MADRE SPERANZA
NEL MIO RICORDO

Pasquale Di Penta

Le testimonianze del pomeriggio sono aperte da un intervento significativo e che ci riporta ad uno dei momenti, per varie ragioni molto difficili, della presenza di Madre Speranza a Roma. Questa testimonianza ci verrà offerta dal signor Pasquale Di Penta, fratello di padre Alfredo di Penta (primo Figlio dell'Amore Misericordioso), che ha vissuto con la Madre le fasi decisive e, come sentiremo, per molti aspetti davvero eroiche della costruzione della casa di via Casilina. Lo ringraziamo per la testimonianza che ci offre e gli diamo la parola.

 

 

E' la prima volta che io parlo in pubblico, ma siccome parlo ad amici di Madre Speranza, ho accettato volentieri l'invito. Racconto, per introdurmi, un piccolo episodio che è accaduto il giorno 7 gennaio di quest'anno, sull'autostrada Roma - Napoli. Avevo un appuntamento con mio nipote, ragionier Baccarella, per andare a una riunione e mia figlia veniva da Bari. Partiamo con una mezz'ora di ritardo. Arrivati all'incontro con gli altri due che mi aspettavano, dico al mio autista: «Lascia guidare al ragionier Baccarella, perché ha più esperienza di te ed è più veloce.» Naturalmente andiamo con la mia mercedes all'incontro. Premetto che io in macchina, o discuto o faccio le mie preghiere, nelle quali mi rivolgo sempre a Madre Speranza, perché mi accompagni nel mio viaggio, mi illumini, mi assista e mi protegga. Sono solito dire a Madre Speranza: «Madre, tu sai che ho tre cose da risolvere; mi hai incoraggiato a risolvere l'ultima cosa, chiedo che tu interceda presso il Signore, perché mi faccia vivere quel tanto che è necessario perché io possa risolvere queste tre situazioni». Finito di dire questo mi rivolgo al ragioniere e gli dico: «Noi stiamo con le gomme da neve, andiamo a 175 chilometri l'ora, diminuisci la velocità». Non finisco di dire queste parole che scoppia una gomma. La macchina s'impunta, va dritta al guardarail frontalmente, a mezzo metro da me, vedo il guardarail e dico: «Siamo morti». Non finisco di pronunciare queste parole che la macchina si gira e dall'urto frontale passiamo a quello laterale; l'urto fu potentissimo. Dopo l'urto feroce ci trovammo in mezzo alla strada e al mio guidatore, non sempre di riflessi pronti, dico: «Ti vuoi togliere dal mezzo della strada? Siamo sulla Roma-Napoli.» Ci spostiamo appena appena e una fila di macchine ci sorpassa. Nessuno di noi si è fatto niente, nessuno di noi ha fiatato... Nel momento in cui eravamo in mezzo alla strada a quella velocità che ho detto, ricordai ciò che Madre Speranza mi aveva detto una volta: «Lino, il Signore a ognuno di noi, prima di morire, dà il tempo per chiedere perdono dei propri peccati...» Ed io: «Madre Speranza, non ho chiesto perdono; vuol dire che non dovevo morire.» Naturalmente venne la polizia stradale per fare il verbale e, dire che andavamo a quella velocità, significava andare in galera tutti... Il carro attrezzi ci portò alla prima stazione di servizio e lì, sostituita la gomma, chiesi se era possibile continuare o no il viaggio. «Madre Speranza, non farci perdere tempo, facci concludere questo programma!» Con Madre Speranza sono in continuo colloquio, poi dirò il «perché».

