Antonio M. Javierre

IL MISTERO DI DIO

 

"In questo consisteva il segreto del Regno di Dio:

che non c'era Re.

Al suo posto figurava il PADRE" (1).

Introduzione

Nel contesto culturale odierno, il tema della paternità divina costituisce una sfida quasi temeraria.

Sono, infatti, numerosi coloro che vorrebbero messo al bando Dio Padre dalla società di oggi.

L'opposizione a Dio Padre sembra aver fatto presa sull'animo dei giovani universitari. Nel corso di un'inchiesta, svolatasi in una residenza universitaria romana, intorno alla fede vissuta dalle giovani studenti, ho trovato una risposta tanto inattesa quanto provocatoria a proposito del primo articolo della nostra fede: "Il credo in Dio Padre mi sembra accettabile nell'ipotesi che quel sostantivo padre sia sinonimo di buono, amabile, provvidente o qualcosa di simile. Se, invece, il termine padre viene preso in senso letterale, allora penso di dovere sospendere il mio assenso. Non accetto che la religione cristiana venga degradata al livello di una variante mitologica che rasenta il paganesimo".

Da notare che quel gruppo di universitarie non risultava assolutamente eccentrico, ostile alla religione o incline agli eccessi femministi. Tutt'altro: si trattava di ragazze perfettamente normali, provenienti da ottime famiglie cristiane e formate, generalmente, nelle aule di scuole cattoliche. Nel corso di una discussione che ne seguì, potei scoprire fino a che punto esse erano vittime dell'ambiente in cui erano inserite.

In tale ambiente l'ostilità verso Dio Padre presenta radice molteplici e profonde.

1^) La STORIA DELLE RELIGIONI presenta un'ampia rassegna di popoli primitivi che, in apparente consonanza con i cristiani, collocano Dio Padre al centro del loro culto.

Un esame attento della documentazione storica di questi popoli lascia allo scoperto subito l'ambivalenza del linguaggio: Per alcuni, la paternità deriva dalla causalità divina. Dio viene riconosciuto come "Padre" in base ad una sua opera creatrice (2), elettiva (3), o in qualche modo benefica (4). Il termine, dunque, si muove nell'ambito della metafora.

Per altri, invece, il titolo viene adoperato in senso proprio; ciò suppone, alla base, la generazione. Con tutte le precauzioni, esigite dal linguaggio analogico, Dio è vero padre, perché genera un figlio.

Attraverso le testimonianze delle universitarie, di cui nella inchiesta, il panorama si presenta quanto mai preoccupante. Come estrema concessione, la paternità divina viene tollerata come formula infantile, propria dei popoli sottosviluppati. Il processo di demitizzazione, che porterebbe la civiltà a piena maturazione, non lascia spazio per quelle categoria di ispirazione arcaica ormai definitivamente superate.

2^) In CAMPO SCIENTIFICO sono gli psicologi ed i sociologi ad interessarsi al tema, per i suoi riflessi sull'uomo.

La psicologia ausculta attentamente l'incidenza della paternità sia sul profilo dell'individuo sia sul suo comportamento.

La sociologia studia, invece, le conseguenze che comporta sui modelli strutturali dei raggruppamenti umani, l'ipotesi di un Dio considerato come Padre.

Non è frequente il verdetto nettamente negativo. (5) Come motivazione psicologica si adduce la minaccia che rappresenta la figura del padre per lo sviluppo normale dell'uomo ed il raggiungimento della sua piena maturità.

Per i sociologi, il superamento della formula viene postulato dal perfezionamento progressivo delle forme di convivenza umana. Al punto in cui ci troviamo, sarebbe un 'involuzione inaccettabile ritornare a comunità di tipo patriarcale, che prendevano ispirazione dal passato ed erano configurate dalla credenza di un Dio Padre.

3^) Anche la RAGIONE METAFISICA avanza non lievi riserve. "La crisi della figura del Padre, per Marcel, è solo in seconda istanza un fatto sociologico; essa è in prima istanza un crollo di ordine metafisico" (6).

Il classico sforzo a cui si sobbarca la TEODICEA per ascendere a Dio, partendo dai valori creati, mediante un processo delicato di purificazione e di potenziamento (7), si arresta fatalmente allorché appare all'orizzonte la figura del Padre. La regione è che oggi essa non è più un valore. Anzi a giudizio di Sartre, è persino "il legame stesso di paternità che è marcio" (8).

Di fronte alle sue caricature mostruose, ripugna pensare ad una qualsiasi applicazione a Dio, la cui perfezione non consente ombra.

La TEOLOGIA non può tralasciare l'elaborazione di un dato espressamente rivelato. Tuttavia il discorso su Dio Padre viene oggi contestato. Il clima attuale, si afferma, rende estremamente difficile sia la lettura esatta dei dati di fede, sia la loro applicazione corretta alla nostra società.

Di fronte alle pregiudiziali freudiane e alle istanze radicali del femminismo, "alcuni teologi ritengono che oggi non sia possibile presentare agli uomini Dio come Padre e che il cristianesimo vada demitizzato sotto questo aspetto" (9).

La riflessione su Dio nostro Padre appare, dunque estremamente inattuale, piena di rischi, soggetta a gravi malintesi di tipo culturale, che minacciano persino lo scandalo.

In questa materia, però, non si dà alternativa: non è consentito il cedimento e neppure il silenzio.

"La figura del Padre è troppo centrale radicata nella realtà cristiana per essere espunta " (10).

Si trova, infatti, alla base del mistero trinitario nella sua dimensione immanente e sul suo versante storico. Condiziona, poi, fondamentalmente la risposta degli uomini, chiamati alla figliolanza divina (11).

Pur consapevole della difficoltà estrema che l'argomento comporta, ho accettato la meditazione sul mistero del Padre. L'ho fatto per pura riconoscenza filiale e, nello stesso tempo, per amore fraterno.

Desidero impostare questa meditazione in tre tempi; esistenza, essenza, dinamismo.

Sono tre questioni che vengono spontaneamente al pensiero e sono altresì le dimensioni sostanziali dell'oggetto da studiare.

 

A

AN SIT: DELINEANDO IL TEMA

Due sono le principali questioni a proposito dell'esistenza del Mistero del Padre:

- il senso esatto da attribuire ai due termini in gioco: Padre e Mistero;

- e l'associabilità concettuale di ambedue, per costituire l'insieme: Mistero del Padre.

il taglio teologico del nostro esame consiglia di introdurvi un terzo termine come punto di riferimento comune: "Dio". La decisione si avvera provvidenziale, perché dai contatti tra Padre e Dio e tra Dio e Mistero, risulta una visione molto più articolata e profonda del binomio Mistero del Padre.

I. Padre

A scanso di equivoci, occorre premettere qualche precisazione sul vocabolario.

1. Innanzitutto, il termine "padre" viene qui adoperato sempre in senso proprio. Poggia, dunque, sul fatto di una generazione, necessaria e sufficiente per fondare la paternità vera (12).

Come accade spesso con le nozioni più comuni, al momento di definire il "padre" sorgono non lievi difficoltà.

Interrogato un padre, in una inchiesta, rispondeva, dicendo: "Che cosa sia l'amore paterno sono almeno quindici anni che continuo a chiedermelo" (13).

Non è, un enigma impenetrabile. E' una parola che, soprattutto in vaste regioni e amplissimi periodi di tempo, comporta una dose di potenza e di autorità, nimbata di effetto e piena di sollecitudine verso i propri figli (14).

Portato il termine nel mondo religioso, appare il profilo di un Dio di infinita tenerezza (15) e un Padre di immensa maestà. (16) "Chiamandolo Padre - assicura Tertulliano - lo confessiamo anche Dio. E questo titolo esprime la nostra pietà e la sua potenza" (17): "Lodiamo ineffabilmente, dunque, la sua essenza e amiamo la sua misericordia" (18).

Lo studio sistematico del binomio Dio/Padre porta a risultati stupendi.

Il primo, di ordine terminologico: l'uso liturgico allarga indefinitamente l'orizzonte dell'attività paterna. E questo per il semplice fatto che "Dio" - viene adoperato normalmente come sinonimi di "Padre" (19).

Più toccante risulta ancora il confronto tra i due concetti. "Dire Dio - nota Cirillo Alessandrino - significa soltanto indicare il padrone di tutto le cose. Dire Padre è raggiungere la proprietà intima, poiché è manifestazione che Dio ha generato. Padre è dunque, in certo modo, il nome più vero di Dio; il suo nome per eccellenza" (20).

Lo stesso autore avanza altrove una precisazione che basterebbe per eliminare certe inclinazioni "deistiche": "Dato che la creazione è posteriore alla generazione del Figlio, è proprio di Dio , anzitutto, essere Padre; e poi, sarebbe senza posteriorità di tempo, essere Dio" (21).

2. L'essenza della paternità supera di molto i limiti ristretti in cui si muove la generazione biologica, assolutamente inapplicabile al Padre.

