LO SPIRITO DELLA ESCLAVA DEL AMOR MISERICORDIOSO :
"NO SERAS TODA PARA MI COME YO LO SOY PARA TI?"

Suor Erika Bellucci, EAM

Introduzione

Mi piace leggere il titolo in questo senso: Io sono tutto per Te. Non sarai tu tutta per me? Questo è lo spirito della Schiava dell’Amore misericordioso.

Innanzitutto, al cuore c’è una domanda, una domanda quasi retorica, pronunciata da Gesù.

È una domanda che contiene la possibilità di un invito, di una crescita.

Io sono; Io sono già. Io sono sempre.

«Io sono»: il nome di Dio rivelato a Mosè, ai profeti, agli apostoli, e in definitiva a tutti, anche ai nemici: «Prima che Abramo fosse, Io sono…»(1).

Tu sarai; anzi: Sarai tu? Cioè: non sei ancora; ma potresti diventarlo; e potresti scegliere di non esserlo.

Negli uomini c’è la possibilità del non essere. Non essere chi siamo chiamati ad essere, per Dio e per i fratelli.

Cercherò di spiegare un’intuizione che ho nel cuore da sempre. E’ talmente semplice, che spesso, troppo spesso rischia di sfuggire dalla mente, dal cuore, dalla vita che faccio: non importa che io diventi una grande santa; l’importante è che lo diventi tutta.

Cioè, che non lasci nulla di me di non abitato da Dio, ma che possa perdere tutta me stessa in Lui. La totalità è la misura dell’amore. Posso anche amare poco, agli occhi del mondo, dei miei fratelli, le sorelle; ma devo amare con tutta me stessa.

Il problema resta, in parte: Io non sono capace di amare, eppure non è questo il problema più urgente. L’urgenza sta nel lavorare ogni giorno perché il tutta me stessa diventi reale, non puramente ideale o, peggio, illusorio.

Teresa di Lisieux non è stata compresa come maestra d’amore dalle sue consorelle, ma anche stremata dal dubbio atroce di non essere capace d’amare, condotta dalla prova della malattia al limite della non credenza e del non amore, ha amato fino alla fine.

Mi si presenta davanti una svariata gamma di possibilità, per rispondere più o meno alla chiamata di Gesù ad essere ancella del suo amore.

La prima è essere santa, come la Madre. Come se lei mi dicesse: Non sarai santa anche tu come lo sono io?

Mi tornano alla mente le parole di Gesù nell’Apocalisse: «Oh se tu fossi freddo o caldo! Così, poiché tu sei tiepido, cioè né caldo né freddo, io sono sul punto di vomitarti dalla mia bocca»(2).

«Gesù dice di essere geloso; tanto grande è il suo amore per le anime! Egli come contraccambio esige solo il nostro amore, si offende quando glielo neghiamo ed è oltremodo geloso quando glielo diamo solo a metà»(3).

Eppure, anche nel caso di una defezione dall’Istituto, la vocazione alla santità non viene meno: Siate santi, come Io sono santo, come non viene meno l’Io sono di Dio, perché Lui è fedele al suo patto.

Anche la Madre lo sapeva bene e leggeva tutto, anche la caduta nella vita religiosa, con la vista onnicomprensiva di Dio: «Gesù ha permesso che questo mio fratello di cadere in quella mancanza e di allontanarsi più o meno dalla fedeltà alla vita religiosa perché vuole che diventi un grande santo…»(4). Questo è consolante, certamente, ma ha un prezzo: quello di intrecciare la via, già stretta, della santità. Quindi, la gamma delle possibilità della nostra risposta all’amore si riassume in tre atteggiamenti:

  1. non essere per Dio, cioè essere contro di Lui;
  2. essere per Dio solo a metà;
  3. essere tutto/tutta per Lui.

I primi due in definitiva si equivalgono; quindi l’alternativa è semplice e si riduce ad essere tutto/tutta per Lui. Ma come?

Provo ad approfondire questa modalità, di essere tutto/tutta per Lui, in tre parti.

La prima parte è intitolata: Io sono tutto per te. È il versante biblico, evangelico di questa presentazione.

La seconda: Non sarai tu tutta per me? Viene trattato un aspetto antropologico.

La terza parte vuole offrire alcuni spunti a livello carismatico, per conoscere e vivere meglio lo spirito della EAM, secondo lo spirito della Madre, per praticare i suoi consigli nella nostra vita di Ancelle dell’Amore misericordioso.

I parte: Io sono tutto per te

Uno sguardo ai Vangeli: I gesti dell’amore totale

Mt 26,6-13

Mc 14,3-9

Gv 12,1-8

Lc 7,36-50

[6] Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso,

 

[7] gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa.

 

 

 

 

 

 

 

[8] I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: «Perché questo spreco?

[9] Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!».

 

 

 

 

 

 

[10] Ma Gesù, accortosene, disse loro:

«Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un'azione buona verso di me.