Come ho conosciuto Madre Speranza? Non sapevo né che esistesse lei né la Congregazione Religiosa. Una mattina, di diversi anni fa, viene il mio ragioniere e mi dice: «Le posso far perdere cinque minuti? Però non si deve arrabbiare.» Mi ha telefonato mio zio, che non vedo da vent' anni, non sa che sono ragioniere, non sa che lavoro da voi, per informarmi che Madre Speranza gli ha detto: «Parla con uno dei titolari dell'azienda per dire che io lo voglio incontrare in un appuntamento.» Io pensai che parlare con una Madre Fondatrice fosse imbarazzante per me. Tuttavia si fissò un appuntamento. Andai da Madre Speranza e, nel salotto dove l'attendevo, mi sentivo in imbarazzo. A un dato punto entra la Madre accompagnata da suor Emilia che me la presenta appunto come la Madre Fondatrice. Io, per rispetto, le bacio la mano, ci sediamo e penso tra me e me: «Ora cosa si fa...?!» «Lino - mi dice la Madre, togliendomi d'imbarazzo - io ho bisogno di fare questa costruzione e il lavoro lo voglio dare a voi». «Madre, rispondo io, mi faccia vedere cos'è...!» Mi dà tutti i disegni e poi: «Madre, questo lavoro è troppo piccolo per noi; noi siamo una grossa impresa, non facciamo lavori così piccoli, come faccio a farle questo lavoro?» «Lino, mi devi fare questo lavoro.» Pur non avendo stabilito alcun prezzo, vado nel mio ufficio, ne parlo con i miei collaboratori, i quali confermano appunto che non era lavoro per noi. Quel lavoro non potevamo farlo; avremmo perso solo del tempo e le spese generali sarebbero state talmente alte che avremmo fatto una brutta figura, poiché non avremmo potuto concorrere con le piccole imprese. Ma, nonostante tali argomentazioni, conclusi di occuparmene io personalmente nelle ore in cui potevo essere libero, evitando così le spese generali. Facciamo un preventivo e vengono fuori 70 milioni. L'impresa che c'era prima di noi, che Madre Speranza aveva interpellato, aveva fatto una richiesta di 270 milioni per lo stesso lavoro. Siamo nell'anno 1949, l'inizio dell'Anno Santo. In quel tempo a Roma era difficilissimo trovare imprese che potessero fare quel lavoro, perché le condizioni dichiarate da Madre Speranza erano le seguenti: «Io non ho una lira, pago con gli incassi dell'Anno Santo.» Non è che questo metteva in difficoltà la nostra impresa, perché a un certo punto i soldi potevano essere prelevati dal mio conto, anticipandoli per riprenderli alla fine; ormai mi ero impegnato e dovevo andare avanti. L'impresa che aveva fatto l'offerta ci telefonava per dire: «Essendo in due a fare l'offerta alla Madre, perché non ci mettiamo d'accordo?» «Io ho chiesto 270 milioni, voi fate la vostra offerta, dividiamo a metà, perché siamo solo noi due a concorrere e ci mettiamo insieme.» A questa proposta rispondo che, quel modo di fare, non era nelle nostre abitudini; la nostra era un'impresa seria per cui non era solita fare cose del genere. Ritorno da Madre Speranza, dicendo: «Madre, il lavoro glielo facciamo.» E lei: «Ti ringrazio.» «Di che cosa mi ringrazia?» «So che hai dovuto lottare con i tuoi che sono tutti contrari nel fare questo lavoro.» Da notare che il discorso tra noi dell'impresa era avvenuto a mezzogiorno; io, nel pomeriggio, vado da lei e, nel sentirla parlare così, penso tra me: «Ma chi può averglielo detto?» E la Madre: «So anche dell'altra impresa che voleva che vi metteste d'accordo...» Mio padre era un grande costruttore e fra le raccomandazioni importanti: «Ricordati, non demolire mai chiese, non fare mai carceri, con i religiosi fai delle offerte oneste, giacché tutto quello che metti in più lo perderai.» La nostra offerta era più che onesta, perché avevo tolto tutte le spese generali, dunque un buon 15%.

