IL SANTUARIO DELL’AMORE MISERICORDIOSO,
UN LUOGO DI GRAZIA
PER RISCOPRIRE E INCONTRARE IL VERO VOLTO DI DIO

S.E. Mons. Giovanni Scanavino, Vescovo di Orvieto-Todi

Collevalenza 18 novembre 2005

Ho già avuto diverse occasioni per esprimere il mio apprezzamento e la gioia di avere nella nostra Chiesa questo Santuario. L’ho definito, fin dall’inizio, il polmone che dà vita, recupera la vita della nostra Chiesa e questo è vero perché tutta la nostra Chiesa fa riferimento a questo luogo della grazia e della misericordia. Questo è anche un motivo di grande speranza e quindi anche di grande serenità per chi ha la responsabilità di questa Chiesa, perché c’è una Comunità, una grande Comunità, che è preposta a questa attività fondamentale, cioè voi qui fate un’azione mirata, e direi che questo Santuario, con il suo stile, con il suo modo di vivere, sta sempre al cuore del programma pastorale della nostra Chiesa.

In questi due anni, abbiamo fermato la nostra riflessione prima sul tema "dalla Parola all' Eucarestia" e nel secondo anno sul tema "dall' Eucarestia alla Carità". Nel primo anno abbiamo voluto recuperare il valore dell’ascolto della Parola di Dio che è fondamentale per la vita della Chiesa, perché una Chiesa si definisce proprio per la capacità di sintonizzarsi sull’identica parola, sulla Parola di Dio per tutta la nostra Chiesa, e qui, questa Parola è quotidianamente valorizzata, sia dalla vostra Comunità che dal dono che viene fatto di questa Parola a tutti i pellegrini.

Quest’anno abbiamo sottolineato il tema dall’ Eucarestia alla Carità. Allora mi pare che un’attività di questo tipo - come avete scritto nel titolo, molto bello anche se impegnativo della mia relazione, "Un luogo di grazia per riscoprire e incontrare il vero Volto di Dio" - il significato di questo Santuario con l’attività che si propone, sta proprio al centro del programma pastorale.

Qui si viene per imparare che cosa è l’Amore di Dio, che viene qui costantemente qualificato come Amore Misericordioso.

Quindi è importante questa consapevolezza, cioè sapere, tutti quanti siete qui, e tutti quanti qui lavorate, cioè servite i pellegrini, è importantissimo, che voi siate consapevoli che qui siete inseriti fortemente in questa Chiesa, siete la voce, siete l’espressione diretta di questa Chiesa.

Credo che non abbiate dubbi, ma se dovesse nascere qualche volta il dubbio: "ma noi come siamo inseriti in questa Chiesa di Orvieto Todi?". Siete inseriti nella radice di questa Chiesa, ed è qui che io considero, come il polmone più forte, una grazia di Dio veramente formidabile aver suscitato Madre Speranza e le due Comunità, maschile e femminile ed anche questa schiera benedetta di laici che poi portano nel mondo, dovunque si trovano, questo spirito, questa mentalità tipicamente evangelica.

Ed allora, proprio questa sera, vorrei rifarmi direttamente alla nostra parabola e poi suggerire sia alla Comunità religiosa femminile, e così pure ai laici che lavorano fuori di questa Comunità, suggerire quale può essere l’applicazione, l’evangelizzazione di questa parabola oggi. Poi mi fermerei, in un secondo momento, in modo particolarissimo, sull’attività ministeriale, sul Ministero della Riconciliazione che qui viene celebrato quotidianamente con grande spirito di sacrificio, ma che è poi il dono di questa grazia, che è poi la trasmissione di questo Volto del Padre a chiunque viene. Desidero incoraggiare coloro che stanno facendo questo lavoro, e ringraziarli per questa fatica che fanno a vantaggio di tutti i pellegrini e perché questo Ministero sia sempre più mirato, perché è con questo Ministero, con questa missione legata all’Amore Misericordioso che voi dovete sentirvi come gli evangelizzatori di questa Chiesa, di ogni Chiesa.

