"MISERICORDIA E CASTIGO"
P. Francesco Rossi De Gasperis sj

Collevalenza, febbraio 2003

Nello schema che avete ricevuto ci sono i titolo di quattro interventi:

  1. Misericordia e Castigo
  2. Misericordia e Ira
  3. Misericordia e Giustizia
  4. Misericordia e Gloria

Vedete che uno dei temi è sempre lo stesso, misericordia, e gli altri cambiano. Questo vuol dire che da parte di Dio c’è solo misericordia, ma che nella scoperta che l’uomo fa di chi è veramente il Signore, noi seguiamo una certa ascesa, una certa dinamica, che dal castigo ci porta alla gloria. Dunque quello che appartiene alla scoperta dell’uomo è il secondo termine, ma quello che appartiene a Dio è sempre lo stesso, è sempre misericordia.

Vorrei ripercorrere con voi questa dinamica nella storia della rivelazione biblica, per vedere come il Signore ci educa a scoprire veramente chi è Lui. Dicevamo nella lettura di questa mattina (cf Eb 12,4-7.11-15), accettando certe prove piano piano arriviamo a vedere il Signore e quindi alla piena rivelazione del suo volto come volto di Amore Misericordioso.

Amore Misericordioso: quando lessi per la prima volta questo binomio nella storia di S. Teresa del Bambin Gesù, dissi: "Ma c’è bisogno di dire Amore Misericordioso?". L’amore non è essenzialmente misericordioso? Studiando l’ebraico, invece, ho scoperto che ci sono veramente due parole distinte. HESED, che significa la grazia, la benevolenza di Dio verso tutto quello che ha creato, in modo particolare verso il genere umano.

L’altra parola è RAHAMIM, che sono le viscere materne, è un nome che designa l’utero femminile, dove la donna prova un sentimento, certamente di benevolenza, benevolenza che è anche simpatia e parzialità; non è l’amore oggettivo della testa, è l’amore proprio del cuore, del sentimento, dell’emotività, le viscere.

Dio non ha trovato nessuna nozione migliore di questa per dirci come la sua grazia ci insegue, ci visita, come il suo amore ci tocca, ci raggiunge. Quindi Amore Misericordioso va bene, Hesed e Rahamim. Questo avviene, secondo la rivelazione biblica, all’interno dell’alleanza.

Vorrei che fosse chiaro il rapporto tra giustizia e alleanza. Non sono due cose che si contemperano a vicenda, cioè un po’di giustizia e un po’di alleanza, come un po’di sale e pepe che si mette insieme nel cibo. La giustizia è la misura della provvidenza di Dio nella creazione, la creazione ha un aspetto un po’ uguale per tutti, di necessità. Se il Signore ci crea come esseri umani, c’è un minimo di condizioni che sono necessarie all’essere umano. Vuol dire che dobbiamo avere una ragione, una libertà, due occhi, due gambe, due polmoni, un cuore, queste cose sono comuni a tutto il genere umano, tanto che se qualcuno manca di questo diviene anormale, diventa fuori della norma. C’è un ordine di misure indispensabili alla creazione, c’è una regolarità nella creazione, c’è una costanza che ci accompagna sempre. Noi aspettiamo che al mattino segua la sera, alla sera la notte e che il giorno dopo torni a nascere il sole, che ci sia la regolarità delle stagioni che segna il moto dei raccolti, se semino un albero da frutta non venga fuori un altro prodotto agricolo, che il seme produca fiore e frutto, frutto corrispondente alla specie che ho seminato, dunque che ci sia una regolarità nella creazione. Questo punto di partenza della creazione è molto importante per tutti noi, cristiani o non cristiani, esseri umani, tanto che io amo dire che la prima vera vocazione è il nostro corpo, questa è una vocazione che nessuno può mettere in dubbio, è una vocazione che viene da Dio, di cui si può fare qualunque esame, ma il risultato sarà sempre che la mia vocazione è essere o uomo o donna, e che quindi sono chiamato a diventare quello che sono, la mia prima vocazione è diventare un essere umano nel mio genere, nella mia specie, poiché essere esseri umani non è una cosa già bella e fatta, ma ciascuno di noi è anche un seme che deve diventare fiore e frutto. Uomini si diventa, non si nasce già belli e fatti, questa è certamente la prima vocazione che abbiamo. Qualunque altra vocazione suppone questa, non la sostituisce, non la abolisce, ciascuno di noi è chiamato da Dio a diventare pienamente uomo, pienamente donna. Questo nella risposta a quello che evidentemente siamo e portiamo in noi. Questo è un ordine di creazione a cui dovremmo essere bene attenti, forse soprattutto noi chiamati alla vita religiosa, perché dato che questa chiamata è una chiamata a un certo tipo di vocazione, potremmo quasi essere tentati di dare meno importanza alla chiamata radicale e fondamentale che la nostra stessa creazione ci mette davanti. Però la creazione è un punto di partenza, in cui più o meno siamo tutti nelle stesse condizioni, anche se è vero che ciascuno nasce in una certa famiglia, una certa nazione. Questa condizione umana di creazione è quella che poi fonda tutto il discorso sui diritti dell’uomo. Sulla carta dei diritti dell’uomo ci sono diritti, anche se non sono acquisiti oggi da tutto il genere umano, che dobbiamo per giustizia, procurare a ogni uomo e a ogni donna.

