MISERICORDIA
«con le opere più che con le parole»

Dopo aver approfondito alcuni tratti della spiritualità della Madre, vogliamo constatare come, sin dagli anni che ci siamo proposti di ripercorrere, la sua sensibilità misericordiosa maturasse in lei atteggiamenti di carità, di perdono, di intercessione e di sofferenza riparatrice a beneficio di chiunque le avesse recato offese. Tutto questo troverà il suo culmine nella offerta vittimale che ella farà di sé al Signore per i sacerdoti.

 

«Dai frutti si conosce l'albero»

Come sappiamo la Madre ha ricevuto la missione di annunciare l'Amore Misericordioso, dapprima in collaborazione con Padre Arintero e, successivamente, con la fondazione di una Famiglia religiosa. Conosciamo la prima pagina del suo diario:

«Mi sono distratta, ho trascorso cioè parte della notte fuori di me e molto unita al Buon Gesù e Lui mi ha detto che debbo giungere a far sì che gli uomini lo conoscano non come Padre offeso per le ingratitudini dei suoi figli, ma come Padre buono, che cerca con ogni mezzo di confortare, aiutare, far felici i propri figli, che li cerca incessantemente con amore, come se non potesse essere felice senza di loro. Quanto mi ha impressionato tutto questo, Padre mio!» (1).

Da quest'ultima espressione, possiamo cogliere nella Madre il forte stupore davanti alla pazienza e bellezza di un Amore incredibile, alla profondità del messaggio e alla grandezza della missione.

Per lei non si trattò solamente di una dottrina da diffondere bensì di qualcosa che andò trasformando la sua vita, modellandola secondo lo stile di misericordia. Anche chi si avvicina ai suoi scritti può constatare che ella non fu una «teorica» della dottrina dell'Amore Misericordioso a livello teologico speculativo, ma i tratti di questo messaggio si possono ricavare dalla sua stessa esperienza di vita, dalla concretezza dei suoi atteggiamenti e delle sue scelte.

Gli atteggiamenti sono come il frutto, la conseguenza delle convinzioni, i valori, le energie che muovono una vita. «Dai frutti si conosce l'albero» (2). Per questo motivo una esperienza e una spiritualità come quella dell'amore misericordioso, impressa a fuoco nella sua anima, si tradurrà per Madre Speranza, in «atteggiamenti di misericordia» e nelle conseguenti scelte operative.

Da uno sguardo d'insieme del periodo preso in esame, risalta una sintesi tra la spiritualità che propone e l'esperienza vitale che ne scaturisce. Da una parte è chiamata, come ella stessa dice, ad insegnare «alle anime che non lo sanno che il Signore le attende, non come un Giudice ma come un Padre che non tiene in conto, perdona e dimentica» (3) e, dall'altra, a tradurre ciò in gesti concreti di misericordia e di perdono in quelle situazioni quotidiane che le si presenteranno.

 

Misericordia che agisce

Fin dall'inizio del suo cammino di ricerca della volontà di Dio, traspaiono nella Madre una spiccata delicatezza ed attenzione verso le necessità e le sofferenze altrui. Cercò di mantenere sempre viva questa sensibilità, manifestata nell'episodio ben noto dell'ospedale.

Anche a Villena furono evidenti i tratti di una squisita maternità e premura nei confronti delle consorelle anziane ed ammalate, delle bambine accolte e dei loro familiari. Abbiamo avuto modo di vedere, come manifestasse tutto ciò nella quotidianità con semplici gesti di servizio.

Anni più tardi, il Dott. Rafael Nevado ebbe a sottolineare la capacità educativa della Madre quando questa si trovava nel collegio di Vélez Rubio:

«Madre Speranza era molto buona e questo collegio ha perduto molto dacché essa se ne andò, soprattutto il convitto, perché non tutte hanno lo stesso tatto e le stesse doti per trattare con le bambine ed educarle» (4).

Negli avvenimenti di calle del Pinar e di calle Toledo abbiamo avuto modo di risaltare questa sensibilità tradotta in opere di misericordia.

Una delle fonti più dirette di questo primo periodo sono gli scritti di Madre Aurora Samaniego. Nel suo quaderno di appunti, tra le altre cose riporta alcuni episodi che ci danno la misura di come e di quanto la Madre lavorò su se stessa per dare al Signore quanto le chiedeva e per acquisire, sull'esempio di Gesù, un cuore capace di misericordia e di perdono, al di là del suo giudizio e della repulsione della sua natura.

Ella conobbe la Madre alla vigilia della sua vestizione, il 17 ottobre 1926, ed in quello stesso giorno, essendo venuta a conoscenza di alcuni fenomeni straordinari, ebbe ad esprimersi con la sua Madre Maestra in questo modo:

«Ringrazi Dio, Madre, di non avere fenomeni simili; io sistemerei quell'estatica con un paio di bistecche e un bicchiere di vino » (5).

