La bellezza della misericordia che salverà il mondo
Collevalenza, giovedì 17 novembre 2005
P. Germano Marani s.j.

Per parlare della bellezza della misericordia che salverà il mondo, (parafrasando una frase di F. Dostoevskij), parliamo in un primo momento della misericordia e della carità per poi vedere di quale bellezza salvifica esse siano portatrici. Teniamo presente soprattutto il cristianesimo orientale bizantino ed in particolare quello russo.

 

La carità E LA misericordia
cammino e custodi della COMUNIONE

Per San Giovanni Crisostomo, "dopo un lungo cammino spirituale, la sua convinzione era che la regola fondamentale del cristianesimo si trova nel servizio degli altri. La grande tentazione del monaco non è di mancare alla pratica dell’una o dell’altra virtù cristiana; essa è quella di proseguire da solo la sua strada della perfezione, senza occuparsi della salvezza dei fratelli (…) In che cosa consiste questo obbligo di essere utili agli altri? Innanzitutto nell’ avere a cuore la preghiera universale. I monaci rendono grazie per tutto l’universo come se essi fossero i padri dell’umanità intera, fortificano i preposti alla Chiesa attraverso le loro preghiere. Inoltre, con il loro esempio, praticando il distacco, sono una lezione vivente che ricorda a tutti di essere stranieri e viaggiatori su questa terra"(1). "Il rapporto tra la mistica della trasfigurazione - (dell’inabitazione dello Spirito Santo nell’uomo, ndr) - e pratica della carità per conoscere Dio e amarlo con tutto il proprio essere, potrebbe trovare sul versante orientale il supporto della dottrina di G. Palamas"(2), tenendo ben presente la discussione odierna in occidente sulla grazia(3).

Trasfigurare la terra NELLA CARITA’

Le 10 Vergini in Giovanni Crisostomo, Romano il Melode e in Teodosio Pečerskij

Fin dall’inizio del monachesimo nella Rus’ c’era una Diakonia dei monaci e delle monache: degli ospedali per esempio (Lazaretto), legata senza dubbio secondo la Tradizione (cfr. Vita Santi Cosma e Damiano) all’aspetto di terapia spirituale, di accoglienza dei poveri, di scuole interne al monastero, od esterne, rimane comunque una dimensione concreta ed efficace di qualsiasi monachesimo e un segno che il Regno di Cristo è già qui (Chi ha fatto queste cose a uno dei più piccoli l’ha fatto a me).

Anche oggi le situazioni, pur diverse, richiedono una solidale diakonia. Su questo fronte della sensibilizzazione alla qualità della Diakonia ha fatto fino ad ora un ottimo lavoro il prof. Myroslav Marynovič direttore dell’Istituto Religija i suspilstvo dell’Università Cattolica di Leopoli(4).

Abbiamo visto più sopra che Teodosio Pečerskij (delle Grotte di Kiev), inziatore del monachesimo cenobitico nella Rus’ si è ispirato in una delle sue Omelie al Commento di Giovanni Crisostomo delle 10 Vergini nel contesto del Vangelo di Matteo (Mt 25, 1-13). Non era il primo che lo faceva. Anche Romano il Melode, prima di lui, ebbe a commentare lo stesso brano del Vangelo di Matteo collegandolo e interpretandolo con il giudizio finale di Matteo (25, 31-46). L’esegesi di Romano il Melode, in versi, che interpreta la pericope delle 10 vergini alla luce del giudizio finale dello stesso capitolo, è legittima anche dal punto di vista testuale, come lo era in Giovanni Crisostomo e come lo sarà in Teodosio di Pečersk. Ci sembra suggestiva questa coincidenza per collocare il tema della carità in prospettiva anche escatologica (ero nudo e mi avete vestito…) in un contesto sponsale (le 10 vergini in attesa dello sposo). Le cinque sagge hanno con loro l’olio della carità e della misericordia che le abiliterà ad entrare nel talamo nuziale quando lo sposo giungerà. Le cinque stolte non hanno con sé l’olio della carità e della misericordia e chiedono alle sagge di dare un poco del loro olio. Ma l’olio della carità e della misericordia per le vergini sagge non è molto, anche loro sono povere di carità e di amore, dunque non potrà bastare per tutte. Le stolte vanno a comprare l’olio in un’ora in cui non lo si potrà trovare. L’olio della carità non si vende. Per questo quando torneranno alla casa dello sposo che nel frattempo è giunto, troveranno la porta chiusa.

 

Scrive Romano il Melode(5):

II "Sposo di salvezza, speranza di quanti inneggiano a te, o Cristo Dio, concedi a noi oranti di trovare nelle nozze con te, come le vergini, senza macchia

l'imperitura corona.

IV Imita le vergini accorte, anima mia, ed emulando di esse il caritatevole amore grida ora pentita: «A tutti offri, o Cristo, una

corona imperitura!».

V Il talamo è pronto, anima mia sciagurata! Fino a quando sprecherai la tua vita nelle passioni, invece di adoperarti per avere, come le vergini,

l'imperitura corona?

1 L'ascolto della santa parabola delle vergini dal vangelo mi ha impressionato e ha suscitato in me riflessioni e pensieri. Come mai tutte e dieci possedevano la virtù della verginità immacolata, ma per cinque di loro questa fu un inutile impegno? Le altre risplendettero per la luce dell'amore verso il genere umano: per questo lo Sposo le invita e con gioia le introduce nel talamo, quando apre i cieli e a tutti i giusti assegna

l'imperitura corona.

3 Mossi da tale fede e dalla promessa, molti uomini cercano di raggiungere il Regno di Dio. S'impegnano perciò ad osservare la virtù della verginità, praticano il digiuno, che è la più grande fra le buone opere della vita, perseverano nella preghiera e intatta custodiscono la dottrina: però manca ad essi l'amore per il genere umano. Così tutto alla fine risulta inutile, perché ognuno di noi, non avendo carità, non riceve neppure

l'imperitura corona.

5 Più grande di ogni virtù giudicò il Giudice la carità, e istruì gli uomini con questa parabola. Accorte chiamò apertamente le cinque che avevano portato l'olio, stolte quelle che erano accorse senza olio. Abbiamo udito il suo significato proclamato da Matteo, e non credo opportuno ripetere ogni parola dinanzi a voi, che conoscete le Scritture. Ricerchiamo lo scopo della parabola, per ottenere

l'imperitura corona.

9 Superiore alle altre virtù è la carità, che davvero è preminente presso Dio, splendida più di tutte le altre. Essa fende l'aria, oltrepassa la luna e il sole, giunge sicura fino alle porte del cielo e neppure là si arresta, ma arriva fino agli angeli, supera le schiere degli arcangeli e intercede per gli uomini dinanzi a Dio, ferma presso il trono del Re, a lui chiedendo

l'imperitura corona.

18 A voi dirò apertamente, al cospetto degli arcangeli e di tutti i santi, che cosa ho ricevuto da quelle che sono entrate insieme a me. Mi trovarono nell'afflizione e si affrettarono a saziarmi mentre soffrivo la fame; quando ebbi sete mi diedero da bere con grande zelo; vedendomi straniero mi accolsero come un familiare; quando mi trovai stretto in catene si presero cura di me; vennero a visitarmi quando fui ammalato (Mt, 25, 35s.). Attentamente osservarono ogni mio comandamento, e per questo trovarono

l'imperitura corona.

19 Niente di simile nel mondo avete fatto voi, che a parole avete osservato il digiuno e praticato la castità e la virtù, ma invano vi siete affaticate senza opere di perfetta pietà. Avete ignorato i pellegrini bisognosi e gli ammalati, mai agli affamati avete steso una soccorrevole mano, soltanto l'ipocrisia vi ha nutrito, siete state sempre fiere della vostra durezza e ai poveri che bussavano non avete mai recato aiuto! Come potete domandare

l'imperitura corona?

20 Avete sempre evitato di lasciarvi andare alla pietà, a ignudi e forestieri e pellegrini non avete mai dato protezione, dinanzi a coloro che soffrivano nelle catene della prigionia avete otturato le vostre orecchie, non avete visitato gli ammalati, ai mendicanti e agli indigenti non vi siete rivolte con viso lieto ma sempre ostili: in voi c'era sempre rabbia invece di compassione! Come potete ora voi, che vi siete comportate così nella vita, cercare

l'imperitura corona?

21 Avete guardato tutti con occhi tracotanti, avete sprezzato i poveri, non avete avuto simpatia o pietà per nessuno, siete state implacabili contro i peccatori voi che peccate ogni giorno, crudeli verso i vostri simili come se voi non aveste mai sbagliato: andavate superbe, menando vanto dei vostri successi! Avete considerato reietti quelli che non digiunavano e immondi gli sposati: avete considerato giuste solo voi stesse, che non avevate ottenuto ancora

l'imperitura corona.

23 Il digiuno non ha fondamento se non si è rimosso tutto ciò che nasce dai pensieri stolti e dalle azioni malvagie e la temperanza non può rafforzarsi se vive in un corpo intemperante: il digiuno deve avere un fondamento, deve essere posto al sicuro e deve essere costruito come una casa robusta. La compassione gli dà lustro e la pietà lo rende fecondo: come mura esse lo proteggono e procurano

l'imperitura corona.

24 Castità e digiuno a che cosa vi hanno giovato, uniti alla superbia? Avete rinnegato la mansuetudine e avete prediletto sempre l'iracondia, ma io che sono mansueto ho amato i mansueti e ad essi ho accordato il perdono! Io rinnego chi osserva il digiuno ma è privo di misericordia, e invece accolgo chi mangia ma è misericordioso. Ho in odio chi è vergine e non ha umanità, e onoro chi è sposato ed ama il genere umano. Il matrimonio nella temperanza è degno di onore, e ottiene per questo

l'imperitura corona.