Diventa istruttiva l'aporia classica, registrata nella letteratura antica. I pensatori greci vedevano in Giove il Padre degli dei e degli uomini; consideravano, d'altra parte, l'amicizia come l'ideale supremo dell'amore; eppure non osavano concludere attribuendo a Giove l'amicizia coi suoi figli.

L'ostacolo diventava insanabile perché radicato sull'essenza dei due concetti in gioco:

L'amicizia postula l'uguaglianza tra gli amici, perché li trova uguali o li rende tali;

la paternità, invece, è un amore che supera di molto la corrispondenza filiale. "Amore e fare di più, essere amato e ricevere di meno, ecco il carattere tipico dell'amore paterno verso i figli" (22).

Alcuni filosofi cercarono di aggiungere l'ostavolo, considerando il padre alla stregue di un artista. Questi ama l'opera d'arte come espressione del proprio essere. Analogamente si può dire dei genitori: "amano il proprio figlio perché esso fa parte del loro essere e perché in lui riconoscono se stessi" (23).

Rimane ancora incolmabile il dislivello affettivo tra padre e figlio portato su scala divina. La trascendenza di un Dio Padre rendeva inconcepibile qualsiasi uguaglianza (24).

Fu necessario attendere l'avvento della rivelazione cristiana per superare l'aporia. Lo schema di un amore assolutamente nuovo e il disegno amoroso concepito da una mente divina e da un cuore paterno, rese possibile l'amicizia di Dio coi suoi figli.

a) Dio ama giusti e peccatori. Quelli non perché giusti; dato che non può amare simultaneamente i peccatori; questi, invece, in margine al loro male che non è suscettibile di amore. Ama tutti, al di là del bene e del male dei soggetti; perché non è il dove riposa il vero motivo del suo amore.

Questo rivoluzionario e stupendo modello di amore inedito (25) è quello che Gesù presenta come caratteristica del cuore di Dio Padre (26).

b) Il quale, non si limita ad amare; ma, con una filantropia meravigliosa, concepisce un disegno paradossale di incarnazione che comporta una serie di donazioni amorose, le quali non si arrestano neppure di fronte allo scandalo della croce. Di più ancora: Dio non soltanto ama appassionatamente, ma invita i figli alla corrispondenza e rende possibile la loro risposta, grazie al ponte lanciato dal suo Apostolo, per cui è facile battere a doppio senso la strada dell'incontro e, con l'incontro, realizza l'intimità tra gli amici.

Conseguentemente, la trascendenza di Dio Padre non è ostacolo alla vera amicizia divino-umana, contrariamente a quello che pensavano i filosofi a proposito di Giove. Anzi: "contro l'idea greca che intende la perfezione come qualcosa di compiuto e di statico, essi - i cristiani - inventano il concetto di perfezione come processo continuo. La rivoluzione si ripercuote nell'idea dell'amore. Diviene misura dell'amore, quella di amare senza misura, e senza misura non sarà mai possibile soppesare due amori....; l'amante troppo grande non interdisce l'amicizia in nome della sua grandezza; al contrario grazie alla sua grandezza rende possibile l'amore d'amicizia" (27).

3. L'elevatezza divina dell'amore paterno rende inconsistente l'attacco violento che doveva sboccare nell'ideale utopico della "società senza padri" (28). Il Padre che è nei cieli esercita a perfezione il suo amore paterno senza ombra di egoismo. Non si oppone alla maturità del Figlio; anzi è dal Padre che deriva la sua perfezione in tutto identica a quella del Padre. Non fa poggiare la sua grandezza sul piedistallo del Figlio, "perché - come nota acutamente S. Gregorio di Nazianzo - la gloria del Principio non consiste nell'abbassamento di coloro che procedono da Lui " (29). Il paternalismo, insomma, altro non è che una deformazione rozza della vera paternità che splende nella Trinità augusta come una donazione totale per via dell'amore.

Il pessimismo, creato al momento di fare il bilancio della paternità ai nostri giorni, è dovuto a due confusioni gravissime che consistono:

- la prima, nell'avere proiettato sulla paternità genuina, deformazioni occasionali dovute a comportamenti devianti per malizia o debolezza;

- la seconda, nell'avere elaborato modelli sociologici a partire da elementi dovuti a limitazioni proprie dei padri umani, ma che non derivano affatto dalla paternità in sé.

Da quest'ultima confusione deriva, in parte, lo pseudo-problema attorno al sesso del Padre.

a) Sarebbe un errore privare Iddio dei valori stupendi dell'amore materno. Dio Padre è amante senza limiti estensivi od intensivi. Si trovano in lui, in forma eminente sia la fortezza dell'amore virile sia la tenerezza della mamma. La Bibbia non fa misteri a questo proposito, (30) e Papa Giovanni Paolo I ne diede la formulazione catechetica (31).

b) Ma non meno erroneo risulterebbe l'errore opposto: introdurre, cioè nella sfera amorosa divina, categorie provenienti dalle nostre limitazioni umane. Sorgono antropomorfismi, totalmente indegni della nostra cultura contemporanea.

c) Occorre, dunque cercare la soluzione nel rispetto dovuto ai lineamenti sia della paternità divina trascendente, sia della sua partecipazione fatta agli uomini. Ne segue, come conseguenza, la presenza in Dio in un amore in pienezza, come corrisponde alla sorgente limpidissima, libera, perciò, dalle ristrettezze morali dell'esercizio dell'amore a livello creaturale.

II Mistero

Nell'estimazione comune, il mistero è in rapporto strettissimo col mondo della conoscenza. Il mistero è un enigma, una realtà sconosciuta e perfino inafferrabile.

1. C'era attorno al Vaticano I un ambiente razionalista, ostile ad ogni sorta di mistero. Maritain ebbe a dire che l'età moderna alimentava una sorta di inimicizia insuperabile tra la ragione e il mistero.

Niente di strano che la teologia cattolica, per esigenze della causa, prendesse per conto proprio la giustificazione teoretica del mistero su basi strettamente noetiche. (32)

Troviamo normale l'ignoranza di fatti che sfuggono alla nostra sperimentazione, e non ripugna l'ipotesi di realtà create, la cui natura intima rimane impermeabile a tutte le nostre ricerche. Tali enigmi non sono misteri in senso rigoroso. Meglio sarebbe chiamarli problemi. Anche se si tratta di verità non conosciute al momento presente, sono in sé perfettamente conoscibili dalla ragione umana.

I misteri assoluti, riguardanti l'intima realtà di Dio, presentano analogie con i misteri naturali; in realtà, però hanno una natura totalmente diversa, a causa della loro assoluta trascendenza in rapporto a qualsiasi intelletto creato. "Infatti, i misteri divini - dice il Vaticano I - per loro natura, superano totalmente l'intelletto creato, che anche con la rivelazione la fede rimangono coperti dal velo della fede stessa, quasi fossero avvolti in una certa oscurità, fintanto che in questa vita mortale pellegriniamo lontani dal Signore" (33).

2. Piace osservare un notevolissimo cambiamento di posizione nel mondo del pensiero che c'è attorno al Vaticano II.

I filosofi sono ormai lontani dalle posizioni razionaliste di altri tempi. Sono stati forse gli stessi scienziati a provocare la svolta. Essi parlano ormai senza complessi di mistero riconoscendo apertamente i limiti delle loro conoscenze. Un passo avanti nelle investigazioni significa, sì, soluzioni di alcuni problemi storici, ma, altresì, apparizione fatale di nuovi enigmi che sfidano l'intelligenza in forma, forse, ancora più grave.

Libera la teologia dell'impegno apologetico in difesa della dimensione noetica dei misteri, poté consacrare maggior attenzione al registro ontico. Il che portò progressivamente i teologi alla scoperta di aspetti fondamentali che collimano perfettamente con le posizioni della primitiva Chiesa (34).

Uno schema preparatorio alla Costruzione sulla Chiesa, porta questa descrizione: "la voce mysterium non indica semplicemente qualcosa di inafferrabile e di astruso, ma, come oggi è comunemente accettato, designa una realtà divina trascendente e salvifica, la quale viene in qualche modo svelata e manifestata in forma visibile" (35). Le applicazioni di questo concetto permise applicazioni varie, e consente, soprattutto, di poter presentare la Chiesa come autentico mistero.

Non c'è niente di rivoluzionario in tutto questo. "Per S. Paolo, la voce mysterion indica generalmente il disegno salvifico che il Padre ha stabilito da tutta l'eternità e che porta ad esecuzione grazie all'incarnazione del suo Figlio e alla missione dello Spirito Santo; e che porta a termine nella comunità della Chiesa, organo di connessione con le tre divine persone.

Resta in definitiva che, d'accordo con la dottrina del Padre, la Chiesa è unita al mistero fondamentale della Santissima Trinità come alla sua fonte viva e permanente" (36).

