Don Giovanni Masayuki Shirieda

"BUDDHA COMPASSIONEVOLE E DIO MISERICORDIOSO"

I PARTE

FENOMENOLOGIA: Il Buddhismo è religione dell'amore

Il Buddhismo considera l'amore come virtù fondamentale nelle sue pratiche, pur preferendo adoperare i termini come BENEVOLENZA ("maitri" in sanscrito e "metta" in pali) e COMPASSIONE ("karuna").

La fonte antica Itivuttaka, che in pali significa "Così è stato detto", canta un magnifico inno di amore:

"Nessuno dei mezzi atti ad acquistare merito religioso qui nel mondo, vale, o monaci, la sedicesima parte della benevolenza, redenzione del cuore. La benevolenza, redenzione del cuore, a tutti sovrasta e rifulge, sfolgora, brilla.

E come, o monaci, nessuna luce di stelle vale la sedicesima parte della luce lunare, ma la luce lunare soverchia quella degli astri e rifulge, sfolgora, brilla; così pure, o monaci, nessuno dei mezzi atti ad acquistare merito religioso qui nel mondo vale la sedicesima parte della benevolenza, redenzione del cuore.

E come, o monaci, nell'ultimo mese della pioggia d'autunno, il cielo è limpido e senza nubi, si leva alto il sole nel cielo e dissipando l'oscurità che riempie l'aria rifulge, sfolgora, brilla; così pure, o monaci, nessuno dei mezzi atti ad acquistare merito religioso qui nel mondo vale la sedicesima parte della benevolenza, redenzione del cuore.

E come, o monaci, di notte verso l'alba la stella del mattino rifulge, sfolgora, brilla; così pure, o monaci, nessuno dei mezzi atti ad acquistare merito religioso qui nel mondo vale la sedicesima parte della benevolenza, redenzione del cuore" (1).

Il Buddha inculca questa virtù in modo particolare ai monaci:

"Tutti i monaci e le monache devono nutrire, non cuori corrotti ed empi, bensì cuori benevoli tali da non essere mai biasimati né umiliati in quel giorno" (2).

"Il monaco che dimora nella benevolenza (metta-viharin) ed è chiaro nell'insegnamento del Buddha, raggiunge la via della pace, la calma dei Sankhara, la gioia" (3).

Tale amore è l'amore quanto mai purificato, paragonabile all'amore di una madre:

"Come una madre difenderebbe con la vita il suo proprio figlio, il suo unico figlio, così sviluppi un animo illimitato di benevolenza nei riguardi di tutti gli esseri viventi.

Coltivi benevolenza ed animo illimitatamente benigno per tutto il mondo: in alto, in basso e in ogni altra direzione senza impedimento alcuno, amorevolmente con animo pacifico.

Che stia fermo o che cammini, che sieda o che giaccia, finché è desto, coltivi assiduamente questo sentimento di benevolenza. Tale disposizione d'animo - com'è stata detta - è veramente sublime (brahma-vihara) (4)".

Come si nota già nella suddetta citazione, l'amore buddhista dev'essere illimitato e universale, vale a dire di massima intensità ed esteso non solo agli uomini ma anche a tutti gli esseri viventi:

"A chi intento coltiva illimitata benevolenza (metta appamana) distruggendo le basi della rinascita sono tenui i legami di trasmigrazione.

E se colui il quale con animo puro dimostra benevolenza (mettayati) per un solo essere vivente acquista perciò del merito; un più grande merito acquista il santo compassionevole (anukampam) verso tutti i viventi.

Quei saggi sovrani i quali, conquistati popolosi territori, andarono in giro offrendo sacrifici, non ottennero la sedicesima parte di ciò che ottiene colui che ha l'animo intonato alla benevolenza (mettacitta) come lo splendore della luna supera quello di tutte le stelle insieme (5)."

Fu esempio di tale amore anzitutto il Buddha:

"Con tutti io sono amico (sabbamitto(6)), di tutti compagno, e con tutte le creature sono buono e compassionevole; io coltivo un cuore di benevolenza e la gioia mia è sempre nella benevolenza".

Il Buddha si autodefinì "buon amico di tutti" (kalyanamitta (7)) e di fatto fu amato e stimato come "il Compassionevole" (karunika), "il Misericordioso" (anukampin), "il Medico" (tikicchaka) e "il nostro Padre e Nonno" (pitu-ayyaka):

"Budda, sei gran Saggio e Compassionevole" (8),

"il Procuratore del supremo bene e il Misericordioso" (9).