Poi c’è l’alleanza, che di per sé si presenta, almeno nella rivelazione biblica, in un altro modo, non va secondo giustizia ma secondo elezione, secondo una scelta di Dio. È gratuita la creazione e doppiamente gratuita l’alleanza. Dio sceglie Isacco e non sceglie Ismaele, sceglie Giacobbe e non sceglie Esaù, sceglie Giuseppe e non scegli i suoi fratelli, sceglie Efraim più che Manasse, sceglie Israele e non le nazioni. L’alleanza fa differenza, sembrerebbe che fa in un certo senso ingiustizia, perché uno e non l’altro, è del tutto liberale, è del tutto gratuita, non si possono fare i conti nella libertà di Dio. Dio lo dice chiaramente: non pensate che il Signore vi ha scelto perché siete intelligenti, i migliori, no, anzi siete i più piccoli; il Signore si è legato a voi perché vi ama (cf Dt 7,7-8). Questo principio introdotto nella provvidenza di Dio, fa nascere delle gelosie, perché lui e non io? perché lui ha più di me? perché lui è prima di me? perché Dio non provvede a tutto il genere umano, secondo una globalizzazione di cui si parla molto oggi? Questa è l’alleanza di Dio che, in realtà, come meta finale raggiungerà tutti, ma non tutti nello stesso modo e nello stesso tempo, non tutti secondo la stessa modalità di vocazione. Noi siamo i primi testimoni di questa parzialità, il Signore ci ha chiamato alla vita religiosa, dunque a una vita che non è la vita normale del genere umano, ci ha messi da parte in vista di tutti gli altri. Così è di tutti gli altri, ciascuno ha una vocazione particolare all’interno della creazione, che lo contraddistingue dagli altri. È una vocazione fondamentalmente di amore: tu sei quello che sei, tu sei diverso dagli altri. Non è vero affatto che Dio ama tutti allo stesso modo, Dio ama ciascuno in modo assolutamente diverso, l’amore di Dio fa diversità, non fa uguaglianza. L’amore di Dio non è soggetto alla giustizia, o meglio, risponde alla giustizia di Dio non a quella umana. Tu sei quello che sei perché Dio ti ama, ti ama in un modo singolare con cui non ama nessun altro, perché se amasse due nello stesso modo sarebbero assolutamente identici, sarebbero clonati. Dio non ama la clonazione. Faccio questo esempio qualche volta, non so se può aiutare:

Quando si va a scuola, specialmente all’inizio, si è tutti uguali, tutti compagni di scuola, poi si cresce, ad un certo punto qualche ragazzo comincia a guardare una ragazza in un modo un po’ speciale. Quando il ragazzo comincia a guardare la ragazza in modo speciale, vuol dire che la ragazza già da prima guardava il ragazzo in modo speciale. Ad un certo punto non siamo più soltanto compagni, cominciamo ad essere innamorati. Questo comincia a fare differenza, non è più lo stesso sentimento verso tutti gli altri. Un compagno può dire ad un altro compagno che cosa ci trova di bello in quella là? Invece lui ci trova qualcosa di interessante, qualcosa di bello. Questo innamoramento non è soggetto alle leggi della necessità, è un fatto del tutto gratuito. Ciò può rendere l’idea di cosa è l’alleanza.