25 Di quelle che sono entrate nel talamo con me io dirò al cospetto di tutti: "Hanno osservato con impegno i miei precetti sulla terra, sono sempre state protettrici delle vedove ed hanno avuto pietà degli orfani. Hanno compatito i tribolati e gli oppressi, e giammai hanno chiuso la porta a mendicanti o pellegrini Hanno curato sempre gli ammalati, che voi consideravate abietti. Io non vi conosco, io rinnego chi non ha umanità! A queste invece darò

l'imperitura corona".

29 Il precetto di Dio non è gravoso, perché egli non ti comanda di dare ciò che non puoi, ma ti chiede l'intenzione. Non possiedi al mondo che due oboli e niente altro? Certamente il Misericordioso li accetterà, egli che è il Signore, e preferirà te a chi avrà dato grandi somme. Non hai neanche una moneta da offrire? Porgi un bicchiere d’acqua fresca a chi ne ha bisogno! Cristo lo accetterà con gratitudine e certo ti darà

l'imperitura corona.(6)

La filantropia, la Diakonia e le Opere di misericordia

La Chiesa orientale chiama il servizio della carità filantropia e diakonia. Le opere di misericordia sono le azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali. Esse si distinguono in spirituali e corporali poiché considerano l’uomo nella sua unità e integralità. Quando moriremo lasceremo tutto su questa terra: case, soldi, abiti, auto, ci porteremo dietro solo l’amore, la carità che sta dentro le opere compiute in vita. "Riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguiranno" (Ap. 14,13). Gesù ce lo dice nella scena del giudizio finale (cf Mt 25). La Chiesa ce lo ricorda nel catechismo che studiamo da piccoli e purtroppo dimentichiamo da grandi, quando le dovremmo mettere in pratica. Sono appunto le sette opere di misericordia spirituali e le sette corporali. Ripassiamole insieme. Le opere di misericordia corporale sono: dar da mangiare agli affamati; dar da bere agli assetati; vestire gli ignudi; alloggiare i pellegrini; visitare gli infermi; visitare i carcerati; seppellire i morti. Le opere di misericordia spirituale sono: consigliare i dubbiosi; insegnare agli ignoranti; ammonire i peccatori; consolare gli afflitti; perdonare le offese ricevute; sopportare pazientemente le persone moleste; pregare Dio per i vivi e per i morti.

Noi facciamo le opere di misericordia o siamo misericordiosi? Per Paolo la caritas ha un significato ben preciso: è l’amore del Padre che si rivela nel Figlio e che lo Spirito Santo compie in noi. La caritas è in un certo senso il frutto di questo amore. Sappiamo benissimo che l’amore non è un principio impersonale, ma Dio è Amore! Dunque l’amore caratterizza la persona trinitaria di Dio. E noi siamo fatti a immagine del Dio trinitario.

 

Il povero

In un’ Omelia sul sacerdozio di San Giovanni Crisostomo troviamo questo tema: il povero e l’altare. Crisostomo probabilmente ha capito anche una cosa che noi stiamo cominciando a capire oggi: non si può ridurre il povero al suo bisogno, perché anche il povero è persona. E la lettera di Giacomo, dice anche che le opere vanno insieme alla fede. La carità si affina nella fede, la carità arriva a mete grandi, arriva al cuore degli uomini, credenti e non credenti.

Edith Stein, di cui conosciamo la storia, era un po’ caparbia, sapeva quello che voleva e sapeva anche discutere per difenderlo, e scrive in una lettera:

"Sai bene che io, subito dopo Erma, ripongo in te la fiducia; non ci scontravamo mai, come invece era successo qualche volta e questo derivava dal fatto che io avevo completamente cambiato il mio atteggiamento nei confronti degli uomini e di me stessa. Non era più molto importante per me aver ragione e sopraffare l’avversario in ogni caso, e se conservavo ancora uno sguardo penetrante nei confronti delle debolezze degli altri, era per trattarli con riguardo, e questo non me lo impedivano neanche le mie posizioni in materia di educazione che avevo ancora completamente invariate rispetto a quelle degli altri. Però avevo imparato che solo raramente si migliorano gli uomini col dire loro la verità. Questo può aiutare, se essi stessi sentono il desiderio di diventare migliori e riconoscono a qualcuno il diritto della critica. Così per me, anche in quelle discussioni con mio cognato, la cosa più importante era il fatto che imparavo a conoscere meglio lui e sua madre, nella loro natura, per noi così diversa. Proprio grazie a ciò, in seguito, ho potuto spesso aiutare Erma." 

Ora la carità è personale. E Giovanni Paolo II scrive:

«L’uomo giunge all’amore misericordioso di Dio, alla sua misericordia, in quanto egli stesso interiormente si trasforma nello spirito di tale amore verso il prossimo. Questo processo autenticamente evangelico non è soltanto una svolta spirituale realizzata una volta per sempre, ma è tutto uno stile di vita, una caratteristica essenziale e continua della vocazione cristiana. Esso consiste nella costante scoperta e nella perseverante attuazione dell' amore come forza unificante ed insieme elevante, nonostante tutte le difficoltà di natura psicologica e sociale; si tratta infatti di un amore misericordioso, che per sua essenza è amore creatore. L'amore misericordioso, nei rapporti reciproci tra gli uomini, non è mai un atto o un processo unilaterale. Perfino nei casi in cui tutto sembrerebbe indicare che soltanto una parte sia quella che dona e offre, e l'altra quella che riceve e prende (ad esempio, nel caso del medico che cura, del maestro che insegna, dei genitori che mantengono ed educano i figli, del benefattore che soccorre i bisognosi), in verità tuttavia, anche colui che dona viene sempre beneficato (...)

La via che Cristo ci ha manifestato nel Discorso della montagna con la beatitudine dei misericordiosi, è molto più ricca e profonda di ciò che possiamo avvertire nei comuni giudizi umani sul tema della misericordia o della carità. Tali giudizi ritengono la misericordia come un atto e un processo unilaterale, che presuppone e mantiene le distanze tra colui che usa misericordia e colui che ne viene gratificato, tra chi fa il bene e chi lo riceve»(7).

 

La carità non è finalizzata

S. Dianich dice negli Acta del Simposio De Caritate Ecclesia: "Secondo S. Tommaso nella Secunda secundae c’è la precisa identificazione dell’agape, della carità, nella singolarità rispetto a tutte le altre virtù. La carità non è strumentale. Essa è lo scopo in se stessa, in quanto, nel dono dello Spirito, si realizza la comunione dell’uomo con Dio. La definizione giovannea di Dio come amore e l’affermazione paolina della permanenza eterna della carità, è proprio per questo: la carità non è strumentale anche se potrebbe rivelarsi di una sacra funzionalità. La tradizione orientale identifica questa carità con la luce dello Spirito Santo.  Anche nella linea spirituale ignaziana, il passo spirituale è visto proprio "absolutus",  cioè slegato da qualsiasi altra cosa e non finalizzato a un fine prescelto o a un interesse predeterminato…  è nell’amore di Dio e per Dio… Non che il dono non implichi un compito (il talento implica che tu lo fai fruttare), però è vero che prima di tutto il dono si risolve in preghiera come sacrificium laudis.

 

Ministero regale

Questo atteggiamento di ringraziamento, eucaristico, ci fa esercitare il nostro sacerdozio regale(8). La carità in qualche modo è associata al ministero regale del popolo di Dio nel suo servizio di carità spirituale, intellettuale e fattiva verso gli uomini: un servizio umile ma coraggioso. Allora la domanda su come essere misericordiosi è una domanda molto impegnativa, perché se sparisce la distanza, in qualche modo liberamente io mi comprometto con la persona che mi sta davanti, la persona del povero… è un onore, una grazia poterlo aiutare. L’ unilateralità non esiste, dunque esiste la persona ed esiste l’amore che è la manifestazione più grande della persona. Si tratta di riconoscerlo umilmente come raccomanderebbe spesso San Vincenzo de Paoli.

 Dice ancora Giovanni Paolo II:

«Di qui deriva la pretesa di liberare i rapporti interumani e sociali dalla misericordia e di basarli solamente sulla giustizia. Tuttavia tali giudizi sulla misericordia non avvertono quel fondamentale legame tra la misericordia e la giustizia, del quale parla tutta la tradizione biblica e soprattutto la missione messianica di Gesù Cristo. L'autentica misericordia è, per così dire, la fonte più profonda della giustizia

(…) L’eguaglianza introdotta mediante la giustizia si limita, però, all’ambito dei beni oggettivi ed estrinseci, mentre l'amore e la misericordia fanno sì che gli uomini si incontrino tra loro in quel valore che è l'uomo stesso, con la dignità che gli è propria.

(…) Così dunque, la misericordia diviene l’elemento indispensabile per plasmare i mutui rapporti tra gli uomini, nello spirito del più profondo rispetto di ciò che è umano e della reciproca fratellanza»(9).

Chi fa la carità incontra l’altro che la riceve, ma nel momento in cui l’altro la riceve dà la possibilità a te di essere persona caritatevole, e puoi essere grato al Signore perché è Lui che ti ha dato questa possibilità, questa reciprocità. Mi sembra interessante che il Papa parlando delle opere di misericordia in questo senso, non si fermi alle opere di misericordia in se stesse ma le veda parte, manifestazione di un autentico rapporto umano. Cioè la misericordia é fuori da ogni unilateralità nel rapporto umano. Perché? Perché l’amore presuppone sempre un altro, altrimenti non è amore. Lo stesso nostro essere è amore, perchè siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio che è amore,  ed è Padre, Figlio e Spirito Santo, quindi reciprocità di amore!

In Italia si é parlato della carità nel 1985, nel Congresso dei teologi italiani De caritate Ecclesia, in cui nella relazione fondamentale si sottolinea che: De caritate potrebbe essere causalità efficiente, cioè la Chiesa viene dalla Carità. Seconda interpretazione possibile: causalità formale, la Chiesa si sviluppa grazie alla carità. Possiamo anche noi pensare che la carità è all’inizio ed è quella forza che aiuta la Chiesa e la comunità e noi stessi a essere, in via, sempre più de caritate.

