Claudio Calvaruso

UNA SOCIETA' SENZA PADRE.

 

Io devo chiedervi innanzi tutto di procedere ad una rapida riorganizzazione dei vostri strumenti di attenzione; vi dico subito cioè che la mia relazione non avrà purtroppo la chiarezza, la serenità e lo approfondimento della relazione che mi ha preceduto del Prof. Rigobello e questo anzitutto perché il tema che devo affrontare è un tema che è stato recentemente deformato per così dire inquinato da analisi e da riflessioni di tipo sociologico e da buon sociologo non sono riuscito a sottrarmi a queste deformazioni, a questi inquinamenti che su questo tema sono venuti dalla scienza sociale.

In secondo luogo è un tema che non ha ancora un filo rosso, diciamo un procedimento logico, una certa consequenzialità cioè delle premesse di partenza al punto di arrivo. Lo stesso titolo "Una società senza padre" è indicativo di un processo in atto; è indicativo di un qualcosa che evidentemente non può rimanere in questo modo, è un titolo provocatorio che punta al cambiamento che punta ad un trasformazione, ad una dinamica di tipo diverso.

In terzo luogo la relazione che farò sarà una relazione prettamente fenomenologica, cioè cercherò di presentare sulla base appunto di elementi di conoscenza fenomenologica, che mi vengono dalla mia esperienza di sociologo, quali sono oggi le caratteristiche della nostra società in particolare del nostro vivere quotidiano, in famiglia nei gruppi sociali, nei rapporti interpersonali tra figli e genitori, tra figli e padri per cercare di vedere tra questi elementi di fenomenologia spicciola quotidiana quali sono gli ingredienti che hanno fatto si che oggi si possa arrivare a questa definizione così drammatica, se volete, della "società senza padre". Si tratta quindi di una relazione prettamente sociologica e perdonatemi in anticipo se sarà viziata un po' di tecnicismo, spero non in senso negativo in cui veniva ricordato il tecnicismo dal prof.

Una relazione che "è alla ricerca", che quindi presenta una serie di stimoli ma non dà soluzioni non dà punti stabili, punti radicali che si possono porre come obiettivi finali o come elementi fissi di riferimento. Una relazione infine molto fenomenologica quindi molto legata alla vita quotidiana della nostra società contemporanea e che quindi chiede a voi poi di fare il raccordo necessario tra questa fenomenologia che ho definito spicciola e i tempi ampi e più profondi che caratterizzano l'impianto di questo stesso convegno.

Ora perché si parli di una "società senza padre" è necessario che ci sia una famiglia che giustifichi e legittimi il ruolo di padre. Sulla famiglia si è rilanciato in questi ultimi anni un dibattito molto interessante in Italia e non solo in Italia. Come sapete vi sono degli schemi di interpretazione dei modelli di vita famigliare. Nel corso dell'evoluzione dalla società di tipo agricolo alla società di tipo industriale si è verificato un passaggio anche nei modelli di famiglia da un modello di famiglia così detto "allargata" o "patriarcale" al modello di famiglia "nucleare". Quale è la differenza tra questi due modelli. Nel modello di famiglia allargato e patriarcale la sfera dei rapporti primari coinvolge un numero più ampio di persone. Nella famiglia allargata tradizionale non abbiamo soltanto il rapporto padre-figlio ma abbiamo tutti i parenti collaterali, i parente ascendenti, i nonni, i nipoti legati da rapporti così detti primari, vale a dire dei rapporti umani in cui le presone si coinvolgono totalmente sia a livello di affettività sia a livello di trasmissione delle proprie esperienze, delle proprie nozioni di vita delle proprie conoscenze, cioè si coinvolgono con tutto il loro essere.

Il rapporto primario si distingue dal rapporto umano soltanto limitatamente rispetto ad uno specifico ruolo che in quel rapporto ci viene richiesto. Per esempio, un rapporto secondario può essere attualmente un rapporto di vicinato, un rapporto di lavoro, un rapporto di scambio di informazioni con altre figure che incontriamo nella nostra vita quotidiana, dall'impiegato che deve darci un'informazione al vigile urbano al tassista ecco sono rapporti secondari in cui noi investiamo una parte limitata delle nostre emozioni e risorse in funzione di alcune esigenze imposte dal ruolo che siamo svolgendo in quel momento.

I rapporti primari invece sono rapporti in cui una persona per così dire non pone nessuna limitazione o inibizione rispetto alle proprie esigenze alle proprie emozioni e ai propri sentimenti che sente nel rapporto con le altre persone; non c'è inibizione perché si agisce totalmente con tutta la nostra persona cercando di dare tutto quello che possiamo dare e cercando anche di trasmettere la totalità delle nostre emozioni, delle nostre potenzialità, dalla nostra volontà di questo rapporto umano. Tra questi rapporti primari ci sono i rapporti tipici che si sviluppano all'interno della famiglia perché è nella famiglia che la persona gioca diciamo l'essenziale della sua esperienza esistenziale. Nella famiglia di tipo allargato questo tipo di rapporti coinvolgeva una gamma molto più ampia di persone che non nella famiglia nucleare, che poi è quella invece tipica della società industriale, dove si forma la diade famigliare "genitori e figli" che diventa la cellula di base della società e man mano si riducono, quasi ad annullarsi progressivamente, i rapporti con le altre figure collaterali familiari. In questo secondo tipo di famiglia ci sono rapporti primari soltanto tra genitori e figli mentre nella famiglia allargata essi si estendono anche agli ascendenti e collaterali. Ma non basta nell'epoca della famiglia allargata abbiamo tutto un sistema di rapporti interpersonali, favoriti da una dimensione urbana ancora limitata, da un tipo di attività che mette in contatto più facilmente famiglie e famiglie, abbiamo un sistema di rapporti primari che spesso addirittura va la di là dello stesso nucleo familiare di famiglie all'interno di una realtà circoscritta che è una realtà di villaggio, una realtà paese di media-piccola dimensione.

