, pregate infine perché la devozione all'Amore Misericordioso si estenda al mondo intero e perché nelle famiglie regni l'amore e la pace autentica, che deriva dall'amore di nostro Signore. Auguri, figli miei, auguri! Traete buon profitto dalla prova figli miei! (...) Io sono la "portinaia" del Signore e voi dovete pregare perché presenti bene al Signore, ogni giorno, tutte le necessità che gli altri mi affidano e che possa ottenere da Lui tutto ciò di cui hanno bisogno le famiglie. Pregate perché sia una portinaia fedele al Signore e perché faccia sempre quello che Egli vuole. Voi che soffrite, figli miei, dite al Signore in questo modo: "Signore aiuta la Madre, non perché mi dia più salute, ma perché possa compiere sempre la sua divina volontà". Non desidero altro che fare la volontà del Signore, essere sua portinaia per presentargli tutte le necessità che le famiglie mi affidano e per potere ottenere da Lui, le grazie di cui hanno maggiormente (...) bisogno (...)».

 

Da El Pan 2, 18-19

Provo grande gioia sentendovi dire che credete all'amore particolare di Gesù per le singole anime e quindi nella sua provvidenza unica e personale per ciascuno di voi. Non dubitate quindi che Gesù stesso vi ha chiamati ad esercitare la carità e che lui stesso vi precederà appianando le asprezze del cammino, conterà i vostri passi e perfino oso dire che molte volte vi porterà fra le braccia. Ma è necessario che ricambiate il suo amore.

Pensiamo che l'amore di Gesù è molto esigente perché è infinitamente generoso e perciò non può sopportare che gli neghiamo l'unica cosa che ci chiede in cambio di ciò che ha fatto per noi. Sapete cosa ci chiede Gesù? «Amore e sacrificio». Sono anche contenta vedendo che ora non vi sembra più strano essere oggetto di particolari e personali attenzioni della divina provvidenza, né vi sembra impossibile che l'Amore Misericordioso si abbassi a considerare ogni uomo individualmente per indicargli il cammino da percorrere».

 

Da Consigli pratici 1941, El Pan 5, 45-46

«Chi è innamorato di Gesù non può godere immobilità e riposo ma è sempre pronto a qualsiasi sacrificio. Non si stanca, non si scoraggia e siccome ogni giorno scopre nell'amato nuove meraviglie, nuova bellezza ogni istante vuole sacrificarsi fino a morire per Lui. Come la legna invece di spegnere alimenta la fiamma del fuoco, così l'anima innamorata di Dio: quante più tribolazioni e contraddizioni riceve da Dio o dalle creature, come suoi messaggeri, invece di scoraggiarsi in queste prove rivolge lo sguardo e il cuore a Gesù che mai abbandona quanti sperano in Lui.

E allora si purifica dai peccati, si esercita nell'umiltà, nella pazienza e in ogni altra virtù; e Gesù, testimone della sua fedeltà nella prova è contento di riversare su di lei i tesori della sua misericordia, la stringe al suo cuore, la conforta e la rende forte per le successive prove. Così si comportarono i santi poiché Gesù fece loro sperimentare le dolcezze dell'amore».

 

Preghiera della Madre:

«Fa, Gesù mio, che la mia anima gioisca sempre nelle prove che Tu permetti e fa che la Tua bellezza, bontà e amore, accendano nel mio cuore il fuoco bruciante del Tuo amore ed aiutami perché mai indietreggi dinanzi agli sforzi necessari per arrivare al grado di santità che tu mi chiedi; e fa che, aiutata da Te, possa cooperare sempre con Te nell'opera della santificazione delle mie figlie e dei miei figli, secondo il Tuo desiderio. Concedimi, Gesù mio, la grazia che io impari a distaccarmi dalle creature fino e ad elevarmi fino a Te e vedere il mio Dio in tutte le sue opere, cose persone ed avvenimenti» (Diario, 16.2.1940 El pan 18, 596).

 

Recita del Magnificat


(1) Oltre alle Religiose Figlie del Santissimo ed Immacolato Cuore di Maria e ai Missionari e alle Missionarie Claretiane, il Santo aiutò e sostenne con i suoi consigli le Carmelitane della Carità, le Adoratrici, le Serve di Gesù, le Religiose di Cristo Re, le Religiose della Compagnia di Santa Teresa, le Religiose di S. Filippo e altri Istituti o associazioni religiose (cf. J. Viñas, Antonio Maria Claret, in dip, vol. 1, coll. 703-709; cf. anche blanch, g., Il Beato Antonio Maria Claret, Roma 1934, pp. 91-98).

(2) Rescritto di Pio IX, datato 27.4.1855.