3. Il mistero presenta, pertanto, una dimensione ontica (disegno universale di salvezza), e insieme la dimensione noetica (dottrina non conoscibile se non attraverso la rivelazione) (37). Le due dimensioni, squisitamente "misteriose", si richiamano vicendevolmente; il registro noetico è condizionato dalle realtà divine; le quali, a loro volta, non sono mai oggetto proporzionato per un intelletto creato. Per accedere alla Trinità immanente ci vuole il ricorso doveroso alle tracce lasciate nella storia della Trinità economica (38). E ancora così, l'intelligenza umana si arresta impotente di fronte a chi "è al di sopra di tutto, che è trinità e unità, senza essere, tuttavia né tre né uno nel senso che hanno per noi i numeri" (39).

Sono constatazioni scontate per i pensatori di razza. "Dio, afferma Unamuno, è indefinibile...Tentare la definizione significa circoscriverlo nell'ambito stretto della nostra mente; il che equivale ad annientarlo" (40). "Un Dieu défini, c'est un Dieu fini" (41).

Reazioni analoghe si trovano negli scritti di Agostino, formulate con garbo: "nel discorso su Dio, perché ti meravigli di non capire? Se tu comprendessi, non sarebbe più Dio....Raggiungere per un istante Dio mediante lo Spirito è somma beatitudine; ma comprenderlo non è possibile" (42).

Non diverso è il parere del Nisseno: "Le parole divine insegnano che nessuna conoscenza umana può darci un'idea adeguata della divinità. Se mai concetto o immagine pretenda offrirci la conoscenza o l'intuizione della natura divina, bisogna ammettere che essi esprimono soltanto un fantasma di Dio, non già la sua reale essenza" (43).

Constatazioni simili non devono portar i teologi allo scoraggiamento. Se Dio ha rivelato questi misteri, non è certo per offrirci degli enigmi da affrontare come un indovinello o delle parole incrociate (44). Il mistero divino ci è stato rivelato perché "pur essendo sempre qualcosa di inafferrabile per l'uomo...(tuttavia) nel medesimo tempo esso riguarda l'uomo, ci tocca, agisce in noi, e la sua rivelazioni chiarisce noi a noi stessi" (45).

Gregorio Nazianzeno detta delle norme metodologiche per fare a dovere la teologia (46). Ma non è questo il momento di seguire tali lezioni, anche se dense di saggezza e di esperienza.

III. Mistero del Padre

1. Il fatto che Dio sia padre e che il mistero avvolga la realtà di Dio autorizza a supporre l'affinità che intercorre tra padre e mistero.

Troviamo ampia conferma nel primo articolo della nostra professione di fede: "credo in Dio Padre onnipotente..." Ogni atto di fede suppone il mistero come oggetto; oggetto che, nel nostro caso è appunto la paternità di Dio. "Dio, infatti, nessuno l'ha mai visto; proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, lui ha rivelato" (Giov. 1,18). E noi l'abbiamo creduto.

2. Vi sono due prospettive complementari che ci consentono di sviscerare il binomio: padre/mistero.

Il Padre è davvero misterioso;

Il Mistero, a sua volta è radicalmente paterno.

a) Non è il caso di rileggere a proposito del Padre quegli stessi Padri della chiesa che ci hanno già parlato sul mistero di Dio. Le loro testimonianze si limitano a precisare il discorso: "Quando diciamo Padre che sei nei cieli confessiamo Dio ed esprimiamo la nostra fede" (47).

Non c'è dubbio che la paternità è l'essenza del mistero di Dio: "A nessuno mai era stato manifestato il nome di Dio Padre... A noi è stato rivelato nel Figlio" (48).

Tutti i Padri sono concordi nell'asserire la impenetrabilità del Padre, qualunque sia lo sforzo dialettico della nostra mente: "Né la paternità né la filiazione, né cosa alcuna che sia significativa per la nostra conoscenza umana potrà mai permettere di raggiungere positivamente il mistero della vita divina" (49).

b) "Con il nome di Padre indichiamo Dio, quel mistero intimissimo di tutte le cose, che in qualità di principio è la nostra origine, in qualità di centro è la forza che ci sostiene, e in qualità di fine è la nostra meta; quel mistero che onoriamo come il nostro creatore, signore e felicità beatificante, il solo in cui troviamo la pace definitiva, che dà un contenuto alla nostra vita e senza di cui precipitiamo nel nulla dissolvitore" (50).

Si spiega lo sforzo dei teologi per penetrare il dinamismo fontale di tutta la realtà (51) sia all'interno della Trinità sia nella sua estrinsecazione salvifica. Nel Padre è racchiuso e come concentrato il mistero che poi si snoda in una sinfonia inafferrabile.

Resta, però, un fatto consolante: tutti i misteri divini fanno capo al mistero originario di Dio Padre; tutti sono a lui collegati come alla loro sorgente purissima. Qualunque sia, pertanto, la forma concreta che assuma lo sviluppo del mistero, si tratta, in definitiva, di una tappa del disegno di salvezza che parte dal cuore di Dio e che lascia sentire i suoi inconfondibili palpiti paterni.

3. Mi si consenta a questo punto una semplice constatazione: il mistero del Padre spinge ad un abbraccio intimo la fede con l'amore.

a) Se il mistero è paterno, non si può dire di aver trovato la sua prospettiva giusta, finché non si colgano le vibrazioni nitide dell'amore del Padre che lo condiziona. E ciò anche se abbiamo cozzato col paradosso cristiano. Perfino il dolore e addirittura le sofferenze incomprensibili degli innocenti che tanto ci scandalizzano, sono da collocare nell'ambito misterioso dell'amore del Padre...perché è paterno il suo mistero.

b) Se il Padre, poi, è misterioso, occorre rispettare la sua intimità nell'abisso della sua luce infinita. E' lecito ricorrere all'analogia, cercando ispirazione nella vita intima di Dio per orientare la nostra. A condizione, però, di non banalizzare i dati rivelati. Essi esigono un trattamento, ispirato a profonda venerazione: quella che corrisponde al mistero, quand'esso ha il nome il Padre.

Nel fondo si tratta di accettare con semplicità che l'amore del Padre è un enigma impenetrabile; e che dev'essere essenzialmente filiale la nostra fede nel mistero.

Sapevamo che perfino l'amore umano è misterioso. "Quando mi viene concesso un amore, io non posso comprenderlo se non vedendovi un miracolo" (52). Ma l'Amore con la maiuscola ha una misteriosità somma e un nome personale: PADRE!

I poeti hanno cercato di giustificare l'amore filiale, nonostante le ombre che a volte velano il volto del padre:

"Padre, se anche tu non fossi il mio

padre, se anche fossi un uomo estraneo,

per te stesso egualmente t'amerei...

...Padre, se anche tu non fossi il mio

padre, se anche fossi un uomo estraneo,

fra tutti quanti gli uomini già tanto

pel tuo cuore fanciullo t'amerei" (53).

Qualcuno anela l'incontro col padre, per seppellire in un abbraccio amoroso antiche incomprensioni: "Il giorno che rivedrò mio padre, se Dio mi concederà di rivederlo dopo la morte, voglio dirglielo, almeno questo, tra le tantissime cose che non sono riuscito più a dirgli mentre era vivo: Grazie, sai. Ho capito una cosa che m'era parsa ovvia e che invece non lo era affatto: tu mi hai sempre amato. Ora capisco, conoscendomi meglio, che non era per niente facile" (54).

Non lo è per Dio il mestiere di padre con noi.

Ma opera sempre con amore perché padre. Lo fa in incognito, perché avvolto nel mistero del suo essere.

Il MISTERO DEL PADRE è una realtà che ci tocca da vicino e che esige una risposta coerente: di fede, perché misteriosa, e di amore, perché tende verso nostro Padre.

B

QUID SIT: PENETRANDO I LINEAMENTI DEL MISTERO

1. La ricerca dell'esistenza presuppone una certa conoscenza previa della realtà. Individuando le coordinate esistenziali del Padre abbiamo già intravvisto i suoi lineamenti pieni di fascino e di mistero. Occorre adesso approfondire la conoscenza, penetrare fino alla radice di un mistero che condiziona la nostra esistenza.

2. L'ideale sarebbe di andare alle fonti ultime; risalire fino al Padre in persona. Non è possibile, per definizione, perché abita nel mistero. Ma si è reso accessibile attraverso la sua rivelazione. E' ormai un fatto, iniziato al momento della creazione, prolungata e precisata per il ministero profetico, e portata a consumazione con l'incarnazione del Figlio di Dio.

3. Questa rivelazione filiale ci assicura l'espressione perfetta del mistero del Padre, tenuto conto della conoscenza che Cristo, perché è Dio, ha del Padre, e dell'uso perfetto delle nostre categorie, perché è uomo come noi. Si tratta, addirittura, di una parola rivelata, inequivocabile per il fatto che viene contrassegnata col sigillo dello Spirito del Padre. Non basta. Dio, che agisce nel mondo" per le sue due mani, cioè per il Figlio e per lo Spirito", (55) non ha potuto resistere al desiderio di un intervento personale nello sforzo di auto-rivelazione; e, pur restando nel mistero, si è degnato farci sentire la sua voce paterna.