Le comunità religiose, sorte per dedicarsi alle opere di misericordia, in occidente, si sono sviluppate soprattutto nel XIX secolo (vedi le numerose Congregazioni sorte in questo periodo). Ma bisogna anche dire che grazie alle confraternite (bratstva) anche nell’Europa orientale l’azione della filantropia ha avuto il suo influsso. Nella Russia del XIX secolo vediamo anche sorgere comunità come le Sorelle di misericordia che si occuperanno dei malati…

In occidente contemporaneamente al nascere di queste Congregazioni si sviluppa la grande devozione al S. Cuore. L’Enciclica Haurietis aquam che parla della devozione al S. Cuore, in qualche modo viene a coronare tutto un secolo di sviluppo di questa devozione. Ora, che cosa è il Cuore di Cristo attorno alla devozione del quale si sono nate tante Congregazioni basate sulle opere di misericordia? Padre T. Spidlik direbbe: il cuore è il centro della persona, è il baricentro della persona, è la bilancia dell’essere personale e il cuore è la sede dell’amore. Quindi non bisogna pensare semplicemente al cuore di carne, ma immaginare il centro della persona, più profondo, più sacro, più bello, più splendido. Il cuore di Cristo è la sede quanto di più bello il Padre abbia rivelato attraverso la sua persona ed opera agli uomini. Sapere la grandezza, la ricchezza dello scrigno che il cuore personale di ciascuno contiene, è saperlo usare sapientemente, saperlo gettare nelle relazioni con grande sapienza e maestria, regale appunto, sponsale. Dunque la spiritualità del S. Cuore è tutt’altro che fuori dal tempo, tutt’altro che non contemporanea, tutt’altro che fuori dalle esigenze dell’uomo di oggi. Anni prima troviamo anche la Filotea di S. Francesco di Sales. La sua spiritualità ha impregnato la spiritualità del secolo. Vi ricordo il Trattato dell’Amore di Dio. Che cosa dice S. Francesco di Sales? Da dove viene questo amore? Nell’uomo da dove viene questo amore per Dio, per  il Prossimo? Da Dio stesso. Parlando del raccoglimento della preghiera San Francesco di Sales dice: "Ma il raccoglimento del quale intendo parlare, non si attua con il comandamento dell’amore, ma con l’amore stesso; ossia non siamo noi ad operarlo per nostra scelta perché non è in nostro potere averlo quando vogliamo, e non dipende dalla nostra attenzione, ma è Dio che lo opera in noi, quando gli piace con la sua santa grazia". 

 

Visibilità della carità

Dire Dio è amore non è una novità anche se è al centro della vita cristiana da sempre. Manifestare questa verità vitale attraverso la testimonianza è sempre una novità, ogni volta è un novum, che rende visibile, spiega con la vita e le parole la chance per l’uomo e per le donne di oggi di questa realtà viva: Dio é Amore. Una testimonianza su cui alla fine c’è incoraggiamento per tutti, e qualche frutto spirituale. I vissuti di carità dei testimoni di Cristo, dei martiri (testimoni), dei cristiani tutti lasciano immaginare anche una chiesa che viene e si sviluppa nella carità ed è fermento di carità nella famiglia umana, nell’attesa della Sua seconda Venuta. Nell’Enciclica Ecclesia de Eucaristia (n. 35), Giovanni Paolo II scrive: "Il sacramento (dell’Eucaristia) esprime il vincolo di comunione sia nella dimensione invisibile che, in Cristo, per l’azione dello Spirito Santo, ci lega al Padre e tra noi, sia nella dimensione visibile implicante la comunione nella dottrina degli Apostoli e nell’ordine gerarchico. L’intimo rapporto tra gli elementi invisibili e quelli visibili della comunione ecclesiale, è costitutivo della Chiesa come sacramento di salvezza". E ancora al n. 36: "La comunione invisibile … suppone la vita di grazia per mezzo della quale si è resi partecipi della natura divina, e la pratica delle virtù della fede, della speranza e della carità. Solo così infatti si ha vera comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Non basta la fede, ma occorre perseverare nella grazia santificante e nella carità, rimanendo in seno alla Chiesa col corpo e col cuore; occorre cioè, per dirla con le parole di san Paolo, la fede che opera per mezzo della carità".

Dunque la nostra vita ha la grande chance di rendere visibile l’Amore di Dio, manifestare le opere che Dio ha compiuto in noi. Non si deve banalizzare la carità che, abbiamo già visto, è regale, sponsale, quindi tutt’altro che banale.

Ma non è sempre così semplice. La Regola dei monaci di S. Benedetto dice che gli strumenti delle buone opere sono questi: 1) amare Dio; 9) regola aurea  del vangelo; 21) niente anteporre all’amore di Cristo; 31) amare i nemici; 33) sopportare la persecuzione per la giustizia; 47) pensare alla morte; 60) odiare la propria volontà, il proprio orgoglio, la propria superbia… Le opere di misericordia, per S. Benedetto, sono unite ad una pratica spirituale, a una pratica ascetica, a una pratica di osservanza dei comandamenti, a una pratica di discernimento, a una pratica del vangelo e dei consigli evangelici. E’ una carità spirituale verso Dio, verso se stessi e gli altri, che si traduce liberamente in una carità oblativa verso gli altri.

 

La carità non passa

Dostoevskij, nel romanzo L’Idiota, parla del Santo Dottore di Mosca, la figura di un sant’uomo, operatore della carità, che ancora dopo 152 anni i moscoviti ricordano sulla sua tomba: la compassione e la carità restano, e a volte anche nella memoria  degli ultimi, magari fra un ghigno e l’altro, la carità e la compassione oblativa fanno frutto ed entrano anche nella letteratura e diventano ispiratrici di cultura e di arte per i secoli dei secoli!...

Scrive Dostoevskij:

«L'organizzazione della carità sociale e la questione della libertà personale sono due questioni diverse, di cui l'una non esclude l'altra. La singola opera pia rimarrà sempre, perché è una necessità personale, la viva necessità di un'influenza diretta di una personalità sull'altra. A Mosca, abitava un vecchio signore, un Generale, cioè un consigliere effettivo di Stato, con un nome tedesco; per tutta la sua vita continuò a visitare la carceri e le prigioni; ogni squadrone di condannati recantesi in Siberia sapeva anticipatamente che fuori Mosca, sui monti Vorob'ev (dei passeri), avrebbe ricevuto la visita del vecchio generale. Egli compiva la sua missione con la massima serietà e la massima pietà; arrivava, passava lungo le file dei condannati che lo circondavano, si fermava davanti a ciascuno e a ognuno chiedeva dei suoi bisogni; non faceva ammonimenti e dava a tutti l'appellativo di 'caro mio'. Regalava denaro, mandava loro la roba necessaria: pezze da piedi, fasce, tagli di tela, portava libri morali e Bibbie e li distribuiva tra coloro che sapevano leggere, nella persuasione che questi li avrebbero letti anche agli altri ad alta voce durante il viaggio. Raramente chiedeva particolari sul delitto commesso, a meno che il delinquente cominciasse egli stesso a parlarne. Tutti i condannati erano uguali per lui; non faceva distinzioni di sorta. Parlava loro come a fratelli, ma, a loro volta, finivano anch'essi col trattarlo da padre. Notando tra i deportati qualche donna con la sua creatura in braccio, egli si avvicinava, accarezzava il bimbo, faceva schioccare le dita perché sorridesse. Così fece sempre, ogni anno, fino alla morte. Mi diceva uno, che era stato personalmente in Siberia, d'essere stato testimone di come i più terribili delinquenti, ricordavano il generale, sebbene, visitando i deportati, il generale, non potesse che di rado regalare più di venti kopeike (centesimi di rublo. Ndt) ad ogni singola persona. Vero è che quella gente non parlava di lui in termini troppo calorosi e neppure in tono molto serio, no, ma talvolta, qualcuno di quei 'disgraziati', che aveva forse ucciso una dozzina di persone adulte o assassinato dei bambini unicamente per il piacere di ammazzare (dicono che ci siano anche individui simili), senza una ragione palese, forse una sola volta durante tutti i suoi anni di condanna, sospirava improvvisamente e diceva: "Chissà se il nostro vecchio generale vive ancora?". Così dicendo magari abbozzava anche un sorriso ed era tutto. Ma come saper qual seme avesse gettato nell'animo di quel delinquente il 'vecchio generale'? Come sapere (...) che significato potrà avere questa comunione di una personalità coll'altra nel futuro destino delle anime?"(10).

La carità è anche comunione fra le persone  nel tempo e nello spazio, anzi supera il tempo perché rimane (1 Cor 13: la carità non passerà)  e supera lo spazio e il tempo.

 

La bellezza della misericordia e della carità

"La bellezza della Misericordia salverà il mondo" è una parafrasi di una frase famosa di Dostojeski nel suo romanzo "L’idiota". E’ una frase che dice il Principe Miškin al quale, poi, viene posta la domanda: «Quale bellezza salverà il mondo?».

Abbiamo voluto riprendere questa frase e non ci sembra del tutto sbagliato dire che è "la bellezza della misericordia di Dio che salverà il mondo" .

La bellezza redentrice di Cristo

«La bellezza salverà il mondo, è una frase di Dostojevski – dice Josef Ratzinger – ma pochi si ricordano che la famosa frase ha un seguito che le da un senso pieno. Chi non ha conosciuto questa frase? Tutti la conosciamo, ci si dimentica, però, nella maggior parte dei casi, di ricordare che Dostojevski intende qui la bellezza redentrice di Cristo"(11).