Questo è il messaggio fondamentale per la costruzione della Chiesa: non esiste una Chiesa che non abbia assimilato il Volto misericordioso del Padre e che non cerchi di vivere concretamente la carità attraverso questo dono di grazia, perché la carità deve tradursi nel vivere la misericordia. Quindi pensate l’intuizione formidabile, la grande capacità di Madre Speranza di assimilare il messaggio dello Spirito, la grande capacità di cogliere questa originalità che poi è l’originalità vera di tutta la Chiesa.

Se poi, qualche volta, non sempre c’è tutta la comprensione, che vorremmo, da parte di tutti, da parte della Chiesa ufficiale, da parte della Chiesa gerarchica, niente paura, abbiamo pazienza, perché questa è la strada maestra, la strada principale, siamo veramente al cuore della rivelazione.

Sant’Agostino direbbe: "ecco avete avuto un’originalità straordinaria nel tradurre in un’opera la sintesi di tutta la Scrittura, di tutta la Bibbia, di tutta la Rivelazione, avete capito tutto". Direbbe proprio così.

Chi svolge questo Ministero con grande convinzione ha capito tutta la Scrittura e proprio attraverso lo svolgimento di questo Ministero capirà ancora di più quello che finora non è riuscito a cogliere, perché questa è la strada maestra per arrivare al Cuore di Dio.

Permettetemi di rileggere la Parabola intorno alla quale dobbiamo, appunto, leggere questo Santuario, e quindi la vostra presenza e la vostra attività.

Così l'evangelista Luca al capitolo 15: «Si avvicinavano a Lui tutti i Pubblicani ed i peccatori per ascoltarlo. I Farisei e gli Scribi mormoravano: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro"».

C’è, innanzitutto, una preoccupazione di comprendere il cuore di Cristo, la Sua scelta e nello stesso tempo la preoccupazione di fare la stessa, identica scelta nel tempo. Allora Egli disse loro alcune parabole. Conosciamo le prime due, quella della pecorella smarrita e della dracma perduta, ma a noi interessa soprattutto la terza, perché la terza ci manifesta direttamente il Cuore del Padre.

Dobbiamo sempre cercare di non dare per scontato quello che sta alla base della nostra identità, voglio dire che allorquando rileggiamo queste pagine, rileggiamole sempre con il desiderio di comprendere sempre meglio quello che il Signore ci vuol fare capire e non facciamolo con la convinzione di aver già compreso tutto perché conosciamo la parabola. Noi, infatti, sappiamo che la Parola è lo strumento concreto di una incarnazione che deve continuare, e dobbiamo essere convinti che questa parola letta oggi e riletta quando capiterà, letta con fede, ci aiuterà a comprendere sempre meglio quello che dobbiamo capire di più per trasmetterlo, così come Gesù, oggi, lo trasmetterebbe a chiunque viene qui.

"Un uomo aveva due figli, il più giovane disse al Padre: «Padre dammi la parte del patrimonio che mi spetta» ed il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni il figlio più giovane raccolse le sue cose e partì per un paese lontano dove sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci ma nessuno gliene dava, allora rientrò in sé stesso e disse: «Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame. Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: ‘Padre ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come uno dei tuoi garzoni’».

Partì e s’incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro gli si gettò al collo e lo baciò.

Il figlio gli disse: «Padre ho peccato contro il Cielo e contro di te non sono più degno di essere chiamato tuo figlio» ma il padre disse ai servi: «Presto portate qui il vestito più bello, e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa. Perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» e cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi e al ritorno, quando fu vicino a casa, e udì la musica e le danze chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: «E’ tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò e non voleva entrare. Il padre, allora, uscì a pregarlo ma lui rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici, ma ora che questo tuo figlio, che ha divorato i tuoi averi con le prostitute, è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo ma bisognava far festa e rallegrarsi perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»".