Abbiamo, dunque, a disposizione:

- una voce - FONE - auto-testimonianza del Padre;

- una parola - LOGOS - che, incarnandosi, diventa l'espressione adeguata del mistero paterno;

- un contrassegno - SEMEION - che verifica e vivifica la rivelazione del Padre che è nei cieli.

I. "Fone": Testimonianza del Padre

Per tre volte registrano gli evangelisti la voce del Padre: due i sinottici (battesimo e trasfigurazione di Cristo) la terza Giovanni (bel contesto di una preghiera filiale di Gesù).

1. I dati

a) Del battesimo di Cristo abbiamo una narrazione particolareggiata nel Vangelo di Mt. 3,13 ss, (alla quale fanno eco quella di Mc 1,9 ss e di Lc. 3,21 ss): "Battezzato Gesù, subito uscì dall'acqua, ed ecco, s'aprirono i cieli e si vide lo Spirito di Dio discendente come colomba e veniente su lui. Ed ecco una voce dai cieli, dicendo: Questi è il figlio mio, il diletto, in cui mi compiacqui" (Mt. 3,16-17).

La variante più vistosa è che la fone in Mc. 1,11 e Lc. 3,22, è rivolta a Gesù, adoperando la seconda persona: "tu sei il figlio mio".

I tre sinottici registrano all'unisono l'affermazione della figliolanza di Cristo e la dilezione del Padre verso il Figlio, oggetto della sua compiacenza.

b) Nella trasfigurazione Mt. 17,5 raccoglie la fone in questi termini: "Ancora egli parlando, ecco una nube luminosa adombrò essi ed ecco una voce dalla nube; dicendo: Costui è il Figlio mio diletto in cui mi compiacqui. Ascoltatelo" Mc. 9,7 e Lc. 9,35, passano sotto silenzio la compiacenza paterna della quale avevano dato testimonianza nel battesimo; poi si uniformano all'uso della terza persona, scelto da Mt.: "è il Figlio mio! Da notare, infine, che Lc. cambia l'aggettivo diletto per quello di eletto.

C'è una addizione al riguardo del battesimo, che merita tutta la nostra attenzione: è l'imperativo con cui si chiude la testimonianza del Padre: "ASCOLTATELO!"

Si tratta di un precetto reduplicativamente divino. Bisogna osservarlo con profondo rispetto e venerazione, tenendo conto che è l'unico imperativo dettato direttamente dal Padre in tutta la rivelazione neotestamentaria. Che figlio è colui che non conserva cara l'ultima e definitiva volontà del suo padre?

c) La voce raccolta da Giovanni risponde ad una preghiera accordata di Cristo in un momento di sconforto. "Ora la mia anima è turbata" (Gv. 12,27). E' perciò che si rivolge al Padre. Dubita sul senso da dare alla sua implorazione. "Che devo dire, salvami da quest'ora?". Si rende conto però che è appunto per quest'ora che egli è venuto nel mondo; ed è allora che trova la preghiera giusta: "Padre, glorifica il tuo nome" (Gv. 12,18) in perfetta consonanza con la preghiera insegnata ai suoi discepoli: "Padre...sia santificato il tuo nome" (Mt.) La risposta dall'alto non si fa attendere: "Venne allora una voce dal cielo: E l'ho glorificato e lo glorificherò ancora" (Gv. 12,28). La gente sentì; ma rimase sconcertata e dubbiosa sulla natura di quel fenomeno insolito (cf. Gv. 12,29).

2. Viene spontanea tutta una serie di riflessioni a proposito di questi brani evangelici. Si prestano ad una angolazione particolare dalla prospettiva del Padre.

a) Innanzitutto egli lascia sentire la sua voce in uno sforzo meraviglioso di auto-manifestazione. La sua testimonianza però rinforza la misteriosità della sua condizione personale in quanto mistero fontale che rimane nel seno trinitario. L'affermazione della paternità è correlativa al Figlio. Si presenta padre, mostrandoci il suo figlio.

E si mostra amante, con l'accenno espresso e commovente alla sua compiacenza paterna.

Resta, perciò il fatto di una paternità divina, intravvista nella sua meteoritica manifestazione, in qualità di mistero di amore infinito. E mistero rimane dopo la sua auto-manifestazione.

b) Balzano agli occhi alcuni tratti significativi di questa testimonianza insolita:

- Impegna la totalità delle persone trinitarie: la voce è del Padre; è relativa al Figlio che ne è oggetto diretto; e avviene in presenza dello Spirito che funge come teste sotto forma di colomba e di nube.

- La voce del Padre presenta sfumature eloquenti: adopera il modo indicativo in un presente che ricopre tutta un'eternità anteriore (è mio Figlio); usa l'imperativo per imporre il suo precetto tassativo (ascoltatelo); e si affaccia verso il futuro (lo glorificherò). Non poteva lasciarci un segno più toccante del dinamismo di un disegno che ricopre tutte le trame della storia della salvezza.

Un disegno - non ci stancheremo di ripeterlo - di ispirazione paterna. Il Padre ha lasciato sentire la sua voce in prima persona; ci ha fatto sentire il suo impegno; affida però la realizzazione al suo Figlio. Filiale sarà, dunque, la missione, sia in ragione dell'agente sia del mandante. Lo sarà anche in ragione degli effetti?

3. Prima di puntare la nostra attenzione su quella parola del Padre che siamo obbligati ad ascoltare (ascoltatelo), conviene accennare alla riflessione dei Padri sul Padre.

a) Essi non si limitano al solo orizzonte della FONE evangelica. Non ricorrono, però, ai luoghi comuni dei filosofi pagani (il bene di Platone, il primo motore di Aristotele, l'uno di Plotino) (56). Puntano direttamente sul cuore del Padre, a partire dai numerosi dati rivelati.

Da questi risulta con tutta evidenza che il Padre non ha principio, che è "anarchos", (57) e perciò stesso principio senza principio. E' pertanto perfettamente autonomo nello stesso atto di essere Dio: "autotheos" (58).

E' principio non già soltanto della prima persona, ma addirittura di tutta la divinità, (59) "fonte unica della deità soprannaturale" (60), "radice e fonte del Figlio e dello Spirito Santo" (61).

E' sempre principio di tutto lo sviluppo meraviglioso che, partendo dal Padre, si stende fuori della Trinità, dominando lo spazio e il tempo: "per consertos et connexos gradus", e senza detrimento, come assicura Tertulliano della "monarchia" cioè dell'unico principio del Padre che è nei cieli (62).

b) Mi si consenta di sorvolare una massa documentaria densissima, per sottolineare qualche dettaglio più eloquente. "Il nome di Padre" s'addice più propriamente a Dio che non quello di "Dio" (63). Anzi, "dicendo Padre è già tutto detto a riguardo della prima persona" (64). Ed è giusta la conclusione; perché "essere privo di principio, di origine, non è che una proprietà esclusiva del Padre" (65). Ildefonso di Toledo insiste sulla stessa idea, con una aggiunta felicissima: "Il Padre non procede da nessuno, ma è per sé ed è solo Padre" (66).

Questa esclusività nella funzione paterna dev'essere intesa in forma rigorosa.

E' solo padre; perché è lui l'unico padre; poi, perché è unicamente padre.

Non c'è, infatti, altro padre fuori di lui; perché è l'unico principio senza principio.

D'altra parte, non c'è niente nella prima persona che non sia paterno. E' perciò, tutto padre (67).

Non si tratta di una formula a successo. E' carica di contenuto e aperta alla contemplazione intesa del mistero del Padre. Basti una semplice comparazione tra la nostra umile paternità umana e quella Paternità con la maiuscola del nostro Dio. L'uomo è uomo prima di essere padre. Anzi, non può aspirare alla fecondità paterna se non ha raggiunto una piena maturità.

La paternità umana, dunque, è qualcosa di avventizio. Una qualità che l'uomo possiede. In lui vi sono, infatti, elementi paterni assieme ad altri che non lo sono; precedono la paternità e la condizionano.

Totalmente diversa è la situazione nella Trinità.

Dio non ha paternità; ma è Padre.

Dio non comincia mai ad essere padre. Lo è da sempre: "Il Padre è sempre Padre e il Figlio sempre Figlio" (68).

In Dio la paternità è sostantiva. Essa non può essere qualcosa di aggiuntivo, di accidentale. In quella paternità, appunto perché eterna, assoluta, sostantiva e divina, si esaurisce l'essere della Prima Persona, senza che vi sia spazio per elementi che si possano aggiungere alla paternità stessa.

Dio è, dunque, Padre, sempre Padre, tutto Padre. La prima persona della Trinità possiede totalmente e tutta la divinità in registro paterno: cioè paternamente.

Affiora una domanda spontanea: Se Dio è Padre, sempre Padre, e tutto Padre, sarà altresì Padre di tutti?

Nella sua voce - FONE' - abbiamo individuato vibrazioni inconfondibili di un disegno paterno. Tutto il suo intervento, ispirato a tenerezza paterna, incanalato attraverso l'opera del suo Figlio, sigillato dallo Spirito di Figliolanza, lascia supporre dei frutti proporzionati. E la proporzione, allorché è in gioco la paternità - e una paternità - sembra che non possa essere che la figliolanza.