"La bellezza della Misericordia e della carità salverà il mondo" è un tema impegnativo, non è possibile trattarlo facilmente, perché parlare in termini dogmatici della bellezza della Misericordia non è compito facile. La Dives in misericordia al capitolo V, n. 8, dice: "L’amore è più potente della morte, più potente del peccato". "La Croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza dell’uomo". Dunque questa bellezza nasce stranamente dalla Croce e dalla Resurrezione di Cristo.

"Dobbiamo imparare a vedere questa bellezza redentrice di Cristo, se noi lo conosciamo non più solo a parole – scriveva l’allora Cardinal Ratzinger – ma veniamo colpiti dallo strale della sua paradossale bellezza – la Croce è una paradossale bellezza –, allora facciamo veramente la sua conoscenza e sappiamo di lui non solo per averne sentito parlare da altri, allora abbiamo incontrato veramente la bellezza della verità che è Cristo, della verità redentrice di Cristo, quale certezza. Nulla ci può portare di più a contatto con la bellezza di Cristo stesso che il mondo del bello creato dalla fede e la luce che risplende sul volto dei Santi, attraverso la quale diventa visibile la sua Sua propria luce"(12).

Il russo Evdokimov quando parla della bellezza redentrice di Cristo, parla del sacerdozio regale dei laici, del sacerdozio regale del popolo di Dio che nell’amore redentivo di Cristo ha vinto il male, non si lascia suggestionare dal male. Il suo amore è puro, dice Pavel Edmokimov, cioè è un amore limpido, un amore che non si lascia attaccare semplicemente dalle suggestioni del male, della filautia cioè dell’amore per sè o dell’aver in cambio qualcosa perché io amo qualcuno(13).

Dal punto di vista orientale è la bellezza sul volto dei Santi che rivela la bellezza pura e limpida, la luce della bellezza redentrice di Cristo. Se voi guardate un volto di un’icona, fatta da un iconografo serio, voi vedete che la luce di Cristo che redime l’uomo è nello sguardo, negli occhi. Ci sono questi segni bianchi del piccolo pennello, che fuoriescono dagli occhi. Che cosa significa questo? Che la luce dell’uomo redento, la luce redentrice di Cristo, esce dallo sguardo dell’uomo, dal suo cuore. E’ la bellezza di questo sguardo.

Una prova? Sant’ Atanasio, che fa parte della stessa tradizione antica, scrive l’autobiografia di Antonio il Grande. Dice: "C’era tanta gente attorno ad Antonio, noi lo vedemmo subito, lo riconoscemmo perché aveva un volto luminoso". Cristo è la bellezza e la bellezza redentrice è Cristo.

Padre B. Bobrinskoj, professore della Facoltà Teologica Ortodossa di Parigi di San Sergio, ha scritto La compassione del Padre(14). L’idea del primo capitolo si può riassumere in questo modo: Cristo, colui che è la bellezza stessa, si è lasciato colpire il Volto, sputare addosso, incoronare di spine. La misericordia di Dio rivelata in Cristo è in ogni spina, in ogni sputo, in ogni colpo. In Cristo la rivelazione continua inesorabile a rivelare la misericordia del Padre.

La bellezza dell’incontro personale con Cristo

Di fronte alla sofferenza e al male la spiritualità slava ha sempre visto una cosa importante, la compassione di Cristo che rivela l’amore misericordioso del Padre, datore di vita ed amante degli uomini: due termini della Liturgia di San Giovanni Crisostomo. Cristo prende su di Sé le miserie e la miseria del mondo. Per libera condiscendenza Cristo va incontro all’uomo, va incontro alla Sua Passione, Morte e Resurrezione.

San Giovanni Crisostomo, dice nella divina Liturgia: "Tu, Cristo, amante degli uomini, compassionevole, Tu che Ti offri e sei offerto". "Ti offri", vuol dire, che Cristo fa il primo passo andando incontro agli uomini nella sua misericordia, bussando alla porta. Ap 3, 20 è un brano che alcuni teologi bizantini(15) prendono per indicare la Misericordia di Cristo che rivela la Misericordia del Padre, nell’opera di salvezza che Cristo compie. "Ecco: io sto alla porta e busso. Se uno, udendo la mia voce, mi aprirà la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me". Il tempo che la libertà dell’uomo, la libertà del cuore dell’uomo impiega per aprire quella porta è il tempo della pazienza, della misericordia e della lungimiranza e della condiscendenza di Dio, che in Cristo si rivela al cuore dell’uomo. E allora questa è l’opera del Padre amante degli uomini e datore della vita, questa è la manifestazione della sua "filantropia". Quando la porta della libertà dell’uomo si apre è allora che avviene l’incontro: il vero incontro con Cristo dell’uomo che, stanco di aver paura, fa entrare il viandante simile a noi, che cammina per via e che alla fine invitiamo a restare nella nostra casa perché si è fatto tardi. Questa è la bellezza dell’incontro con Cristo. Non ogni filantropia, si deve dirlo, è la filantropia di Cristo.

La filantropia che usano le organizzazioni internazionali, oggi, non è sempre la filantropia del Padre. La filantropia di chi dà soldi in cambio di un rigido regolamento delle nascite, non è la filantropia del Padre.

Un’immagine di questo Cristo e della sua Misericordia? La trovate nel romanzo i "Fratelli Karamazov", nella famosa Leggenda del grande Inquisitore. "Il quadro religioso della Leggenda non è che un quadro convenzionale; la Leggenda non si rapporta al passato, al tempo dell’Inquisizione, ma alla storia di domani. Dostoevskij dice chiaramente che l’Inquisitore non rappresenta in nessun modo la Chiesa di Roma, ma esprime la tendenza della Chiesa alla unificazione attraverso la forza. Tendenza che non è solamente quella della Chiesa di Pietro, ma tentazione di cui ciascuno deve prendere coscienza. Questa forza unificatrice invade tutte le chiese, così in Oriente come in Occidente, e forma una resistenza molto particolare all’essenza della libertà, la resistenza allo Spirito Santo"(16).

La leggenda del Grande Inquisitore si trova nella parte seconda del libro quinto del romanzo I fratelli Karamazov. Gesù torna nell’assolata Siviglia. La folla lo riconosce e gli portano i malati e una fanciulla morta. Gesù risuscita la fanciulla. Il vecchio cardinale inquisitore si ferma di fronte alla folla, e osserva a distanza. Ha tutto veduto:

"Ha veduto come han deposto la cassa ai piedi di Lui, ha veduto com'è resuscitata la fanciullina, e il viso gli s'è rabbuiato. Aggrotta le canute, folte sopracciglia, e il suo sguardo s'accende d'un fuoco pieno di rancore. Fa cenno col dito, e ordina alle guardie che lo prendano. Ed ecco, tanta è la sua potenza e a tal segno il popolo è ormai assuefatto, sottomesso e pronto a obbedirgli, che immediatamente la folla si apre a far passar le guardie, e queste, nel mortale silenzio sopravvenuto di colpo, pongono le mani su Lui e Lo conducono via. La folla istantaneamente, come un sol uomo, si curva colle teste fino a terra dinanzi al venerando inquisitore: questi, in silenzio, benedice il popolo e passa oltre. Le guardie conducono il prigioniero all'angusta, buia prigione a volte dell'antico edificio del Sacro Tribunale, e Lo rinchiudono lì. La giornata volge alla fine, sopravviene la cupa, calda, «sivigliana notte senza respiro». L'aria «di lauro e di limone odora». Nel profondo tenebrore s'apre d'improvviso la porta di ferro della prigione, e in persona il vecchio grande inquisitore, con una lampada nella mano, lentamente entra nel carcere. È solo: la porta, dietro a lui, si richiude subito. Si ferma presso la soglia e a lungo, per un minuto o due, fissa lo sguardo nel viso di Lui. Alla fine, adagio, s'appressa, posa la lampada sul tavolo e Gli dice: «Sei Tu? sei Tu?» Ma, non ricevendo risposta, s'affretta a soggiungere: «Non rispondere, taci. E che cosa mai potresti Tu dire? So fin troppo bene, che cosa diresti. Ma Tu non hai neppure il diritto di aggiunger qualcosa a quello che già è stato detto da Te in precedenza. Perché dunque sei venuto a darci impaccio? Giacché Tu sei venuto a darci impaccio, e sei il primo a saperlo…

«Hai Tu forse il diritto di annunziarci foss'anche uno solo dei misteri di quel mondo, dal quale Tu sei tornato?» gli domanda il mio vecchione, e lui stesso risponde per Lui: «No, non ne hai il diritto, affinché nulla si aggiunga a ciò che già a suo tempo è stato detto, e non venga tolta agli uomini quella libertà, sulla quale Tu hai tanto insistito, quand'eri su questa terra. Qualsiasi cosa Tu annunciassi, di nuovo, inciderebbe sulla libertà di fede degli uomini, giacché prenderebbe l'aspetto d'un miracolo, mentre la libertà della loro fede era cara a Te sopra ogni altra cosa fin d'allora, un migliaio e mezzo d'anni or sono. Non eri Tu che tanto spesso, allora, dicevi: voglio rendervi liberi? Ma ecco, Tu hai veduto ora, codesti uomini liberi!» commenta bruscamente il vecchio con pensosa ironia. Già, questa è stata una cosa che ci è costata assai, - continua, e guarda a Lui con severità, - ma l'abbiamo condotta in porto, finalmente, nel nome Tuo. Per quindici secoli ci siam tormentati con questa libertà, ma ora la è finita, e finita da fondo. Tu non ci credi, che sia finita da fondo? Tu mi guardi con dolcezza, e non mi degni neppure del Tuo risentimento?"(17).

Il monologo continua. Alla fine Gesù che rimane in silenzio per tutta la durata del monologo, rimanendo eloquente solo il suo sguardo pacato e penetrante, bacia il cardinale.