Presto dovette, però, ricredersi:

«Un giorno , in cui mi ero confidata con Madre Speranza, e la gratitudine e le sue virtù eroiche mi indussero ad amarla, avendomi suggerito di prendere non so quali rimedi straordinari, mi disse: "Sì, figlia, ne hai bisogno poiché, nonostante mangi di più, sei più debole di me, a me non sono necessarie le due bistecche ed il bicchiere di vino, che volevi darmi a Vicálvaro".

Siccome io, rossa come un papavero, le chiesi quando lo avesse saputo e se si fosse inquietata, mi rispose con quel sorriso tanto celestiale che ha quando parla ad un'anima, a prescindere dall'argomento trattato. "Figlia della mia vita, non mi inquietai, ma ti trovai molto orgogliosa ed antipatica e, poiché Gesù me lo aveva raccomandato, da quando hai cominciato il postulato, mi davo ogni giorno 300 colpi di disciplina a sangue, perché tu prendessi l'abito secondo il desiderio di Gesù, e non potei fare a meno di dirgli che aveva avuto un pessimo gusto a sceglierti, e che avrei continuato la mia penitenza per Lui, non per te". Quando seppi che (Madre Speranza) aveva fatto una penitenza simile per me, piansi molto impressionata anche per le precedenti parole, poiché sia nel postulato che nel noviziato avevo lottato molto contro la tentazione di lasciare la vita religiosa, allora tornai ad interrogarla. Madre è proprio sicuro che il Signore mi vuole religiosa? Uh, sì mi rispose. "Lui lo desiderava in tutti i modi ed io per questo motivo ho sofferto tanto quando mi sono resa conto che ti avrebbero negato i voti, poiché durante il noviziato ho fatto continua penitenza per te» (6).

La Madre, infatti, per lo stesso motivo aveva chiesto al Signore di soffrire un sudore di sangue. Questi glielo concesse purché Madre Aurora lo avesse presenziato (7).

Madre Aurora, anche in altre circostanze, ebbe modo di sperimentare direttamente gesti di attenzione da parte della Madre come, per esempio, quando le inviò «alchol con lavanda affinché mi avessero fatto delle frizioni sul petto e tutto il necessario perché mi curassero gli orecchi con foglie di noce» (8).

Significativo è anche come la Madre si adoperò nei confronti del papà di Madre Aurora quando, ricoverato in ospedale perché gravemente ammalato, si trovò nella necessità estrema (9).

Un altro atteggiamento di misericordia molto eloquente per ciò che lascia intravvedere è quell'episodio in cui, pur conoscendo la difficile condizione di una consorella e la sua decisione di abbandonare la vita religiosa, ella accettò di accoglierla nella comunità:

«Anche quando stava per giungere a (Madrid) Madre Leticia e io dicevo alla Madre che sbagliava a trasferirla, visto che eravamo a conoscenza della sua intenzione di chiedere la dispensa dei voti, lei mi replicò: "Nessuno meglio di me sa quello che con lei dovrò soffrire, poiché mi hanno già detto che non risolverò nulla, però se riesco a trattenerla molesterà Gesù un anno in meno"» (10).

 

Misericordia che perdona

Una delle massime espressioni della misericordia è il perdono, il che è centrale nel nostro carisma e caratterizza fortemente le scelte, lo stile ed il modo di attuare della Madre. Proponiamo, a tale proposito, un eloquente episodio dei primi anni di vita religiosa, che può confermare il cammino da lei percorso nella quotidianità per maturare in questo atteggiamento:

«Abbiamo avuto inoltre un grande dispiacere con due ragazze già grandi, che la Madre Generale portò da Huercal-Overa.

Una di loro, María, si ammalò ed il Dr. Grinda diagnosticò un'appendice da operare; per cui fu trasferita all'ospedale di San Carlo. Restarono molto male e poiché le avevano detto che non potevano più tenerle in questa casa per il raggiunto limite di età, reagirono. Le Madri, durante la sua malattia, si comportarono con Maria con una squisita carità e quando fu dimessa, chiesero di tenerla come convalescente, la qual cosa, anziché essere gradita, finì per aggravare la situazione. Un giorno, presente Isabel López, mentre le bambine stavano mangiando, Madre Speranza diede un avvertimento e lei alzandosi furiosa disse: "Se non portasse l'abito, le direi una cosa!" Poiché Madre Speranza le intimò di dirlo immediatamente, rispose che la Madre era una ladra, che le aveva rubato due pezze di tela, obbligandola a cucire alcune federe con essa, che per confermarlo aveva la marca della tela, che non si trovava a Madrid. Le bambine indignate gridavano ricorrendo a Madre Aurora, che difendeva Madre Speranza , e discuteva con Isabel. La Madre, formulando il numero 369, fece chiamare una guardia, alla quale chiese di registrare il fatto, ma questi non volle, poiché le dichiarazioni di Isabel non corrispondevano, ella infatti si limitava a dire semplicemente di avere l'impressione che le avessero rubato le pezze (di tela) alla stazione.