Questa è la nostra parabola, noi dobbiamo diventare esperti in questa parabola. Tutta la Comunità dell’Amore Misericordioso, dai consacrati ai laici, deve diventare esperta in questa parabola dove Gesù ci ha offerto un ritratto formidabile del Volto del Padre. Nessuno lo ha mai visto questo Padre. Al tempo di Gesù, hanno visto Lui, hanno ascoltato le Sue parabole, i Suoi discorsi hanno visto come Lui faceva, hanno sperimentato il suo modo di amare le persone, questo suo privilegiare coloro che avevano bisogno di grande speranza, che avevano bisogno di rinnovarsi interiormente, hanno visto tutto questo e in questa parabola hanno potuto ascoltare la particolare preoccupazione, come se Gesù, quella volta, si fosse messo a pitturare il Volto del Padre Suo. E’ venuto per manifestarci il Suo Volto, questo Volto di misericordia, questo Volto di un amore totalmente gratuito.

Noi dobbiamo, veramente diventare esperti nel comprendere e nel disegnare anche noi questo Volto, per averlo sempre presente, perché tutto quello che facciamo sia evangelizzazione, sia annuncio, sia comunicazione di questo Volto, di questa Bontà, di questa Misericordia.

E’ vero che solo qualcuno di voi, per il Ministero, per il Sacerdozio ricevuto, poi eserciterà in maniera specifica, vivrà in maniera specifica questo Ministero, ma essere parte di questa Famiglia, diciamo pure, lavorare in questo Santuario significa proprio mettere ognuno la sua tessera personale, per costruire questo mosaico, di modo che chi viene qui abbia sempre la fortuna di incontrare questo Volto che è costruito dalla preoccupazione di tutti. Potrebbero dirmi le Suore che stanno in cucina, che sono preposte al servizio pratico, concreto dei pellegrini: "Sì, ma io neppure li vedo i pellegrini!". Ma tu hai la convinzione di lavorare per Lui e di fare tutto quello che stai facendo proprio per questo motivo, perché Lui sia disegnato, sia colorato. Questa icona viene disegnata, viene colorata con l'offerta del tuo lavoro, del tuo amore e sappiamo quanto è importante il colore, la doratura dell’Icona.

Credo che domani avremo delle grandissime sorprese, perché quelli che pensavano di essere in prima linea, di aver fatto l’azione più significativa, di aver offerto al Signore la possibilità di trasmettere più direttamente il suo messaggio, poi magari ci accorgeremo che non eravamo noi, quelli che stavano disegnando nella maniera più efficace i tratti di questa Icona, ma quelli che, magari, erano in seconda e terza linea, però lo facevano con tanto amore, lo facevano con la preoccupazione di offrire al Signore il proprio lavoro e incontrando le persone le incontravano con quello stesso amore, con quella stessa capacità di accoglienza, con cui Gesù ha accolto i Pubblicani ed i peccatori, con la stessa capacità e tenerezza di Dio, con cui Lui ha accolto coloro che avevano bisogno di essere guariti.

Tutti qui si devono considerare estremamente preziosi, perché non c’è qualcuno che è più e qualcuno che è meno. Chi è addetto a questo Santuario, in ogni tipo attività ed occupazione, deve sentire fortemente questa missione evangelizzatrice: "Il Signore mi ha chiamato qui, attraverso il carisma di Madre Speranza, mi ha chiamato qui per trasmettere la tenerezza di Dio, per aiutare i peccatori, che poi sono i pellegrini, ad incontrare la Misericordia di Dio, ad incontrare la Bontà di questo Padre". Perché, poi succede che se una persona non è aiutata a comprendere questa parabola, rimane sempre ai margini dell’evangelizzazione, bisogna che la persona entri dentro, possa toccare con mano cosa significa la tenerezza di Dio, la gratuità di questo Dio, che, pensate, rinfaccia nulla, sembra che Lui metta tutta la Sua forza di cambiamento per cambiare il cuore di questo figlio e della situazione della famiglia, mette proprio tutto in questo gesto che è inimmaginabile. Da un punto di vista pedagogico è inimmaginabile che questo padre agisca così, senza fare un’osservazione, senza fare una rimostranza, soltanto felice che sia tornato. Che tratto singolare! E' proprio il padre, il vero padre, quello con la "p" maiuscola, che aspetta e abbraccia; chi fa la rimostranza è il figlio.