Si discute molto in Italia se abbiamo avuto poi effettivamente questo passaggio dalla famiglia patriarcale alla famiglia nucleare e in questi ultimi tempi ci sono molti dubbi a questo proposito. Si ha l'impressione, infatti, che tutta la capacità di tenuta del sistema italiano di fronte anche alla crisi della qualità della vita, oltre che a quella economica, derivi proprio dal fatto che poi sostanzialmente un vero e proprio passaggio dalla famiglia tradizionale alla famiglia nucleare non si è mai realizzato, anche se di fatto logisticamente le famiglie si sono spezzate per necessità di cose, per mancanza di ambienti e di alloggi sufficienti per la famiglia allargata, per l'aumento delle distanze, per l'accresciuta mobilità territoriale. Malgrado ci siano stati tutti questi elementi che hanno frantumato oggettivamente la possibilità materiale di una famiglia di vivere in forma allargata, c'è chi dice però che in Italia ci sia stata una resistenza della qualità dei rapporti interpersonale probabilmente superiore a quanto è avvenuto in altre società più appiattite sul modello industriale, per cui i rapporti umani di tipo primario si sono mantenuti anche al di là della convivenza materiale delle famiglie allargate. Si sono, cioè mantenuti rapporti primari tra i nonni, tra gli zii, tra i gruppi di amicizie che hanno garantito un tessuto sufficientemente vasto di solidarietà sociale.

Questa diatriba tra famiglia nucleare e famiglia patriarcale io la lascerei però un momento da parte perché ho l'impressione che oggi la discussione sul tessuto famigliare esistente sul nostro paese e nelle società post-industriali avanzate non debba tanto riguardare la quantità o la gamma di persone all'interno delle quali si realizzano rapporti primari, cioè se sono soltanto genitori figli o se sono dei gruppi più allargati, ma la nostra attenzione deve invece concentrarsi maggiormente sulla qualità stessa di questi rapporti primari.

Dobbiamo riflettere se oggi i rapporti primari esistenti all'interno della famiglia sono ancora veramente quei rapporti primari che consideravano in senso tradizionale come capacità di coinvolgimento totale, di confronto totale tra gli individui o se invece non siano scivolati, anche all'interno dello stesso nucleo famigliare sia esso piccolo o allargato, verso la prassi di rapporti umani interpersonali che hanno poco o nulla più a vedere con i rapporti primari tipici della società rurale, della società a dimensione di uomo.

Questo spostamento di attenzione, allora, ci invita a rivedere un po' quale è il rapporto, quali sono le dinamiche che esistono all'interno di una famiglia tra genitori e figli, ed in particolare che funzione hanno il ruolo paterno ed il ruolo materno dei genitori visto a cavallo tra i figli ed il mondo esterno. Ed allora l'impressione che si ha immediatamente è che proprio a questo livello ci sia stato un forte cambiamento, un forte stravolgimento diciamo nella stessa qualità dei rapporti interpersonali all'interno della famiglia. Abbiamo sempre più l'impressione, vedendo le nostre famiglie che vivono nelle società postindustriali, che vi sia stato un totale cambiamento di ruolo in questa figura essenziale dei genitori che dovevano mediare tra società esterna e società dei giovani e quindi i loro stessi figli. C'è stato un cambiamento totale di comportamenti ed oggi la figura mancante in questa trilogia sia proprio la figura centrale, cioè i genitori. Sotto la spinta di una serie di componenti, che poi vedremo con maggiore attenzione, i genitori hanno gradualmente abdicato ad una funzione di soggetti attivi, di soggetti orientativi e indicativi rispetto all'esperienza dei figli e quindi hanno in parte rinunciato ad un ruolo specifico che era quello di mettere in comunicazione i giovani con la società esterna attraverso una funzione critica, una funzione di trasmissione di valori, una funzione di orientamento, una funzione anche di controllo, nel senso positivo, di quello che avveniva all'esterno della famiglia. Una funzione di controllo e di conoscenza per poter inserire poi gradualmente l'esperienza dei propri figli nella società e perché questa esperienza fosse un'esperienza che portasse i figli a raggiungere quella condizione di soggetti adulti che è poi il naturale sbocco della condizione filiare stessa. Si ha l'impressione che i genitori, sotto l'effetto di alcuni condizionamenti sociali importanti che si sono avuti in questi ultimi anni, abbiano in qualche modo abdicato a questa loro responsabilità. I genitori sembrano oggi limitarsi ad una funzione che definirei una "funzione ancillare", cioè una funzione di semplice trasmissione di beni e di opportunità per lo più materiali ai figli. Tutto si svolge come se nella nostra società, sotto l'effetto di quelli che possiamo chiamare alcuni poli megadiffusori di conoscenze, di stimoli, di modelli di comportamento (persino all'importanza di mass-media, pensiamo all'importanza delle conoscenze che vengono continuamente a tutti i livelli messe sul mercato) finiamo per ritrovarci tutti schiena contro schiena, siamo tutti come siete tutti voi qui in questa sala, sanza vedervi l'uno con l'altro, ma vedete tutti verso qui e vi è quindi un appiattimento totale di ruoli ed un appiattimento totale di scambio e di espressione della stessa conflittualità tra ruoli e specificità diverse. Anche all'interno della famiglia, quindi, si verifica un allineamento di figure che si pongono semplicemente all'ascolto, si pongono semplicemente in maniera passiva alla ricezione di modelli di comportamento sempre nuovi, di stimoli sempre nuovi, di interessi sempre nuovi, di ruoli che vengono richiesti dall'esterno sempre nuovi e questa posizione di ricezione passiva assorbe poi per finire l'essenzialità della nostra esperienza. Saremmo quindi di fronte ad una terza fase di modello di famiglia, ormai ampiamente radicato nella nostra società post-industriale che è quella della famiglia ancillare. Siamo tutti praticamente rivolti passivamente verso gli stimoli e le richieste che ci vengono dall'esterno, siamo pronti ad ingurgitare qualsiasi contenuto, ad eseguire doviziosamente qualsiasi compito ci venga propinato con attendibilità appena sufficiente, siamo ingozzati tutti di dover essere, dover fare.