Quella sera uscì di casa e la guardia stessa la accompagnò all'ospedale per i convalescenti in cui si trovava sua sorella. Era il 21 aprile 1929.

Nessuno può immaginare come il demonio si servì di queste creature per calunniare Madre Speranza e come di questi stessi eventi si servì Dio per rendere maggiormente nota la virtù di questa sua serva. Arrivarono a dire che Madre Speranza era una ladra senza cuore, che sottraeva al povero ciò che aveva acquisito con tanto lavoro, che aveva maltrattato tanto Isabel ed infine che questo non era affatto un Asilo ma un carcere correzionale in cui le ragazze erano trattate senza pietà ed obbligate a lavorare incessantemente. Minacciò di mettere uno stelloncino nel giornale se non le avessero concesso in indennizzo di mille pesetas. Così stavano le cose quando, il 21 maggio, telefonarono dicendo che avrebbero ripreso le cose che avevano qui.

Informammo D. Carlos, segretario dei Marchesi di Zahara, il quale disse che sarebbe venuto alle tre del pomeriggio con due agenti segreti. La mattina seguente venne uno di essi, giornalista, con due cartelle da inserire nel periodico, qualora Madre Speranza non pagasse l'indennizzo. Madre Speranza andò al parlatorio e non so cosa le abbia detto, fatto sta che lì stesso furono strappate le due cartelle ed il giornalista ebbe a dire che desiderava portar via quelle fiere delle sue cugine. Disse che la sera lui stesso le avrebbe accompagnate e all'occorrenza sarebbe stato il primo a richiamarle. Alle cinque erano già in casa ed attendevano nella hall D. Carlos con il capo della Polizia e due subalterni. Dopo poco arrivarono Isabel e Maria con il loro c cugino. La seconda, non appena vide Madre Speranza, disse: "Sembra impossibile che una religiosa possa rubare a due signorine sole". Allora Madre Speranza con il suo modo di fare la abbracciò dicendo: "Ebbene, figlia mia, io sono proprio in questo modo, però la mia gioia più grande ora sarebbe quella di poterti curare fino alla tua completa guarigione. A queste parole non poterono trattenersi e, chiedendole perdono, le dissero che erano state completamente cieche e che, se le avesse riammesse, sarebbero rimaste ancora con lei» (11).

La stessa Madre Aurora, nel suo particolareggiato racconto, sottolinea come la Madre dovette lottare, compromettersi, pagare di persona, pur di essere coerente con questo suo ideale e con questa sua scelta concreta. Tanto amore, unito alla sofferenza, porterà le due giovani a sperimentare la misericordia che apre al pentimento e alla gratitudine:

«Madre Speranza dovette poi sostenere un altro conflitto con le suore che non approvavano la permanenza di Maria in quella casa, poiché ritenevano che per perdonare non occorresse arrivare ad un tal grado di abnegazione. Questo servì perché si rivelassero i meravigliosi tratti della sua carità, lasciando D. Carlos, gli Ispettori e le stesse suore fortemente edificati.

Maria fu curata con somma premura e, non ancora contenta, la Madre accolse anche Isabel. Durante il loro soggiorno in questa casa si sono mostrate molto riconoscenti, affettuose con Madre Speranza e spiacenti dell'accaduto. Alla fine le due sorelle uscirono per ritornare presso la loro famiglia a Huercal-Overa» (12).

 

Misericordia che intercede

La quotidiana esperienza della misericordia di Gesù per lei, per le sue debolezze, per la sua incorrispondenza a tanto amore, la apre alla comprensione e all'accoglienza della povertà altrui. La rende sensibile anche verso coloro che sono stati per lei causa di sofferenza, arrivando, durante un'esperienza di sudore di sangue, ad intercedere per loro:

«Il 21 giugno, festa di S. Luigi Gonzaga, Madre Speranza cominciò a supplicare Gesù per M. T. che per molti giorni aveva trascurato la comunione e offrì le sue sofferenze perché d'ora in poi non la tralasciasse più» (13).