"Quando l’inquisitore ha terminato, rimane per un tratto di tempo in attesa che il Prigioniero gli risponda. Il silenzio di Lui gli riesce gravoso. Ha osservato come finora l’Incatenato sia rimasto in ascolto, col penetrante e pacato sguardo fisso nei suoi occhi, senza desiderare evidentemente di ribattergli nulla. Al vecchio piacerebbe che quello gli dicesse qualche cosa, foss’anche qualche cosa di amaro, di tremendo. Ma Egli, di colpo, in silenzio si appressa al vecchio e lievemente lo bacia sulle esangui labbra di novantenne. Ecco tutta la risposta. Il vecchio sussulta. Un fremito contrae gli angoli delle sue labbra: si dirige alla porta, l’apre e Gli dice: «Va e non tornare più…non venire più a nessun costo…mai, mai più». E lo fa scivolare verso gli «oscuri meandri della città». Il Prigioniero dilegua."(18).

 

La discesa e l’ascesa del Verbo ovvero l’incontro redentivo con Cristo

Quando parliamo di Dio amante degli uomini, in russo “čelovekoljubitelj” , in greco "philanthropos", cosa si intende? Il vero filantropo è Dio Padre.

Padri come Sant’Atanasio amavano presentare i benefici donati da Dio Padre e dal Suo amore per gli uomini, rivelato in Cristo, usando parole antichissime, che J. Danielou riprenderà nel suo studio sulla teologia del giudeo cristianesimo del I –II sec.(19)

Fin dai primi secoli dunque abbiamo testimonianze di questo modo di pensare la relazione che Dio ha con l’uomo e con il mondo creato. Eusebio di Cesarea, a proposito del principe Agbar di Edessa, che sarebbe stato in corrispondenza con Gesù, scrive: "Tommaso gli manda Taddeo che gli parla di Gesù:… di come era disceso solo ed era risalito presso il Padre, seguito da un folto corteo"(20). Cirillo di Alessandria scrive che il Cristo "è sceso mediante economia (oikonomikòs) nelle dimensioni (métrois) della condizione umana… per essere anche nella sua umanità conosciuto come Dio… Si è abbassato non per restare umiliato (kekekomenos) ma perché si avesse fede che egli è Dio (thèos einai)"(21).

La Liturgia Bizantina canta: "L’indicibile discesa (katabasis) del Verbo di Dio mostra ai discepoli che il Cristo stesso è Dio-uomo, Dio che non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio (cfr Fil 2,6, ndr), quando si è trasformato in servo"(22). Oppure: "come il Figlio di Dio … essendo disceso dal cielo.. ci ha mostrato la salita verso i cieli"(23). E così il credente che canta le stichire (i versi) della liturgia può dire: "Abbiate la pace in voi e con tutti e, umili, sarete innalzati col cuore"(24). Ed inoltre: "Mi alzo all’alba verso di Te, che ti sei abbassato, per misericordia, spogliando Te stesso pur senza cambiamenti"(25).

Dio scende verso l’uomo. E’ la "katabasis" di Dio verso l’uomo. Dio scende verso l’uomo che schiavo dall’antico inganno, se ne va per le strade polverose della sua fuga lontano da Dio (il peccato originale di Adamo). Ma Dio non lascia l’uomo andare da solo, l’uomo che ha creato libero pur sapendo che avrebbe potuto nella sua libertà, rompere la relazione vivificante con Dio, ma continuerà a cercarlo ed a bussare alla sua porta. Il riferimento è ad Apocalisse 3, 20: "Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me". Un teologo del XX secolo. S. Bulgakov, commenta: "Questa porta è la libertà creaturale. L’Onnipotenza di Dio non infrange la libertà dell’uomo"(26). Bulgakov nella stessa condiscendenza di Dio vede la creazione del mondo: "la creazione del mondo è per Dio la Kenosis, l’amore oblativo che deve suscitare il rendimento di grazie della creatura e senza alcun riferimento al fatto che essa avrebbe potuto essere o non essere"(27). In relazione ad Apocalisse 3, 20, Dumitru Staniloae scrive: "il tempo dell’uomo significa la durata dell’attesa di Cristo alla sua porta"(28). Dio, dice Staniloae, è il "Tutt’attento"(29), e continua: "Dio si abbassa nella creazione Tutt’attento"(30). Per questo "la debolezza di Cristo è una possibilità certa per gli uomini di essere conquistati dall’amore"(31). Per Staniloae questa è la "Potenza dell’amore impotente"(32).

Cercare l’uomo e bussare alla sua porta è la "katabasis" di Dio, la discesa di Dio verso l’uomo in Cristo, la sua azione di salvezza. E’ la liberazione dalla schiavitù, l’inizio della libertà, l’amore dell’adozione a Figli, la sorgente e la remissione dei peccati, la vita immortale per gli uomini. Questa azione di salvezza, biblicamente parlando, comincia da subito dopo il peccato di Adamo. "Dove sei?" (Genesi 3, 9). E’ la domanda che Dio fa ad Adamo, chinandosi su di lui.

Tutto questo infatti "non è tanto per Lui quanto a causa nostra e per noi, come essendo uno di noi a causa dell’economia" (S. Atanasio)(33). Dio continua a presentare durante tutta la storia della salvezza i benefici per l’uomo e continua a scendere, a cercare l’uomo, a bussare alla sua porta, al suo cuore per poter, in qualche modo raggiungerlo, e potere insieme a lui risalire verso il Padre, da cui Adamo un giorno si è allontanato. Questa risalita verso il Padre è il frutto della discesa di Cristo per raggiungere l’uomo. In questo senso l’Icona della Resurrezione (della Discesa agli Inferi o Anastasis) è eloquente. Ma se voi contemplate le Icone dei Misteri della vita di Cristo (Natività, Battesimo nel Giordano, Crocifissione, Discesa agli Inferi) troverete un elemento, fra i tanti, che ci potrà far capire, un mistero dopo l’altro, questa idea della discesa di Dio verso l’uomo fino all’Incontro pasquale con esso: la grotta.

Nell’ Icona della Natività si vede la Madre di Dio che ha dato luce il Figlio, e dietro la grotta buia. Quella caverna in un certo senso è già il segno della discesa del Verbo fino al sepolcro, è il segno della discesa agli inferi. Cristo scende nel Giordano (Icona del Battesimo di Cristo o della Teofania), e il Giordano viene illuminato dalla presenza corporea del Figlio di Dio in esso. Ecco il nostro tema della bellezza: la Luce. Voi sapete che il Natale, per gli orientali ed anche per i russi, si chiama Teofania. Cristo si immerge nell’acqua del fiume Giordano, ed è un Mistero di Luce, che tra l’altro è stato inserito, da Giovanni Paolo II, nei cinque Misteri della Luce. E questa luce sarà la bellezza della misericordia divina, della sua condiscendenza verso gli uomini, manifestata loro una volta per sempre nella sua incarnazione, morte e Resurrezione.

Questo cammino, dal Battesimo nel Giordano porterà Cristo ad immergersi sempre più nell’umanità, a condividere sempre più, fianco a fianco, le sorti di Pietro, Giovanni, della Cananea, della donna assiro-fenicia, di Zaccheo, fino a quando per invidia (opera del diavolo, come dice San Paolo), viene portato sulla Croce dallo stesso uomo che tanto ha beneficato (cfr Icona della Croce).

Nella tradizione giudeo-cristiana, Gesù anche sulla Croce, cercava Adamo. Cristo innalzato sulla Croce, continuava a cercare: "Adamo dove sei?". Se volete quell’albero su cui Cristo è crocifisso è lo stesso albero da cui Eva, dopo la disubbidienza, e visto il disastro che ne è conseguito, non riusciva più a staccare lo sguardo, l’albero della sua colpa, del suo peccato e delle conseguenze del suo peccato. Continuava a guardare verso l’albero, il suo sbaglio, il suo errore. E allora il Figlio dell’Altissimo, Colui che ha creato il Cielo e la Terra, andò proprio a mettersi su quell’albero (la croce) da cui Eva non riusciva più a distogliere lo sguardo. In questo modo Eva poté vederlo.

Questa è la bellezza della misericordia cantata dagli Inni di Sant’ Efrem, di Isacco di Ninive. E’ una bellezza certamente paradossale del Cristo amico degli uomini. Nell’Icona della Crocifissione, sotto la Croce c’è anche una piccola caverna, dentro la quale vi è il teschio di Adamo, perché la tradizione dice che Cristo fu crocifisso proprio nel luogo dove Adamo fu sepolto, il luogo del cranio, e si vede che scende una goccia del Sangue di Cristo proprio sul cranio di Adamo e nella terra. Proprio attraverso questa morte drammatica, Cristo scende, Figlio del Padre Altissimo del Dio vivente, scende negli Inferi (cfr Credo degli Apostoli, Prima lettera di Pietro) dove stavano Adamo ed Eva e tutti i discendenti di Adamo ed Eva, Patriarchi, Profeti. Gesù scende risorto, vestito di bianco, segno della resurrezione, e prende per il polso Adamo, alla Sua destra, e dà la mano ad Eva, alla Sua Sinistra per riportarli verso il Padre (cfr Icona della Risurrezione). E’ finalmente l’incontro. La bellezza e la grandezza di questo incontro.

Questa è la discesa di Cristo verso l’uomo per raggiungerlo nella morte, tragica conseguenza del peccato e della disobbedienza dell’uomo, del suo non rimanere con Dio, il Vivente, per riportarlo al Padre.

Questa idea e immagine antichissima, attraverso tutta l’innografia di Efrem e di Isacco il Siro cantore della Misericordia di Dio, è passata anche nella Liturgia bizantina: per la Quaresima si recita ogni giorno un inno di Sant’Efrem, proprio sulla Misericordia di Dio verso il peccatore(34). Sant’Isacco di Ninive insiste sull’amore illuminato(35). Il tema dell’amore è presente ovunque nella sua teologia. E’ l’amore che spiega la creazione del mondo e l’incarnazione di Cristo(36). E’ sempre l’amore che rende capaci di abbracciare i dolori del mondo e trasformarli. L’amore illuminato. Isacco di Ninive ha influenzato la spiritualità russa, e anche Dostoevskij, proprio con questa sua visione luminosa della misericordia(37).