Siamo noi consapevoli della nostra miseria? Cerchiamo di ingraziarci il giudice, di rendercelo benevolo con la nostra confessione? Se ci fate caso, nella nostra vita, quasi sempre rimaniamo lì, non andiamo oltre, mentre dovremmo crescere, giorno dopo giorno, preoccupandoci soprattutto di quello che sta a cuore al Padre, non di quello che pensiamo noi.

Il nostro modo di pensare ai peccati e alle nostre miserie non deve essere soltanto la mia, la tua mentalità. Questo figlio non fa altro che un’azione, come si dice oggi, politicamente corretta, giuridicamente corretta. Un avvocato avrebbe detto così: "Tu vai lì, e dici questo perché tu devi riconoscerti peccatore ma nello stesso tempo devi anche riconoscere l’offesa che hai fatto a questo padre, hai peccato contro il Cielo e contro di lui, l’hai fatta veramente grossa".

Fateci caso, noi di solito ci fermiamo lì, non andiamo oltre, quando invece quello che conta è la novità, il Vangelo che è buona notizia, e la buona notizia consiste nel trovarci di fronte ad un Padre che non è come pensavamo noi, ma che è totalmente diverso, è un padre preoccupatissimo della mia gioia, della mia vitalità, del mio ritrovare la vita, perché ero morto e sono tornato alla vita.

Mi hanno impressionato alcuni versetti di una poesia del nostro Beato Iacopone da Todi, quando pochi giorni fa, nella Scuola di Preghiera, abbiamo invitato un Frate minore, molto bravo, che ci ha parlato della figura e della conversione di questo uomo. Attraverso alcuni versetti di una sua "Laude" ci ha fatto capire la radicalità del cambiamento, perché questo uomo, finalmente, è riuscito, attraverso la luce della grazia di Dio, a capire l’abisso del suo peccato che era un abisso di morte, ed incontrare il Padre ha significato incontrare la vita, perchè al Padre interessa il peccato in quanto deve essere superato. Ma come lo aiuta a superare il peccato?... comunicando la vita, comunicando la sua misericordia, il suo stile d’amore, tanto è vero che il figlio maggiore nella Parabola non comprende, non ci arriva e vive male, fa il suo dovere, ma vive male, vive con grande difficoltà ed è continuamente arrabbiato. Questo per far capire come nella vita l’unità interiore, la capacità di ritrovare il nostro equilibrio, nasce proprio dalla conoscenza e dal fare nostro l’atteggiamento di Dio.

Qui bisognerebbe aprire una piccola parentesi, molto interessante. Mi ricordo che proprio qui, una sera, facemmo con dei "Corsiglisti" la lettura di alcuni brani delle Confessioni di Sant’Agostino. Mi veniva da commentare, in maniera molto immediata, questo fatto che oggi il mondo, la cultura del nostro tempo, ha paura di Dio, perché teme che Dio, come dice molto bene il Papa, ci rubi qualcosa di noi stessi, della nostra autonomia, della nostra libertà, invece noi dobbiamo insistere, con coraggio continuare e gridare a questo mondo, che la fede non è un rubare qualcosa all’umanità.