Vale la pena di approfondire il senso di questa energia paterna che si diffonde - paternamente - al di là dei confini della Trinità immanente.

II: "Logos". Espressione adeguata del mistero del Padre

A Cristo venne affidata una missione squisitamente paterna

- per l'origine, che sgorga dal cuore paterno: A PARTE

- per la meta, finalizzata al Padre: AD PATREM

- per la mediazione, attraverso il Figlio: PER CHRISTUM.

La traiettoria del mistero salvifico è genuina. perfettamente d'accordo col criterio stabilito, la pulsazione dell'amore paterno si lascia sentire in tutte le fasi del processo:

- all'inizio: "verbum caro"

- nello sviluppo storico: "sicut misit"

- alla fine: "ut factum est"

a) Con l'incarnazione del verbo, la rivelazione divina, incominciata da secoli, raggiunge la sua pienezza definitiva (Ebr. 1,1) Dio Padre dice, per Cristo, la sua parola decisiva.

Cristo diventa parola di tutto, perché esprime adeguatamente il mistero del Padre:

- sia sul versante della verità, in quanto Verbo del Padre;

- sia su quello della vita, a causa della sua figliolanza divina.

Cristo è parola rivolta a tutti. Si presenta, infatti, in qualità di "luce vera venuta ad illuminare ogni uomo (Gv. 1,9). Il che si trova in sintonia con la volontà salvifica del Padre, che abbraccia tutti e con la mediazione universale del Verbo unico mediatore.

Cristo è, infine, tutto parola. Il Padre parla attraverso il Cristo che, appunto perché Verbo incarnato, diventa la sua parola vivente: Dio Padre parla, infatti, attraverso i discorsi di Cristo. Non solo: parla, altresì, attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, la sua sola presenza. Perfino i silenzi di Cristo sono parole eloquentissime del Padre.

b) Ma la parola del Padre non soltanto manifesta il mistero; essa lo comunica a chi lo accoglie dovutamente. La partecipazione della vita dal Padre viene fatta in registro filiale. La fa attraverso il suo Figlio. La conseguenza è che mette in moto un processo tanto misterioso quanto meraviglioso che culmina nella generazione di nuovi figli di Dio.

Lo afferma espressamente Giovanni nel prologo: "a quanti hanno accolto la parola, ha dato potere di diventare figli di Dio" (Gv. 1,12). I Padri fanno eco a questa impensabile donazione del Padre, grazie alla mediazione del Figlio (69). Cristo stesso ci dà la spiegazione di questa generazione divina. Nella parabola del seminatore dice espressamente che il seme è la parola di Dio. Orbene, lì dove trova terra ben disposta e fertile, il seme germoglia, cresce, fiorisce e fruttifica. E' chiaro che le spighe saranno della stessa qualità del seme. E siccome questo è il Figlio del Padre, figli del Padre saranno altresì i frutti di quella raccolta.

Non si poteva dire con maggiore efficacia che la rivelazione del mistero del Padre si muove all'impulso del Padre sia nella proposizione fatta dal Figlio, sia nella accoglienza generativa di altri figli.

2. "Sicut misit me pater"

Arriviamo ad una tappa decisiva nella missione paterna affidata al Figlio.

a) Cristo Apostolo.

Il Verbo incarnato, impegnato nella promulgazione del mistero paterno, venne a trovarsi presto di fronte ad un dilemma a prima vista insuperabile:

- per adempiere adeguatamente il suo compito, avvicinare, cioè, uno a uno i suoi destinatari con gesto caldo e personale, doveva limitarsi ad un gruppetto piuttosto ridotto. Le forze dell'uomo impongono dei limiti insuperabili;

- per sostenere, invece, l'universalità dell'impegno, non restava altra via che adoperare formule sovraumane, forzando la capacità umana e mettendo tra parentesi la legge dell'incarnazione.

La volontà di Cristo fu chiara e decisiva:

- rispettare fino in fondo la legge dell'incarnazione

- senza ridurre l'ambito della sua missione cattolica.

Cercò la forma concreta di applicazione tra gli uomini. Questi, infatti:

- per varcare distanze geografiche superiori alla capacità ristretta dell'individuo si servono dell'istituzione delle legazioni. Un re, per esempio, può rendersi presente ovunque nel mondo, attraverso i suoi ambasciatori;

- per perpetuare le istituzioni, ricorrono all'eredità per via successoria. Così restano sempre occupate le cattedre delle scuole e i troni dei regni.

A questo proposito Cristo scelse tra i suoi discepoli dodici; li fece apostoli; li inviò a tutto il mondo e provvide alla loro permanenza nel mondo attraverso i loro successori, fino alla fine dei secoli.

Abbiamo così la Chiesa nella sua struttura gerarchica portante.

Si osservi : 1^) che tali ministri non hanno assolutamente il compito di affiancare in forma parallela la missione di Cristo; e 2^) che il loro ministero non ha altra aspirazione se non quella di rendere visibile la presenza e l'azione di Cristo che, attraverso loro, opera dovunque fino alla fine del mondo.

L'inferenza è palese:

- La missione della Chiesa resta quella di Cristo, perpetuato sacramentalmente. E' dunque una missione paterna;

- Lo stile missionario degli apostoli e dei loro successori, deve imitare il gesto di Cristo. Sarà dunque rigorosamente filiale come corrisponde all'Unigenito del Padre.

b) Apostoli di Cristo

Mi si consenta di trattenermi ancora su questa analogia tra Cristo apostolo e gli apostoli di Cristo. E' regolata da un "sicut", da un "come", che riporta l'apostolicità della Chiesa alla sua fonte originale, cioè al mandante primo che è il Padre.

L'apostolato di Cristo è segnato da due caratteri nuovi, sconosciuti nelle legazioni umane:

- Cristo Apostolo, in quanto Verbo riflette con fedeltà assoluta, priva di sfumature personali, il messaggio del Mandante. Non ha altra dottrina se non quella del Padre (Gv. 7,16)

- In quanto Figlio, Cristo resta un'immagine vivente dei lineamenti del Padre, il quale viene reso presente con una trasparenza perfetta, sconosciuta nelle ambasciate umane: "Chi vede me vede quello che mi ha inviato" (Gv. 12,45).

I due postulati dell'apostolato scristiano tendono ad assicurare l'insegnamento e la presenza del Mandante. L'apostolato del Figlio Unigenito altro non è che un'oblazione sacramentale della verità e della vita del suo Mandante che è il Padre.

Tra i molti aspetti suscettibili di sviluppo, preferisco accennare ad uno di attualità, che non trova una sempre corretta impostazione. Mi riferisco al celibato del sacerdozio cattolico. Non è legge arbitraria come pretendono alcuni. Fatte le dovute distinzioni, deriva da quel SICUT che riferisce l'apostolato della Chiesa all'invio fatto da Cristo e questo a sua volta dalla missione del Padre. La concezione di Cristo da Madre Vergine e l'essere rimasto Cristo modello di verginità consacrata sono due fatti dogmatici che rompono il parallelismo abituale del "contraria contrariis" nella economia della nostra salvezza. Alla coppia peccatrice Adamo/Eva, viene contrapposta giustamente il Nuovo Adamo: Cristo e la vera Madre dei viventi: Maria. C'è però una sostituzione del binomio orizzontale: Sposa/sposo con un altro verticale: madre/figlio. Perché Maria non fu sposa del Redentore e questo padre dell'umanità redenta simboleggiato da una paternità puramente umana?

Non c'è una risposta di ragione umana che vanificherebbe il mistero. Mi si consenta tuttavia un'osservazione. Ed è appunto che l'economia scelta, rispetta, in forma meravigliosa, l'unicità assoluta del mistero del Padre. Conveniva che la Madre di Cristo rimanesse Vergine, per escludere un padre terreno a chi è Figlio dell'Unico Padre. Conveniva altresì che Cristo Figlio Unigenito di un Padre esclusivo, non comparisse sposato in terra come un eventuale rivale della unica paternità divina.

A questo punto si può domandare: è puramente ecclesiastica la legge del celibato dei preti cattolici?

Prescindendo dalla questione particolare dei presbiteri e attendendo alla pienezza del sacerdozio dei Vescovi, oserei dire che per essi è rischioso ridurre il celibato ad una disposizione puramente ecclesiastica. Affonda le radici nel Vicariato di Cristo rigorosamente dominato dal SICUT che stabilisce la legge dell'apostolato cristiano. Gli apostoli di Cristo - e i successori degli apostoli, - devono imitare l'Apostolo del Padre, che è celibe. Non solo: il SICUT, fondante l'apostolato e con esso la struttura e missione della Chiesa, ha la radice nel Padre che è il mandante; che agisce come unico Padre; che vuole manifestarsi attraverso l'apostolato di Cristo - coi suoi ministri apostolici - vero Padre, solo Padre, tutto Padre esclusivo per tutti.