Qui inizia il mio rapporto con Madre Speranza. Trattavo sempre con lei, mi onorava della sua presenza. Una volta mi permisi di dirle: «Madre, ma perché va a lavorare in cucina, visto che ha tanto altro lavoro da fare?» «No, caro Lino, io debbo fare i lavori più umili che fanno le mie figlie.» Ed io: «Madre, sbucciare le patate?» «Certo, io faccio tutto.» La mattina, quando andavo, lei era sempre onnipresente; quando mi voleva parlare me ne accorgevo, perché sostava un po' di più e, senza che io dicessi nulla, parlava lei. La Madre aveva fatto un contratto di accoglienza a pellegrini per l'Anno Santo; questo contratto glielo volevano annullare a tutti i costi. Viene il Vescovo di Monaco, vede i lavori e dice: «Ma come facciamo? Mancano tre mesi per l'apertura dell'Anno Santo, voi dite che farete il fabbricato, intanto qui non c'è niente.» Ed io: «Eccellenza, mi vuole sentire?» E, poiché conoscevo la sua prevenzione e tutto il resto, avevo preparato un bellissimo foglietto, nel quale avevo annotato, per dirlo, con quale ditta tedesca e quale banca tedesca avevamo rapporti di conoscenza. «Guardi, Eccellenza, noi siamo una grande impresa, facciamo questo lavoro per Madre Speranza; ecco le nostre referenze. Le do il nome delle quattro ditte e delle banche, perché lei possa chiedere informazioni e quindi tranquillizzarsi.» «Va bene, tornerò», rispose. Naturalmente la lotta continuava... Volevano togliere la possibilità alla Madre di accogliere pellegrinaggi. Nel frattempo Madre Speranza m'invitava sempre ad assistere alle riunioni. Un certo giorno vengono cinque o sei persone per trattare con Madre Speranza e le fanno proposte impossibili. Esse avrebbero preso la gestione, le suore avrebbero fatto tutto e poi quello che s'incassava alla fine si divideva. Risultava, in sostanza, che loro non facevano niente. Posta al mio fianco Madre Speranza non parlava e allora io, persa la pazienza, dissi quello che dovevo dire e, terminati i discorsi, rivolto alla Madre: «Madre, senza la sua autorizzazione mi sono permesso di fare questo. Le chiedo scusa, non ne potevo più.» E la Madre: «Lino, hai detto quello che volevo dire e che non potevo dire; ti ringrazio!» «Madre, mi solleva da questo bell'imbarazzo e ci togliamo di mezzo questi filibustieri.» I problemi erano comunque sempre tanti; ci volevano togliere a tutti i costi i pellegrini. Tuttavia, io cominciai i miei lavori e, ad un certo punto, sotto il piano terra, trovammo delle caverne. Le cose si complicavano un po' per i tempi, e io: «Madre, ma sotto ci sono delle caverne..?!» E lei: «Sta' tranquillo che le utilizzerò.» A due mesi dall'inizio dei lavori ritorna quel Vescovo; apriamo la solita discussione ed io: «Eccellenza, quando è venuta due mesi fa, non c'era niente; oggi ci sono tre piani e lei mi dice che non finiamo in tempo i lavori... Io dico che la casa si aprirà il 24 dicembre.» Andando avanti con i lavori, superando tante difficoltà e lavorando 24 ore su 24, con l'aiuto validissimo e grande che le suore davano, si era già a buon punto con la costruzione, quando un quindici giorni prima dell'apertura, Madre Speranza mi dice: «Lino, io ho bisogno di 500 posti letto.» «Madre, 500 posti letto? noi ne abbiamo in tutto 320. Come facciamo a farne diventare 500?» «Lino, ricordati che al Signore nulla è impossibile.» Non potei dormire tutta la notte: altri 250 posti letto da trovare... L'indomani la Madre mi fa vedere le camerate delle suore che avrebbe messo a disposizione e, con l'aiuto di Dio e di Madre Speranza, trovo la soluzione. Dico al mio personale di portare alla Casilina tutto il materiale, perché durante la notte c'era da lavorare. Riusciamo così a fare questi famosi alloggi, arrangiandoci con bende fatte dalle suore, per evitare porte che avrebbero occupato spazio. «Madre - dico io - mancano 15 giorni all'apertura dell'Anno Santo, i letti e altro arredo?» E la Madre: «Lino, io non ho niente, pensaci tu, né ho soldi; c'è da ordinare 550 letti, 1100 sedie, i tavoli, 2200 lenzuola, federe, asciugamani, piatti e tutto il resto..., pensaci tu, io non ho una lira.» Io, in quel momento, non potevo prelevare 30 milioni (da notare che 30 milioni di allora, nel 1949, era una cifra...!) e pregai mio fratello Alfredo, oggi padre Alfredo - primo Figlio dell'Amore Misericordioso - di aiutarmi, giacché, in quel momento, collaborava con me. Insieme si vede un po' e si fa il conto: venti chilometri di tela. Do i soldi a mio fratello, il quale va dal negoziante e questi gli fa notare l'assurdità della richiesta: venti chilometri di tela..., tuttavia s'impegna a procurarla, anche perché il pagamento sarebbe stato in contanti. C'era però da confezionare tutta la tela... A questo avrebbero pensato le suore.