Siamo tutto ingozzati della necessità di dover riuscire, di dover seguire certi comportamenti che vengono diffusi come comportamenti adeguati, necessari e siamo fatalmente destinati a perseguire tutte le indicazioni e richieste esterne, mettendole assolutamente sullo stesso piano senza più esercitare nessuna capacità di scelta o di selezione. Ed ecco allora che in questo tipo di famiglia i genitori sono particolarmente "eccellenti" nel predisporre, già quando i bambini sono in tenera età, tutti gli strumenti e le condizioni ottimali per assecondare il flusso di indicazioni, interesse, ruoli da adempiere e comportamento ottimali da adottare che viene dall'esterno. Padre e madre moltiplicano costantemente le loro funzioni, diventano procacciatori inesauribili di doni, accompagnatori zelanti e puntuali. Pensate alle nostre città attraversate da masse di genitori che accompagnano i figli ai diversi corsi, alla musica; i genitori diventano coordinatori dell'organizzazione domestica, ci deve essere la baby sitter, ci deve essere la ragazza che aiuta a fare i compiti, ci deve essere la colf per i lavori domestici, deve esserci la nonna che pensa ai vestitini dei bambini o con cui i bambini fanno la passeggiata. I genitori diventano anche orchestratori della campagna di esposizione ai mass-media: pensate al ruolo dei mezzi di comunicazione di massa all'interno delle nostre case, la televisione deve avere il posto più bello, il posto centrale più comodo; se non basta la prima televisione in salotto bisogna anche poter mangiare vedendo la televisione, ci deve essere il giradischi, ci deve essere il grammofono per le fiabe quando sono piccoli i bambini, ci devono essere la radio-sveglia, ci devono essere i giornaletti, i libri educativi e così via. Noi genitori diventiamo anche animatori del tempo libero: il sabato e la domenica di corsa portiamo i bambini in campagna, in montagna, al mare. Sono tutte cose indispensabili ormai perché questi bambini crescano; in estate ci vuole il mese al mare, ci vuole il mese in campagna, poi c'è Natale, c'è la settimana bianca, c'è carnevale, c'è Pasqua, tante opportunità da non fare assolutamente mancare ai nostri figli. E siamo infine i solerti esecutori di quelli che vengono propagandati come i programmi di avanguardia per una crescita sana ed intelligente dei nostri figli. Siamo noi che ci preoccupiamo di programmare il corso di inglese estivo per i nostri figli, di fargli fare quegli sport che sembrano più necessari, dal nuoto allo sci, spesso accompagnando noi stessi i nostri figli in queste attività. Ecco quindi che un'enorme quantità di funzioni è subentrata nel ruolo di padre e madre e queste funzioni si sono gradualmente sovrapposte a quella funzione tipica essenziale del padre e madre che era quella di instaurare con i figli un rapporto umano, un rapporto di scambio, di confronto sui temi essenziali della vita che poi sono i temi quotidiani dei valori morali di riferimento, dell'importanza dei sentimenti e dell'affettività dell'importanza di certi valori come la solidarietà, dell'importanza di avere degli obiettivi e di poter dare ed avere una batteria diciamo di strumenti critici nei riguardi della realtà esterna.

Ecco quindi che fin dalla tenera età i nostri bambini vengono praticamente privati di quello che poi è l'unico strumento indispensabile perché si concluda, si realizzi il lungo processo evolutivo della condizione giovanile che è quello di portare i giovani da una situazione adolescenziale ad una situazione di adulti.

