Corrado Card. Ursi

Arcivescovo Metropolita di Napoli

OMELIA PER LA CONCELEBRAZIONE DI CHIUSURA DEL CONVEGNO

COLLEVALENZA 29 NOVEMBRE 1981

Fratelli, la parola di Dio, che è stata proclamata, ci fa penetrare nel cuore dell'Avvento che, riportandoci all'attesa storica del "Messia liberatore" degli Ebrei, ci fa vivere l'attesa del "Cristo Salvatore" della Chiesa e di ciascuno di noi, bisognosi tutti di vivere più intensamente la vita di Dio in Cristo. 1 - Per bocca del Profeta Isaia (63,16-17 e 64,1-3y) il popolo ebreo, deportato a Babilonia e languente ormai da molto tempo nell'oppressione, in un clima pagano, si rivolge al Signore e domanda: "Perché ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Legge nell'evento, tanto misterioso e triste del suo allontanamento da Dio, e confessa la sua colpa: "Tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli". Ne misura le conseguenze: "Hai nascosto da noi il tuo volto e ci hai messo in balia della nostra iniquità", "siamo divenuti tutti come cosa impura e panno immondo... foglie avvizzite" che il vento disperde.

È un popolo avvilito e sfiduciato. Ma poi con un colpo d'ali, ripensando agli interventi di Dio nella storia dei Padri, contempla il Signore come "padre e redentore", oltre che come creatore, e fa vivo appello al suo cuore: "Ma, Signore, tu sei nostro Padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dai forma, tutti noi siamo opera delle tue mani". E grida: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi! davanti a te sussulterebbero i monti". Tornerebbe la gioia nell'universo. Nessuno e niente resisterebbe alla potenza di colui che nella storia "ha fatto tremare i popoli, per chi confida in lui".

Il popolo ebreo non aveva un concetto adeguato della paternità di Dio. Essa chiamava "padre" Adamo e Giacobbe. E riteneva che, generato per via di sangue da quei patriarchi, depositari della promessa divina del dominio universale, non poteva essere denominato e calpestato dalle genti.

Ora vede che tale discendenza da Abramo e da Giacobbe non gli è valsa a sfuggire la sconfitta in guerra e la deportazione tra un popolo pagano in una condizione di schiavitù e nella dispersione senza uscita.

Vede pure che nessuno può redimerlo. Redentore, a quei tempi, era uno del clan che doveva riscattare il proprio parente dalla schiavitù. Ora tutto il popolo ha peccato ed è caduto nella schiavitù.

Da solo non può redimersi.

Non gli resta che appellarsi a Dio. "Tu sei nostro padre, da sempre di chiami nostro redentore". "Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità".

Comincia così a germogliare nel popolo d'Israele la fede nel Dio Amore. 2 - La risposta di Dio fu data, quando i tempi si fecero maturi, agli Ebrei e a tutti i popoli della terra che, a somiglianza degli Ebrei in Babilonia, languivano nella schiavitù del mondo del peccato, dominato da Satana e che, pur con diverse espressioni, invocavano la potenza liberatrice di un Dio buono. È la risposta dell'amore misericordioso all'amore penitente. La leggiamo pure nel tratto della Lettera ai Corinti (1,3-9) che ci è stata letta: "La grazia di Dio che v'è stata data in Cristo". La risposta è Cristo. Dio, cioè manda al mondo il suo Figlio, il Verbo eterno, che squarcia davvero i cieli e nel grembo di una donna vergine, pur restando vero Dio, diventa, per opera dello Spirito Santo, vero uomo e capo di una nuova umanità, suo Corpo mistico.

Dio, così, si rivela veramente padre di tutta l'umanità, che rigenera in Cristo alla sua stessa vita; e si rivela pure redentore, giacché Cristo, facendo parte della famiglia umana, pur essendo senza peccato, contrae piena solidarietà con i fratelli nel peccato e nella pena e si sacrifica per essi per riscattarli dalla schiavitù.

È la risposta di un amore infinito, amore misericordioso.

Dio è amore. Se l'amore è il dono di se, Dio è colui che per essenza si dona infinitamente. Appunto perché amore infinito. Dio non si limita, non si arresta davanti al peccato più abissale dell'uomo, che è un essere fragile per natura. Dio, quindi, è amore misericordioso proprio perché è amore infinito.

Il gusto di Dio è cercare i peccatori per rigenerarli. Gesù, il buon pastore va in cerca della pecorella smarrita, rischiando le altre che lascia nell'ovile. Trovatala, fa festa, perché "ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" (Lc 15,7). Dio manifesta la sua gloria più nel ri-creare che nel creare, più nel ri-generare che nel generare, più nel per-donare che nel donare.