Alleanza è una predilezione che parte da Dio, e quando l’alleanza è da parte di Dio, la Bibbia usa spesso questa espressione: "trovò grazia agli occhi del Signore". Noè trovo grazia agli occhi del Signore, Maria ha trovato grazia agli occhi del Signore. Quando si tratta del Signore, non è come un essere umano normale che si innamora di qualcuno perché almeno lui ci vede qualcosa di buono, di bello, di simpatico, di nobile. Dio non vede nulla di buono in noi, se non quello che ci ha già messo Lui. Se noi piacciamo al Signore, se Maria piace al Signore, è perché il Signore l’ha resa bella e gradita ai suoi occhi, quindi viene tutto gratuitamente dal Signore. Non c’è nulla di bello in noi e di buono che Dio non abbia già messo in noi, perché è il Creatore, senza che il Signore pensi a me io neanche esisto.

Vorrei mostrarvi come questa alleanza, che da parte di Dio è sempre la stessa, noi la sperimentiamo in modo graduale. Quello che troviamo nella Bibbia è quello che sperimentiamo in ciascuno di noi, nella nostra storia. La Bibbia quando ci parla dell’AT non ci parla di cose passate che ormai sono superate, ci parla di quel cammino che ciascuno di noi rifà alla sequela del Signore, ritracciando le varie tappe che il Signore ha fatto tracciare al suo popolo, che fa tracciare alla sua Chiesa e che fa ritracciare a ciascuno di noi.

Il primo modo con cui si presenta l’alleanza è quello di un patto bilaterale. Prendo come immagine la prima alleanza di Israele, quella del Sinai, quella di Dio con il suo popolo mediata da Mosè. Si è riconosciuto questo schema di alleanza in certi trattati che erano in uso nell’impero ittita, verso il secondo millennio a.C., da cui forse il racconto biblico dell’alleanza del Sinai si è ispirato e ha preso le mosse. Il modello di questo trattato comprendeva sei punti:

  1. Il trattato era del grande sovrano con i suoi sudditi, vassalli più o meno, per legarli a sé, impegnandoli alla fedeltà a lui. Allora il primo modello biblico dell’alleanza sembra ritracciare, adattandolo chiaramente, questo schema. Il sovrano si presenta, io sono il signore Dio tuo, c’è l’autopresentazione del grande imperatore.
  2. Io ti ho liberato dall’Egitto, dal paese della schiavitù, cioè la memoria dei benefici che il Signore ha fatto al suo popolo, Io ho preso l’iniziativa di liberarti dalla schiavitù.
  3. Dunque tu mi appartieni. Questa è la formula semplicissima dell’alleanza, che poi è rimasta sempre, io sono il tuo Dio, tu sei il mio popolo, Io e tu, tu ed Io. Questo è il rapporto che nello sviluppo della fede diventa proprio la fede, la fede cristiana: io credo in Te. Quando Gesù fornirà l’ultima edizione di questa alleanza: "Tu segui me", sempre resta questo rapporto dialogico, tu ed Io, non alla pari, ma tu sei il mio discepolo.
  4. Stipulazione particolare. Se tu sei mio popolo allora fa questo, non fare quest’altro. Ci sono varie regole che vengono date, vari comandamenti, che però suppongono sempre il ‘tu mi appartieni’ e che ‘Io ho diritto per i benefici che ti ho concesso di proporti questo patto’. Questo, nel nostro linguaggio, sarebbe la morale. Prima viene la fede poi la morale. La fede è semplicissima: io credo in Te; la morale suppone vari comandamenti ed è sempre confrontata con la cultura in cui ci si trova; questi comandamenti si scoprono man mano che si evolvono, che si evolve anche la coscienza dei popoli, e quindi si avvertono certi doveri e certi diritti, che magari prima non si avvertivano. C’è un’evoluzione nell’ordine della scoperta dell’ordine morale.
  5. Ci sono testimoni di questo patto. Testimoni, quando è Dio che propone l’alleanza, sono generalmente il cielo e la terra, cioè tutta la creazione; quando poi è il rapporto speciale con Israele, ci sono le nazioni, i popoli, che stanno sempre a guardare quello che succede tra Israele e il Signore, o perché si ingelosiscono, o perché sono contenti che le cose vadano male a Israele, o perché vogliono sostituirsi al rapporto con Dio. Questo è un po’ il gioco dell’AT, dove ci sono sempre tre protagonisti, il Signore, Israele, il suo popolo, poi le nazioni (i Gentili), che stanno a guardare che cosa avviene tra il Signore e il suo popolo. Una nota interessante. Per nominare il Signore, la Bibbia ha due nomi: Elohim, quello che nella nostra Bibbia italiana chiamiamo Dio; poi c’è invece il nome proprio dell’alleanza, quelle quattro consonanti, che qualche volta diciamo con il nome Javhè, ma parecchi vescovi esortano a non pronunciare questo nome di Dio, appunto perché gli Ebrei non lo pronunciano per rispetto, loro dicono piuttosto "Adonai", oppure "il nome", oppure quello che noi traduciamo il Signore. Quando nella Bibbia trovate "Dio", vuol dire che c’è Elohim in ebraico; quando trovate "il Signore", vuol dire che c’è Adonai. Adonai è il nome, il biglietto da visita di Dio: non sono semplicemente una divinità, cioè Dio, sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Questo è il nome dell’alleanza, il nome segreto in un certo senso, che Dio rivela a Mosè, che poi non è un nome perché quando Dio dice a Mosè che "Io Sono Colui che Sono", questo non vuol dire niente, in sostanza vuol dire molto ma non è nessun nome, vuol dire che tu il mio nome non lo puoi conoscere, ti basti sapere che Io mi chiamo "Io sono qui con te", "Io sono con te", non cercare di sapere il mio nome. Il nome in oriente è una cosa molto seria, conoscere il nome di una persona vuol dire esercitare un certo dominio su di lei, ecco perché nella lotta di Giacobbe con Dio, Dio dà un nuovo nome a Giacobbe ma non rivela il suo a Giacobbe. Il mio nome non si può conoscere, ti basti sapere che Io sono con te, mi chiamo così, Io sono con te. Per questo capiamo subito la grande tentazione di Israele, del suo popolo, che viene citata nel libro dell’Esodo al capitolo 17: "Ma il Signore è con noi sì o no?" La tentazione di Massa e Meriba: manca l’acqua, manca il cibo, ma allora il Signore si chiama davvero Dio con noi, oppure no? La risposta finale è quella che Dio dà attraverso l’angelo a Maria: Io sono con te, il Signore è con te, con te in un tale modo che tu non ne puoi più dubitare perché si fa carne, si fa uomo nel tuo seno.
  6. Le Benedizioni o le Maledizioni. Potete trovare nel libro del Levitico 26, un lungo capitolo delle benedizione e delle maledizioni. Se tu obbedirai ai precetti che Io ti ho dato, sarai benedetto, se tu non obbedirai cadrai nelle maledizioni. In questo senso il patto sembra segnato dalla giustizia, Io sono il Signore tuo Dio, ti ho liberato dall’Egitto, tu sei il mio popolo e Io sono il tuo Dio, dunque i vari comandamenti, i testimoni sono il cielo e la terra o le nazioni, se obbedirai sarai benedetto, se non obbedirai sarai maledetto. A questo punto sembrerebbe che la giustizia sia la regola non solo della creazione ma anche dell’alleanza; invece no, c’è un’aggiunta. Alla fine del capitolo 26 del Levitico il Signore dice così: se tu non obbedirai sarai maledetto, andrai in esilio, avrai paura di tutto, avrai paura anche se nessuno ti insegue; il fruscio di una foglia li metterà in fuga, fuggiranno come si fugge di fronte alla spada e cadranno senza che alcuno li insegua, avranno paura di tutto. Più volte viene ripetuta questa espressione. Questo sembrerebbe il castigo della non obbedienza all’alleanza, quindi andranno in schiavitù, andranno soggetti alle nazioni, il Signore li abbandonerà, la loro terra sarà devastata, però alla fine, al versetto 44 dice: "Nonostante tutto questo, quando saranno nel paese dei loro nemici, io non li rigetterò e non mi stancherò di essi fino al punto di annientarli del tutto e di rompere la mia alleanza con loro, poiché io sono il Signore loro Dio, ma per loro amore mi ricorderò dell’alleanza con i loro antenati che ho fatto uscire dal paese d’Egitto davanti alle nazioni per essere il loro Dio, io sono il Signore". Dunque, anche nel caso più doloroso del castigo, quando il Signore ha fatto alleanza con qualcuno rimane il Signore dell’alleanza, ci sarà un resto che si salva, Io non li abbandonerò perché Io sono il Signore loro Dio. Importante è notare che Dio non rompe mai la sua alleanza. Non diciamo mai che qualcuno ha perduto la sua vocazione, possiamo domandarci se qualcuno aveva davvero una vocazione, ma se io ho avuto davvero una vocazione, non posso perdere la mia vocazione, posso chiudere gli orecchi alla mia vocazione, posso mettere l’ovatta per non sentire, ma la vocazione rimane. Se Dio mi ha chiamato una volta quella vocazione rimane e la mia vita ne sarà sempre segnata, potrò venire meno, potrò cambiare strada, la mia strada sarà sempre la strada di uno che è stato chiamato a un’altra strada. Se il Signore dice di sì a qualcuno, quel sì non diventa mai no, tant’è vero che il figlio prodigo può sempre tornare a casa e il padre lo accoglie.