"Egli è il Vincitore che sa tutto e vede tutto,

il Maestro infinitamente compassionevole

e il Medico di tutto l'universo" (10).

"Tu sei Padre dei nostri padri, o Sakka;

nel Dharma mi sei Nonno, o Gotama" (11).

D'altronde, il motivo per cui il Buddha rimproverò i bramani induisti fu proprio quello di aver dimenticato tra i mezzi di far del bene quello principale: la compassione (anukampa (12)).

L'eminente grado della virtù di benevolenza-compassione raggiunto dal Buddha fu testimoniato da Maha-Kasyapa, uno dei dieci discepoli del Buddha e il primo capo della comunità buddhista dopo la scomparsa del Fondatore, in occasione del funerale del Maestro. Egli tenne il panegirico funebre e disse fra l'altro:

"Egli (Buddha) fu compassionevole;

nessuno essere vivente fu mai ferito da colui

che aveva come armatura la misericordia" (13)

II PARTE

CRITICA: L'amore buddhista, nonostante l'apparente somiglianza è del tutto differente da quello cristiano.

Prima di tutto il Buddha, un personaggio storico di nome Gotama Sakyamuni, che visse in India nel 5^ secolo avanti Cristo e raggiunse l'illuminazione scoprendo la Buona Legge (saddharma) e la predicò per tutta la vita, fu un semplice UOMO. Egli si distinse nettamente dalla Legge (Dharma) che esiste dall'eternità indipendentemente da lui. Egli si limitò a scoprirla e predicarla:

"Indipendentemente dal fatto che il Tathagata (Buddha) sia nato o no, la Legge (Dharma) fu determinata come tale, stabilita come tale. Il Tathagata è colui che ne è perfettamente illuminato e l'ha pienamente compreso. Egli come tale la proclama e la insegna" (14).

"In verità, o monaci, sono io colui che ha scoperto la vecchia Via (purana magga)" (15).

Il Buddha non si identificò mai con il Dharma eterno. Tanto meno si presentò come Salvatore. Si autodefinì semplicemente come "indicatore della Via da seguire (maggakkhayin). A questo punto il Buddha si mostrò sempre deciso. Disse un giorno ad un bramano:

"Bramano, io sono indicatore della via. Esiste il Nirvana realmente. Esiste la via che vi conduce. Esisto pure io come guida (samadapeta).

Ciò nonostante, alcuni vi giungono e altri no. Cosa posso fare io con ciò? Bramano, il Buddha solo indica la via da seguire" (16).

La via scoperta dal Buddha si potrebbe riassumere nelle famose "4 Nobili Verità" (Cattari ariya saccani):

- Tutto è dolore.

- L'origine del dolore è la tanha, amor proprio.

- La fine del dolore è il Nirvana.

- C'è la via che vi conduce e la conosce il Buddha (17).

La formula ancora stringata si trova nella celebre poesia:

"Evitare il male, praticare il bene, purificare il cuore; Ecco l'insegnamento di Buddha" (18).

Come si vede, il Buddhismo è essenzialmente un sentiero morale. Non vi è alcun riferimento a Dio. Il Buddha infatti non parlò mai di Dio pur non negandolo. Egli rifiutò di pronunziarsi sui problemi metafisici come la natura di Dio, dell'anima e del mondo. Le fonti affermano che a queste questioni "il Buddha rispose col silenzio (avyakata) (19).

La ragione profonda del suo silenzio va cercata nella sua sollecitudine in ordine della salvezza (mokkha) di tutti gli esseri viventi che consiste nell'uscita dal mondo di trasmigrazione (samsara). Il Buddha non negò l'esistenza dei problemi metafisici, ma negò semplicemente la loro utilità e importanza per la salvezza. Tali problemi, secondo lui, sono insolubili per la mente umana:

"Quel che gli uni proclamano vero e reale,

altri giudicano falso e irreale;

e così discutendo altercano senza fine" (20).

Anzi, sono addirittura nocivi dato ché tali problemi giovano solo a incrementare l'attaccamento delle proprie vedute e quindi a ritardare il conseguimento del Nirvana:

"In completa balia delle opinioni, ebbro di orgoglio e di presunzione, egli si consacra da se stesso, poiché la sua tesi è perfetta"! (21)

"Loro parlano tutti, discordi gli uni dagli altri, infatuati dalle proprie vedute" (22).

In tale contesto il Buddha proclama:

"Io vi insegno soltanto ciò che è giovevole per la salvezza (23)" e ripete la nota allegorica della freccia:

"Un uomo colpito da una freccia avvelenata (visasalla) cerca di estrarsela senza mai domandarsi di quale materia sia fatta" (24).