Per il popolo russo, prima di altre qualità viene la luminosa opera della misericordia e compassione di Dio, la prontezza e l’abitudine di aiutare il povero, il sacramento del povero(38), in tutto, nella pace.

Anche se è un peccatore, lo aiuto. E se uno ti chiede l’elemosina, non gli chiedi perché e come spenderà l’elemosina. La misericordia senza limiti, alla fine, convince effettivamente. L’Altissimo è l’amante degli uomini, senza condizioni, senza nessunissima condizione: io ti amo così come sei, senza tornaconto. Questo è l’amore di cui parla il nostro amico Evdokimov quando presenta la regalità del cristiano che ha vinto tutte le suggestioni dell’egoismo e del male.

Se Cristo dice: «non sanno quello che fanno» è perché, l’uomo non sa esattamente quello che sta facendo a Cristo, e chi è Cristo. L’uomo pensa di giustiziare un malfattore qualsiasi, ma è il Figlio di Dio che sta compiendo questa opera di salvezza e la sta portando a compimento, offrendosi e venendo offerto da questo stesso uomo. «Non sanno quello che fanno» è una giustificazione di chi lo sta crocifiggendo, perché non sa esattamente quello che fa, ma anche una consolazione di chi è offeso, perché tutto è nelle mani di Dio.

Il perdono genera l’amore. Allora è davvero necessario perdonare molto perché ci sia molto amore, fare del bene a coloro che ci perseguitano, perché solo questo è il modo della misericordia di Dio che si rivela attraverso di noi, nella luce. Il Cristo tipicamente russo di Dostoevskij, è il Cristo kenotico, ma non pensiamo solo in tragici colori neroscuri, perché è ancora il Cristo che regalmente nella sua libertà si offre e viene offerto. La devozione a Cristo sofferente è presente nelle opere di Tichon Zadonskij che è un santo Vescovo e per Dostoeskij è un’immagine del padre spirituale. Inoltre il Cristo umiliato ha ispirato molta letteratura russa(39).

Nel film La Passione di M. Gibson si vede Cristo che precede tutti quelli che vengono a prenderlo, è Lui che si alza in piedi e dice: «Chi cercate?», ma questo «Chi cercate?» ancora una volta è: «Adamo, dove sei? Esci fuori dal tuo guscio, esci dalle tue parole, non vedi che Cristo è qui davanti che ti chiede "chi cercate?" e si consegnerà nelle tue mani, mentre tu cercherai di prenderlo senza sapere chi é veramente?». Si offre e viene offerto recita la Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo.

I russi chiamano la devozione a Cristo compassionevole la devozione "al dolcissimo Gesù". "Dolcissimo Gesù" e "Sacro Cuore", in quanto a significato spirituale e devozionale non sono molto distanti fra loro. La devozione al Sacro Cuore, se ben intesa e come abbiamo già accennato è una cosa serissima, proprio la devozione all’Amore Misericordioso del Padre rivelato nel Cuore di Cristo che raggiunge l’uomo, bussa alla porta dell’uomo finché non lo raggiunge nelle sue profondità più nascoste, lì lo vuole raggiungere con il Suo amore. E se l’uomo apre la porta, quell’incontro davvero manifesterà la bellezza profonda e reale dell’incontro con Cristo.

La discesa di Cristo verso l’uomo per salvarlo dalla morte, dalle conseguenze del peccato, è un tema teologico antichissimo e sempre nuovo. Dice Puškin, il grande poeta russo, che la misericordia di Cristo è un elemento di continuità nella letteratura russa classica, che la unifica segretamente, come un filo rosso, per cui si potrebbe scrivere in epigrafe queste parole di Puškin: «Ho invocato misericordia per tutti coloro che sono caduti».

Nei romanzi di Dostoevskij, c’è un grande interesse per le persone di tutti i tipi, per le persone che stanno nel peccato e per altre che fanno cose stupide, le cose più impensabili, perché sono libere, perché Adamo era libero; ebbene Dostoevskij si occupa di queste persone, per es. nel caso di Raskolnikov di "Delitto e castigo" si assiste veramente ad un chinarsi di Dostojevski sul personaggio. Raskonilkov significa diviso, vive un grande disordine nella sua vita e dall’altra parte sogna di essere Napoleone, e dopo il delitto della vecchia signora per quattro soldi e della sua parente, comincerà a risvegliarsi in lui il senso di Cristo nel momento in cui Sonia, l’ex prostituta, gli legge il Vangelo della resurrezione di Lazzaro. Sonia deciderà di seguirlo al confino in Siberia. Scrive Isacco il Siro: "Ama i peccatori e rigetta le loro opere. Non disprezzarli per le loro inclinazioni, per non esserne tentato anche tu quando ti trovi in tale situazione… A colui che ha bisogno di una preghiera affettuosa e di parole dolci, tu non porgere invece un’ammonizione, per non causare la sua perdita; perché della sua anima sarebbe chiesto conto alle tue mani. Imita i medici che contro le febbri fanno uso di cose rinfrescanti"(40). «Ho invocato misericordia per tutti coloro che sono caduti».

La discesa di Cristo nell’incontro con l’uomo libero ha come effetto la salita dell’uomo, e la discesa di chi è caritatevole e misericordioso in mezzo agli uomini nella Chiesa ha come effetto, e questo lo si vede nella vita dei Santi, il miglioramento della qualità della vita dell’altro. I santi si sono occupati di misericordia e delle opere di misericordia. Oggi, molti Istituti Religiosi nati nel XIX secolo per le opere di misericordia, stanno di nuovo rivalutando, ripensando che cosa sono le opere di misericordia. Come rinnovare e riproporre oggi la misericordia al mondo odierno? Non è un affare assolutamente banale. Se Dio è amore e l’uomo è caritatevole, qual’è la chance per l’uomo di oggi, l’uomo della strada, l’intellettuale, del fatto che Dio è amore e che gli uomini e le donne riescano a costruire una comunione visibile?

In molte di queste biografie dei Santi, potremo dire in tutte, si trova, alla fine, un’opera bellissima, sapete qual’è? Tutti benedicono Dio per le opere di misericordia che hanno visto in queste persone. J. M. Tillard, teologo domenicano, inserisce la benedizione resa a Dio per la comunione che la misericordia crea nella Chiesa e nel mondo, nella collaborazione, nella missione dossologica (di rendimento di grazie e di glorificazione di Dio, il modo eucaristico di rendere grazie a Dio) della Chiesa e della comunità cristiana, nel rispetto e nella verità delle mutue relazioni fra le diverse comunità cristiane(41). Noi potremmo aggiungere una specificazione, per dire che si tratta della missione dossologica della carità. L’uomo eucaristico (eucaristia significa rendimento di grazie), rende grazie per la testimonianza della carità. L’uomo "sta al centro del mondo e lo unifica nel suo atto di benedire Dio, di ricevere il mondo da Dio e insieme di offrirlo a Dio, e riempiendo il mondo di questa eucaristia, egli trasforma la propria vita, quella vita che riceve dal mondo, in vita in Dio, in comunione"(42).

La missione dossologica é la missione che si conclude con il rendimento di gloria al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo: questa è la dossologia di chi è testimone che la misericordia e la carità agiscono nella Chiesa grazie alla vita che viene dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Come dice il cardinal Lubomir Husar: "Ormai la gente, oggi, non crede più che è possibile vivere insieme secondo Dio". E allora una delle missioni prioritarie dei monaci sarebbe quella di testimoniare visibilmente che oggi è possibile vivere secondo Dio. Scoprire che è ancora possibile rendere grazie per questo. Le storie dei Santi ci dicono che la gente benedice Dio per quello che ha visto nella loro persona ed opera in mezzo al popolo di Dio.

Arsenev direbbe che la misericordia e la compassione, nella Chiesa, è la parola più forte che il popolo può capire; la teologia il popolo non la capisce, le parole non le capisce, ma gli esempi li capisce immediatamente, soprattutto se si trova di fronte allo stesso tipo di misericordia che riverbera quella dipinta di luce nello sguardo dei santi dell’icona.

Vladimir Solov’ev, contemporaneo di Dostoevskij, descrive la bellezza come trasparenza. Per illustrare questo, dice che una realtà isolata è opaca, ma essa comincia a divenire bella quando comincia a far «trasparire» una realtà superiore. Solov’ev fa l’esempio del diamante. "Per la sua composizione chimica, il diamante è identico al carbone; ma mentre quest’ultimo soffoca la luce, il diamante la fa risplendere". Per conseguenza la bellezza può essere definita come "trasformazione della materia per mezzo dell’incarnazione, in essa, di un altro principio superiore, sopramateriale. E’ anche espressione di un’idea. Ora l’unica idea capace di riunire tutto il cosmo è la persona di Cristo; per conseguenza la bellezza è cristologia"(43). "La luce inviata dal Padre era il Figlio suo"(44). Gregorio Palamas parla della luce taborica che vedono gli esicasti. Abbiamo visto che l’iconografo A. Rublev praticava probabilmente l’esicasmo, la preghiera di Gesù, la preghiera del cuore. Proprio i santi dipinti nelle sue icone con i segni delle piccole pennellate bianche che escono dagli occhi, lasciano intravedere il riflesso di quella luce attraverso lo sguardo (Smotrenje) dell’icona. Non sbagliamo di molto se diciamo che quella luce è anche la luce della misericordia di Dio che guarda il cristiano che prega davanti all’icona e il cristiano si ritrova in questa discesa dello sguardo misericordioso su di lui.