La stessa cosa la troviamo nel Deuteronomio al capitolo 28, anche lì si ripetono le benedizioni e le maledizioni nello stesso modo; al capitolo 29 c’è questo ritorno, nonostante tutto chi cade nella maledizione, se è nell’alleanza, finalmente il Signore non lo abbandona. Dunque c’è un principio importante: il popolo dell’alleanza che si sente legato a questo impegno, sa che questo patto lui lo può rompere ma Dio non lo rompe, gli è fedele, è fedele a se stesso e per questo è fedele a noi. Questo è quello che nella Bibbia troviamo come primo modello dell’alleanza, cioè un patto bilaterale, che se tu accetti, da parte di Dio rimane per sempre. Il popolo al Sinai ha detto che quanto il Signore ha detto lo farà e lo eseguirà; allora c’è già questo rapporto tra Dio che è sì e l’uomo che dice amen, che vuol dire non così sia, ma così è, cioè ci sto, mi posso fidare, siamo d’accordo. Come dirà Paolo: noi possiamo sempre dire amen perché il Signore dice prima di noi sempre sì, perché il Signore è un sì all’umanità. Così è come Mosè ha educato il popolo a entrare in un rapporto bilaterale con il Signore, in un rapporto di amicizia, di alleanza, purchè non si intenda l’alleanza come parità fra Dio e l’uomo: tu sei il mio popolo e Io sono il tuo Dio.

L’alleanza è dinamica, nel senso che noi scopriamo sempre di più chi è il Signore, siamo noi che ci muoviamo, non è Lui. Lui si rivela ai nostri occhi sempre di più perché i nostri occhi si aprano sempre di più e si adattino sempre di più alla sua luce. Questo non è soltanto avvenuto nella storia, ma avviene nella storia di ciascuno di noi. Quante volte ci capitano delle cose, voi avete avuto due defunti recenti, quando queste cose succedono spesso la gente dice che Dio ci ha punito, che ho fatto di male? Il Signore non punisce nessuno, però gli uomini lo scoprono all’inizio come qualcuno che potrebbe anche punire e che punisce; questo è perché l’uomo è in cammino.