 

 

 

 

[11] I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete.

 

 

 

 

 

 

 

 

[12]Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura.

 

[13]In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei».

[3] Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso.

 

 

Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l'unguento sul suo capo.

 

 

 

 

[4] Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: «Perché tutto questo spreco di olio profumato?

[5] Si poteva benissimo vendere quest'olio a più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.

 

[6]Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un'opera buona;

 

 

 

 

 

[7] i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

[8]Essa ha fatto ciò ch'era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura.

[9]In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto».

[1]Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti.

[2] E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali.

[3] Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento.

 

[4] Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse:

[5]«Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?».

[6]Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.

[7] Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura.

 

 

 

 

 

 

 

[8] I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».

[36] Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola.

[37] Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato;

[38] e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato.

[39] A quella vista il fariseo che l'aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice».

 

 

 

 

[40] Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, dì pure».

[41] «Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta.

[42] Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?».

[43] Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».

[44] E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli.

[45] Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi.

[46] Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi.

[47] Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco».

[48] Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati».

[49] Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest'uomo che perdona anche i peccati?».

[50] Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; và in pace!».

Ho scelto quattro passi dei Vangeli, che possiamo leggere in sinossi; per comodità lo faremo dalla traduzione italiana (CEI) dei testi.

I primi tre passi presentano lo stesso episodio: l’unzione di Betania. Giovanni, rispetto a Matteo e a Marco, si differenzia riguardo alla casa in cui avviene l’unzione, e ai personaggi.

Possiamo notare, però, che si tratta di una casa di amici, e amici difettosi.

Simone il lebbroso era un uomo che era stato lebbroso e che probabilmente dopo la guarigione aveva conservato questo soprannome.

Nel caso di Lazzaro, si tratta di un amico che Gesù stesso aveva risuscitato dai morti.

Dal punto di vista temporale, questi tre passi coincidono: l’episodio in Matteo e Marco è collocato due giorni prima della Pasqua; Giovanni ci parla espressamente, al v. 1, di "sei giorni" prima della Pasqua. Il contesto è dunque drammatico: si tratta delle ultime ore della vita terrena di Gesù e in tutti e tre i Vangeli Gesù stesso fa riferimento alla sua sepoltura. Mi sembra che questo riferimento possiamo considerarlo un testamento di Gesù: egli, da uomo sensibile qual è, attento ai significati dei gesti più semplici, ci parla del gesto più gradito che gli è stato fatto sul finire dei suoi giorni qui con noi. Ce ne parla perché sta per essere tolto dal mondo. Ci dice infatti, nei tre passi paralleli: Non sempre avete me.

Questa è anche la nostra realtà: non sempre abbiamo Gesù, perché Gesù è morto veramente ed il ricordo della sua perdita è doloroso. Per Nostra Madre questo ricordo era vivo, diventava segno di una intensa tribolazione, vissuta nella sua carne, nelle lunghe notti di passione che Gesù le ha donato di passare.

Il Vangelo di Luca ci narra un episodio differente. Siamo nella prima sezione del suo Vangelo, quando Gesù è ancora in Galilea e la sua salita verso Gerusalemme non è ancora iniziata.

Perché si possono leggere insieme? Ci aiutano a comprendere come Gesù desidera che noi siamo tutto per Lui come Lui è tutto per noi?

Matteo e Marco ci dicono che Gesù si trovava a Betania; Giovanni ci dice che ci andò. E andò precisamente dall’amico Lazzaro, sia perché Lazzaro aveva ancora bisogno di Lui, sia perché Gesù aveva bisogno di Lazzaro, di Marta, di Maria. In Luca, Gesù viene invitato a mangiare da un fariseo ed entra nella sua casa.

Accanto a Gesù, che conserva tutta la sua dignità di Figlio dell’uomo, di Signore, sorge una piccola figura di donna. Una donna che in realtà ha tre volti, tre nomi: l’amica Maria in Giovanni, una donna anonima in Matteo e Marco, la donna peccatrice in Luca. Sono tre donne da cui Gesù si lascia toccare, ungere, baciare, suscitando lo sdegno, l’ira, dei discepoli, l’avidità di Giuda, che sta per consegnarlo, lo scandalo del buon fariseo.

Ciascuna di loro rappresenta anche delle piccole sfumature nel tratto che ce ne rivelano la fine psicologia femminile.

Gesù è disteso a tavola, com’era d’uso per un pranzo solenne.

Nella versione di Matteo la donna si avvicina a Gesù e gli versa l’unguento sul capo; in Marco rompe il vasetto di alabastro pieno di olio e ugualmente versa l’unguento sulla testa di Gesù.

Ma nella versione di Giovanni, Maria, cosparge i piedi e non il capo di Gesù e li asciuga con i suoi capelli. E tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. La peccatrice di Luca lava i piedi Gesù con le sue lacrime, li cosparge di profumo. Anch’ella li asciuga con i suoi capelli. E li bacia con amore.