Successivamente, iniziò a pregare per liberare una consorella defunta che, in vita, l'aveva fatta molto soffrire, mentre ella ora «si vendicava spargendo con intenso dolore il suo sangue, col fine di tirarla fuori dal purgatorio»:

«Sembra che Gesù opponesse resistenza a questo e le diceva che quaranta anni per espiare ciò che aveva fatto erano pochi. Allora questa martire cominciò a scusarla […] con tanta carità che dovette commuovere lo stesso Gesù, tanto che la portò al purgatorio, perché lei stessa (la Madre), la liberasse. Fu a questo punto che il Dr Grinda si spaventò credendola morta. Dopo poco tornò con l'anima di (questa religiosa), che dovette chiederle perdono poiché le rispose con viso angelico: Sì, sorella mia, con tutto il cuore, e abbracciandola fortemente restò di nuovo sola con Gesù al quale chiedeva ora con fervore che non avesse fatto morire M. D. senza prima prometterle che la perdonava e che non l'avrebbe fatta passare neanche per il purgatorio. Poiché questo non lo ottenne, pianse amaramente» (14).

 

L'offerta vittimale per l'«amato clero»

Fin dall'inizio della sua vita consacrata, quando era nella Congregazione delle Missionarie Claretiane, lo stesso Gesù mise nel cuore della Madre un forte amore per i suoi ministri e le affidò la missione di «contagiare» di tale amore quanti avrebbe incontrato sul suo cammino. Doveva far sì che tutti sentissero il desiderio di soffrire e di offrirsi come vittime di espiazione per i peccati dei sacerdoti del mondo intero. Il 18 dicembre 1927, la Madre scrive:

«Non debbo ambire altra cosa che non sia amarlo, soffrire in riparazione delle offese che Lui riceve dal suo amato clero e far sì che tutti coloro che hanno a che fare con me sentano questo desiderio di soffrire e di offrirsi come vittime di espiazione per i peccati che commettono i Sacerdoti del mondo intero, e che mi sforzi a ricercare solo la sua gloria, sebbene ciò sia a mio sfavore» (15).

Ella emise per la prima volta il voto di vittima il 24 dicembre del 1927 e, anni più tardi, nel Natale 1941, così scrive nel suo diario:

«Ricordando quanto il Buon Gesù ha sofferto ed ha fatto per noi, l'amore che continuamente ci dimostra, la scarsa gratitudine delle anime consacrate e tutte le offese che riceve dai suoi Sacerdoti, sento il desiderio di rinnovare la mia offerta come Vittima di espiazione, fatta il 24 dicembre 1927, per riparare le mancanze dei Sacerdoti del mondo intero. E' poco, Dio mio, quello che ti offro per una riparazione così grande, però uniscila, Gesù mio, al tuo amore ed alla tua misericordia e tutto sarà a posto» (16).

Da Gesù attingeva la forza per arrivare ad amare come Lui aveva amato e per offrire le sue angustie e sofferenze per coloro che Lui più ama. A Lui, lungo tutta la sua vita, chiede incessantemente aiuto:

«Aiutami, Gesù mio, perché in queste angustie, sofferenze e dolori, possa soffrire solo per Te, per la tua gloria e per i Sacerdoti del mondo intero che abbiano avuto la disgrazia di offenderti. Imprimi, Gesù mio, nella mia volontà un fermo e serio proposito di non fare mai niente che possa offenderti e di non essere negligente in tutto ciò che possa darti gloria» (17).

Nelle Costituzioni delle Ancelle dell'Amore Misericordioso si legge:

«La vita della Madre Fondatrice, con la sua costante dedizione al Clero, conferisce alla nostra vocazione-missione un profondo orientamento sacerdotale. Ella ci invita ad offrici all'Amore Misericordioso per i Sacerdoti del mondo intero.

La Congregazione è anche particolarmente disponibile a collaborare nelle attività dei Figli dell'Amore Misericordioso poiché la loro missione deriva dal medesimo carisma» (18).

Una figlia afferma: «Era particolarmente sensibile alle offese a Dio provenienti dai suoi ministri e si era offerta vittima per i peccati dei sacerdoti, consigliando anche a noi di fare altrettanto». Summ., teste 18, p. 269, 86-90

Da questo testo, traspare la gioia di una madre nel vedere che qualcuno con tanta generosità e tanto amore seguiva questo invito:

«E' grande, Gesù mio, il giorno di oggi, in cui un figlio generoso si è offerto a Te come vittima di espiazione per i deboli Sacerdoti del mondo intero. Accetta, Gesù mio, la generosa vittima e, usando il tuo amore e la tua misericordia, perdona, dimentica e non tenere in conto le mancanze di quelle anime che, accecate dalla passione, hanno dimenticato di essere consacrate a Te. Fa' che questa vittima, che oggi generosamente si è offerta per queste anime, corra sempre assetata dietro al dolore e fa' che la tua bellezza, bontà, misericordia ed amore rubino il suo cuore e accendano in esso il forte e bruciante fuoco del tuo amore. Concedi anche a me molto amore, sofferenze, angustie e dolori per poter riparare in qualche modo le offese dei poveri Sacerdoti che, oppressi dal vizio o dalla passione, hanno avuto e forse hanno la disgrazia di offenderti» (19).