La misericordia è la sovrana potenza di Dio, l'ecclesia sua gloria. Per questo Gesù, dinanzi alla corruzione dell'umanità, meritevole della condanna alla morte eterna, ma tanto penante, esclama: "Misericordia voglio". Egli realizza sulla croce il disegno d'amore salvifico di Dio, come ebbro di misericordia.

La prevalenza assoluta della misericordia di Dio! Quale annuncio per l'umanità che spasima senza speranza nella sua schiavitù e nelle sue delusioni, mentre cerca invano la liberazione nelle varie droghe e il liberatore in chi la domina!.

Fratelli, che ne è dell'umanità del 1981, di questa umanità immersa nella perenne babilonia di questo mondo? "Babel" significa confusione. È Babilonia un mondo che ripudia o falsa i valori della vita, per cui gli uomini si avviliscono, si deturpano, si disgregano nell'adorazione degli idoli, che l'egoismo sempre crea ed esalta, l'egoismo della carne e dello spirito che si esprime nella libidine del piacere, della ricchezza, del potere e si inebria di odio, di violenza, di sangue, per cui l'uomo si pone contro l'uomo, le classi contro le classi, i popoli contro i popoli. L'egoismo pur muove l'uno verso l'altro con l'impeto dell'amore, ma per meglio asservirlo al proprio interesse.

Amore truffaldino!

La civiltà della scienza e della tecnica non può salvare, perché, di fatto, è a servizio anzitutto delle potenze del mondo per le guerre e poi deve soddisfare le esigenze di godimento terreno delle masse creando privilegi, disparità, ingiustizie, lotte sociali.

Questa nostra frenetica e dolorante umanità è capace di vedere Dio come padre e redentore? È capace di rivolgersi a lui almeno con quegli accenti accorati di pentimento e l'invocazione di aiuto che il popolo ebreo ha espresso per bocca del profeta?

Si direbbe che l'uomo di oggi si rifiuta di pregare e, perfino, di riconoscersi peccatore davanti a Dio. Si tende, anzi, da qualche tempo ad eliminare la nozione e il senso di peccato, a sacralizzare in certo modo la colpa. E ciò, purtroppo, anche in campo teologico. Si vive nella civiltà del peccato. La spregiudicatezza la si stente come liberazione dai tabù, che poi di fatto, si trasformano in idoli voraci.

Eppure anche l'umanità di oggi si rivolge a Dio "padre e redentore". Lo invoca precisamente per bocca non di un profeta, ma di Cristo stesso, che si esprime attraverso la Chiesa. "Cristo è sempre vivo a pregare per noi", a nome cioè ed a vantaggio nostro. Oggi, infatti, prima domenica d'Avvento, in tutte le Chiese del mondo, noi, popolo profetico, "fatti voce di ogni creatura", facciamo nostra la preghiera di Isaia, poi anche la preghiera eccelsa insegnata da Gesù, nella celebrazione dell'Eucarestia. Riconosciamo il nostro peccato per cui Dio ha distolto il suo volto da noi e tace, mentre cadiamo di turpitudini in turpitudini e ci vediamo ridotti a "panno immondo", a "foglie avvizzite" che il vento disperde, per la corruzione dei costumi che dilaga.

A nome di tutta l'umanità noi oggi confessiamo nella liturgia eucaristica il nostro peccato personale e sociale. Ed esprimiamo la nostra fiducia nel Dio della misericordia, il Dio della vittoria sul male. Gli diciamo fiduciosi: "Oh, se tu squarciassi i cieli e discendessi! Ritorna a noi per amore dei tuoi servi".

Dopo il convegno internazionale per lo studio dell'Enciclica Pontificia "Dives in Misericordia", che non solo ci ha fatto approfondire il mistero della misericordia infinita di Dio, ma ci ha fatto fremere nella speranza di un mondo che è sempre amato da Dio e ricercato da Cristo, l'invocazione in questa solenne liturgia non resta senza risposta.

Dio che sempre risponde con amore a chi provoca il amore misericordioso, ci parla per bocca dello stesso Apostolo: "Voi siete stati chiamati alla comunione col Figlio sui, Gesù Cristo, Signore nostro... Egli vi confermerà sino alla fine irreprensibili... Dio è fedele".

Dio invita ancora tutti gli uomini ad aprirsi alla comunione di vita con Cristo, sì da essere liberati, purificati, rinnovati, resi immacolati per il giorno del giudizio che deciderà per la loro sorte eterna.

Non c'è liberazione dal male e da ogni schiavitù se non c'è comunione di vita con Dio. È vivendo in Dio che veniamo liberati dalle potenze avverse e da noi stessi.

