LA GRANDE STORIA DELLA MISERICORDIA DI DIO PASSA ATTRAVERSO LE PICCOLE STORIE UMANE.
RUT LA MOABITA.

P. Aurelio Pérez fam

La piccola storia descritta dal libro di Rut, di appena 4 capitoli, racchiude un insegnamento chiave nella storia della salvezza: il Signore fa cose grandi con gli strumenti più piccoli e a volte più impensabili, come era solita dire M. Speranza. Dio «ha costruito la spina dorsale della storia della salvezza con ‘stecchini di legno’» (Mons. Giuliano Agresti).

La commovente storia di Rut, madre di Obed, padre di Iesse, padre del re Davide, inizia con la descrizione della sventura di una famiglia di Betlemme di Giuda: Elimelech, sua moglie Noemi e i due figli Machlon e Khilyon, sono costretti a emigrare a motivo della carestia nella terra di Moab, presso quel popolo che, al tempo dell’esodo, non era venuto incontro al popolo di Dio con il pane e l’acqua, e che per questo era stato categoricamente escluso dalla comunità del Signore (Dt 23,4-7).

Elimelech muore e i due figli sposano due donne moabite, Orpa e Rut. Dopo circa 10 anni anche Machlon (= "languore") e Chilyon (= "consunzione") muoiono senza lasciare figli e rimangono le tre donne, vedove e sole. Quando Noemi decide di ritornare nella terra d’Israele, avendo sentito che il Signore aveva visitato il suo popolo dandogli pane (Rt 1,6), la nuora Rut decide di non staccarsi da lei, condividendo fino in fondo il suo destino.

In mezzo a questo dramma familiare brilla la grande bontà dei personaggi, in particolare di Rut, "l’amica" come significa il suo nome, che però viene da una terra nemica. La bontà (hesed) di Rut rivela in una straniera il cuore della Torah: l’amore verso il proprio prossimo fatto di sentimenti autentici e di gesti concreti.

Se li guardiamo da vicino, possiamo cogliere in questi personaggi, che sembrano tratti da una delle tante cronache quotidiane, la grande luce che la Parola del Signore ci propone:

La Dolce (Noemi), l’Amica (Rut), Il Forte (Booz) e il Servo (Obed)

Per certi versi Noemi assomiglia a Giobbe: prima ha perso la terra, poi il marito, poi i due figli. Come Giobbe si lamenta e dirà tornando a Betlemme:

«Non mi chiamate Noemi (= "la mia dolcezza"), chiamatemi Mara, perché l’Onnipotente mi ha tanto amareggiata! Io ero partita piena e il Signore mi fa tornare vuota» (Rt 1,20-21).

Ma, diversamente da Giobbe, non rimane ripiegata sulla sua amarezza: si alza e decide di ritornare alla sua terra (Rt 1,6). C’è una grandissima forza e coraggio in questa donna, che esorta le nuore che vogliono accompagnarla a tornare indietro, a rifarsi una vita. Il dialogo tra le tre donne è uno dei più commoventi della Bibbia (Rt 1,8-17). Una delle due nuore, Orpa (= "colei che volge il dorso"), torna indietro, mentre Rut (= "l’amica") risponde a Noemi:

«Non forzarmi a lasciarti e ad allontanarmi da te, perché dove tu andrai, andrò anch' io e dove tu dimorerai anch' io dimorerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove tu morirai, morirò anch' io e là sarò sepolta. Il Signore mi faccia questo e altro ancora, se altra cosa che la morte separerà te da me e me da te» (Rt 1,16-17)

Nello slancio di amore per la suocera, Rut – come Abramo – era partita dal suo paese "senza sapere dove andava" (Eb 11,8; cf Gen 12,1); si era fidata, forte unicamente dell’affetto che la legava a Noemi, e, senza avere ancora una fede esplicita nel Dio d’Israele, era stata condotta dall’amore a "rifugiarsi sotto le sue ali" (Rt 2,12).