Gesù difende e loda il gesto delle donne; ne rivela il senso alla luce della sua Pasqua: in vista della sua sepoltura, in anticipo sui tempi ma non sulle attese di Gesù, la donna unge il suo corpo. In tutto il mondo si parlerà di questa donna/donne, del gesto buono e bello che ha compiuto; ella sarà ricordata dovunque sarà predicato il Vangelo.

Gesù nota la reazione dei presenti e difende "questa donna", non "una specie di donna", ma qualcuno di cui Egli conosce tutto: nome, storia, situazione.

Una donna di cui conosce il cuore, di cui ad un certo punto, nell’episodio di Luca, quasi misura l’amore in proporzione della sua miseria.

Amata misericordiosamente da Gesù, che moltiplica il suo amore in proporzione del debito simbolico di 500 denari, dieci volte maggiore di quello di Simone, diventa capace di amare con tutta se stessa, versando lacrime di commozione e di gratitudine.

Simone il fariseo non si accorge che gli viene condonato tutto il debito, esattamente come alla donna; per questo non si sente motivato a lavargli i piedi, a ungere il capo e i piedi con olio profumato.

Non può amare Gesù, ricambiando la totalità del suo amore, chi non sperimenta di essere già pienamente e totalmente amato.

L’olio dunque può essere bene interpretato come il simbolo dell’amore, della sua totalità: Gesù viene unto dalla testa ai piedi con un amore che non calcola il prezzo, che dona tutto, rompendo il vasetto, già pieno di olio, versando lacrime di amore e di dolore.

Ma Lui, Gesù, ha compiuto proprio gli stessi gesti, i gesti dell’amore; è Lui che ci ha amati per primo: nella lavanda dei piedi dei discepoli, nel perdono elargito ai peccatori, nel segno della guarigione dei malati, sempre preceduta da una parola e da un tocco misericordioso che guarisce.

Pensiamo al pianto di Gesù per Lazzaro, per Gerusalemme, al suo sudore nel Getsemani. Immaginiamo lo sguardo a Pietro dopo il tradimento, la consegna della Chiesa affidata alle sue fragili mani.

Pensiamo al colpo di lancia che trafigge il costato di Gesù e lo svuota di tutto: acqua e sangue con cui il Padre, accettando il sacrificio del Figlio, compie tutto il suo progetto di amore, purifica e lava i peccati del mondo intero.

«Tutto è compiuto» (cf. Gv 19,30): Gesù ci dona così, con questa sua ultima parola, il soffio della sua vita divina. La forza dirompente del suo Spirito.

Guardiamo l’agnello che si fa pane, ogni giorno, per noi. Che entra nella nostra casa.

Benedetto XVI, mercoledì scorso, ha citato la parola di San Cipriano, per aiutarci a comprendere l’immenso dono di Gesù, Incarnazione della misericordia del Padre.

«Il Padre ha mandato il Figlio; il Figlio, che era stato mandato, volle essere chiamato anche Figlio dell’uomo, per farci diventare figli di Dio: si umiliò, per innalzare il suo popolo che prima giaceva a terra, fu ferito per curare le nostre ferite, divenne schiavo per ricondurre alla libertà noi che eravamo schiavi. Accettò di morire, per poter offrire ai mortali l’immortalità. Questi sono i molti e grandi doni della divina misericordia»(5).

II parte: Non sarai tutta per me?

Uno sguardo all’antropologia della vocazione cristiana: il dono totale di sé(6)

L’antropologia cristiana riproposta dal Concilio Vaticano II ci insegna che l’uomo fonda la sua dignità nel fatto di essere «creato a immagine di Dio e chiamato a una comunione con lui (GS 12)».

Un altro aspetto fondamentale è l’affermazione che «l’uomo, in quanto è per sua natura sociale, realizza la sua dignità non in una chiusura solipstica, ma nel dono di sé che si realizza nell’amore […]. La persona umana "non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (GS 24)».

Un terzo aspetto centrale ci indica che, «attraverso i rapporti con gli altri, i mutui doveri, il colloquio coi fratelli» (GS 25) «l’uomo cresce in tutte le sue doti e può rispondere alla sua vocazione». Si può dunque concludere che «c’è una stretta interdipendenza tra l’aspetto intrapersonale e quello interpersonale dell’uomo per rispondere e vivere la sua vocazione».

Tornando al tipo di donna dei Vangeli che abbiamo letto insieme, si può dire che questa donna si ritrova nel «dono di sé presente nell’amore». Donarsi è la motivazione che la muove dall’interno verso l’esterno, dal conservare per sé allo spreco dell’olio profumato.

La donna non dona per ritrovare se stessa: la peccatrice avrebbe solo trovato l’abisso dei suoi peccati; la donna di Betania non avrebbe certo rischiato lo sdegno e il disprezzo della sua comunità.

La donna fa ciò che è in suo potere per il bene di un altro, di cui riconosce la dignità personale.