Il Vaticano II, che ci ha insegnato ad approfondire il mistero della Chiesa alla luce del mistero di Cristo, ci suggerisce una formula stupenda che riporta la Chiesa alle sue radici: è un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Lc. 4). Non è il caso di tralasciare quello che comporta questa discendenza del Padre. E di un tale Padre.

3. "Ut credatis"

Era da supporre che, data la sua natura, la missione si risolvesse in un'allargamente della paternità divina. E, effettivamente, il Figlio Unigenito, uscito dal Padre - "a Patre" - per venire nel mondo, finita la sua opera, torna dal mondo al Padre - "ad Patrem" - con una schiera di fratelli, frutto di conquista. La missione paterna nell'origine, si avvera, altresì, paterna nei risultati raggiunti.

a) Nel prologo, Giovanni accenna al potere di figliolanza annesso alla fede (Gv. 1,12). Nell'epilogo confessa espressamente che altra non è la finalità del Vangelo se non quella della fede, che genera i figli di Dio (Gv. 20,21).

Le lettere di Paolo ci convincono della consonanza tra il Vangelo scritto e il Vangelo vissuto: "Quando giunse la pienezza dei tempi, Iddio mandò il suo Figliolo, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione di figlioli" (Gal., 4, 4-5). Si spiega come i Papi tornino su questi concetti, basilari e fondamentali per i veri cristiani. (70)

b) Il segreto della figliolanza divina riposa in Cristo. E' stato Lui a parlare distintamente del "suo" Padre e del "nostro" Padre. (71) Pur essendo la stessa persona paterna, sono due i registri filiali molto diversi.

Ma quale è la consistenza della nostra figliolanza di fronte a quella di Cristo? Non c'è qualcosa di contraddittorio nel fatto che Egli sia allo stesso tempo "Unigenito" e "Primogenito"?

La primogenitura di Cristo si risolve in un invito alla imitazione: dal Padre "siamo stati predestinati ad essere conformi al suo Figliolo, ond'egli sia il primogenito fra molti fratelli" (Rom. 8,29) E' vero che l'intensità che nel Cristo raggiunge la sua figliolanza è la meta per noi irraggiungibile. Resta, però, un ideale a cui tendere nella forma indicata dai maestri di spirito. (72)

Ma Cristo non è soltanto un Figlio perfetto; lo è addirittura in forma esclusiva: l'unigenito del Padre. La nostra figliolanza non sembra avere altra via di scampo che: o ridursi a pura metafora, oppure affiancarsi in un'unione intima alla Figliolanza di Cristo. Ed è appunto questa la soluzione indicata dai Padri, allorché ci parlano di un Cristo che "si forma in noi in modo ineffabile" (73) e che "in noi agisce" in conseguenza di fronte al Padre. (74) Il Maestro Eckart si crede autorizzato a concludere con rigore logico a partire dai due dati della rivelazione: che Cristo è Unigenito e che noi siamo davvero figli:

"Allorché il Padre genera il suo Figlio in me, sono io stesso il Figlio, e non un altro. Siamo diversi, senza nessun dubbio a causa della nostra natura; tuttavia io sono lo stesso Figlio e non un altro...Siamo nel Figlio e siamo il Figlio stesso" (75) "I cristiani dunque, non sono dei figli con Gesù; essi sono piuttosto il Figlio unico". (76)

Sarebbe piacevole precisare meglio queste intuizioni. (77) Dobbiamo, però, delineare, con un ultimo tocco, l'analisi di questa missione che il Padre "mosso da eterno amore" (78) affidò al Figlio, e che lui portò avanti con esemplarità perfetta.

Quello che, in primo momento, poteva sembrare pura utopia è ormai realtà solidissima. Tra i popoli avevano sognato lungo la storia, di poter accedere a Dio, chiamandolo Padre. Il sogno si è avverato coll'evento del Vangelo. Dio è realmente il Padre anelato di tutti, grazie all'opera del suo Figlio Gesù.

Paternità e figliolanza rappresentano due relazioni fondanti la religione cristiana. C'è chi, condannata la religione come offesa a Dio, e, addirittura, come diabolica, propone un'alternativa al Vangelo. Ma i cristiani non si vergognano di essere, alla stregua di tutti i popoli, anch'essi religiosi. Il Vangelo è religione, L'Incarnazione del Verbo ha reso possibile ciò.

L'aspirazione religiosa, concretizzata nella preghiera costante e nel sacrificio elevato a Dio, è diventata una realtà per Cristo, il Figlio di Dio. Egli è diventato nostro pontefice. C'è accesso solido al Padre. Egli è il nostro sacerdote puro e immacolato. Il sacrificio di Lui - che diventa della nostra razza - è degno del Padre al quale viene offerto.

Il cristianesimo, in definitiva, non è già soltanto una religione autentica a fianco alle altre; ma è religione vera e la vera religione.

Prima, gli uomini religiosi chiamavano Dio Padre. Adesso i veri religiosi si chiamano figli, e lo sono davvero.

"Per Cristo, Figlio del Padre".

III "Semeion": indice del dinamismo salvifico

Non abbiamo esaurito ancora il nostro ingente debito con lo Spirito Santo. C'è stata di recente una ripresa pneumatologica in piano spirituale e pastorale. Manca, però, a livello rigorosamente teologico una riflessione adeguata.

1. E si fa sentire, perché, sebbene gli attacchi contro lo Spirito Santo non siano frontali come all'inizio della Chiesa, tuttavia non sono meno pericolosi. Perfino l'indifferenza odierna, tanto diffusa, riduce ad una sterilità totale la vita cristiana.

Desta quanto meno meraviglia il fatto che lo Spirito Santo venga considerato come puro elemento ornamentale nella vita cristiana. Diventa superfluo. Non si vede la necessità del suo operato.

Qualche giovane mi ha fatto domande di questo tipo:

Se è vero che la transustanziazione avviene nella celebrazione eucaristica in forza delle parole consacratorie, quale è il senso esatto della preghiera epiclettica ulteriore rivolta allo Spirito Santo? E in una forza più generale ancora:

Se Cristo ha finito la sua missione, come risulta dal suo 'consummatum est' gridato in croce, cosa resta da fare allo Spirito Santo?

Bisogna riconoscere che non vi sono delle risposte belle e fatte. E non è lecito aggirarle, perché toccano l'essenza della vita cristiana.

Cristo è venuto. In quanto Verbo, ha comunicato (neoticamente) la verità sul mistero del Padre, e in quanto Figlio, ha comunicato altresì (vitalmente) la figliolanza divina. La parola del Padre non sembra lasciare spazio ulteriore per una attività sostantiva dello Spirito.

2. Eppure la risposta è ben altra. La plasmazione del figlio di Dio è un'opera ben più impegnativa di quanto sia stata nell'AT la creazione di Adamo. Nel NT il Padre non nasconde le due mani con cui si mette sempre al lavoro, al dire di Ireneo. (79) Forse l'abbaglio dipende dal fatto che si introduce inconsciamente una posteriorità cronologica, dove essa non ha luogo.

La formula classica che riecheggia un po' dappertutto nella patristica, sia orientale sia occidentale, cerca di distribuire le parti che corrispondono alle tre persone trinitarie:

La discesa procede " Patre per Filium in Spiritu Sancto": "tutte le cose provengono dal Padre, mediante il Figlio, nello Spirito Santo". (80) Il ritorno segue una strada simmetrica:

"in Spiritu Sancto per Filium ad Patrem" (81) Ireneo, rappresentante dell'Oriente e dell'Occidente, può essere un testimone autorevole. Basti trascrivere un brano di finalità catechetica: "Per questo nella nostra rigenerazione il battesimo procede per questi tre articoli, elargendoci in grazia la rinascita in Dio Padre mediante il Figlio per opera dello Spirito Santo. Coloro che possiedono lo Spirito di Dio vengono condotti al Verbo, cioè al Figlio e il Figlio li accoglie e li presenta al Padre e il Padre li costituisce incorruttibili. Senza lo Spirito non è dato di vedere il verbo di Dio, come nessuno può senza il Figlio accostarsi al Padre. Il Figlio è la sapienza del Padre e la conoscenza del Figlio è opera dello Spirito Santo; ma il Figlio dispensa lo Spirito, secondo che piace al Padre, attraverso il ministero carismatico, a quelli che vuole e come vuole il Padre (82).

Non c'è bisogno di commento. Lo Spirito Santo è, dunque, elemento essenziale nell'economia di salvezza. Non può mancare nell'opera centrale della generazione dei figli di Dio.

E' interessante notare a questo punto che la maggioranza dei testi offerti da uno specialista quale è S. Paolo, associa in forma eloquentissima il termine "uiothesia" (figliolanza) con la presenza attiva dello Spirito Santo, che porta a gridare il celebre "abba pater" (83).

3. Quale è, in concreto, il compito riservato allo Spirito nella missione volta ad allargare la paternità divina?

La sua attività corrisponde alla doppia funzione del Verbo incarnato: Cristo si presenta come "verità" e come "vita", e lo Spirito, a sua volta, come "verificante" e come "vivificante".

a) La "verifica" porta sull'autenticità della parola di Dio.