Il Buddhismo dunque insegna l'AUTO REDENZIONE. Il Buddha era sempre fiducioso della forza umana di ciascuno per il raggiungimento della salvezza finale e diceva:

"Tu sei il signore del tuo io (atta hi attano natho)

Nessuno può purificare un altro" (25).

"Il tuo io sia in questo mondo l'unica isola (atta-dipa)

e l'unico rifugio (atta-sarana). Non cercare nessun altro

rifugio fuori di te" (26).

La sua ultima parola al letto di morte fu:

"La caducità è inerente a tutte le cose contingenti.

Lavorate dunque con assiduità per il compimento della vostra salvezza" (27).

Visto ciò, nel sistema del pensiero di Buddha non c'è posto né per la grazia né per la misericordia di Dio. L'amore di cui parla il Buddha non è che un amore umano.

Una volta il Buddha rispose al re Pasenadi del regno Kosala:

"Traversando tutte le parti del mondo

nessuno trovai più caro di me stesso.

Così a tutti è caro il proprio io.

Perciò chi ama se stesso non deve danneggiare gli altri" (28).

Tale considerazione non è lontana dal principio cristiano: "Ama il prossimo tuo come te stesso (29)" o "Tutte le cose che voi volete che gli uomini vi facciano, fatelo anche voi a loro" (30).

L'amore buddhista poi si accosta all'ideale di NON-VIOLENZA (ahimsa). Il Dhammapada, una delle fonti buddhiste più antiche, canta:

"Ecco proprio a causa dell'odio non cessa l'odio.

L'odio cessa soltanto col non-odio. Questa è immutabile

verità" (31).

"Tutti temono il bastone, tutti hanno terrore della morte,

tutti desiderano la vita; chi considera gli altri uguali a se

stesso, non uccide né fa uccidere" (32).

Di qui la norma dell'amore buddhista è:

"Tutto quello che è caro a te, questo è caro anche a noi;

e quanto non è caro né favorevole a noi, non è neppure a te

caro.

Agisci in conseguenza" (33).

Amare significa quindi non far del male agli altri:

"Colui che non uccide e non fa uccidere,

che non opprime e non fa opprimere,

è benevolo verso tutti i viventi

e a lui nessuno è ostile" (34).

Finalmente, in rapporto alla dottrina dei ANATTA (non-io) e del Nirvana, l'amore buddhista si sublima come estinzione (nirvana o nibbana) dell'odio, dell'egoismo e dell'amore proprio (trsna o tanha), fonte del dolore e della trasmigrazione. Qui l'amore si identifica con:

"l'annullamento dell'odio" (dosakkhayo) (35),

"l'annientamento dell'egoismo" (sama attano) (36),

"l'estinzione dell'io" (nibbanam attano) (37),

"la purificazione dell'io" (viraga attano) (38).

In fin dei conti, l'amore, il Nirvana, l'annientamento dell'io-egoismo e io stato di santità (arahatta) sembra che siano la medesima cosa (39).

Detto tutto questo, sarà lecito concludere che nella dottrina del Buddha manca completamente l'amore di Dio e quindi l'amore umano fondato sull'amore divino.

NOTA

Non ho avuto tempo né spazio per sviluppare il concetto di amore nel Buddhismo Mahayana, diffuso in Cina, Vietnam, Tibet, Corea e Giappone, il quale si scosta molto dal Buddhismo originario. Appare anzitutto l'ideale di BODHISATTVA, colui che, pur essendo capace di entrare nello stato di Buddha, vi rinunzia in vista della salvezza degli altri. E poi la figura di Buddha si trasforma fino a emergere il nuovo concetto di Buddha assoluto ed eterno, cioè Buddha-Dio come Amida che significa Amitabha (infinita luce), Amitayus (infinita vita) e Mahakaruna (grande misericordia), paragonabile alla trilogia giovannea.

Allora, specialmente nell'Amidismo viene abbandonata l'idea di AUTOREDENZIONE e vi sostituisce con l'idea di ETERO-REDENZIONE attraverso l'infinita misericordia salvifica del Buddha. Il Sutra Mahayana per eccellenza Saddharmapundarika Sutra (Sutra del Loto) narra persino il commovente racconto del figlio prodigo, sia in prosa che in poesia, dedicando l'intero libro 4^.

Qui l'amore buddhista si avvicina assai più all'amore cristiano.