La fede è dare la garanzia che quello che è il Signore, quello che pensa Lui, lo stile di Dio è per noi indispensabile per correggere, per superare i limiti della nostra umanità. Ci stiamo arrivando attraverso questi grandi stimoli che ci vengono dalla catechesi del Papa, e dal confronto con questa mentalità del nostro tempo. Questo ci deve riempire di coraggio, di decisione.

Ecco, io dico che questo Santuario sarà sempre più una icona luminosa con la convinta dedizione di tutti i componenti, nessuno escluso, perché non è quello che fai ma è come lo fai, è con quale spirito lo fai. Se lo spirito con cui facciamo le cose è identico questa Icona viene illuminata, acquista tutta la sua vivacità, tutti i suoi colori, per cui chiunque arriva si rende conto, vede, tocca con mano, attraverso la collaborazione di tutti, ed è importantissimo che tocchi con mano quello che Dio gli vuole comunicare attraverso l’azione di questa Famiglia.

Guardate che nella piccola famiglia dei due fratelli della Parabola, uno attraverso la delusione ripensa al clima di casa, e non sappiamo poi se sia rimasto e come sia rimasto, per fortuna nostra l’intenzione di Cristo è quella di delinearci il Padre. Questa è la parabola del padre non del figlio, per farci capire chi è questo padre e come noi abbiamo bisogno dello stile di questo padre, altrimenti non cambia nulla. Questo per dirci che non dobbiamo drammatizzare nella vita: se si sbaglia si ha questa possibilità enorme, anzi, proprio, attraverso lo sbaglio, attraverso l’errore, la delusione, c’è la possibilità di arrivare a Lui, a Dio Stesso, che ci rimette in corsa. Non dicendoci: "ma vai, non conta niente quello che è successo, vai avanti", ma non avanti in qualunque modo, no, tu devi andare avanti tenendo conto di quanto io ti voglio bene, tenendo conto di quanto io ti amo, tenendo conto di quanto io apprezzo la tua vita, per cui devi veramente amare la tua vita, perché è Dio stesso, è il Padre stesso che apprezza la bellezza, la grandezza della tua vita.

Quindi non sappiamo, se poi, lui ha capito tutto; è probabile di sì, e il padre ha messo in opera tutto ciò che era possibile perché lui si rendesse conto e riprendesse vita, ma al cinquanta per cento è andata male, perché l’altro figlio, se ci pensiamo bene, sicuramente è il cinquanta per cento della Chiesa...

Io faccio sempre questo confronto, perché i due figli possono essere due tipi di Chiesa e noi purtroppo siamo ancora rimasti nella mentalità prevalente del fratello maggiore, nonostante sia stato pregato dal padre. Ogni minimo particolare di questo padre va analizzato e approfondito con grande umiltà, come dicevo all’inizio. Attenti alla tentazione di dire: "abbiamo capito, sappiamo che parabola e'". No, no... non capiremo mai abbastanza, perché questo è l’abisso dell’amore di Dio, noi siamo in un altro abisso, dobbiamo avvicinarci e fare nostro l’abisso della Misericordia.

Tu stesso che vivi nelle retrovie della Comunità e della famiglia, ma che vivi con le sorelle e con i fratelli, è chiaro che non puoi semplicemente limitarti a ricordare la parabola, ma in tutto quello che fai, in tutta la tua relazione di famiglia, della comunità stessa, devi preoccuparti di far risaltare la grandezza di questo amore del Padre, e preoccuparti di far vedere questo amore nei confronti dei tuoi fratelli e delle tue sorelle.

Ecco che cosa significa gestire un Santuario di questo tipo. Qui viene fuori, si manifesta, si dimostra tutto quello che noi viviamo: siamo nella grazia di Dio, siamo in una situazione estremamente favorevole, perché siamo al cuore della rivelazione e non ringrazieremo mai abbastanza chi ci ha messi al centro, nel cuore di questa rivelazione, ma dobbiamo anche riconoscere la grandezza di questa responsabilità d’amore e non possiamo prenderla alla leggera, perché qui si vede il valore della vostra, della nostra consacrazione. Qui si vede il valore dell’appartenenza.