 

domande per la riflessione e il dialogo

  1. «Ci spinge la carità a fare penitenza non solo per noi ma anche per i nostri fratelli, specie per le anime consacrate a Dio? Non sarà questo il miglior mezzo per ottenere la loro conversione, o la loro perseveranza, se già si fossero convertiti? Non sarà questo modo di comportarsi secondo la volontà di Dio, che ci ha chiamato a far parte della sua famiglia religiosa dei Figli e delle Ancelle dell'Amore Misericordioso? Chi come noi è obbligato ad amare il prossimo come se stesso con la carità del Buon Gesù?» (El pan 16, 34-38).

  2. Pensiamo qualche volta che se la nostra spiritualità di amore misericordioso non si traduce in atteggiamenti ed in opere dovremmo dubitare della reale assimilazione della stessa? (Diario, 2.1.1928, El pan 18, 5-6).

 

traccia per la riflessione personale e la condivisione

Ci siamo soffermati a considerare più da vicino gli atteggiamenti di misericordia che hanno sempre contraddistinto il suo stile di vita, concretizzandosi in gesti, decisioni e scelte quotidiane. I significativi episodi che abbiamo avuto modo di leggere e di meditare esprimono di per sé i loro insegnamenti interpellandoci personalmente ed aiutandoci a dare una nuova lettura della nostra vita secondo l'habitus della misericordia. E' la stessa Madre che ci indica la modalità e lo stile della nostra vita e della nostra testimonianza: «far conoscere al mondo intero l’Amore e la Misericordia del Buon Gesù, con tanto con eloquenti parole, ma con la nostra vita di amore, sacrificio, abnegazione e carità verso tutti, specialmente ocn i più peccatori e abbandonati» (Circ. 19.12.1959, El pan 20, 640-648)

 

Lettura dal Vangelo secondo Luca 6, 27-49

Amore per i nemici. 27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. 29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da' a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. 32Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

Non giudicare. 37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. 38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».
39Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
41Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: «Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio», mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.

L'albero e i suoi frutti. 43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

La casa sulla roccia. 46Perché mi invocate: «Signore, Signore!» e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. 49Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

 

Papa Francesco, Angelus 15 settembre 2013

«Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nella Liturgia di oggi si legge il capitolo 15 del Vangelo di Luca, che contiene le tre parabole della misericordia: quella della pecora smarrita, quella della moneta perduta, e poi la più lunga di tutte le parabole, tipica di san Luca, quella del padre e dei due figli, il figlio "prodigo" e il figlio, che si crede "giusto", che si crede santo. Tutte e tre queste parabole parlano della gioia di Dio. Dio è gioioso. Interessante questo: Dio è gioioso! E qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare, la gioia di Dio è perdonare! E’ la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è "buonismo"! Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal "cancro" che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio!

Gesù è tutto misericordia, Gesù è tutto amore: è Dio fatto uomo. Ognuno di noi, ognuno di noi, è quella pecora smarrita, quella moneta perduta; ognuno di noi è quel figlio che ha sciupato la propria libertà seguendo idoli falsi, miraggi di felicità, e ha perso tutto. Ma Dio non ci dimentica, il Padre non ci abbandona mai. E’ un padre paziente, ci aspetta sempre!  Rispetta la nostra libertà, ma rimane sempre fedele. E quando ritorniamo a Lui, ci accoglie come figli, nella sua casa, perché non smette mai, neppure per un momento, di aspettarci, con amore. E il suo cuore è in festa per ogni figlio che ritorna. E’ in festa perché è gioia. Dio ha questa gioia, quando uno di noi peccatore va da Lui e chiede il suo perdono.

Il pericolo qual è? E’ che noi presumiamo di essere giusti, e giudichiamo gli altri. Giudichiamo anche Dio, perché pensiamo che dovrebbe castigare i peccatori, condannarli a morte, invece di perdonare. Allora sì che rischiamo di rimanere fuori dalla casa del Padre! Come quel fratello maggiore della parabola, che invece di essere contento perché suo fratello è tornato, si arrabbia con il padre che lo ha accolto e fa festa. Se nel nostro cuore non c’è la misericordia, la gioia del perdono, non siamo in comunione con Dio, anche se osserviamo tutti i precetti, perché è l’amore che salva, non la sola pratica dei precetti. E’ l’amore per Dio e per il prossimo che dà compimento a tutti i comandamenti. E questo è l’amore di Dio, la sua gioia: perdonare. Ci aspetta sempre! Forse qualcuno nel suo cuore ha qualcosa di pesante: "Ma, ho fatto questo, ho fatto quello …". Lui ti aspetta! Lui è padre: sempre ci aspetta!