Tale comunione di vita con Dio la si consegue con l'inserimento nel mistero pasquale della morte, resurrezione e ascensione al Cielo di Gesù, che mediante lo Spirito Santo fa dell'uomo una nuova creazione per un mondo nuovo "nella giustizia e nella vera santità", per il Regno dell'eterna beatitudine di Dio.

Nel mistero pasquale di Cristo noi ci siamo immersi col Battesimo. Ma poiché dopo il Battesimo, purtroppo, noi cadiamo ancora nel peccato, Cristo ci offre la possibilità di immergerci in quel mistero salvifico anche ogni giorno col sacramento della Riconciliazione: un battesimo nello Spirito del Risorto che, in certo senso, rinnova il battesimo.

Il Sacramento della riconciliazione libera il cristiano dalla colpa reintegrandolo nella vita del Corpo mistico di Cristo, comunione con Dio e con i fratelli.

Tale sacramento non è, quindi, un lavatoio delle coscienze. Nel caso esso eliminerebbe il peccato, ma il penitente non verrebbe trasformato da peccatore a giusto.

Non è un tribunale, perché non è fatto per condannare o per condonare la pena. Anche in questo caso il penitente non verrebbe rinnovato.

Il Sacramento della Riconciliazione è liturgia: confessione, anamnesi, proclamazione e ringraziamento. Quando il penitente confessa le proprie colpe presenta al ministro della Chiesa la propria umanità o morta, oppure inferma nei riguardi della vita in Dio. In virtù dell'anamnesi liturgica del sacrificio del Signore, si rende presente in lui il mistero Pasquale di Cristo... E il sacro Ministro proclama che il Signore è risorto ancora una volta nel penitente, che si è lasciato coinvolgere da lui nel suo stesso mistero di morte e resurrezione.

Infine si loda e si ringrazia l'amore misericordioso di Cristo salvatore che ha ricondotto il figliuol prodigo alla comunione di vita col padre. Sarà poi la vita nuova del penitente che dalla grazia sacramentale e con lo spirito di penitenza sarà difesa da suggestioni del male, da tentazioni del mondo, a glorificare più compiutamente Dio.

Pertanto al ministero della Chiesa il penitente presenta, più che i peccati da lui commessi, la sua stessa persona morta alla vita divina o inferma, moralmente più o meno deturpata per i suoi vizi o disordini spirituali e per i danni causati ai fratelli, alla Chiesa e alla società.

L'accusa dei peccati mortali o gravi o leggeri serve a manifestare lo stato morale e spirituale del peccatore a chi, per il ministero della Chiesa, deve immergerlo sacramentalmente nel mistero salvifico di Cristo risorto. Così il penitente manifesta pure il suo pentimento, il ripudio dei peccati, come offesa di Dio, e il proposito dell'emendazione della vita. Così pure il confessore può dargli salutari consigli e imporgli l'eventuale riparazione dei danni causati ad altri.

Il sacro ministro, più che dare una assoluzione, proclama, con la formula sacramentale, che Cristo lo ha rinnovato nel suo mistero di morte e di resurrezione e che, mediante il suo Spirito, lo ha reintegrato nella sua Chiesa lo ha ricongiunto vitalmente al Padre. Egli è, più che giudice, padre e sacerdote, ministro della misericordia divina.

La Confessione è il sacramento della Riconciliazione dei singoli penitenti. La celebrazione dell'Eucarestia, invece, è il "sacrificio di riconciliazione" per la comunità, chiamata ad immergersi in quanto comunità, nel mistero della morte e resurrezione del Signore per rinsaldare l'alleanza con Dio, alleanza sponsale, comunione, cioè, di amore e di vita con Dio. Così la Comunità cristiana purifica la propria mentalità e i costumi e progredisce nella carità.

Tale riconciliazione della Comunità con Dio nella celebrazione eucaristica suppone, d'ordinario, che ciascun fedele sia stato già riconciliato con Dio mediante il sacramento della Riconciliazione personale e reintegrato in pieno nella comunità stessa.

Di conseguenza, il rinnovamento della vita spirituale del penitente e della comunità penitente, avrà beneficio-benefico influsso nella vita familiare e professionale, ecclesiale e sociale. Si può dire che in virtù del sacramento e del sacrificio di Riconciliazione, il mondo tutto viene sanato e rinnovato. 3 - Ora ci domandiamo, o fratelli, se difatti conseguiamo la misericordia di Dio.

Gesù ci ha ammonito, col Vangelo che abbiamo ascoltato (Mt 13,33-37): "State attenti, vigilate.... poiché non sapete quando il padrone di casa tornerà".