Per immaginare questa famiglia ancillare pensate ad una magnifica casa con un tavolo imbandito e su questo tavolo ci sono tutti i beni possibili immaginabili dall'alimentazione ai corsi scolastici, ai giocattoli, agli hobby, ai libri e così via sino ai beni più perfezionati, di avanguardia, ai corsi di lingue, ai corsi di perfezionamento tecnico e di approfondimento culturale garantiti ai figli in giovanissima età. Ai lati di questa bellissima tavola imbandita vi sono due perfetti maggiordomi che sono il padre e la madre, la cui preoccupazione è soltanto quella di controllare ormai che sulla tavola ci sia proprio tutto, che nulla vada a male, che nulla risulti superato dai tempi e che i figli mangino bene, che riescano veramente ad ingurgitare tutto quello che viene offerto. Non tutti evidentemente possono permettersi corsi di inglese in Inghilterra, sono d'accordo, ma nel piccolo ognuno fa questo tipo di sforzo ed ha questo tipo di obiettivi. Siamo arrivati a questa situazione anzitutto perché la nostra società è sempre stata una società che definirei bambinocentrica, cioè che ha avuto sempre il bambino come punto di riferimento principale. L'asse di "offerta-dono" dagli adulti ai bambini è sempre stato un tema dominante e privilegiato nei comportamenti all'interno della famiglia. Questo asse dell'"offerta-doni" è stato enfatizzato ed intensificato da una società che ha migliorato notevolmente il suo livello di vita che ha avuto tutta una serie di opportunità in più e che quindi ha potuto trasferire su questo binario dell'offerta-doni tante altre cose, tante più cose che non quelle essenziali che caratterizzavano la nostra esperienza di noi oggi genitori quando eravamo bambini. Vi è stato un processo, quindi, di proiezione dei genitori nei riguardi dei figli. Noi genitori abbiamo vissuto in una società che era caratterizzata da una struttura materiale dei bisogni, diciamo da una dominanza economica.

Le nostre società avevano, cioè, una serie di bisogni ancora molto legati alle possibilità economiche e molti bisogni materiali non potevano essere soddisfatti per tutti. Questa esperienza che abbiamo vissuto l'abbiamo proiettata sui nostri figli in una situazione in cui di fatto poi la natura dei bisogni era del tutto diversa. Noi creiamo, di fatto, una situazione paradossale nel senso che proiettiamo aspirazioni nostre che sono di tipo economistico materiale, come la garanzia materiale, la possibilità di disporre di beni materiali quanto più possibile perché riflettiamo una struttura di bisogni nostra personale, ma trasmettiamo questa aspirazione nei giovani che hanno invece una struttura di bisogni del tutto diversa, rispetto alla quale questo tipo di beni che garantiamo sono assolutamente insufficienti ed al limite sono contraddittori.

I giovani, per il fatto stesso che abbiamo garantito loro una sicurezza materiale e la possibilità di accesso a qualsiasi bene di tipo materiale, realizzano un'esperienza di socializzazione per così dire "libera dalle cose". I nostri giovani crescono in una società che è "libera dalle cose" e quindi non possono avere per questo una stessa struttura di bisogni dominata dalla disponibilità di cose o di beni materiali e questi beni o cose materiali che continuiamo a trasmettere loro, sotto la spinta di quella che è la nostra struttura dei bisogni, di fatto creano un'enorme contraddizione, un'enorme scompenso. Continuiamo a fornire beni materiali mentre non esistono bisogni materiali da soddisfare tra i giovani. Cosa manca oggi, allora, ai giovani in questo tipo di famiglia ancillare, con questo tipo di comportamento degli adulti che sono diventati cinghia di trasmissione di beni materiali ed anche di "dover fare" che vengono dai megadiffusori della società?

Ai nostri figli in questa esperienza di vita ciò che manca maggiormente è il rapporto interpersonale, è la possibilità di confronto con la società dell'adulto è la possibilità di verifica di obiettivi e di mete da realizzare attraverso la propria esperienza. Mancano quindi ai nostri giovani gli strumenti per diventare adulti, che significa avere degli obiettivi, significa avere dei valori su cui costruire una persona adulta. A questo tipo di bisogni la famiglia oggi non dà delle risposte, la struttura dei bisogni dei giovani è quindi necessariamente una struttura di bisogni dominata dall'assenza di beni relazionali, dall'assenza di risposte a livello di rapporti umani e a questa struttura di bisogni noi continuiamo a rispondere con doni episodici di 10.000 lire con 100 mila lire. Sono emblematici i tipi di discorsi dei drogati che si lamentano perché in famiglia non riescono ad ottenere altro che 100 mila lire, non riescono ad ottenere un colloquio, non riescono ad ottenere un confronto; però per avere 100 mila lire non c'è nessun problema.

Allora se facciamo questo tipo di riflessione sulla proiezione delle aspirazioni e dei bisogni tipici degli adulti, che erano bisogni economici e di sicurezza materiale, è il caso di domandarsi; ma è una società bambinocentrica o adultocentrica?

Perché in effetti dove sono i bisogni dei bambini? Se i bisogni dei bambini vengono letti semplicemente sotto la chiave di lettura che è quella delle proiezioni delle aspirazioni e dei bisogni che erano invece degli adulti, allora non è poi una società che ha il bambino al centro. Questo bambino di fatto viene rappresentato con quelle che erano e che sono tutt'ora le aspirazioni non realizzate dai genitori.