Per questo rompe il vaso, supera la tendenza alla chisura egocentrica e, nel gesto dell’unzione, realizza se stessa autenticamente e afferma la dignità regale e divina di Gesù, il valore infinito della sua persona.

«Il dono di sé a un altro per l’affermazione del suo valore personale è possibile solo per una autotrascendenza teocentrica, cioè perché la persona è in se stessa immagine di Dio nella totalità del suo essere di creatura»(7). Nella sua unità di anima e corpo, nella sua intelligenza, nella coscienza morale, nella vera libertà, afferma il Concilio, «l’uomo è segno altissimo dell’immagine divina» (GS 14-17).

«L’uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé» (GS 24).

Ma «quale deve essere l’entità di questo dono?». La risposta cristiana è chiara: il dono di sé deve essere totale.

«"Qual è il primo di tutti i comandamenti?". Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi» (Mc 12,28-31).

Il dono di sé per essere sincero, significa inoltre «perdere la propria vita» (cf. Lc 17,33).

«Sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: "In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti costoro hanno dato del loro superfluo come offerta, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,41-44).

La persona narcisista è incapace di «stabilire una relazione con l’oggetto completo» (Kernberg 1976). Nella relazione «sceglie solo gli aspetti dell’altro (sesso, intelligenza, affetto ecc.) che rispondono al proprio desiderio. Di qui l’incapacità per lei di vivere un amore stabile e duraturo.

Alcuni punti necessari per la totalità dell’amore, sono dunque:

La persona è chiamata a dire a Dio un "sì" senza condizioni, al dono totale di sé; questo "sì" non è però spontaneo, né facile(8). L’uomo «ha bisogno di salvezza e di aiuto per liberare tutte le sue energie di amore teocentrico». La crescita di ciascuno di noi quali membra del corpo mistico di Cristo, «è dono totale di Dio, è frutto del Suo amore per la persona umana». Ma è anche frutto della nostra collaborazione.

La capacità della persona di crescere nel dono di sé fino alla consegna totale all’unico Amore della sua vita, non è sempre crescente. Le cadute, frequenti e a volte rovinose, le regressioni al paradiso perduto dell’infanzia fanno parte dell’uomo, del suo essere situato nella storia. L’uomo vive continuamente in una difficile tensione fra poli contrapposti.

«Situata nella temporalità e nel limite, la persona umana che non può conoscersi e possedersi totalmente, non potrà neanche darsi o perdersi così totalmente da eliminare il rischio (o la possibilità) di riprendersi in un "dopo" o in un qualche altro modo»(9).

«Una funzione pedagogica rispettosa dei momenti di sviluppo dovrebbe cogliere nella situazione l’aspetto di mancanza (per es. l’ansia) e quella di presenza (desiderio implicito di fiducia e di apertura) come opportunità di crescita»(10).

La sintesi fra trovarsi e perdersi, fra presenza e assenza, infatti, non è possibile se non per grazia. «"Grazia" significa che mi viene dato ciò su cui io non ho potere e a cui non ho diritto, ma che mi rende, esso soltanto, ciò che desidero essere»(11).

Tutti noi desideriamo essere conosciuti interamente dall’Unico che ci dona a noi stessi e che nel dono ci rivela chi siamo. «Soltanto nell’incontro con Dio l’uomo apprende chi sia, poiché solo Lui può dirglielo»(12).

E quest’incontro, che realizza le attese più profonde e nascoste del cuore, compirà ciò che manca alla realizzazione del dono: l’olio prezioso della nostra esistenza sarà tutto versato sul capo e i piedi del nostro Dio e Signore e riempirà tutta la sua casa con il suo profumo.

III parte: Lo spirito della EAM

Vittima di amore

«Devi essere tutta per me come Io sono tutto per te»: questa espressione ricorre almeno tre volte nel diario di Madre Speranza; ed una volta è presente, in forma interrogativa, in un suo scritto autografo senza data, e riportata al n. 35 delle nostre Costituzioni(13).

Padre Mario Gialletti ci dà una sintetica e chiara visione dei tre periodi in cui possiamo leggere il diario della Madre. Ci soffermiamo brevemente sul secondo e terzo periodo.

Gli anni 1940-1944: «Sono gli anni nei quali la Madre fu al Santo Ufficio; impossibilitata a poter trattare e consigliare le sue figlie; gli anni della seconda guerra mondiale; della mensa degli operai; quando le vennero a mancare tre figlie e altre tre morirono; gli anni che ricordano la Professione perpetua della Madre (12.6.1942) e la posa della prima pietra della Casa di Via Casilina di Roma. […]. Del 1941, delle 31 date che la Madre segna nel suo diario, più della metà riflettono solo il suo stato d’animo e il travaglio interiore attraverso il quale il Signore la purifica e la unisce sempre più a Lui»(14). Scrive ancora: «Il 1944 si distingue per un crescendo sempre più intenso nel cuore della Madre del desiderio di unirsi più e più al Signore nella sofferenza: la Divina Provvidenza prepara per questo anno prove molto grandi: la più dolorosa fu la morte della señorita Pilar de Arratia che era stata di tanto valido aiuto alla Madre(15).