APPENDICE

Qui mi lasciate raccontare la mia conversione. Ero Buddhista praticante, ma a causa della rovinosa guerra perdetti tutto: il papà, comandante dell'esercito giapponese morì in Cina nel 1937; la bella casa di Kagoshima fu incendiata dagli ultimi bombardamenti americani; un intimo amico fu fulminato sotto la bomba atomica a Hiroshima; infine l'ideale di fare carriera militare come papà fu battuto dalla sconfitta.

Ormai dovevo ricominciare da capo, prima di tutto dall'abitazione. Così andai un giorno ad una chiesa cattolica in costruzione per rubare un po' di chiodi. Mi ero letteralmente foderato di chiodi, quando all'improvviso fui preso da un missionario. Fu il momento che in realtà fui preso da Cristo. Lo straniero, invece di darmi una bastonata, mi offrì altri chiodi quanto ancora ne potevo portare e mi congedò senza dirmi una parola sul Cristianesimo.

Il giorno dopo ero già di ritorno alla chiesa di quel missionario. Lo trovai e gli dissi che rinunciavo a diventare generale dell'esercito imperiale ma che m'insegnasse a diventare come lui. Non avrei mai detto che mi insegnasse a diventare cristiano; volevo diventare come lui. Vidi in lui il Maestro della vita. Ricevetti così il battesimo senza capire gran che dei misteri cristiani. Capii tuttavia un'unica cosa che il cristiano significa colui il quale pone tutta la sua vita su Dio che è amore alla maniera di Cristo.

Quel missionario cui sono debitore della vita della grazia, diede la sua vita, senza alcun rimpianto, per testimoniare il suo amore per i giapponesi. Durante un grande incendio, per salvare un amico che tardava a mettersi in salvo, arditamente si spinse fra il divampare del fuoco e abbracciato al giovane giapponese morì fra le fiamme. Non lasciò che un pugno di cenere. Mi diceva sempre: "Masayuki, non ho che un desiderio: diventare terra giapponese" e lo diventò letteralmente. Allora in quel povero pugno di cenere vidi per la prima volta l'esempio della vita consumata per l'amore di Dio. Decisi allora di diventare il secondo Don Roncato, salesiano come lui e sacerdote come lui. Questo fu motivo che mi spinse a venire in Italia, anche per diventare figlio della sua mamma Rosa.

NOTE:

1) Itivuttaka 27, p. 19.

2) Theragatha 974.

3) Dhammapada 368

4) Sutta-nipata 149-151 (Sutta-nipata 143-1520 è dedicato alla lode di benevolenza ed è chiamato "metta-sutta", sutra della benevolenza).

5) Tivuttaka 27 Gatha - Anguttara-nikaya IV, 150-151 Gatha.

6) Theragatha 648.

7) Samyutta-nikaya l, 88.

8) Theragatha 870.

9) Theragatha 109.

10) Theragatha 722.

11) Theragatha 536.

12) Majjhima - nikaya l, 395.

13) Relazione della compilazione del Tripitaka, 120, v. 5; cfr. Taishozo vol. 24, pt. 8, p. 32 b.

14) Samyutta-nikaya II, 25 s.

15) Samyutta-nikaya II, 105.

16) Majjhima-nikaya III, 4s.

17) Digha-nikaya I, 189, II, 90, 304 s.; III, 277; Majjhima-nikaya I, 162, 184; III, 248; Samyuttanikaya V, 415 s - Vinaya-pitaka I, 10, 230; Itivuttaka 17; Sutta-nipata 229, 230, 267; Dhammapada 190.

18) Majjhima-nikaya II, 49; Dhammapada 183.

19) Digha-nikaya I, 189-190; Majjima-nikaya I, 157, 426, 484; Samyutta-nikaya II, 222, III, 213, 253; IV, 286, 375, 391; V, 418.

20) Sutta-nipata 883.

21) Sutta-nipata 889.

22) Sutta-nipata 891.

23) Samyutta-nikaya V, 437; Sutta-nipata 159.

24) Majjhima-nikaya I, 428 s.,; II, 216.

25) Dhammapada 160, 165.

26) Digha-nikaya II, 100.

27) Digha-nikaya II, 156.

28) Udana V, 1.

29) Lv. 19, 18; Mt. 19, 19; Mc. 12, 31.

30) Mt. 7, 12; Lc. 6, 31.

31) Dhammapada 5.

32) Dhammapada 129 s.

33) Jatakamala X, 16.

34) Itivuttaka 27 Gatha.

35) Samyutta-nikaya IV, 251.

36) Anguttara-nikaya I, 281 Gatha.

37) Udana III, 5; Sutta-nipata 940.

38) Dhammapada 343.

39) Samyutta-nikaya IV, 251 s.