Se noi viviamo secondo la legge "occhio per occhio, dente per dente", mai usciamo dalla spirale del male. Il Maligno è furbo, e ci illude che con la nostra giustizia umana possiamo salvarci e salvare il mondo. In realtà, solo la giustizia di Dio ci può salvare! E la giustizia di Dio si è rivelata nella Croce: la Croce è il giudizio di Dio su tutti noi e su questo mondo. Ma come ci giudica Dio? Dando la vita per noi! Ecco l’atto supremo di giustizia che ha sconfitto una volta per tutte il Principe di questo mondo; e questo atto supremo di giustizia è proprio anche l’atto supremo di misericordia. Gesù ci chiama tutti a seguire questa strada: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Io vi chiedo una cosa, adesso. In silenzio, tutti, pensiamo… ognuno pensi ad una persona con la quale non stiamo bene, con la quale ci siamo arrabbiati, alla quale non vogliamo bene. Pensiamo a quella persona e in silenzio, in questo momento, preghiamo per questa persona e diventiamo misericordiosi con questa persona. [silenzio di preghiera].

Invochiamo ora l’intercessione di Maria, Madre della Misericordia».

 

Papa Francesco, Udienza 16 ottobre 2013

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!   

Quando recitiamo il Credo diciamo «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Non so se avete mai riflettuto sul significato che ha l’espressione «la Chiesa è apostolica». Forse qualche volta, venendo a Roma, avete pensato all’importanza degli Apostoli Pietro e Paolo che qui hanno donato la loro vita per portare e testimoniare il Vangelo.

Ma è di più. Professare che la Chiesa è apostolica significa sottolineare il legame costitutivo che essa ha con gli Apostoli, con quel piccolo gruppo di dodici uomini che Gesù un giorno chiamò a sé, li chiamò per nome, perché rimanessero con Lui e per mandarli a predicare (cfr Mc 3,13-19). "Apostolo", infatti, è una parola greca che vuol dire "mandato", "inviato". Un apostolo è una persona che è mandata, è inviata a fare qualcosa e gli Apostoli sono stati scelti, chiamati e inviati da Gesù, per continuare la sua opera, cioè pregare – è il primo lavoro di un apostolo – e, secondo, annunciare il Vangelo. Questo è importante, perché quando pensiamo agli Apostoli potremmo pensare che sono andati soltanto ad annunciare il Vangelo, a fare tante opere. Ma nei primi tempi della Chiesa c’è stato un problema perché gli Apostoli dovevano fare tante cose e allora hanno costituito i diaconi, perché vi fosse per gli Apostoli più tempo per pregare e annunciare la Parola di Dio. Quando pensiamo ai successori degli Apostoli, i Vescovi, compreso il Papa poiché anch’egli è Vescovo, dobbiamo chiederci se questo successore degli Apostoli per prima cosa prega e poi se annuncia il Vangelo: questo è essere Apostolo e per questo la Chiesa è apostolica. Tutti noi, se vogliamo essere apostoli come spiegherò adesso, dobbiamo chiederci: io prego per la salvezza del mondo? Annuncio il Vangelo? Questa è la Chiesa apostolica! E’ un legame costitutivo che abbiamo con gli Apostoli.

Partendo proprio da questo vorrei sottolineare brevemente tre significati dell’aggettivo "apostolica" applicato alla Chiesa.

1. La Chiesa è apostolica perché è fondata sulla predicazione e la preghiera degli Apostoli, sull’autorità che è stata data loro da Cristo stesso. San Paolo scrive ai cristiani di Efeso: «Voi siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù» (2, 19-20); paragona, cioè, i cristiani a pietre vive che formano un edificio che è la Chiesa, e questo edificio è fondato sugli Apostoli, come colonne, e la pietra che sorregge tutto è Gesù stesso. Senza Gesù non può esistere la Chiesa! Gesù è proprio la base della Chiesa, il fondamento! Gli Apostoli hanno vissuto con Gesù, hanno ascoltato le sue parole, hanno condiviso la sua vita, soprattutto sono stati testimoni della sua Morte e Risurrezione. La nostra fede, la Chiesa che Cristo ha voluto, non si fonda su un’idea, non si fonda su una filosofia, si fonda su Cristo stesso. E la Chiesa è come una pianta che lungo i secoli è cresciuta, si è sviluppata, ha portato frutti, ma le sue radici sono ben piantate in Lui e l’esperienza fondamentale di Cristo che hanno avuto gli Apostoli, scelti e inviati da Gesù, giunge fino a noi. Da quella pianta piccolina ai nostri giorni: così la Chiesa è in tutto il mondo. 