C’è una seconda edizione dell’alleanza, che non è un cambiamento dell’alleanza, ma è un rinnovamento di scoperta, quando questa alleanza diventa l’alleanza con Davide, l’alleanza con il re. Quando il popolo si introduce nella terra promessa, si sistema, Davide ha conquistato Gerusalemme, si è insediato, ha costruito il suo palazzo reale, poi una mattina chiama il profeta Natan e gli dice che ha pensato una cosa: Io abito in una casa di cedro e il Signore sta in una tenda, voglio fare una casa al Signore. Nel capitolo 7º del secondo libro di Samuele c’è una narrazione molto bella piena di umorismo, c’è tutto un equivoco sulla parola casa, Davide vuole fare una casa al Signore, cioè vuole costruire un tempio, vuole costruire un edificio, Natan che è profeta, però non è profeta tutti i giorni della sua vita, è profeta quando il Signore gli parla. Natan gli dice che è una buona idea: costruisci una casa al Signore. Poi Natan va a dormire e la notte il Signore gli dice di andare da Davide a dirgli che non ha nessun bisogno di una casa, sono Io che gli farò una casa, ma qui casa vuol dire un’altra cosa, vuol dire discendenza. Tutto il discorso, tutto il colloquio va avanti su questo tema, Davide continua a capire il tempio e il Signore continua a dire "Io ti farò una discendenza"; Io ho abitato per tutto il tempo dell’esodo sotto una tenda, non ho bisogno di una casa, il cielo è la mia casa, la terra, Io sono il Signore di tutto, cosa è questa idea di costruirmi una casa! Io gli farò una discendenza, però usa sempre la stessa parola casa, quindi va avanti il discorso finchè Davide si convince di fare questa casa, il tempio. Il Signore dice ad un certo punto: senti, lascialo fare, lui si è messo in testa di farmi una casa, fagli fare la casa, poi vediamo. Stefano quando farà questo discorso davanti al sinedrio, lo riprende dicendo che il Signore non ha bisogno di casa, è Salomone che gli ha costruito il tempio, nemmeno Davide, Davide ha raccolto i beni per costruirlo, poi Salomone ha costruito il tempio, che non c’è più anche se è servito; mentre la casa che il Signore ha costruito a Davide c’è ancora. Allora che cos’è questa alleanza con il re? È qualcosa molto bella, interessante. Perché è così importante che Israele abbia un re? Perché, nonostante tutta la critica e la crisi della monarchia con Samuele che non la vuole, perché in fondo il Signore vuole il regno? Non vuole necessariamente il tempio ma vuole il regno, vuole il re. Chi è questo re? La cosa è un po’ misteriosa, perché in questo capitolo 7º del secondo libro di Samuele il Signore veramente si impegna per sempre: "Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere e renderò stabile il suo regno, egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno, io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio". Vedete, il re si identifica con il figlio. "Se farà il male lo castigherò con verga di uomo e con i colpi che danno i figli d’uomo", dunque anche qui ci sarà il castigo delle maledizioni, "ma non ritirerò da lui il mio favore come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te, la tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, e il tuo trono sarà reso stabile per sempre". Capite che 400 anni dopo circa, il regno cade, la casa di Davide non è più casa reale, la monarchia è distrutta sotto i babilonesi, gli assiri, i persiani, non c’è più nessun re davidico in Israele fino a oggi, qui c’è una parola di Dio che sembra smentita dai fatti: dove sta questa alleanza con il re che Dio ha fatto per sempre con la casa di Davide? Allora Davide è stato trattato come Saul, che era il primo unto del Signore, che gli Israeliti hanno voluto per forza fare re? Dio non accetta mai i fatti compiuti, le cose che noi facciamo per forza e che gli facciamo fare per forza poi le scontiamo noi. Davide si è impegnato per sempre, il Signore si è impegnato per sempre e, paradossalmente, proprio nel tempo dell’esilio, proprio quando la monarchia è finita, i profeti dell’esilio, Geremia, Ezechiele, Zaccaria continuano a dire che ci sarà Davide mio pastore; Ez 34 lo dice: "Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo", ma Davide è morto da 400 anni! La sua discendenza non sta più sul trono, è finito il regno. Chi è questo Davide di cui si parla?

Ancora in Ez 37: "Davide mio servo, sarà loro re per sempre", sembra che dopo la fine della monarchia si parli di Davide ancora di più. Lì c’è proprio il mistero di Gesù: il re e il regno sono una derivazione della Trinità, Dio ha un Figlio, questo Figlio è l’Emmanuele, il re. Non c’è soltanto il Padre, c’è il Figlio, il Figlio è l’alleanza con il re, è la preparazione per farci capire l’alleanza tra il Padre e il Figlio. Chi è il Figlio? Il Figlio è la visibilità del Padre, il Padre nessuno lo ha mai visto, non lo si può vedere, ma appena si parla del Padre si nomina il Figlio. Chi vede me vede il Padre, io non sono il Padre; solo il Padre conosce il giorno e l’ora. Ma come si entra in contatto con questo Padre? Facci vedere il padre, dice Filippo, e ci basta. Dopo tanto tempo che sono con voi, Filippo, ancora non mi hai conosciuto, chi vede me vede il Padre. Gesù è colui nel quale possiamo conoscere il Padre, che è distinto da Lui: è il mistero della Trinità, che viene annunciato nella storia proprio attraverso il patto, l’alleanza che Dio propone a Davide. Forse noi abbiamo un po’ dimenticato questo aspetto: nel NT, nei Vangeli, è fondamentale sapere che Gesù è il Figlio di Davide, se ne dovrebbe parlare molto di più. Allora importante è Giuseppe, perché e lui che fa entrare Gesù nella casa di Davide, è Giuseppe il davidico. Luca ha l’annunciazione a Maria e Matteo l’annunciazione a Giuseppe. Maria è invitata a mettere a disposizione di Dio quello che una donna mette a disposizione, cioè il suo seno, e Giuseppe è invitato a mettere a disposizione di Dio quello che un uomo ha, la sua casa e il suo nome, il sua casato, ed è Giuseppe che introduce Gesù nella dinastia di Davide, ma la dinastia di Davide portata da Giuseppe è una dinastia decaduta, lui è un falegname, quindi è un re decaduto, però è una famiglia regale. Dunque la promessa di Dio, l’alleanza di Dio, l’ha mantenuta il Signore, il Figlio di Dio è il re davidico, che troviamo anche nell’annunciazione a Maria, lui regnerà per sempre sul trono di suo padre Davide. Quindi il re è un annuncio del rapporto tra Gesù e il Padre, questa alleanza del Sinai si personalizza, si concentra nell’alleanza tra il re e il Signore, il re rappresenta tutto il popolo, infatti il re davidico viene annunciato quando gli Israeliti invitano Davide ad Ebron per essere il loro re dicendogli che sono carne della sua carne e ossa delle sue ossa: questo è il modo con cui l’uomo saluta la creazione della donna nel giardino di Eden, cioè il re è lo sposo del suo popolo, il rapporto tra il re e il popolo diventa un rapporto nuziale. Allora si capisce che se il re davidico fosse infedele all’alleanza incorrerà nelle pene, nel castigo, ma il Signore si ricorderà sempre di lui, non lo abbandonerà mai, il Signore lo riprende continuamente nella sua benedizione.