Nella rivelazione divina, come nel nostro linguaggio umano, è lecito distinguere tra piani:

- quello della realtà da manifestare (il "mysterion" del Padre);

- quello del concetto espressivo della realtà (il "logos") e

- quello, infine, del termine verbale in cui si incarna definitivamente il concetto (il "semeione") (84).

Si capisce che i nostri concetti abbiano bisogno del termine verbale; ma che bisogno può sentire il Verbo incarnato che è Cristo? E' perfetta parola, tutta parola e parola di tutto. Non sembra vi sia spazio per il "semeion" dello Spirito.

Eppure, anche a rischio di sembrare paradossale, oserei dire che, contrariamente a quelli che eliminano il segno a causa della perfezione della parola del Padre, la verità è che il "logos" non sarebbe perfetta espressione del "mysterion" privo della presenza del "semeion" che lo avvolge: "il Figlio - infatti - è immagine del Padre e lo Spirito Santo è l'immagine del Figlio" (85).

La storia ci insegna che anche la parola divina ha subito forti contestazioni lungo i secoli. Perfino nel momento della prima manifestazione. Dio Padre, per metterla al sicuro di ogni contraffazione, ha dovuto sigillarla con dei segni miracolosi, che, appunto perché sono esclusi della potenza divina, assicurano la autenticità del messaggio rivelato. Tutti questi segni sono da collegare con lo Spirito Santo, che è "l'indice" il "digitus paternae dexterae", il segno, il "semeion" per antonomasia. E' dunque il contrassegno di Dio Padre, la cui finalità è appunto di verificare la parola che è Cristo. Per questo lo si incontra costantemente, a confermare coi segni divini l'itinerario della parola.

Come opera in concreto, senza duplicare funzioni che devono restare complementari, ma diverse?

Rispondo con una comparazione banale più espressiva, forse, di quanto possa essere un lungo discorso.

Non è infrequente sottomettere a tortura i poveri bambini nel salotto in cui la mamma riceve gli ospiti. I bambini stanchi per conversazioni fiume nelle quali essi non capiscono una parola, giocano per loro conto, a volte usando anche gesti non troppo sociali. Un colpo di tosse della mamma basta per richiamarli all'ordine. Gli ospiti, anche molto intelligenti, capaci di cogliere le finezze più sottili della signora, interpretano falsamente il colpo di tosse, attribuendolo ad un raffreddore...I bambini, invece, colgono esattamente il messaggio della mamma, cifrato in un segno convenuto. E' curioso osservare che siano proprio i meno dotti nella accolta familiare coloro che sono maggiormente capaci di interpretare a dovere questi segni che sfuggono ai grandi. Il motivo è che per cogliere i segni non ci vuole un'intelligenza superiore; ma piuttosto sintonia di onda tra mamma e figlio.

Per cogliere i miracoli che sono segni del Padre, è altresì necessario avere familiarità con Dio ed essere in ascolto in atteggiamento filiale di fronte ai segni che Dio invia ai suoi figli e non proprio ai dotti e ai sapienti.

E' interessante osservare come gli "abbà, Padre" del NT (86) siano un "grido" filiale, che segnano l'intensità di un interscambio affettivo tra i genitori e i bimbi. Intensità non superata dalla conversazione in parole formali. Ad ogni modo, segni complementari del linguaggio rigorosamente tale.

La verifica dello Spirito Santo non è dunque superflua anche supposta una parola perfetta come quella di Cristo.

b) E non è neanche superflua la sua funzione "vivificante". La adempì puntualmente, lungo la missione attuata personalmente dal Cristo; e continua a sostenerla nella fase attuale della stessa missione paterna.

Abbiamo accennato alla formazione degli apostoli alla scuola di Cristo. Si è trattato di un Maestro perfetto, di discepoli scelti, di lezioni dotte, con le eventuali ripetizioni a casa; tuttavia, bisogna riconoscere che i Dodici diedero un risultato assolutamente negativo, al momento della prova.

Erano come delle statue di Apostoli, stupende, perfette....ma pure statue inerti. Ci volle il soffio dell'alto, il giorno di Pentecoste, perché si trasformassero, da ignoranti in maestri dell'umanità, e da spaventati e deboli in martiri autentici che sigillarono col sangue la propria testimonianza, in favore del messaggio del Padre.

Lo Spirito Santo non porta un altro Vangelo; non aggiunge elementi dottrinali nuovi. E' l'esegeta che vivifica la lettera dalla quale si sprigionava lo Spirito della rivelazione; è lo Spirito di figliolanza che vivifica i sensi del bimbo che diventa così in grado di comunicare, gioioso col Padre che è nei cieli.

"E' chiaro - afferma lo Scheeben (87) che lo Spirito Santo è il suggello della nostra filiazione divina non solo perché Dio come Padre nostro, appartiene a noi, ma anche perché noi, come suoi figli, apparteniamo a lui, a quello stesso modo che il Padre appartiene al Figlio e il Figlio al Padre nello Spirito Santo".

A conclusione di questa riflessione sulla natura del mistero del Padre, viene voglia di chiudere gli occhi e dire col cuore, più che con le labbra la preghiera che si insegnò Gesù, Figlio di Dio e nostro Fratello: "PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI"... Si stenta a credere a quello che diciamo; ma è verità rivelata per Cristo e sigillata con il contrassegno autentico dello Spirito Santo.

Santa Teresa, di cui stiamo celebrando il centenario, ha delle espressioni spontanee di fronte a questa realtà del Padre nostro, che riconosciamo come nostre. Tanto sono sincere e autentiche.

"Padre nostro che sei nei cieli! O mio Dio, quanto bene appare che siete Padre di tale Figlio, e che il vostro Figlio lo è di un tal Padre! Benedetto per sempre in eterno"! (88).

Non riesce a convincersi di un dono che supera ogni calcolo. "Come ci offrite in nome del vostro Padre tutto quanto si può donare, giacché volete che egli ci abbia come figli?....L'avete così forzato ad osservare la vostra parola....essendo Padre, dovrà sopportarci, anche quando le nostre offese siano gravissime. Perché se torniamo da lui come il prodigo, è forzato al perdono, alla consolazione, al sostentamento...come lo fa un padre"...(89)

La spontaneità della Santa non si trattiene e rimprovera Cristo. Egli può legarsi a noi, perché è uomo; ma "attento, dice che il vostro Padre è nel cielo. L'avete detto voi; è dunque doveroso che voi cerchiate di onorarlo. Ormai voi avete rischiato di essere disonorato da noi, e per causa nostra. Risparmiate almeno il vostro Padre. Non dovete legarlo a questi estremi, in favore di gente tanto misera come me, incapace di ringraziare a dovere". (90)

Anche la poesia reagisce in forma esemplare. Peguy, cantore della speranza, ha trovato nel "Padre nostro" motivi inesauribili di esaltazione:

"Io sono il loro Padre, dice Dio, Padre nostro che sei nei cieli.

Mio figlio l'ha detto loro abbastanza, che sono il loro Padre. Io sono il loro giudice. Mio figlio l'ha detto loro. Sono anche il loro Padre.

Infine sono il loro Padre. Colui che è padre è soprattutto padre.

Padre nostro che sei nei cieli. Colui che è stato una volta padre non può essere che padre.

Essi sono i fratelli di mio figlio; sono i miei figli; sono il loro Padre"....(91)

"...Questo Padre nostro dice Dio, è il padre delle preghiere. E' come quello che cammina in testa.

E' un uomo robusto, e la preghiera dell'Ave Maria, è come una umile donna.

E le altre preghiere sono dietro di loro come dei bambini...

L'uomo va avanti e fende l'onda della folla,

La folla della mia collera.

E la donna segue dietro nella scia.

E l'uomo si è messo sulle spalle a cavalluccio

questa curiosa bimba Speranza.

E il Padre nostro è il re e l'Ave Maria è la regina e la speranza è la delfina"....(92)

"....No, no, buona gente, mangiate la vostra minestra e dormite... ....Chi ha detto la sua preghiera, Padre nostro che sei nei cieli, pone tra sé e me

Una barriera invalicabile alla mia collera.

E può abbandonarsi al sonno della notte" (93).

Perché Dio è Padre

E se è Padre, agisce come tale.

Ma del dinamismo paterno dobbiamo parlare in seguito.

C

QUOMODO SIT: PENETRANDO L'AZIONE MISTERIOSA DEL PADRE

1. Volgiamo l'ultimo sguardo sul mistero del Padre. Questa volta col desiderio di cogliere il suo profondo dinamismo e lo stile meraviglioso del suo agire.

2. Sono tre i periodi da considerare nell'azione paterna:

- il primo, di aspetto "archeologico", risale all'operato del Padre "in principio", ai confini stessi dell'eternità;

- il secondo corrisponde allo svolgersi della nostra "storia" di salvezza;

- l'ultimo, "escatologico", si proietta sul futuro dove finiscono i secoli.