(3) Aderirono i monasteri di: Santiago di Cuba, Baracoa di Cuba, Vélez Rubio di Almería, Huércal-Overa di Cartagena, Tremp di Urgel e Reus di Tarragona. In questa casa di Reus, il 25 settembre si aprì il Capitolo generale e il giorno 29 fu eletta Superiora generale Madre María Luisa Lloret de San Juan (cf. Jesús Alvarez Gómez cmf: Historia de las RR. de María Inmaculada Misioneras Claretianas, Tipografia Boccea - Roma 1980, pag. 1045-1055).

(4) Cf. J. lozano, Insegnanti di Maria Immacolata, Missionarie Claretiane, in dip, Ed. Paoline, vol. IV Roma, 1977, coll. 1713-1714. Per un approfondimento cf. anche Jesús Alvarez Gómez cmf: Historia de las RR. de María Inmaculada Misioneras Claretianas, Tipografia Boccea - Roma 1980, pag. 1125.

(5) Jesús Alvarez Gómez cmf: Historia de las RR. de María Inmaculada Misioneras Claretianas, Tipografia Boccea - Roma 1980, pag. 203-205.211.228.521.

(6) La casa di Villena che in questo tempo poteva accogliere, oltre alle monache, una quarantina di bambine, proseguirà nella sua missione. Sarà anzi ampliata dalle religiose Claretiane fino al punto di poter accogliere anche 300 bambine e raggiungerà un vero splendore negli anni 1930-1931 (cf. cepeda f.a., La Sierva de Dios M. Mª Antonia París, Madrid 1928, pp. 309-310). Nell'aprile del 1936 le Claretiane saranno costrette a fuggire per le insistenti minacce ed il convento sarà dato alle fiamme (cf. lettera di Madre Patrocinio Pérez de Sto. Tomás a Padre Felipe Maroto, 13.4.1936, doc. 7309).

(7) Cf. ACAM, doc. 8006.

(8) Deposizione della Madre, 6.9.1926, (dalla traduzione italiana della documentazione raccolta dal Tribunale ecclesiastico in Madrd su un presunto miracolo per la canonizzazione del P. Claret, ACAM, B302 206-218; 307-309). Anche Rafael Nevado Requena, Subdelegado de Medicina, così dichiara: «...è stata sottoposta, a Madrid, ad un intervento di ovariotomia per cisti...» (Estratto dalla documentazione raccolta da Padre Juan Postíus, per ordine del Superiore generale, P. Nicolar García, su un presunto miracolo per la canonizzazione del P. Claret, 22.12.1925, ACMF, C-F, 30-1).

(9) Cf. ACAM, p. B302 256.

(10) Dichiarazione della Madre, o.c., 22.12.1925.

(11) Dichiarazione della Madre, o.c., 22.12.1925.

(12) «"Questa gastrite cloroformica che sfocia in una stomatite ulcerosa - scrive il Dr. Pérez del Yerro - in alcuni operati é tanto violenta che esige trattamenti rapidi ed immediati, lavaggi di stomaco, dieta speciale per molto tempo; causa vomiti irrefrenabili, bruciori e dolori di stomaco... dolori alla regione epigastrica da avanti a dietro e che si propagano fino alla spalla... piccole ulcere alla bocca... cattivo alito..." » (Dichiarazione, 9.12.1925, ACAM, doc. 7421).

(13) Dichiarazione della Madre, 28.2.1925, doc. 7408/a.

(14) Dichiarazione della Madre, 22.12.1925, doc. 7409/a.
Cf. dichiarazioni: del confessore D. Andres Gómez, 26.2.1925. doc. 7411/a; della Madre, 28.2.1925; del suo padre spirituale, P. Juan Postíus, 9.12.1925, doc. 7407/a; del dott. Rafael Nevado Requena, 22.12.1925, doc. 7415/a; del Dr. J. Grinda, 12.101926, doc. 7419.

(15) Dichiarazione della Madre, 22.12.1925, doc. 7409/c.
Questi avvenimenti sono avallati da una abbondante e dettagliata documentazione che prova sicuramente la malattia, anche se non prova altrettanto sicuramente la guarigione miracolosa. Ci sembra comunque opportuno sottolineare che, nonostante tutto, all'interno dell'Istituto la guarigione della Madre deve aver avuto una certa risonanza fin dal primo momento. Lo dimostra il fatto che è riportata nel già citato libro di Cepeda; tra l'altro l'autore scrive: «L’affermato dottore in medicina di Madrid, Leonardo Pérez del Yerro, fece un chiarissimo studio sul caso e concluse che la guarigione di Sr. Maria Speranza di Santiago è straordinaria e senza spiegazione umana. Non vogliamo descriverlo noi, ma riportiamo testualmente la dichiarazione ingenua e semplice che ne fece il 28 febbraio 1925 la graziata...» (cepeda f.a., o. c., pp. 295-298); cf. la dichiarazione della Madre (22.12.1925).

(16) Ibid.

(17) Ibid.

(18) Dalla testimonianza di due figlie.

(19) madre esperanza de jesús,. El pan 5, 78-79