D'altra parte ci sono anche stati tutta una serie di elementi esterni che hanno favorito l'affermarsi di questa famiglia di tipo ancillare. Certamente non si può passare sotto il silenzio tutto lo scombussolamento che ha determinato l'intensificazione crescente dei mezzi di comunicazione di massa, realizzando di fatto una "trasparenza sociale" che mai avevamo conosciuto. Sapere oggi perfettamente in qualsiasi momento cosa succede in una qualsiasi altra parte del mondo, quali sono i componenti, i modelli di riferimento, i valori, i sistemi di organizzazione sociale esistenti in una qualsiasi altra parte del mondo, essere bombardati giornalmente da una serie di notizie, da stimoli, da interessi, di possibilità di cose da fare: tutto questo ha logicamente determinato un radicamento di quella che possiamo definire la fruizione passiva della realtà. Un atteggiamento del porsi semplicemente a ricevere stimoli, interessi, conoscenze. Accanto a ciò abbiamo avuto la moltiplicazione delle richieste sociali esterne. Oggi c'è una normativa sottile di cui non ci rendiamo conto, ma se consideriamo un attimo le nostre giornate quotidiane vediamo che nel corso della nostra giornata noi passiamo almeno 30-40 volte in ambienti e situazioni completamente diverse l'una dall'altra e ognuno di questi ambienti e situazioni richiede tutto un codice particolare di comportamenti cui ci adattiamo in maniera meccanica e di cui non ci rendiamo conto: dal modo in cui parliamo con il tassista e con il conducente del filobus, all'interno del lavoro con chi lavora al nostro grado o con chi lavora sotto il nostro grado e chi lavora sopra il nostro grado. Poi torniamo in famiglia e siamo ancora diversi: c'è una mobilità continua di ruoli che ci fa passare da un copione all'altro, con delle richieste sottili di comportamento da parte della società che non appaiono, ma che però sono molto normative, sono molto rigide e ci costringono a cambiare completamente registro, come si dice, da una situazione all'altra. Tutto questo quindi ha favorito un disequilibrio all'interno dei nostri sistemi famigliari tra quella che è l'importanza dei ruoli e quella che è l'importanza degli status. Ecco su queste due definizioni io vi pregherei di fare un po' di attenzione: per status definisco quell'insieme di comportamenti individuali in cui se volete è prevalente l'influsso che l'uomo con il suo comportamento può avere sul resto della società. Nel comportamento di ruolo invece la situazione è completamente capovolta, qui è prevalente l'influsso della società sul comportamento individuale. Quindi quando io capisco con un comportamento di ruolo in genere subisco una richiesta della società rispetto a quelle che sono le mie esigenze, i miei bisogni strettamente personali; quando invece esprimo un comportamento di status io riesco in qualche modo a far prevalere o comunque a valorizzare o a dare una spinta maggiore a quelle che sono le mie esigenze personali rispetto all'ambiente esterno, rispetto alla società.

Voi ricordate che nelle società rurali abbiamo una forte presenza di comportamenti di status. Gli individui si "pongono" nei riguardi della realtà e riescono in un certo modo ad essere ben identificabili e diciamo anche comprensibili per quello che sono integralmente. Ecco perché la loro ricchezza interiore modifica in qualche modo la realtà, si impone sulla realtà, diventa un elemento di riferimento per la realtà e può innescare dei processi di cambiamento nella società. Nei comportamenti di ruolo, invece, la ricchezza interiore, la specificità individuale di ogni singola persona si appiattisce, diminuisce sempre di più ed i ruoli sono fatti in modo tale che gli individui agiscono per quella parte di comportamenti che è omologabile come comportamento comune. Il ruolo non so del vigile è uno solo, tutti i vigili sono uguali quindi nel comportamento di ruolo io esprimo quella parte di comportamento che può essere diciamo omologabile con altri comportamenti umani specifici perché rispondono ad una esigenza della società che mi chiede di comportarmi in un certo modo e mi adeguo a quel comportamento. Quindi nella società post-industriale ed in particolare nella famiglia di tipo ancillare noi abbiamo questa enorme proliferazione di ruoli rispetto agli status che è poi motivo principale della mancanza di capacità dei genitori di porsi a confronto con i giovani e di stabilire con loro dei rapporti umani perché la povertà dei comportamenti di status corrisponde automaticamente ad una povertà di vita interiore ad una povertà di capacità individuali di controllare, di verificare e di comprendere la realtà esterna e quindi è povertà di cose da trasmettere ai figli. E' una povertà di patrimonio da avere in mano con cui mettersi a confronto con i figli.