Se Cristo non risplende nel cuore, la luce di Cristo non passa all’esterno, ma se il destarsi dello spirito in te è l’inizio delle tue azioni, le tue azioni sono luminose. La bellezza è poter vedere che la luce passa attraverso persone che sono santi e peccatori, deboli ma resi forti, poveri di amore ma illuminati. E’ poter scoprire che questa luce può riscaldare anche la tua anima. Dice S. Isacco il Siro: "Segno luminoso della bellezza della tua anima sarà questo: che tu esaminando te stesso, ti trovi pieno di misericordia per tutti gli uomini, il tuo cuore è afflitto per la compassione che provi per loro e brucia come nel fuoco, senza fare distinzione di persone. Attraverso ciò l’immagine del Padre che è nei cieli si rivelerà in te continuamente"(45). Un poeta dalla Cechia, J. Wolker "Ha scritto una poesia sul mare. Non l’aveva mai visto e lo desiderava ardentemente. Finalmente riuscì ad arrivare sulle rive dell’Adriatico. Ma scrive che fu deluso. Aveva letto troppo sul mare e ciò che vide era come «un uccello azzurro che arrivava la mattina, si posava fra le rocce e alla sera se ne andava via stanco». Non era il mare dei suoi sogni. Eppure questo mare lo trovò il sabato sera nella cantina, negli occhi dei marinai che qui riposavano"(46). La vera realtà non è vissuta da una esperienza superficiale, ma è vissuta nel tempo da uomini che ne hanno un’esperienza viva. Così è la misericordia della Chiesa.

Se la bellezza della misericordia si può vedere in uno sguardo, questo ce lo dicono i Santi e le Icone dei Santi. E lo sguardo colto significa incontro. E’ lo sguardo di Cristo. Quello sguardo di Cristo è lo sguardo di chi crea, è lo sguardo di chi perdona, è lo sguardo di chi guarisce, aiuta la vita a crescere, è lo sguardo di Colui che mi giudicherà individualmente dopo la morte, è lo sguardo di Colui che mi giudicherà insieme a tutti gli altri alla seconda venuta di Cristo. E’ lo stesso sguardo di Misericordia: in esso c’è tutta la strada della mia vita, compresa nello sguardo di misericordia che in Cristo mi rivela il Padre e mi riporta al Padre. Guardando quello sguardo dell’Icona, in qualche modo si intravede, come in uno specchio, la strada all’eternità già e non ancora, perché è lo sguardo di Cristo che rivela il Padre, la misericordia di questo Padre. Anche qui si può vedere una discesa della grazia dell’Icona e nello stesso tempo una salita dell’uomo peccatore che prega davanti all’icona. In questo sguardo può vedere sé stesso e la sua storia, non in modo superficiale e nemmeno irrimediabilmente severo, ma nello sguardo del misericordioso. Da qui sgorga la sua preghiera e la sua invocazione ed inizia la sua risalita al Padre insieme ai santi, alla Madre di Dio, a Cristo. Da qui comincia il suo sguardo misericordioso sugli altri.

Il perdono cristiano

Dice Sant’ Isacco il Siro: "Cos’è la purezza? E’ un cuore misericordioso per ogni creatura creata… E cos’è un cuore misericordioso? E’ l’incendio del cuore per ogni creatura: per gli uomini, per gli uccelli, per le bestie, per i demoni e per tutto ciò che esiste. Al loro ricordo e alla loro vista, gli occhi versano lacrime, per la violenza della misericordia che stringe il cuore a motivo della grande compassione. Il cuore si scioglie e non può sopportare di udire o vedere un danno o una piccola sofferenza di qualche creatura"(47).
C’è una strada preparata che il cristiano è chiamato a percorrere, una strada di luce.

E’ famoso un esempio, riportato anche da San Francesco De Sales: parla dell’amore e del perdono ed è citato da Friedrich Joseph. Haass(48), chiamato dai moscoviti il santo medico di Mosca, nella sua Esortazione alle Donne (Priziv k zenščinam) ne parla: "Quanta deferenza e quale rispetto dobbiamo provare verso quelle persone che riescono a riconciliare gli uomini che sono nemici fra loro. Il migliore esempio di questo pericolo a cui sono sottoposte le persone che tenacemente continuano a rifiutare la riappacificazione, sta nel racconto sul martire Niceforo che leggiamo in François de Sales. «Durante il regno degli imperatori Valerio e Gallo di Antiochia, vivevano il sacerdote Cipriano e il laico Niceforo. Fra di loro c’era una lunga e forte amicizia cosi che la gente li considerava come fratelli di sangue, ma nonostante ciò, e non si sa perché, litigarono e come al solito questa amicizia divenne un’ inimicizia ancora più grande ed odiosa. Passato un pò di tempo Niceforo riconobbe la sua colpa e provò tre volte a riappacificarsi con Cipriano. Lui chiedeva perdono attraverso l’uno o l’altro dei comuni amici; ma Cipriano restava sordo a tutte le richieste ed esortazioni, e con la stessa forza con cui Cipriano orgogliosamente rifiutava la rappacificazione così teneramente gliela chiedeva Niceforo, tanto che alla fine pensò che se Cipriano lo avesse visto disteso ai suoi piedi chiedendogli perdono, sarebbe stato maggiormente toccato. Dunque trovato Cipriano e, gettandosi ai suoi piedi, coraggiosamente lo supplicò: ‘Padre mio, perdonami per Cristo’. Ma anche questo atto di umiltà si scontrò con lo stesso orgoglio e con lo stesso disprezzo delle richieste precedenti. In quel tempo si cominciò a perseguitare i cristiani e insieme agli altri fu preso e tormentato con mille sofferenze anche Cipriano che continuava a confessare la sua fede; lo torturarono terribilmente con strumenti a forma di torchio ma lui mantenne la sua fermezza e perciò lo sdegnato governatore di Antiochia lo condannò a morte. Quando lo prelevarono dalla prigione per condurlo all’esecuzione, dove doveva ricevere la corona di martire, Niceforo gli corse incontro e cadendo davanti a lui lo supplicò ad alta voce: ‘Oh martire di Cristo perdonami perché io ti ho offeso’. Ma Cipriano non lo degnò della sua attenzione. Ma il povero Niceforo provò a raggiungerlo per un’altra strada e di nuovo gettandosi davanti lui gli chiedeva di perdonarlo dicendo: ‘Oh martire di Cristo, perdonami l’offesa che ti ho fatto, perché io, come qualunque altra persona, posso cadere nei peccati, invece a te spetta la corona, preparata da Cristo a cui non hai rinunciato confessando il suo nome davanti a tanti testimoni’. Ma Cipriano persistendo nella sua durezza non gli rispose niente; nello stesso tempo gli aguzzini rimanevano sorpresi dalla tenacia di Niceforo e gli dicevano: ‘Non abbiamo mai visto uno stupido più grande di te: stanno portando quest’uomo alla morte e a che cosa ti serve il suo perdono?’ Niceforo rispose loro: «Voi non sapete che cosa io chiedo da questo uomo, che confessa Cristo, ma Dio lo sa». Quando Cipriano giunse sul luogo dell’esecuzione, Niceforo di nuovo gli si gettò davanti a lui dicendo: "Ti supplico martire di Cristo, perdonami così come nella Scrittura si dice «chiedete e vi sarà dato»". Ma queste parole non ammorbidirono il cuore orgoglioso e cattivo di Cipriano, il quale tenacemente rifiutava di perdonare il prossimo e, per questo, il giusto giudizio divino lo privò della gloriosa palma del martirio. Quando gli aguzzini si prepararono a decapitarlo, gli ordinarono di mettersi in ginocchio e in quel momento il vigore dello spirito lo abbandonò e cominciò a chiedere loro di aver pietà e dicendo infine in modo ripugnante e vergognoso: "Vi supplico, non tagliatemi la testa, sono pronto a fare la volontà degli imperatori e a fare sacrifici in onore degli dei". Avendo udito questo, il povero Niceforo esclamò: "Fratello mio, ti supplico, non trasgredire la legge e non rinunciare a Cristo; non ritirarti da Lui e non perdere la corona celeste che hai acquistato a prezzo di grande sforzo e sofferenza!" Ma, ahimé, questo misero sacerdote, avvicinandosi all’altare del martirio per consacrare la sua vita al Dio eterno, dimenticò le parole che ha detto il Grande Martire: "Se dunque stai per deporre sull' altare la tua offerta e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa a tuo carico, lascia la tua offerta davanti all' altare e va' prima a riconciliarti con tuo fratello; dopo verrai ad offrire il tuo dono". E Dio rinunciò alla sua offerta, gli tolse la sua misericordia, e permise che non soltanto rimanesse senza l’eterna beatitudine del martirio ma che cadesse anche nella disgrazia dell’ idolatria, mentre il timido e mite Niceforo, avendo visto che la corona che prima era stata destinata a Cipriano rimaneva libera, in un impeto d’entusiasmo coraggiosamente si avvicinò per riceverla, dicendo alla guardia e ai boia: "Amici sono un cristiano, e credo veramente in Cristo, che è stato rinnegato da quest’ uomo; mettetemi, per favore, al suo posto e tagliatemi la testa". La guardia si sorprese e comunicò la cosa al governatore che ordinò di liberare Cipriano e di decapitare invece Niceforo: ciò successe il 9 febbraio 260 d. C., come ci raccontano Metafrasto e Ciro. Questa terribile storia deve essere seriamente valutata, considerando la questione che ci interessa. Avete visto come questo impavido Cipriano, coraggiosamente e ardentemente rispettasse la legge, patì mille torture e con forza confessò Cristo quando lo misero sotto torchio, e con quale prontezza si avvicinò al luogo dell’esecuzione per raggiungere il più alto grado della legge divina preferendo la gloria di Dio alla vita. Nonostante ciò considerò come volontà di Dio il suo violento orgoglio nei confronti di Niceforo, ed egli all’improvviso si fermò e nel momento in cui la gloria di martire era cosi vicina, tristemente perdette il coraggio e inchinò il capo abbandonandosi all’idololatria»"(49).