L’appartenenza non è soltanto un fatto giuridico. C’è stato un periodo in cui l’appartenenza ad una Famiglia religiosa era un po’ in discussione, ma l’appartenenza non va messa in cose superficiali, formali, l’appartenenza è questa, cioè la convinzione con cui noi dobbiamo vivere tra di noi questo spirito, perché quanti, poi, ci incontrano, che non sono parte diretta di questa Famiglia, possano vedere, possano toccare con mano, possano sperimentare questo Amore Misericordioso. Quindi l’accoglienza, quindi l’accompagnamento, tutto ciò che fa parte della nostra missione nei confronti dei pellegrini.

Adesso c’è un tempo di maggiore calma, deve essere il tempo della riflessione, lo avete fatto già con questo Convegno e senz’altro è questo un momento importante, di grande riflessione, ma poi dobbiamo continuare in questa riflessione, non dobbiamo smettere mai proprio per poter essere all’altezza del compito che la Chiesa ci affida. La Chiesa ci affida questo compito e lì, dove tu sei, e lì dove tu svolgi il tuo compito, lì è la Chiesa, che tratteggia il volto dell’Amore Misericordioso, quindi non è semplicemente un compito, una delega. Tu dimostri l’amore di Dio facendo in qualunque modo quel lavoro di accoglienza? No, tu ci devi mettere tutta la tua convinzione, e facendo questo tu dimostri, aiuti chiunque a capire quale è veramente il Volto e la consistenza dell’Amore di questo Padre. Allora, capite che tutto diventa più facile, anche le persone che vi hanno incontrato e poi vanno a confessarsi, devono riscontrare questa omogeneità, che poi è profonda sintonia di tutti. Bisogna dimostrare, attraverso la propria collaborazione, che vogliamo donare, far toccare con mano l’amore di questo Padre.

Per non dilungarmi di più, permettete che mi fermi un momento su l'opera preziosissima dei Confratelli che esercitano questo Ministero faticosissimo e che non finisce mai(1), perché ogni volta sono ore, ore di fatica immane, perché questo lavoro suppone la capacità di immedesimarti nella vita di coloro che vengono e che ti portano tutto il loro peso, questi sono veramente i malati, sono i peccatori per i quali non è tanto importante il tipo di peccato che vengono a confessare, quanto è importante, invece, il desiderio di incontrare l’Amore di Dio.

Io nella mia esperienza, come dicevo prima, nei diversi Santuari, ho fatto anche questa esperienza negativa, cioè come noi cristiani che abbiamo la possibilità di vivere questo Ministero come il Ministero che rinnova la vita, siamo sempre portati, invece, a farlo scadere, ecco allora la preziosità di questi nostri Confratelli che ogni volta devono aiutarvi ad alzare il tono.

Faccio ancora un esempio evidentissimo e molto semplice:

Il peccatore che fa? Fa l’esame di coscienza, tratteggia i suoi peccati e poi dice, "adesso vado là e glielo dico", così come ha fatto il figlio minore della parabola. Dice: "Vorrei star meglio, vorrei liberarmi, vorrei uscire da questo peso della coscienza e vado là e glielo dico". Attenzione, però, in quello che il peccatore dice non c’è in maniera primaria ed assoluta la preoccupazione d’incontrare il Volto di questo Padre, c’è la proiezione di noi stessi. Questo da un punto di vista psicologico sarebbe interessante analizzarlo un po’ di più: fino a che punto noi, veramente, ci confessiamo a Dio Padre, al Figlio di Dio, allo Spirito Santo, non c‘è nessuna differenza, perché sappiamo che il Dio nostro è: Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, ma l’importante è che sia Dio, altrimenti non avviene la salvezza.