Ora in questo contesto di famiglia di tipo ancillare si è inserito il fenomeno, molto importante dal punto di vista antropologico, del permissivismo che è oggi ampiamente criticato e che ha subito una virata a 360 gradi, se volete, sotto la spinta di fenomeni come il terrorismo, la droga, il consumismo e così via. Il permissivismo che era una conquista importante dal punto di vista antropologico, dal punto di vista in particolare dei rapporti tra i figli ed i genitori, perché salvaguardava ed enfatizzava tutta una serie di valori che vanno dall'autonomia, alla partecipazione, alla responsabilizzazione, alla ricerca di se stesso, alla spontaneità, alla possibilità di porsi continuamente in situazione di critica rispetto a tutti i livelli dei rapporti interpersonali. Questo permissivismo si è innescato in una situazione di famiglia ancillare così povera di capacità degli adulti di controllare e orientare i processi di socializzazione dei figli che ha finito per essere degenerato, per evidenziare cioè soltanto degli aspetti negativi. Al limite possiamo dire che il permissivismo, vissuto in una prima fase in maniera diciamo quasi entusiasmante da parte dei genitori come tappa di conquista per l'umanità, ha dato ben presto l'alibi a un comportamento di sottrazione di responsabilità da parte degli adulti. Che erano costretti da una parte dalle pressioni continue della società a trasmettere ruoli, comportamenti ed esigenze esterne e compressi dall'altra parte da una società post-industriale che ha come sua caratteristica principale la complessità crescente e la impossibilità di rifarsi a metodi e schemi interpretativi obiettivi che siano riconosciuti validi per tutti. La crisi di certezze, la crisi di valori non è soltanto un fatto spirituale, un fatto religioso ma anche un fatto tecnico delle nostre società di oggi che non sanno cosa succederà con l'avvento dell'informatica, che non sanno cosa succederà a livello di guerra, a livello di pace, che non sanno cosa succederà a livello di sviluppo economico, a livello di mercato della occupazione. Quindi i genitori in bilico tra la scarsità dei comportamenti di status all'interno della famiglia ancillare, tra la complessità crescente del sistema sociale e l'impossibilità di controllare l'evoluzione del sistema sociale hanno finito per prendere il permissivismo come alibi per una deresponsabilizzazione totale del loro ruolo di genitori. Quindi il permissivismo è diventato di fatto una sottrazione alla responsabilità del contatto umano. Ci si è illusi che attraverso il permissivismo la spontaneità, la capacità autonoma dei figli potesse in qualche modo supplire al ruolo educativo ed al ruolo orientativo che hanno tipicamente i genitori. Non solo ma ci si è costruiti anche un alibi con questo permissivismo misto a questo aspetto ancillare della garanzia del bene economico, perché non è difficile sentire noi genitori che parliamo dei nostri figli che son falliti o che hanno sbagliato dicendo: "ma gli abbiamo sempre garantito tutto, non avevano che chiedere, gli abbiamo dato anche il massimo della libertà, potevano esprimersi come volevano, potevano realizzare il meglio di se stessi come volevano" e questo costituisce oggi un'alibi credibile, un'alibi abbastanza accettato nelle sedi che contano per gli adulti che sono le loro sedi, nelle quali vivono tra loro in cui determinano tra loro i giudizi di valore sulla società. Cosa ne deriva, allora, a livello di "figure paterne" e di "figure materne" da questa situazione fenomenologica che ho cercato, anche se in maniera confusa, di illustrare badando più a fare alcuni flash piuttosto che a riportare il tutto all'interno di uno schema ordinato e preciso. Intanto una cosa è certa: vi è stata una interruzione del dialogo tra genitori e figli. Il permissivismo è stato l'alibi, il fatto che si potesse supplire al confronto umano e al dialogo tra padre e figlio dando semplicemente dei beni materiali e procacciando qualsiasi mezzo materiale è stato il mezzo attraverso il quale di fatto poi il dialogo si è interrotto. E' difficile oggi dire che il dialogo si è interrotto per colpa dei figli.