2. Ma chiediamoci: come è possibile per noi collegarci con quella testimonianza, come può giungere fino a noi quello che hanno vissuto gli Apostoli con Gesù, quello che hanno ascoltato da Lui? Ecco il secondo significato del termine "apostolicità". Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che la Chiesa è apostolica perché «custodisce e trasmette, con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in essa, l’insegnamento, il buon deposito, le sane parole udite dagli Apostoli» (n. 857). La Chiesa conserva lungo i secoli questo prezioso tesoro, che è la Sacra Scrittura, la dottrina, i Sacramenti, il ministero dei Pastori, così che possiamo essere fedeli a Cristo e partecipare alla sua stessa vita. E’ come un fiume che scorre nella storia, si sviluppa, irriga, ma l’acqua che scorre è sempre quella che parte dalla sorgente, e la sorgente è Cristo stesso: Lui è il Risorto, Lui è il Vivente, e le sue parole non passano, perché Lui non passa, Lui è vivo, Lui oggi è fra noi qui, Lui ci sente e noi parliamo con Lui ed Egli ci ascolta, è nel nostro cuore. Gesù è con noi, oggi! Questa è la bellezza della Chiesa: la presenza di Gesù Cristo fra noi. Pensiamo mai a quanto è importante questo dono che Cristo ci ha fatto, il dono della Chiesa, dove lo possiamo incontrare? Pensiamo mai a come è proprio la Chiesa nel suo cammino lungo questi secoli – nonostante le difficoltà, i problemi, le debolezze, i nostri peccati - che ci trasmette l’autentico messaggio di Cristo? Ci dona la sicurezza che ciò in cui crediamo è realmente ciò che Cristo ci ha comunicato? 

3. L’ultimo pensiero: la Chiesa è apostolica perché è inviata a portare il Vangelo a tutto il mondo. Continua nel cammino della storia la missione stessa che Gesù ha affidato agli Apostoli: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20). Questo è ciò che Gesù ci ha detto di fare! Insisto su questo aspetto della missionarietà, perché Cristo invita tutti ad "andare" incontro agli altri, ci invia, ci chiede di muoverci per portare la gioia del Vangelo! Ancora una volta chiediamoci: siamo missionari con la nostra parola, ma soprattutto con la nostra vita cristiana, con la nostra testimonianza? O siamo cristiani chiusi nel nostro cuore e nelle nostre chiese, cristiani di sacrestia? Cristiani solo a parole, ma che vivono come pagani? Dobbiamo farci queste domande, che non sono un rimprovero. Anch’io lo dico a me stesso: come sono cristiano, con la testimonianza davvero?

La Chiesa ha le sue radici nell’insegnamento degli Apostoli, testimoni autentici di Cristo, ma guarda al futuro, ha la ferma coscienza di essere inviata – inviata da Gesù – ,  di essere missionaria, portando il nome di Gesù con la preghiera, l’annuncio e la testimonianza. Una Chiesa che si chiude in se stessa e nel passato, una Chiesa che guarda soltanto le piccole regole di abitudini, di atteggiamenti, è una Chiesa che tradisce la propria identità; una Chiesa chiusa tradisce la propria identità! Allora, riscopriamo oggi tutta la bellezza e la responsabilità di essere Chiesa apostolica! E ricordatevi: Chiesa apostolica perché preghiamo – primo compito – e perché annunciamo il Vangelo con la nostra vita e con le nostre parole.

 

Letture di nostra Madre:

Dalla Perfezione della vita religiosa, n. 2 (1939), El pan 5, 6-8

«Figlie mie, teniamo presente che coloro che soffrono attendono la nostra consolazione, anzi, essi confidano nelle Ancelle dell'Amore Misericordioso, perché condividano le loro sofferenze e la stessa cosa ci richiedono l'amore di Gesù e la carità. Quando incontrerete un uomo sotto il peso di un dolore fisico o morale non provate a dargli un aiuto né un incoraggiamento senza avergli prima dato uno sguardo di compassione. Il mondo, figlie mie, si allontana da coloro che piangono e, poiché coloro le cui anime piangono cercano la solitudine, pur avendo la necessità di sfogarsi, noi dobbiamo dare loro questa possibilità, facendo sì che le nostre confidenze siano per loro strumento di salvezza. Per questo è necessario comprenderli, condividere i loro stessi sentimenti e simpatizzare per loro; proprio quando avremo dato loro l'impressione di averli compresi allora li vedremo rassicurati poiché le nostre parole sono state un balsamo per le loro ferite. Non dimentichiamo, figlie mie, che la consolazione che scaturisce dal cuore è la prova più penetrante dell'amore e, poiché per farsi amare è necessario amare, si può dire che nessuno è più preparato a portare le anime a Gesù di colui che, essendosi formato nella sofferenza, sa recare agli afflitti, agli infermi, ai moribondi ed alle loro famiglie, l'aiuto morale di cui hanno bisogno nei momenti di maggiore tribolazione».