Il terzo periodo comprende gli anni 1951-1952 e «il 1952 è l’anno nel quale la Madre ha parlato più di se stessa […]. È evidente un’azione della grazia ancora più intensa di prima quasi a volere completare e perfezionare un cammino di tutta una vita fino ad arrivare al 4 aprile 1952 quando finalmente la Madre potrà scrivere: "Oggi mi sento felice, molto felice perché sento Te che mi dici che ormai ho acquisito quell’abitudine (hábito) che Tu tanto mi chiedevi"».

Consideriamo la prima citazione del 1941.

Il 25 novembre di questo anno la Madre scrive: «Gesù mio, mi dici che il tuo desiderio è quello che io dimentichi di più me stessa per possedere te, che lotti per godere la vera pace e che muoia a me stessa per vivere la tua vita, che è l’unione con te e che io devo essere tutta per Te come tu sei tutto per me, di conseguenza non devo cercare nulla, nemmeno me stessa fuori di Te, perché desideri essere per me tutte le cose»(16).

Siamo alla fine di un anno di sofferenze indicibili. Il giovedì santo dell’11 aprile, la Madre chiede di avere la fortuna di essere condannata lo stesso giorno in cui lo è stato Gesù. E di fatto il Sant’Ufficio dà una dolorosa sentenza: la Congregazione è accolta ad experimentum, ma Lei non può continuare a dirigerla.

Il 27 luglio, la Madre è invitata da Gesù a bere al calice che i suoi nemici o Lui stesso le vanno preparando; Lei desidera soltanto servire e far felice Gesù. «Signore, sono la tua schiava, ordina e disponi di me quello che vuoi…»(17).

Nell’ultima domenica di agosto muore una postulante di nome Silvana, ma la Madre è contenta, perché è testimone della pace con la quale questa sua figlia parte per il cielo.

Il 16 settembre, la Madre implora il perdono dei suoi nemici e dice a Gesù di pensare al bene che le hanno fatto, permettendole così di unirsi ancora di più a Lui, di soffrire per Lui e per la sua gloria: «Io ti prego, Padre di amore e di misericordia, dimentica tutto, non lo tenere più in conto e perdonali perché sono accecati»(18).

Il 22 settembre la Madre ha il cuore oppresso dal dolore della separazione dalle sue amate figlie, eppure capace di esclamare con molta frequenza: «Gesù mio, in Te ho posto tutti i miei tesori e ogni mia speranza. Tu mi dici, Gesù mio, che vuoi che io sia annegata in grandi sofferenze perché Tu possa avere la gioia di trovarmi degna del Tuo amore…»(19).

Il 4 e il 5 ottobre la Madre cerca Gesù, ma non lo trova. Lo chiama, ma non lo sente. Come lo Sposo del Cantico, Gesù è andato via. La Madre sta bevendo ancora una volta il calice di un gemito solitario, dove Dio stesso si nasconde, proprio come Gesù nel Getsemani.

«È questo il calice che mi avevi annunciato?» domanda, ma, come Gesù, non aspetta risposta, e rinnova il suo abbandono nella giustizia divina, perché in Dio e nella sua giustizia ha posto ogni speranza(20). Esercita la virtù della pazienza: attenderà tutto il tempo che il buon Gesù desidera, gustando in anticipo la gioia di essere nella sua misericordia: «Mi sento sola, abbandonata e afflitta! Ma io aspetto in Te, in quel modo, tutto il tempo che Tu vorrai e mi rallegrerò nella Tua misericordia»(21).

Il 29 ottobre La Madre non ha più parole di affetto da dire a Gesù. Si sente fredda come il marmo. Questo sentimento le sembra quasi insopportabile: anche questo, però, paradossalmente è segno della provvidenza di Gesù. La consolazione nella preghiera, la gioia nel dolore, sembrano venir meno. Ma è forse venuto meno l’amore? Madre Speranza è disposta a tutto; distingue bene, però, fra il sentire aridità, scoraggiamento, noia, stanchezza e il perdere fiducia nell’amore di Dio(22).

Il 18 novembre si evidenzia, nell’esperienza della Madre, la caratteristica principale della sua relazione con Dio, che mi pare un rapporto asimmetrico e reciproco insieme.

Il primo polo della relazione è la persona di Gesù, il suo Io divino e umano, la sua assoluta amabilità, la sua eterna bellezza, fonte inesauribile di ogni perfezione. L’altro polo è l’io della Madre, e per analogia, l’io dell’Ancella dell’Amore misericordioso. Un io imperfetto, ma perfettibile, nella misura in cui si conosce e nella sua ontologica debolezza aspira ardentemente all’unione intima con Dio, perché riconosce che, solo in quanto unito all’Io di Cristo, può trovare se stesso.