Avanti di questo passo, tra una lotta e l'altra, cominciamo l'Anno Santo. «Mi puoi assistere, Lino - mi chiede la Madre - un po' la sera, quando arrivi?». «Madre, lo faccio volentieri - rispondo - non si preoccupi, posso fare tutto quello che lei vuole». Eravamo abituati a organizzare le mense di cantiere... Domando come ci saremmo dovuti organizzare e la Madre mi dice che avrebbero fatto loro (lei e le suore). Io dovevo solo stare in portineria; per ogni piano una suora; altre suore avrebbero accompagnato i pellegrini nei vari piani, mano a mano che arrivavano, per distribuirli nei piani a seconda dell'età e dell'esigenza. A un certo punto dico alla Madre: «Madre, non sono 350, sono 500.» «Si, lo so, Lino.» «Madre - replico io - che facciamo?». «Lascia correre...» Era facile contare... «Per la prossima volta, li inquadriamo - dissi alla Madre - così come facciamo nei nostri cantieri; e cioè: a ognuno che viene diamo un tesserino e senza tesserino non si mangia, non si entra in casa...» «Bene, bene, diamo a tutti il tesserino, questa volta.» Naturalmente quelli del pellegrinaggio mi odiavano... avevano infatti chiesto a Madre Speranza di mandarmi via, supponendo che fossi un impiegato, mentre, per quelle cose lì, io non ho preso mai un centesimo; l'ho fatto con piacere, con amore proprio per dare una mano a Madre Speranza. Ma state a sentire... Dopo un mese la Madre mi cambia tutte le suore e io: «Madre...?!» E lei: «Ci risiamo... Lino, non ti preoccupare, tu pensa alla portineria, al resto penso io.» «Scusi, Madre, ho avuto l'impressione che si dovesse ricominciare tutto daccapo, ora che andava tutto così bene..?!» Durante i pellegrinaggi, naturalmente si avvicendavano le solite difficoltà, dicerie e tutto il resto... come ad esempio venire in più persone e non pagare..., la gente impiegava tanto tempo, troppo per mangiare, sebbene le suore facessero il mangiare in meno di mezz'ora; dunque voleva dire che le suore, ben organizzate, servivano rapidamente i pellegrini.

Un giorno arriva il Vescovo, alle ore venti, con una trentina di persone e io: «Eccellenza, se lei vuole restare a cena...» Quindi io lo invito senza aver detto nulla a Madre Speranza. La trovo in cucina e riferisco, dicendo che mi ero permesso di invitare il Vescovo e lei: «Se è venuto qui c'è un motivo.» In quel momento erano disponibili Madre Ascensione, Madre Speranza, qualche altra suora anziana che non era andata ancora a pregare né a letto. «Madre - dico io - lei li faccia accompagnare qui fino alla porta della sala da pranzo; dalla sala da pranzo in poi ci penso io.» Insomma, in un quarto d'ora i pellegrini avevano mangiato e il Vescovo: «Che mi vengono a dire che qua, per mangiare, ci vogliono due ore.... Siamo venuti all'improvviso e, in un quarto d'ora, ci avete fatto mangiare. Che cosa mi vengono a raccontare...?» «Eccellenza, le raccontano cose sbagliate; la prossima volta non li stia a sentire.» Questo fu l'ultimo ostacolo che ci procurarono.

Adesso parlo della mia vita con la Madre Speranza. Ho fatto sacrifici per la Madre e li ho fatti volentieri. Il risultato è che sono stato largamente ricompensato. Oggi sono aiutato da lei in tutte le mie cose. La mia vita, dopo aver conosciuto Madre Speranza, è cambiata. Io facevo il costruttore, avevo lavori di un certo impegno con tutto quello che ciò comporta. Lavoravamo in sud Africa e in altri posti per costruire gallerie, ecc. Andavo da Madre Speranza e, prima che io parlassi, lei mi diceva: «Lino, hai questa difficoltà: tu vuoi fare dei pozzi.» «Sì, Madre.» «E' giusto farli, perché facendo questi pozzi, tu risolvi il lavoro.» Tutto questo discorso senza che io parlassi. Questa cosa si è ripetuta tante e tante volte. Pensate... una suora qual era la Madre, entrava in cose così lontane dalla sua esperienza...! Lei mi ha detto tante cose di cui ho fatto tesoro. A un certo punto ho avuto preoccupazioni per la mia salute e lei: «Lino, non ti preoccupare, vedrai i tuoi figli laurearsi, vedrai i tuoi figli sposare, vedrai i tuoi nipoti e giocherai con loro. Sta' tranquillo!» Oggi io ho 85 anni e ringrazio Dio e Madre Speranza. Naturalmente, durante la giornata, sempre mi rivolgo a lei e le chiedo di illuminarmi, di aiutarmi nelle cose che faccio. Ho avuto tante grazie da lei.

Nel concludere, ciò che voglio sottolineare è che, per l'aiuto che io ho dato alla Madre, la sua ricompensa è sempre stata abbondante.

Ripenso alle sue parole: «Ricordati, che il Signore ti manda quello che tu puoi sopportare, e tu sopporta sempre quello che Dio manda e non ti lamentare mai, sopporta con rassegnazione e amore e vedrai che nella vita tutto ti andrà bene.»

Questa è, in sintesi, la Madre Speranza nel mio ricordo.

 

 

Questo applauso rappresenta l'espressione di ringraziamento più sentita per la testimonianza che ci è stata offerta e che ci ha riportato a quello che potremmo chiamare l'eroismo delle origini nel cammino di Madre Speranza in Italia.