 

Da «Exhortación» del 30.9.1971, El pan 21, 1178-1184

«Dopo aver sognato, mi entusiasma molto sapere che i figli e le figlie desiderano aiutare quelle anime veramente afflitte e sofferenti. Conquistatele! (...) Abbiamo bisogno che il cuore ci dica: lì ci sono religiose, anime religiose che soffrono, perché il nostro cuore preghi il Signore per tutte quelle anime che hanno avuto la croce di allontanarsi da Colui al quale sono unite, dal Signore che stava soffrendo per loro. Il Signore si è incontrato con le anime come quelle pecore... mi ha impressionato moltissimo!

Non è niente altro che un sogno! Ho sognato un pastore che lottava tutta la notte, per radunare alcune pecore che morsicchiavano qua e là e se ne andavano da tutte le parti; Lui, con tanta pazienza, le inseguiva e non le bastonava, come avrei fatto io, ma le conduceva dove erano le altre. Una qui, l'altra lì , quelle discole, morsicchiando qua e là, mettevano alla prova la pazienza di quel povero Pastore. Allora ho pensato: Signore, non sarà che i miei figli o figlie vanno morsicchiando in qua e là, facendo ciò che a te dispiace e Tu, come un vecchietto vai dietro a loro, e non le bastoni, come farei io, ma le cerchi e le raduni con tanto amore! (...)

Dite al Signore di diventare Pastori, ma non di quelli con il bastone in mano, bensì Pastori che inseguono le anime. Se siete incaricate dei giovani, trattateli bene, come trattereste una sorella vostra, o come vi tratterebbe vostra madre; non mandatele qua e là rimproverandole (...) Non rimproveriamo le anime, e se veramente sono rachitiche e non possono camminare, aiutiamole con la preghiera, aiutiamole con il cuore perché non manchi loro l'alimento per compiere la volontà di Dio. Parliamo loro del Pastore che nel futuro le guiderà e diciamo: Pecora mia, alzati, non morsicchiare qua e là, ma va' con la testa bassa dietro il Buon Pastore che è tuo Dio».

 

Preghiera della Madre:

«Fa', Gesù mio, che sia sempre pronta al servizio della tua volontà e che io desideri solo stare in disparte con Te per dirti tante cose; voglio cioè vivere in un continuo colloquio d'amore con Te. Bramo stare vicino a Te, Gesù mio, per fare tutte le mie azioni in unione con Te: Tu infatti abiti in me per santificare non solo la mia persona ma anche tutte le mie opere e per riempire di Te tutte le mie facoltà» (El pan 18, 701).

 

Recita del Magnificat


(1) Diario, 5.11.1927, El pan 18,2.

(2) Lc 6, 44.

(3) «Exhortación», 2.1.1965, El pan 21, 262.

(4) Deposizione del Dott. Rafael Nevado, inserita negli Atti del Processo svoltosi a Madrid circa la guarigione di Madre Speranza avvenuta per intercessione del Servo di Dio Antonio Maria Claret. Gli Atti rinvenuti sono nella traduzione italiana (ACAM B302 310).

(5) Estratto da «las tres libretas» di Madre Aurora Samaniego rmi, 14 aprile 1927. doc. 5983.

(6) Ibid.

(7) Ibid.

(8) Ibid., 5.5.1927, doc. 5984.

(9) Ibid., 15.5.1928, doc. 5991.

(10) Ibid., 23.7.1928, doc. 5998.

(11) M. Aurora Samaniego, o.c., 27.5.1929, doc. 8294.

(12) Ibid.

(13) Ibid, 21.6.1928, doc. 5994.
Cf. Ibid., 8.7.1928, doc. 5997; 21.6.1928, doc. 5994; 18.12.1928, doc. 6001.

(14) Ibid.

(15) Diario, 18.12.1927, El pan 18, 3.

(16) Diario, 24.12.1941, El pan 18, 707.
Già nel Giovedì Santo del 1940, in un momento di grande dolore e sofferenza per lei e per la sua Congregazione aveva rinnovato tale offerta (cf. Diario, 21.3.1940, El pan 18, 603-606).
Numerosi anche i figli e le figlie che ricordano questo atteggiamento vittimale della Madre.

(17) Diario, 16.2.1940, El pan 18, 597
§ Cf. Diario, 18.11.1941,El pan 18, 684-686; ecc. 37; 28.11.1941, Summ., p. 738, n. 42; 2.4.1942, Summ., p. 741, n. 51; 16.6.1942, Summ., p. 743, n. 59; 16.8.1942, Summ., p. 745, n. 63; 9.11.1942, Summ., p. 746, n. 67; 31.3.1952, Summ., p. 771, n. 122; 5.4.1952, Summ., p. 773-774, n. 127; 10.4.1952, Summ., p. 775, n. 131; 13.5.1952, Summ., p. 779, n. 139; 13.2.1954, Summ., p. 793, n. 175; Summ., teste, 28, p. 378, 86-90.§

(18) Cost. EAM, art. 18.

(19) Diario, 6.5.1952, El pan 18, 1276-1278.