Ma la salvezza avviene quando noi ci preoccupiamo soprattutto di accogliere il messaggio che nasce dal cuore di questo Padre, quindi capite la fatica dei nostri Confessori nel Santuario, però questa fatica è quella che produce, è quella che scava, è come il seme che sotto la terra, macerando, poi porta frutto. Questo deve avvenire in ogni celebrazione del Sacramento della Riconciliazione, ma qui, in questo Santuario, non può non essere così; bisogna che ci sia tutta la volontà, la decisione da parte di chi confessa, per condurre colui che si confessa, dal suo peccato all’incontro col Padre.

Dicevate nel titolo: "per riscoprire e incontrare il vero volto di Dio": io cambio nella misura in cui incontro questo Padre, ma quante volte noi rimaniamo come il fratello maggiore?! Questa è la dissacrazione di questo Sacramento, è il sacrilegio di questo Sacramento. Sacrilegio non è soltanto il fatto che non mi sono confessato un certo peccato e vado ugualmente a far la Comunione. In questo caso sono un ipocrita, un imbroglione. Ma c’è anche quest’altro sistema di andare ad incontrare il Volto di Dio, e non incontrarlo mai, perché ti interessa scaricarti di quel peso della coscienza che hai dentro per poter tornare in corsa: questo il Signore lo fa comunque.

Avete sentito: mentre il figlio è preoccupato di ripetere la lezione, lo schema, perché lui ha uno schema, al padre non importa niente di questo schema. Non voglio dire che non gli importi niente di quello che abbiamo commesso, ma di fatto è anche così, perché noi non cambiamo ricordando soltanto quello che è successo e ridicendo quello che è successo, e d’altra parte, scusate, mi fa ridere la preoccupazione a volte di tipo prevalentemente giuridico nella confessione intesa come giudizio.

Il Padre è veramente consapevole della sua teologia, il figlio non conosce la teologia del Padre, e quindi rimane lì, nella sua accusa, pensando che quello è tutto. Il Padre gli fa capire, invece, che il tutto è un’altra cosa, il tutto è l’amore del padre, la preoccupazione del padre nei suoi confronti, tanto è vero che rinuncia a tutti i suoi, diciamo così, privilegi o attributi di Dio, perché dice semplicemente: facciamo festa, preoccupiamoci di fare festa.

Ecco lo spirito, lo stile, il clima tipico di una festa profonda, interiore, ecco il luogo della festa, per aiutare il penitente, il peccatore che si confessa, per condurlo all'incontro col Padre.

Perché nella nuova impostazione liturgica del Sacramento, la Chiesa dopo il Concilio ci ha detto: "cominciate con un brano della Scrittura"? Perché la valutazione della nostra vita non può venire da noi, ma di fatto viene sempre da noi, di fatto noi ci fermiamo sempre nella nostra valutazione, nel nostro giudizio, invece la Chiesa ci dice: partite dalla Parola di Dio, perché è Lui che vuole cambiare la vostra vita, e voi cambierete nella misura in cui vi lasciate conquistare dall’Amore di Dio. Allora questa è la preoccupazione costante, pedagogica del confessore: richiamare sempre, riportare sempre il peccatore davanti a questo Volto, aiutarlo a capire questo Volto, aiutarlo a capire l’affetto grande con cui Lui ci vuol bene, perché tu cominci a valutare la tua vita a partire da questa esperienza d’amore. Non è facile, non c’è niente di facile, però questa è la preoccupazione di trasformare.

Io, quante volte ho detto: "va bene, hai confessato, adesso basta, giriamo pagina. La confessione, la riconciliazione è un altra cosa. Adesso ti devi aprire a quello che il Padre ti vuole comunicare": perché il perdono è proprio la rivelazione del Suo Amore Misericordioso, è quello il perdono. Il perdono che cambia e che vorrebbe cambiare.