Si, Cristo tornerà sulla terra nello splendore della sua gloria. Ci farà risorgere da morte, ci giudicherà. E introdurrà gli eletti, cioè coloro che sono stati fedeli all'amore, nel Regno eterno di Dio, nell'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Allora Cristo manifesterà ancora il suo amore infinito, ma in termini di giustizia, non più in termini di misericordia, mancando per l'uomo, oramai fuori del tempo al termine del suo cammino terreno, la possibilità di una conversione e della rinascita in Cristo, che può realizzarsi solo nella Chiesa.

Nella Lettera Enciclica "Dives in misericordia" il Papa ammonisce: "Tutti i cristiani debbono essere in statu conversionis, perché si trovano in statu viatoris.

Nessuno sa in qual momento si concluderà il suo cammino terreno e verrà giudicato per il suo destino eterno. Occorre vegliare, meditando la parola di Dio e ricevendo i Sacramenti dell'Amore misericordioso con le migliori disposizioni dello spirito.

Per quanto riguarda la Riconciliazione, la Chiesa ci ha dato il 1970 un rito riveduto, in modo che il sacramento non venga celebrato con superficialità e in fretta. Le confessioni rapide e macchinose e il facile espediente di portare al sacro ministro un elenco dei peccati commessi, non sollecitano l'anima dei fedeli alla conversione, alla rinascita nello Spirito Santo. Il rito, così, diventa illusorio per tanti fedeli. Da altri viene disatteso e nel gran mondo viene disprezzato, perché non se ne nota la efficacia nella generalità dei fedeli.

La nuova impostazione del rito sacramentale della Riconciliazione risponde bene alle sue finalità, mette il penitente in condizione di risorgere in Cristo, di essere profondamente penetrato dalla grazia del sacramento. Ma richiede impegno per parte del confessore e per parte del penitente.

"Vigilate" dice Gesù. "Egli ha dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito e ha ordinato al portiere di vigilare".

Vorrei gridare a tutti i Sacerdoti del mondo a nome di Gesù: riaprite i confessionali che, in gran parte, dopo il Concilio, sono restati chiusi e, quindi, disertati, e riapriteli in modo che siano davvero sorgente dell'Amore misericordioso per il rinnovamento degli uomini e della società. I Sacerdoti, come ha detto S. Caterina da Siena, sono i "Ministri del Sole". Specialmente nella celebrazione del Sacramento della Riconciliazione.

Gesù, infine, ci chiede: "Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate"! Fratelli, facciamo risuonare anche nel cuore degli altri il pressante e urgente invito di Gesù a distaccarci dal torpore della mediocrità in un mondo che sempre più si corrompe, mentre d'altra parte si fanno sempre più sensibili gli aneliti verso la salvezza cristiana.

Il Sacramento della Riconciliazione e il Sacrificio di riconciliazione si concludono con la missione: "Va in pace; andate in pace". Chi è stato riconciliato in Dio, deve recare ai fratelli, al mondo il dono della pace, della comunione, cioè, di tutti con Dio e in Dio.

Così pure, al termine di questo Congresso internazionale per lo studio pastorale dell'Enciclica "Dives in misericordia", giunge opportuno il grido di Gesù: "quello che dico a voi lo dico a tutti. "Vegliate: "Ognuno di noi deve possedere questa lettera pontificia come un concentrato del Vangelo della misericordia infinita di Dio per sperimentarla nella vita e farla conoscere ad altri.

Quanti non fremerebbero di gioia all'annuncio, motivato e testimoniato, dell'amore che spinge Dio ad offrire la sua misericordia a tutti i peccatori, nessuno escluso!

Quanti, che lottano per il trionfo della giustizia nel mondo, non capirebbero che se non si usa bontà e misericordia anche verso gli erranti, non trionfa realmente la giustizia, perché la violenza provoca violenza.

Quanti, che si impegnano la pace sociale e per la pace internazionale non capirebbero che, se non si sradica l'egoismo dai cuori, non può sussistere la pace infrangibile nel mondo, cioè la comunione degli spiriti a fondamento della comunione dei beni. Per questo è necessario partire dal reciproco perdono e dal ripudio della violenza, dal condividere i beni della terra.

"Vigilate", dice Gesù. E così verrà edificata la civiltà dell'Amore.

Il Signore dica "Amen" ai lavori del Congresso, che si conclude con questa celebrazione dell'Eucarestia, e la dolce Madre della misericordia ci aiuti ad essere evangelizzatori dell'Amore misericordioso, costruttori della pace.

Attendiamo il Natale quest'anno in un clima mai tanto carico di sinistri bagliori, di moti rivoluzionari e di conflitti con armi nucleari.

La "Dives in misericordia" operi un'inversione di marcia dell'umanità per la via dell'amore fraterno verso il Regno di Cristo che è "Regno della verità e della vita, regno della santità e della grazia, regno della giustizia, dell'amore e della pace".