Se non perdoni sei già sulla strada della perdizione, perché la tua forza interiore che ti permette di perdonare ad un certo punto ti abbandonerà, soprattutto di fronte alle prove. Perdono senza limiti: è l’unica parola che convince veramente l’uomo della strada, anche se non sembra, poiché gli viene manifestata ad un tratto la grande chance e il vantaggio della viva realtà che opera nel cuore dell’uomo di Dio che è Amore.

L’elemosina

La libera esigenza di fare l’elemosina nasce sempre contemplando questo sguardo di Cristo e lasciando che lo Spirito si desti in noi e ci porti ad una azione spirituale. Nella Chiesa russa quando uno dà l’elemosina diceva: «Per amore di Dio ricevi». E la risposta era: "Vi salvi e perdoni il Signore per la vostra beneficenza"(50).

Se uno fa l’elemosina, non fa un’opera di bene di cui vantarsi, chiede a Dio ed al mendicante di poterla fare con animo puro e luminoso. Per amore di Dio. Nel fare l’elemosina entra anche l’amore di Dio. Un incontro a tre. «Per amore di Dio ricevi». E cosa risponde il mendicante nella sua libertà? Dice: «Vi salvi e perdoni il Signore, Dio, per la vostra beneficenza». "Vi salvi e perdoni": non è che sei grande solo perché vieni a donare due spiccioli. Anche a te uomo come me nella stessa situazione bisognosa della pace e della luce di Cristo auguro: "ti salvi il Signore per la tua beneficenza". C’è una reciprocità, c’è una luce che passa da uno all’altro: è l’invocazione di Dio dell’uno sull’altro. E’ la salvezza redentrice di Cristo e del suo Spirito Santo che può fare questo. E’ questa relazionalità della carità e dell’elemosina, in Dio, che fondamentalmente è luce. E’ questa regalità che in qualche modo risplende, perché è la vera relazione della carità, della misericordia che é in Dio, nello Spirito Santo.

Come sapere che significato potrà avere la comunione di una personalità con l’altra nel futuro destino delle anime; cosa può fare un incontro vissuto nella carità; come possa la bellezza della misericordia collaborare con la Provvidenza nella costruzione del Regno qui sulla terra, in attesa della Gerusalemme celeste che scenderà dal cielo, e quali frutti visibili e invisibili possa dare, non possiamo saperlo. Ma possiamo continuare ad avere la fiducia di chiedere la grazia di essere misericordiosi, e di riconoscere la bellezza di questa misericordia nella umile audacia cristiana della carità e della misericordia.


[1] T. Spidlik sj – M. Tenace – R. Cemus sj, Questions monastiques en Orient, OCA 259, 1999, 223.

[2] M. Tenace (a cura di), L’uomo mistero di luce increata. Pagine scelte, Paoline, 2005.

[3] Cfr. M. Tenace, L’homme transfiguré par l’Esprit, Lessius. 2005, 130.

[4] Cfr. M. Marinovič, Ukrainska ideja i christijanstvo abo koli garziuiut kol’orovi koni apokalipsisu, Duch i litera, 2003.

[5] Romano è vicino in questo a due sermoni sullo stesso argomento, uno crisostomico (De Poenit. Hom.= PG, XLIX, coll. 291-300, che sembra a lui noto, e uno pseudocrisostomico (In decem virgines = PG, LIX, coll. 527-532.

[6] Cfr. Romano il Melodo, Cantici, Classici Greci, UTET, 2002, pp. 318-363.

[7] Dives in misericordia, n. 14.

[8] A. Schmemann, Il mondo come sacramento, Queriniana, 1969, 12.

[9] DM, 14.

[10] F. Dostoevskij, L’Idiota, Garzanti, Milano,1982, Vol. II, 506-507.

[11] Cfr. J. Ratzinger, Intervento al Meeting di Rimini, 2002, in Benedetto XVI. Conosciamo il nostro papa, Ed. Paoline, 2005, 53-57.

[12] Ib.

[13] P. Evdokimov, Sacrement de l’Amour, Desclée de Brouwer, 1980, 117-142.

[14] B.Bobrinskoy, La compassion du Père, Cerf, 2000. Versione inglese The compassion of the father, St Vladimir’s seminary, New York, 2003.  I capitoli in  questo libro sono espliciti: l’Agnello di Dio che  prende su di sé la sofferenza umana, l’Amore per i nemici nel Vangelo, la Preghiera del cuore e la sofferenza, l’Arte dell’invocazione del nome, l’Eucarestia interiore

[15] S. Bulgakov, e  D. Staniloae,

[16] T. Spidlik, L’idèe russe, Fates, 1994, 130.

[17] F. Dostoevskij, I  fratelli Karamazov, Einaudi, 1993, 331-333.

[18] F. Dostoevskij, I  fratelli Karamazov, Einaudi, 1993, 349-350.

[19] J. Danielou, Théologie du Judéo-Christianisme, Cerf, 1991, pp. 295-326.

[20] Eusebio, Historia Ecclesiastica, I, XIII, 20 ; PG 20, 128 C.

[21] Cirillo di Alessandria, Ad Théodosium, 25; PG 76, 1179 A.

[22] Liturgia Bizantina,  I Ode del Canone del Grande Lunedì,

[23] Liturgia Bizantina, Tridion della Domenica “Del fariseo e del pubblicano”.

[24] Liturgia Bizantina, Ottava Ode del Grande Lunedì.

[25] Liturgia Bizantina, Triodion del Grande Venerdi.

[26] S. Bulgakov, La sposa dell’Agnello, EDB, 1991, p. 334. Cfr. ID, La lumière sans déclin, L’Age d’Homme, 1990. pp. 169-196.

[27] S. Bulgakov, La sposa dell’Agnello, EDB, 1991, p. 179.

[28] D. Staniloae, Dio è amore, Città Nuova, 1986, p. 55.

[29] D. Staniloae, Dio è amore, Città Nuova, 1986, p. 94.

[30] D. Staniloae, Dio è amore, Città Nuova, 1986, p. 96.

[31] D. Staniloae, Dio è amore, Città Nuova, 1986, p. 102.

[32] D. Staniloae, Dio è amore, Città Nuova, 1986, p. 102.

[33] Atanasio, In Ps 15; PG 27.

[34] Preghiera penitenziale di Sant’ Efrem: “Signore e padrone della mia vita, allontana da me lo spirito di pigrizia, di scoraggiamento, di dominio, di vane parole; concedi a me, tuo servo, uno spirito di castità, di umiltà, di pazienza e d’amore; sì, Signore, rendimi capace di vedere i miei peccati e di non giudicare il mio fratello, tu che sei benedetto nei secoli, amen”. Si recita nel tempo della quaresima bizantina.

[35]. Quando nel XIV secolo Gregorio il Sinaita, monaco e autore spirituale, volle consigliare delle letture ai suoi discepoli diede particolare rilievo ad Isacco: “Leggi sempre ciò che riguarda il silenzio e la preghiera, in particolare san Giovanni Climaco, sant’Isacco e san Massimo…”,  K. Ware, Introduzione a Ilarion Alfeev, La forza dell’amore. L’universo spirituale di Isacco il Siro, Qiqajon, 2003

[36] “Una (sola) è la causa dell’esistenza del mondo e della venuta di Cristo nel mondo:l’annuncio del grande amore di Dio, che ha mosso l’una e l’altra all’esistenza”(Cent IV,29) in S. Isacco di Ninive. Un’ umile speranza, Ed. Qiqajon, Bose, 1999, 35.

[37] Il filosofo Ivan Kireevskij volle individuare un autore in cui si incarnasse la spiritualità ortodossa, nel suo complesso, e scelse Isacco il Siro, i cui scritti, secondo lui, si distinguevano da quelli degli altri padri della Chiesa per un eccezionale profondità spirituale”, I. Kireevskij, Polnoe sobranie socinenij II, Moskva, 1911, 118-119, in K. Ware, Introduzione a Ilarion Alfeev, La forza dell’amore. L’universo spirituale di Isacco il Siro, Qiqajon, 2003.

[38] Cfr. Borys Bobrinskoy, The compassion of the father, St Vladimir Seminary, Crestwood, New York, 2003, 28-31.

[39] N. Gorodetzky, The humiliated Christ in modern russian thought, London, 1938.

[40] S. Isacco di Ninive. Un’ umile speranza, Ed. Qiqajon, Bose, 1999, 201.

[41] Cfr. J. M. Tillard, L’Eglise locale, Cerf, 1995.

[42] A. Schmemann, Il mondo come sacramento, Queriniana, 1969, 12.

[43] T. Spidlik, L’idée russe, Fates, 1994, 91-82.

[44] A. Schmemann, Il mondo come sacramento, Queriniana, 1969, 16.

[45] S. Isacco di Ninive. Un umile speranza, Qiqajon, 1999, 203.

[46] Cfr. T. Spidlik, Conosci lo Spirito?,  Lipa, 1997, 23.

[47] S. Isacco di Ninive. Un umile speranza, Qiqajon, 1999, 194.

[48] G. Marani ( acura di), Il santo medico di Mosca, San Paolo, 2006, 205.

[49] La storia di Cipriano e Niceforo si trova nell’opera di San Francesco di Sales, Trattato dell’Amor di Dio o teotimo, Libro X, cap. VIII che porta come titolo  Storia memorabile per far  ben comprendere in che cosa consista la forza e l’eccellenza del sacro amore; cf. San Francesco di Sales Trattato dell’Amor di Dio o teotimo Ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1989, 715-720. Nel testo russo dell’Esortazione alle donne il nome del sacerdote é Kiprian che si può tradurre con Cipriano. In questa pubblicazione italiana il sacerdote si chiama Saprizio. Preferiamo in questo caso rispettare il testo russo.

[50] Cfr. G. Marani (a cura di), Il santo medico di Mosca. Friedrich Joseph Haass, San Paolo, 2006, 66.