Pensate quanto il fratello maggiore sia duro, incrostato dentro, incapace di cogliere il cambiamento. Non c’è un rapporto diretto con questo padre, non lo ha mai conosciuto, mentre l’altro che ha sbagliato è nella possibilità, non diciamo nella realtà, ma nella possibilità di incontrarlo, di conoscerlo.

Allora l’azione, diciamo così, di riforma, di far rinascere, qui, veramente c’è. La Chiesa ci comunica questo dono di grazia e ci chiede di far rinascere le persone, non per quello che diciamo noi, ma per il richiamo a questo dialogo, a questo incontro con il Volto del Padre.

Credo che questo sia il lavoro, prezioso, costante che dobbiamo fare soprattutto all’interno di questo Ministero della Riconciliazione e della Misericordia di Dio. Qui abbiamo una capacità ed una potenzialità enorme, ma dobbiamo cercare, anche, di cogliere l’efficacia di questo Sacramento che nasce proprio dal conoscere sempre meglio il Volto di questo Padre, l’esperienza d’amore di questo Padre.

Concludo ringraziandovi ancora una volta sempre di più, per la preziosità di questo Ministero.

Se questo Santuario, come sta facendo attraverso tutta la vostra Famiglia, in questa unità di intenti, ha sempre presente questa preoccupazione di trasmettere, soprattutto il Volto di Dio, la grandezza di questo Amore, noi aiutiamo veramente tutti coloro che vengono. E non è vero che non si dà importanza a quello che è successo nella vita, agli errori fatti, alla mancanza di riconoscenza nei confronti dell’Amore di Dio, perché purtroppo le cose nel tempo si ripetono, perché siamo sempre ugualmente peccatori, ma per nostra grande fortuna, si ripete sempre di più l’atteggiamento d’amore del Padre nei nostri confronti.

Quando un peccatore comincia a dire: "sono ancora qui a dirti il mio peccato, che hai sentito altre volte; chissà se il Signore mi perdonerà?", questo vuol dire che invece di andare verso il Padre ci si allontana sempre di più, si gira intorno a se stessi. Questo per dirvi il lavoro paziente, ma importantissimo, di ricostruire nella coscienza di tutti la consapevolezza di quanto è grande questo Amore, e di come tu devi attingerlo, devi accoglierlo dentro di te, perché è lui che cambia, non è la tua buona volontà.

Dobbiamo essere pentiti. Che significa essere pentiti? Non farlo più, ma chi è capace di non farlo più?

Mi ha impressionato, frequentando il carcere, la percentuale di recidività che esiste nella vita dei carcerati. Una percentuale altissima, vista ed anche sperimentata.

C’era un carcerato che aveva vissuto una vita in carcere, poi è uscito. L’abbiamo accolto nella Caritas, lo abbiamo seguito, lo abbiamo, per così dire, anche coccolato, ma un bel giorno, arrivano i carabinieri a prenderlo, perché tornato al vecchio difetto.

Ci sembrava quasi impossibile pensare una cosa del genere di quest’uomo...

Quindi, veramente il nostro peccato è proprio abitudinarietà, ma questa catena si rompe soltanto quando, finalmente, ci lasciamo conquistare dalla potenza dell’Amore di Dio.

Concludo ringraziandovi ancora una volta perché è troppo prezioso quello che state facendo e chiedo a tutta la Famiglia che si sintonizzi su questo unico valore: non preoccupatevi di tante altre cose, state facendo la cosa più importante e più significativa e più efficace, continuate a farlo con grande disponibilità e quando sentite un po’ di stanchezza chiedete allo Spirito Santo la capacità di tornare a questa fonte, a questa contemplazione diretta dell’Amore di Dio, da offrire a chiunque, perché è così che si ricostruisce la vita, ed è così che si vive e si manifesta la bellezza della Chiesa.

Noi possiamo fare tante cose, ma alla fine, ciò che è più prezioso è questa Famiglia che vive concentrata nell’Amore.


[1] Si tratta del ministero del Sacramento della Riconciliazione (ndr)