Volevo mostrarvi come comincia questa idea e come si affaccia la rivelazione della misericordia in questo contesto di alleanza, in cui il Signore ci tiene che capiamo che se siamo infedeli all’alleanza, incappiamo in un castigo, ma il castigo non viene da Lui, il castigo ce lo procuriamo noi. Da Lui viene quella fedeltà per cui anche nel castigo il Signore non abbandona, questo viene da Lui. Il castigo può dipendere anche dal semplice fatto che Dio è Dio, ma questo non vuol dire che Dio ci fa qualcosa di male per castigarci, ma vuol dire che se io mi oppongo a Lui - con il Signore non si può scherzare -, si va incontro a certe conseguenze perché non c’è ricambio, di Dio c’è ne uno solo! Se io mi allontano dal Signore non c’è un altro Signore. Questo, il Signore, vuole che lo capiamo fino al NT, fino alla fine: l’importante è capire che da parte del Signore non c’è nessuna porta chiusa, la porta rimane aperta, se il figlio ritorna trova il padre che lo accoglie e non c’è sconto della misericordia, il padre non accetta che il figlio venga non come figlio ma come servo, di riprenderlo almeno come servitore, ma uccide il vitello grasso perché si fa festa, questo figlio era perduto ed è stato ritrovato.

Questa rivelazione comincia lentamente nella storia, comincia con la fedeltà del Signore al resto di Israele anche nell’esilio, nell’abbandono, nell’infedeltà, nel peccato: il Signore viene a ripescare il suo popolo per stringerlo a sé in questo abbraccio che è l’abbraccio della misericordia. La giustizia riguarda la creazione, la misericordia riguarda l’alleanza, e l’alleanza vuol dire l’età adulta della creazione. Il Signore non crea nessuno per lasciarlo allo stato di creatura, crea tutti perché tutti , a suo tempo, a suo modo, ricevano l’invito a diventare figli. Non siamo figli di Dio per creazione, non siamo figli di Dio perché siamo essere umani, siamo creature di Dio, però siamo invitati a diventare figli entrando nell’alleanza, come dice Giovanni nel prologo del suo Vangelo: "a coloro che l’hanno accolto ha dato la capacità di diventare figli di Dio" (Gv 1,12). Nella Messa, quando recitiamo il Padre Nostro diciamo che osiamo dire Padre nostro, non ci spetta dire Padre nostro, spetta solo a Gesù dirlo con "Padre mio". In Gesù, nel re che ci apre l’alleanza con il Padre, allora anche noi osiamo dire Padre nostro: "vado al Padre mio e al Padre vostro, Dio mio e Dio vostro" (Gv 20,17).

Vedremo in seguito come questa alleanza viene scoperta sempre di più nella rivelazione di Dio. Credo che dobbiamo essere grati al Signore di manifestarcisi gradualmente, perché vari anni che ci è dato di vivere, non li viviamo per rimanere sempre nello stesso punto ma per crescere.