A me sembra invece che sia un fatto ormai acquisito che in questo dialogo chi è mancato è stato il genitore che, in buona fede probabilmente, ha pensato di poter dialogare in qualche altro modo, di poter dialogare attraverso questa cinghia di trasmissione. I figli invece dialogano, i figli mandano molti segnali ai genitori e se i genitori sono attenti riescono a coglierli. Il discorso è troppo lungo ma se pensiamo al fenomeno della droga, che è il paradigma direi di questo dialogo simbolico che i figli riescono a instaurare con i genitori, vediamo che nel fenomeno della droga, ma anche nel fenomeno della devianza di tutti i giovani ed anche nella devianza più spicciola dai bambini che disobbediscono, che rubano al supermercato o che non vogliono assolutamente riconoscere nessun tipo di autorità da parte dei genitori, in questo tipo di devianza c'è da parte dei figli l'espressione di un'angoscia esistenziale perché non riescono ad avere dai genitori quello che vogliono. I giovani, allora, lanciano la sfida della droga, cioè mettono a repentaglio la propria vita, obbligando gli adulti a riallacciare questo dialogo interrotto sul terreno più difficile e più pericoloso, perché oggi si esce dalla droga soltanto riallacciando il dialogo con gli adulti e questo lo sappiamo ormai tutti. Si esce dalla droga soltanto ritrovando nella società degli adulti quel minimo di credibilità di valori, di stimoli che aiutano i giovani appunto a diventare soggetti adulti in una società degli adulti valida. Con la droga, inoltre, c'è tutta una serie di altri simboli che i figli trasmettono. Pensiamo soltanto a quello più eclatante: noi genitori continuiamo a trasmettere beni materiali e vivere mensilmente richiede per un ragazzo drogato un budget mensile di circa un milione e mezzo, il che non è poco, ed il ragazzo drogato riesce a vivere, a garantirsi questo milione e mezzo mensili con risorse proprie. Egli quindi banalizza l'importanza dei beni economici perché dimostra di riuscire a garantirsi da solo questi beni economici, mentre i beni che non riesce a garantirsi sono proprio i beni per lui esistenziali come il rapporto interpersonale. La madre forse ha sofferto molto meno del padre ed è anche meno responsabile del padre di questa situazione di famiglia ancillare di famiglia appiattita. Anzitutto abbiamo avuto in questi anni una costante femminilizzazione dei comportamenti e degli schemi interpretativi della nostra società. Cosa intendo per femminilizzazione: molti comportamenti tipicamente femminili si sono allargati a tutti noi, si dice, ad esempio, il consumo è femmina e nei nostri comportamenti di consumo noi uomini ci siamo fortemente femminilizzati assumendo dei comportamenti consumistici che prima venivano esclusivamente riservati alle donne. Ma c'è una femminilizzazione più profonda degli schemi di vita e degli schemi di comprensione: oggi diciamo la tolleranza è femmina, diciamo la pace è femmina quasi contrapponendola alla guerra che è maschile che è virile, diciamo Dio è una madre, ieri a questo Convegno c'era una relazione sul padre-materno. Questa costante riscoperta della femminilità, che stranamente finisce poi per portare ad una specificità delle qualità femminili, quasi in contrapposizione con quelli che potevano essere gli obiettivi di una femminismo esasperato che puntava invece ad una eguaglianza a tutti i livelli tra uomo e donna. C'è una riscoperta della donna: "donna è bello" e anche dal punto di vista genetico, la nascita di un figlio trasforma completamente tutto l'organismo della mamma e offre delle potenzialità, proprio dal punto di vista delle qualità biologiche, delle potenzialità sconosciute all'uomo, rinnova completamente l'organismo, è un'esperienza non soltanto culturale, intellettuale ma è una esperienza fisiologica importante. C'è, quindi, questo costante richiamo alle potenzialità femminili che non sono sufficientemente scoperte ed a cui molti pensano oggi come ad elemento di riferimento perché la nostra stessa società esca dall'attuale crisi d'identità. Con i suoi cicli fisiologici che sono simbolo di flessibilità, con la sua alternanza tra lavoro e casa, con la sua capacità di adattamento continuo e quindi non con la sua scarsa necessità di controllo spietato di quello che è la realtà esterna, come spesso succede nella figura maschile che deve programmare e che è sicura solo se sa perfettamente cosa succede l'indomani, ecco questa estrema adattabilità e facilità della donna di muoversi nel complesso, di muoversi nell'infinito, di muoversi nell'assenza di chiarezza per l'indomani: sono tutti elementi che si stanno riscoprendo e che possono costituire un nucleo centrale importante di quella che sarà la società post-industriale, una società che superi la società e dominanza economica che abbiamo avuto fino ad oggi. C'è stato poi un secondo alleato della donna e cioè l'emancipazione femminile che ha registrato un costante progresso in questi ultimi anni, anzitutto con i miglioramenti tecnologici che hanno liberato la donna da una serie di incombenze familiari, con l'ampliamento poi degli interventi della politica sociale che ha sottratto sfere di responsabilità alla donna nell'ambito della famiglia, non diamo giudizio se positivamente o negativamente, ma di fatto c'è stata una spinta all'emancipazione femminile, c'è stata una spinta dovuta anche agli sbocchi professionali ricercati per la donna in alcuni ambiti di lavoro. Infine c'è stata la spinta che viene anche dalla trasformazione antropologica importante che abbiamo subito nella misura in cui diminuiva la pressione economica, nella misura in cui la nostra struttura dei bisogni non assumeva più gli aspetti economici come determinati come essenziali nella misura in cui il comportamento economico diventa uno dei tanti comportamenti perché i bisogni non sono più soltanto economici ma sono anche di altra natura. La capacità di risposta a questi bisogni non è più monopolio esclusivo dell'uomo che lavora, dell'uomo che è esposto sull'esterno, dell'uomo che organizza le scelte possibili dal punto di vista del consumo. Non è più l'uomo il protagonista, l'unico protagonista della risposta ai bisogni se i bisogni sono anche di altra natura, sono cioè anche di tipo come dicevano post-materialistici, che cioè riguardano la persona umana, riguardano i rapporti interpersonali, la possibilità di esprimere sentimenti, angoscia, paura, la possibilità di confrontarsi con altri persone. A questi bisogni sembra che la donna sia più predisposta a dare risposte che non l'uomo. La natura di questi bisogni e due alleati, come l'emancipazione femminile e la costante femminilizzazione di alcuni schemi di comprensione della società, hanno fatto si che la cultura del permissivismo abbia avuto nella donna una protagonista importante. La svolta storica del permissivismo, con quegli aspetti positivi dell'autonomia, della responsabilizzazione, della