Gesù, la sua volontà, la sua croce risultano l’unico vero principio della perfezione(23).

I protagonisti sono impari: Dio e la creatura, il gigante nell’amore e la povera contadina. Il Cuore che emana sempre la misericordia e che sempre ama; il cuore che soffre la miseria dell’incostanza e della "titubanza" nell’amare (come scrive ancora il 17 ed il 27 novembre(24) ripetono lo stesso contenuto, o c’è un errore di battitura?).

Eppure, è la relazione stessa che porta l’io della Madre, che dovrebbe portare il nostro io a raggiungere la stessa cifra dell’amore. Non per nostro merito e nemmeno soltanto come premio dei nostri sforzi, semmai come candelina che attinge la sua luce alla fiamma ardente del cero pasquale, ma che arde ugualmente; che ha una forza tale da incendiare una foresta!

Non è dunque misurabile l’entità del dono, perché è reciproco e totalizzante.

Io sono tutto per te; ci dice l’Amore, ma se tu mi ami non puoi non essere tutto/a per me!

Io sono crocifisso per te; se tu mi ami cercherai la croce come me.

Per questo la Madre cercava il dolore, non per ripiegarsi su di sé, quasi in maniera masochistica, o vittimistica, ma alimentando in se stessa la stessa ansia di salvezza che ha portato Gesù ad immolarsi vittima per amore.

L’amore della salvezza di tutto il mondo diventa l’amore fino al sacrificio di sé sulla croce(25).

La totalità è dunque il distintivo dell’amore crocifisso: se Dio ha amato così tanto il mondo da dare il suo Unigenito (cf. Gv 3,16); da sacrificare la sua stessa paternità, mentre il suo Figlio amato moriva «nudo, calunniato, disprezzato, offeso dagli insulti più crudeli», potrò io negargli qualcosa?

Se Lui mi chiede di essere la sposa, la schiava del suo amore e di vivere una vita di espiazione, unita a Lui, come il tralcio alla vite, come il chicco di grano che diventa pane per gli altri, potrò io dirgli di no? Non sarò tutta per Lui come Lui è tutto per me(26)?

Il 24 dicembre la Madre rinnova la sua offerta all’Amore misericordioso come Vittima di espiazione: Lei desidera riparare la poca gratitudine dei consacrati e le molte offese che il buon Gesù riceve dai suoi Sacerdoti. Fin dalle prime battute del Diario, ci risuona nelle orecchie il tema della vittima(27). Che significa questo?

La Vittima è Gesù. Soltanto Lui può donarsi completamente, perché è l’infinita perfezione del dono. Ma Gesù, che è vero Dio e vero uomo, chiede la nostra accoglienza. L’Amore che domanda amore non può rimanere disatteso.

Le nostre ingratitudini, le offese di per sé non diminuiscono il valore del dono, che è appunto infinito, ma lo rendono vano.

Ma il nostro amore, l’offerta di tutto l’amore di cui sono capace, apprezza il dono, ne svela il valore.

Nell’icona evangelica che abbiamo contemplato i discepoli, Giuda, Simone il fariseo non capiscono il gesto della donna; lo travisano completamente; lo criticano; lo disprezzano. Invece, l’amore della donna aveva colto in anticipo che Gesù era lì per farsi dono.

E ha restituito al dono di sé che Gesù stava per compiere, tutto il suo valore profetico, la sua forza drammatica e sconvolgente.

Che cos’è il dono della donna rispetto al dono di Gesù? L’offerta di un vasetto di olio profumato.

Un gesto semplice e povero, ma che viene concepito e attuato in relazione al gesto supremo di Gesù, che rompe per noi il vaso della sua vita, spesa per amore fino alla fine e ci restituisce il profumo dell’eternità.

Che cosa può essere l’offerta, il voto di vittima di un’Ancella dell’Amore misericordioso?

Certamente poca cosa. La Madre lo sapeva molto bene; per questo scrive: «È molto poco, Dio mio, ciò che ti dono per una riparazione così grande, ma tu, Gesù mio, unisci la mia offerta al tuo amore e alla tua misericordia e tutto resterà saldato»(28).

Consideriamo infine un sola data dell’anno 1952, senza fare riferimento al contesto:

Il 7 marzo Gesù ha fatto con la Madre «una vera pazzia d’amore». La Madre esclama con chi ha presenziato a quell’incontro: «Che Padre! Che amico! Che sposo! Che tutto! Ha cosparso il mio spirito con questo balsamo soavissimo dell’amore, che Lui chiama il balsamo del dolore, del sacrificio e dell’abnegazione e che io posso soltanto chiamare il balsamo dell’amore […]. E a questo delicato profumo ha aggiunto queste dolci frasi d’amore: "Tu devi essere tutta per Me come Io lo sono per te e così non temere nulla, non cercare nulla, nemmeno te stessa fuori di Me, perché desidero essere per te tutte le cose"»(29).