Rut appartiene al popolo dei moabiti, imparentati con il popolo di Dio perché discendenti di Lot, nipote di Abramo, ma attraverso una unione incestuosa, dopo la distruzione di Sodoma e Gomorra (Gen 19,30-38). Moab si trova a ovest del Mar Morto. Ebbene, Rut, "l’amica" straniera che "ritorna" dal paese di Moab con Noemi, scendendo nella terribile e desolata depressione del Mar Morto (circa 450 mt sotto il l.m.), dove si conserva la memoria della distruzione di Sodoma e Gomorra, Admà e Zeboìm, e risalendo verso la terra d’Israele a Betlemme (800 mt sopra il l.m.), è l’immagine della riconciliazione, del ritorno a Dio di tutti gli "stranieri", "lontani" e peccatori, provenienti anche dagli abissi di male più impensabili.

«Ella era una semplice creatura che si metteva in viaggio, lasciando dietro di sé ogni sicurezza, spinta dall’amore, inconsapevole della piena portata di quanto andava facendo. Inconsapevole della grazia che operava in lei, e che il Dio d’Israele le elargiva, Rut stava diventando un ponte di benedizione, un accordo di pacificazione tra i fratelli separati, un luogo privilegiato attraverso cui diffondere la benedizione fino ai moabiti, e con essi a tutti i popoli della terra, lontani e peccatori… Nel suo cuore amante di donna in cammino popoli lontani e maledetti ritrovavano la pace, ritornando con lei dagli abissi più profondi fin nel seno di Abramo, al grembo del padre, luogo di benedizione e di misericordia. (Cf Sal 68,23; 87)»(1).

Booz (= "in lui è la forza"), è un "uomo potente e valoroso" (Rt 2,1), che rappresenta l’azione forte del Signore che protegge, riscatta e salva. Ma si tratta di una forza che si manifesta nell’amore: Booz ha parlato al cuore di Rut (Rt 2,13), come il Signore al cuore del suo popolo (Os 2,16), al cuore di Gerusalemme (Is 40,1-2). Booz solo per amore, senza trarne alcun vantaggio, mette in atto insieme il diritto di riscatto che cercava di evitare l’alienazione del patrimonio familiare di un ebreo povero (è il go’el, "parente prossimo" Rt 2,20; cf Lv 25,23-25), e la legge del levirato o del cognato che prescriveva di dare una discendenza al posto di un fratello o parente defunto (Rt 3,9; 4,9ss; cf Dt 25,5-10).

Booz ama Rut, così come il Signore ama le creature più povere e indifese, e assicura loro la sua protezione, le riscatta dalla schiavitù, le salva dalla miseria, riempiendole di beni. In Rut contempliamo a qual punto Dio si affezioni alle sue creature più vulnerabili e fragili, sino a legarsi a loro con un patto sponsale (Rt 3,9; cf Ez 16,8).

Ma a riscattare davvero la vita di Noemi e di Rut è il bambino che nasce e viene chiamato Obed (= "servo"):

«Veniva così significata in lui quale fosse la forza di Noemi, di Rut, di Booz, la segreta bellezza delle loro vite: il servizio. Il segreto del loro successo fu l’avere a cuore il bene dell’altro, più del proprio, l’amore che li animava e motivava le loro scelte, un amore puro, che non fa chiasso, non grida, né alza il tono, non fa udire in piazza la sua voce. Obed sarà uno dei nomi del Messia, il "servo" di JHWH (Is 42,1-9; 49,1-7; 50,4-11; 52,13 - 53,12)… E proprio dalla carne di Obed, figlio di Rut, l’amica, la moabita convertita, sarebbe nato alcuni secoli dopo il Messia, il quale tutto ricuce, perdona, risana e non perde niente e nessuno. Il Messia, dal sangue in parte moabita, ha ricevuto nella sua carne i segni di una vocazione universale, aperta alla salvezza del mondo. Ora tutti, stranieri e peccatori, sono raggiunti dalla misericordia. Nel sangue del Messia, versato sulla croce, non vi è più lontananza che non possa essere colmata dall’amore (cf Ef 2,11-19). E’ bello pensare che dietro l’opera di pacificazione del Figlio crocifisso, che ha distrutto in se stesso l’inimicizia, si trovi anche la piccola persona di Rut»(2).


[1] F. ROSSI DE GASPERIS, A. CARFAGNA, Prendi il libro e mangia, 3.2, EDB, pp. 25ss.

[2] Ibidem, pp. 28-29.