partecipazione, della spontaneità, è stata una spinta culturale che la donna ha sposato totalmente perché i valori dinamici erano gli stessi, erano quei valori che portavano ad una emancipazione femminile, cioè a dare alla donna quella possibilità di partecipazione, di essere autonoma, di essere responsabile, di essere spontanea. Erano questi gli strumenti indispensabili per proseguire al commino dell'emancipazione femminile e della femminilizzazione degli schemi interpretativi della società. Quindi diciamo che la donna ha vissuto questa fase del permissivismo e questa fase di crescita globale della società anche nei suoi aspetti materiali con una componente molto importante di promozione personale e di protagonismo. Chi invece è rimasto in perdita, che ha subito forti colpi alla propria credibilità è proprio la figura paterna, è proprio l'uomo che ha visto gradualmente cadere il consenso circa la legittimazione del proprio ruolo. Nella misura in cui si avviano queste trasformazioni culturali, queste trasformazioni economiche è una parte di funzioni paterne che vengono meno, sulle quali il problema è meno grave a mio avviso, e sono le funzioni paterne tradizionali delle quali ormai si parla sorridendo, l'autorità mai messa in discussione, la possibilità di decidere sull'ambiente esterno vita e monte di tutto quello che fa la famiglia, anche il rapporto molto autoritario con i figli su queste cose, la priorità assoluta del lavoro e quindi delle esigenze dell'uomo che riguardano il suo lavoro, tutta la vita famigliare scandita secondo le esigenze che vengono dal lavoro: ci si alza a questa ora perché si lavora, si mangia a questa ora perché "lui" torna dal lavoro, si va in vacanza quando lui può lasciare il lavoro, si fa il week-end se lui può etc. Questo tipo di dominanza dell'uomo, che era prioritaria del ruolo maschile conseguente in maniera così meccanica dal fatto che la società era una società articolata su una dominanza di tipo economica, con i bisogni di tipo economici, è venuta del tutto meno. Ma questo è meno grave perché l'uomo è stato partecipe di questa evoluzione, l'uomo è stato anche protagonista , in fonda è stato anche lui che ha voluto come padre che si allargasse la sfera della partecipazione, che i figli crescessero più autonomi, più spontanei, che potessero sempre più usufruire di autonomie e di responsabilità. Su questi aspetti quindi mi sembra che l'uomo, essendo stato anche lui protagonista della grande fase di trasformazione dei comportamenti non si siano molti problemi; il più grosso problema riguarda invece l'aspetto della capacità vera e propria di comprendere, di conoscere, quindi di controllare l'evoluzione esterna della nostra società. Su questi problemi che riguardano la natura stessa della società post-industriale, che come dicevamo prima è una società complessa, una società estremamente variabile e modificabile, rispetto alla quale è difficile fare qualsiasi piano di controllo e di programmazione, l'uomo è venuto meno. E' venuto meno proprio in questa esigenza di controllare l'esterno con questa sua necessità di poter programmare, di poter rispondere all'interno della famiglia agli interrogativi che nascono, cosa sarà domani, di poter avere delle risposte pronte, delle risposte sicure ed è a questo livello che si è incrinata maggiormente la capacità dell'uomo di essere padre, di assolvere in pieno la sua funzione paterna. Cioè l'uomo ha sempre più percepito come estranei i processi esterni ha sempre più verificato la mancanza di strumenti di controllo e di conoscenza di questi processi esterni e di fatto si è visto costretto a sottrarsi a dare quelle risposte agli interrogativi che nascevano in famiglia e mutuava queste risposte garantendo beni economici, portando il secondo lavoro, il terzo lavoro e così via. E' qui la crisi più grossa, è la crisi della difficoltà di conciliare delle esigenze che l'uomo stesso sente come imprescindibili per assolvere in maniera positiva la propria funzione paterna, che sono le esigenze di avere una capacità di controllo dall'esterno, valida per legittimare all'interno della propria famiglia il proprio ruolo, conciliare queste esigenze con la realtà della società post-industriale che di fatto non permette proprio o comunque non permette appieno l'esercizio di questa capacità di controllo. In secondo luogo c'è la crisi più generale di valori, la crisi di certezze che ha attraversato la nostra società a partire dagli anni 70 e che incide a sua volta sulla capacità di comunicare, sulla capacità di avere un rapporto interpersonale valido. Si è padri e si riesce a esercitare una funzione paterna anche se non si controlla l'esterno ma se si ha una ricchezza da trasmettere ai propri figli che dia garanzia, che dia sicurezza, che permetta ai figli di diventare uomini, di affrontare a loro volta l'esterno. Ecco anche qui l'uomo non ha avuto più niente da trasmettere, è stato insicuro, è stato incerto. Allora vediamo che tra questi due elementi - da una parte la difficoltà di controllare la complessità esterna di una società post-industriale e dall'altra questo vuoto di valori, questo vuoto di sicurezza, di garanzie, questo patrimonio personale che non si è più arricchito perché i comportamenti di status sono spariti vediamo che i nostri figli vengono su senza comportamenti di status, non sanno cosa vuol dire accumulare internamente delle certezze, dei modelli di comportamento, dei valori. Questo esercizio, questa ginnastica di sedimentare all'interno del proprio io dei valori di riferimento, delle mete, delle conquiste molti dei nostri figli vengono su senza questa parte di umanizzazione.

Si passa da un ruolo all'altro, non esiste la funzione di sedimentazione dei valori di crescita di una proprio io, di un patrimonio che è personale e che deve assolutamente essere unico perché è la sua unicità che ne permette poi la trasmissione ai figli, la trasmissione alle altre persone. Tra queste due spinte allora, tra queste due grosse crisi che travagliano l'uomo di oggi viene allora meno anche quella misericordia di cui parla l'enciclica, la misericordia tipica dell'uomo per il figliol prodigo, del padre che misteriosamente non riesce a fare una mediazione tra il giusto e l'amore e riesce solo ad avere dei comportamenti di misericordia che vanno al di là diciamo dell'esperienza umana esistenziale che siamo abituati a conoscere. Questa misericordia, questa capacità di dare amore senza dare giudizi, è questo allora che rischia di essere compromesso in una società in cui il controllo dell'esterno sfugge sempre di più e non c'è nessun patrimonio interno. Siamo scoperti su tutti due i fronti dunque: sul fronte delle possibilità di controllo dell'esterno e sul fronte della capacità di dare contenuti interni e allora dove troviamo gli elementi per esercitare, per produrre quella misericordia del padre ed a cui Cristo ci richiama costantemente.