Non so se a voi pare una forzatura, ma per me questa esperienza della Madre è assimilabile a quella della donna del Vangelo che abbiamo letto insieme.

Soltanto che qui è la Madre che riceve da Gesù un’unzione speciale…

Possiamo immaginare che anche in quella notte, la Madre abbia ricevuto il dono di soffrire in modo particolarmente intenso la Passione di Gesù, forse il suo sudore di sangue, e che il forte desiderio di conformarsi a Gesù le consentiva ormai di sperimentare come unico, il balsamo del dolore e quello dell’amore.

Possiamo leggere questa esperienza alla luce di quell’abito che il Signore infonde nel suo spirito e porta a compimento nella sua vita, nella data già citata del 4 aprile dello stesso anno, meno di un mese dopo: pensare, amare, volere "sempre fissi" in Dio. «Tutti i miei affetti, i miei desideri e tutto ciò che costituisce il mio essere e la mia persona, tutto ti ho dato per sempre»(30).

Lo spirito dell’Ancella dell’Amore misericordioso è questo: essere e farsi vittima d’amore con Gesù, perché il dono di sé sia davvero totale; piccola goccia nell’abisso della sua misericordia.

Pensare, amare, volere unite al buon Gesù, perché il balsamo del dolore per amore, cosparga il capo e i piedi dell’umanità. Gesù, che si lascia ungere e toccare dalla mia miseria, mi cosparge con il balsamo della sua misericordia.

«Dio Amore misericordioso vuole benigno elargire le ricchezze della sua misericordia»(31).

E anche attraverso la mia piccola offerta, il mondo si riempirà del suo profumo.


[1]   Cf. Gv 8,58.

[2]   Ap 3,15b-16. Cf. La Bibbia. Nuovissima versione dai testi originali, Cinisello Balsamo (MI) 1982; trad. di F. Pasquero.

[3]   Madre Speranza di Gesù, Consigli pratici, 36.

[4]   Madre Speranza di Gesù, Consigli pratici, 26-27.

[5]   cipriano, Trattati: Collana di Testi Patristici, CL XXV, Roma 2004, 108.

[6]   L.M. Rulla, Antropologia della vocazione cristiana. I. Basi interdisciplinari, Bologna 1997, 259-266.

[7]   L.M. Rulla, Antropologia della vocazione cristiana. I. Basi interdisciplinari, Bologna 1997, 262.

[8]   L.M. Rulla, Antropologia della vocazione cristiana. I. Basi interdisciplinari, Bologna 1997, 420-423.

[9]   F. Imoda, Sviluppo umano, psicologia e mistero, Casale Monferrato (AL)  1995, 338.

[10]   F. Imoda, Sviluppo umano, psicologia e mistero, Casale Monferrato (AL)  1995, 333.

[11]   R. Guardini, Accettare se stessi, Brescia 1992, 63.

[12]   R. Guardini, Accettare se stessi, Brescia 1992, 62.

[13]   Cf. Camino hacia la santidad, Collevalenza (PG) 1968, 71. Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso, Tutto per Amore. Costituzioni, Collevalenza (PG) 1983, art. 35, 54.

[14]   P.Mario Gialletti, La testimonianza di Madre Speranza, Profili di Madre Speranza 8, Collevalenza (PG) 1987, 12-13.

[15]   P. Mario Gialletti, La testimonianza di Madre Speranza, Profili di Madre Speranza 8, Collevalenza (PG) 1987, 17.

[16]   Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 149: «Me dices, Jesús mío, que tu deso es que me renuncie más a mí misma para poseerte a Ti, que luche para gozar de la verdadera paz y que muera yo a mí misma para vivir la vida tuya, o sea, la unión contigo y que yo he de ser toda para Ti como Tú lo eres todo para mí y que, en consecuencia, no debo buscar nada, ni aún a mí misma fuera de Ti, pues deseas ser para mí todas las cosas».

[17]   Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 141: «Señor, soy tu Esclava, ordena y dispón de mí como quieras y haz lo que te plazca y no mires mi flaqueza sino que desde un principio mi corazón lo aceptó todo, y  mi espíritu lo deseó y desea pues yo, Jesús mío, tiempo hace que no vivo sino para Ti y con el deseo de que Tú mores siempre en mí».

[18]   Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 141: «Y yo te ruego, Padre de amor y misericordia,olvides, no cuentes y perdones porque están obcecados».

[19]   Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 142: «Mucho sufro, Jesús mío, viéndome aislada de mis queridas hijas, privada del consuelo de poderlas guiar, aconsejar, corregir y enseñar, pero con el corazón pasado de dolor y a la vez rebosando júbilo, por estas pruebas y sufrimientos que Tú te complaces enviarme, exclamaré con mucha frecuencia: "Jesús mío, en Ti he puesto todos mis tesoros y toda mi esperanza". Tú me dices, Jesús mío, que quieres que sea agobiada con grandes sufrimientos, para tener el placer de hallarme digna de tu amor y para que te dé el más brillante testimonio de mi fe en tus promesas, y me dices que quieres también que te dé pruebas de fidelidad y fortaleza. Dame, Jesús mío, tu amor y después cuanto quieras».

[20]   Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 142: «Es éste, Jesús mío, el cáliz que me anunciaste? ¿Te agrada verme gemir sola? si así es, yo te digo una y mil veces Dios mío, que mi confianza y abandono la pongo en tus manos y así te diré muchas veces, Jesús mío, yo he puesto toda mi esperanza en Ti, sálveme, Dios mío, tu justicia».

[21]   Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 143: «Ahora no te siento, ni te hallo y así me siento, ni te hallo y así meencuentro sola, desterrada y afligida. Pero yo esperaré en Ti, de esta manera, el tiempo que Tú quieras, y me gozaré y alegraré en Tu misericordia».

[22]   Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 145. «Ya sabes, Jesús mío, lo mucho que estoy sufriendo en mi destierro y también el martirio que siento, al ver que mi corazón ya no arde en tu amor, ni siento aquellas dulzuras del amor de la comunicación íntima con Vos; ¡me hallo, Jesús mío, como un mármol, no sé decirte nada! […] Ven en mi ayuda, Jesús mío, y no me des consolaciones, pero sí amor, mucho amor».

[23]   Cf. Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 147-148: « Me dices que debo tener muy presente que el conocimiento tuyo tiende al amor, ya que todo cuanto hay en Ti es amable y que el conocimiento de mí misma, me mostrará la necesidad que tiene mi alma de la unión Contigo, me hará suspirar ardientemente por Ti y me arrojaré completamente en tus brazos, confiada siempre en tu divina Voluntad y que ésta es la que me unirá más y más directa e indirectamente Contigo que eres fuente de toda perfección».

[24]   Cf. Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 147. 149: «¿Por qué, Jesús mío, mi corazón sufre estas alternativas a pesar del amor que siento hacia Ti?».

[25]   Cf. Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 148: « Concédeme la gracia de que yo lllegue a amar fuertemente la cruz y que el deseo de la santificación de tus Sacerdotes, haga que yo me sienta feliz viviendo una vida de expiación, llegando no sólo a amar el dolor, la mortificación y la cruz, sino a desearla con verdaderas ansias, ya que el amor de la salvación de las almas, el del sufrimiento y especialmente el de la cruz, ha sido tu amor hasta el sacrificio de Ti mismo».

[26]   Cf. Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 150: « Tú por mí has sufrido tanto, tanto, al grado de morir desnudo en una cruz, calumniado, despreciado, abatido y en medio de los mayores insultos; y yo, ¿podré negarte nada? ¿no buscaré tu gloria cuésteme lo que me costare? y ¿no seré toda para Ti, como Tú lo eres todo para mí?».

[27]   Cf. Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 5.

[28]   Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 151: «Muy poco es, Dios mío, lo que te doy para reparación tan grande, pero únela, Jesús mío, a tu amor y misericordia y todo quedará saldado».

[29]   Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 244-245: « Día 7 de marzo 1952 - Esta noche, Padre mío, el Buen Jesús ha hecho conmigo una verdadera locura de amor. Vd. lo ha presenciado, El ha querido que Vd. sea testimonio de sus finezas en el amor.¡Qué Padre! ¡qué Amigo! ¡qué Esposo! ¡qué Todo! ha embalsamado mi espíritu con ese bálsamo suavísimo del amor, llamado por El el bálsamo del dolor, del sacrificio y abnegación, y yo sólo le puedo llamar el bálsamo del amor; ese aroma delicado que hace salir el alma de una, para entrar dentro de su Amado; esa suavidad que hace salir del corazón consoladoras frases de cariño para El; ese perfume que El sólo sabe preparar y que deja el alma atacada a El sin darse cuenta de lo que a su alrededor pasa; este bálsamo que produce en el alma hambre y sed de su Dios y hacen que, como el ciervo sediento, corra a la fuente del amor.Y a este delicado perfume ha añadido estas dulces frases de amor: "tú has de ser toda para Mí como Yo lo soy para ti, y así nada temas y nada busques, ni a ti misma fuera de Mí, pues quiero ser para ti todas las cosas".¿Qué corazón resiste todas estas finezas sin encenderse en el amor de su Dios?Yo, Padre mío, me siento hoy tan fuertemente herida, que debo decirle que me parece no puedo soportar la violencia de este fuego, ni me siento capaz de continuar escribiéndole lo que siento dentro de mi alma».

[30]   Madre Esperanza de Jesús, Diario, Collevalenza (PG) 2000, 263: «Todos mis afectos, mi deseos y todo lo que constituye mi ser y mi persona, todo te lo he dado para sempre…».

[31]   Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso, Todo por Amor, Costituzioni, Collevalenza (PG) 1983, art. 1, 19.