3. Il "chiaro" oscuro degli interventi paterni domina l'intero panorama. Penetrarvi il mistero soddisfa il desiderio innato di conoscere le cose che contano. Non solo. Lo stile del Padre è norma di comportamento dei figli. Sarebbero rivoluzionarie - e salutari - le conseguenze culturali quando si adottasse come modello il criterio del Padre. La crisi attuale di paternità è diffusa (94) e resta inappagata con delle risposte inautentiche (95). E' l'ora di ricordare che "il nome della paternità non è che Dio l'abbia da noi; ma viceversa, siamo noi a ricopiarlo da Lui" (96). Prendendo lui come modello, non soltanto "vengono definitivamente superate raffigurazioni patriarcali del Padre universale e tutte le figure del Dio Padrone (97) ma si trovano delle soluzioni nuove, rispondenti ai nuovi tempi.

I. "ARCHEOLOGIA (A PATRE)

Procediamo ormai per semplici accenni. L'analisi sistematica ed esaustiva esorbita di molto dai limiti del nostro lavoro.

1. L'amore del Padre, intensamente diffusivo, si traduce in concrete donazioni di sé. In doppio registro:

c'è, infatti, un processo inarrestabile nel senso della Trinità augusta, in contrasto con la partecipazione perfettamente libera "ad extra".

Le prime battute del "prefazio" della preghiera eucaristica IV accennano alla posizione chiave riservata al Padre:

"E' veramente giusto renderti grazie,

è bello cantare la tua gloria,

PADRE SANTO, unico Dio vivo e vero:

prima del tempo e in eterno tu sei,

nel tuo regno di luce infinita.

Tu solo sei buono e fonte della vita,

e hai dato origine all'universo

per effondere il tuo amore su tutte le creature

e allietarle con gli splendori della tua luce".

2. Due sono le note dominanti di questa effusione paterna.

Rendono l'amore preventivo e oblativo.

a) Dio, infatti, ci previene con la sua predilezione. Ci precede sempre, ci anticipa amandoci per primo, provocando la nostra corrispondenza.

- Ama le creature, ancora inesistenti o indegne, non già perché siano amabili, ma affinché diventino tali.

- E' il suo un atteggiamento che si addice al Padre che è nei cieli, in quanto principio assoluto della realtà intera, assolutamente fedele alla sua sostanza che è l'amore.

b) La volontà di donazione del Padre rende il suo amore:
- gratuito, senza fratture;

- benevolo, privo di ogni interesse egoistico;

- personale e con quella vibrazione propria di chi, prima che le proprie cose, offre se stessa alla persona amata;

- signorile e perfetto perfino nel gesto; perché assicura la consonanza tra forma e contenuto: Dio ama amabilmente.

c) Nel Figlio di Dio si riflette a perfezione l'immagine dell'amore paterno. Occorre che anche noi andiamo alla sua scuola, perché la nostra vocazione filiale ci impone di diventare testimoni viventi dell'amore del Padre.

Egli lascia trasparire le intense vibrazioni del suo amore nell'esercizio dei suoi compiti fondamentali di sacerdozio, di magistero e di regalità.

3. Rimandando il discorso sul sacerdozio, vorrei richiamare una lezione di amore da esercitare nella scuola e negli ospedali; lì, dove si incarna il segno di Cristo Maestro, di Cristo Re. Purtroppo, non dappertutto si guardano con prospettiva giusta e con vera simpatia. C'è chi pensa che, scomparsi i motivi di supplenza, è caduto l'impegno della Chiesa.

Ciò non è esatto. Perché le vere motivazioni per l'esercizio dell'amore, in registro educativo e diaconale, non sono stagionali; ma affondano le radici nel cuore di Cristo Maestro e di Cristo Re. Ci vuole il segno tangibile dell'esercizio del suo amore in quei luoghi privilegiati, dove l'educazione alla fede avviene in una comunità dove regna l'amore; e dove è la famiglia di Dio che esercita la "diakonia tes agapes", cioè il servizio della carità. Perché è stato il Padre a mandarci un Maestro mite e umile di cuore; e ha voluto presentarlo come modello di Buon Samaritano. Non si tratta di far concorrenza agli istituti scolastici oppure ai centri di ricovero dei malati. Sono numerosi i paesi in grado di assicurare attrezzature infinitamente superiori di quelle che sono a disposizione della Chiesa.

Ma non è lì dove punta il segno dell'amore del Padre. L'apporto di un amore autentico, che sgorga dal cuore del Padre, è di qualità ben diversa della solita filantropia.

Si pensi ai benefici che ricaverebbero le scuole cattoliche veramente ispirate, in concreto, alla lezione dell'Amore preventivo del Padre. Riempì di grazia Maria, preservandola libera da ogni colpa fin dal primo istante della sua Concezione in previsione dei meriti del suo Figlio Redentore universale. Questo stile preventivo - che è segno di un amore più intenso che si anticipa - renderebbe l'educazione più dinamica, eviterebbe molte esperienze penose, faciliterebbe una maggiore efficenza del ritmo di formazione e....soprattutto, sarebbe più consono con lo stile di amore che ci ha imposto il Padre.

Altrettanto si dica dell'amore oblativo. Sospinge a mettere la comunità al servizio dell'amore. Le tre persone trinitarie agiscono in unità per realizzare il disegno amoroso di salvezza. E' relativamente facile amare appassionatamente in registro individuale. Ma ci vuole il segno istituzionalizzata dell'amore del Padre. Soltanto così sarà possibile fare sì che si nostri centri non raccolgano maestri oppure sanitari cristiani; ma che diventino "scuole cattoliche" e "ospedali cristiani"; in una parola comunità, famiglia, dove regni l'amore a somiglianza della famiglia trinitaria.

Si è fatto osservare che i giovani trovano appagato il loro profondo desiderio di paternità nei gesti inequivoci e robusti di Papa Giovanni Paolo II (98). Si è detto che è un Santo Padre molto Santo e molto Padre" (99). Mi si consenta osservare che il suo ministero, perfettamente sacerdotale, non dimentica mai la dimensione pastorale della catechesi permanente, - intesa come formazione alla fede e di una predilezione spiccata e commovente per tutti e ognuno dei nostri fratelli che sentono nelle loro membra il morso della malattia. Ha inteso a fondo la lezione evangelica e la pratica con coerenza. Perché il Vangelo è semplice nella formulazione; ma esatto ed essenziale. E i due aspetti esplicitati nei logia Christi, promulgare il Vangelo e curare i malati - sono appunto due inviti ad aureolare di amore il magistero e la regalità cristiana. Come impone il Padre col suo esempio.

II. "STORIA" (PER CHRISTUM IN SPIRITU S.)

La storia della salvezza appare pienamente dominata dal binomio divino: fedeltà/misericordia (100).

1- Diventa commovente l'evocazione della anafora IV:

"Noi ti lodiamo, PADRE SANTO,

per la tua grandezza:

tu hai fatto ogni cosa

con sapienza e amore,

a tua immagine hai formato l'uomo,

alle sue mani operose hai affidato l'universo

perché nell'obbedienza a te, suo creatore,

esercitasse il dominio su tutto il creato.

E quando, per la sua disobbedienza

l'uomo perse la tua amicizia,

tu non l'hai abbandonato in potere della morte,

ma nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro,

perché coloro che ti cercano ti possano trovare.

Molte volte hai offerto agli uomini

la tua alleanza,

e per mezzo dei profeti hai insegnato a sperare nella salvezza".

a) La fedeltà per S. Agostino è di un'evidenza immediata: "Vediamo che Dio è stato fedele in tutte le cose alle sue promesse. Mancherà lui, oppure ci ingannerà nell'intimità?" (101).

Per descriverla rigorosamente, lo stesso Santo la contrappone, alla fedeltà umana. Dio è fedele quando sostiene e adempie le promesse; l'uomo, invece quando le accetta fiducioso (102).

A giudizio di Barth, la permanenza del mondo è da attribuirsi piuttosto alla fedeltà di Dio che alle energie cosmiche (103).

La fedeltà, pur essendo relativa, perché suppone la creazione, in definitiva non poggia sui destinatari, ma sul Dio che formula promesse. Risulta come conseguenza che Dio è fedele a sé stesso. (104). Essendo, poi, un padre, la fedeltà divina non ha altro baricentro nella storia se non il suo amore paterno. Si spiega così lo snodarsi successivo di una serie di eventi che sarebbero totalmente inspiegabili, senza l'intervento nascosto del misericordioso amore del Padre.

b) La misericordia "è - a giudizio di Ireneo - una proprietà caratteristica di Dio" (105), il che spiega come "tutte le iniziative divino siano da attribuire alla sua misericordia" (106).

S. Agostino la intende alla maniera di "una compassione nel nostro cuore verso le miserie altrui. La misericordia ci forza a venire incontro ai bisogni degli altri nella misura del possibile" (107).

Come conseguenza, una misericordia veramente divina non può essere che infinita (108) e non può che sgorgare dal cuore di Dio Padre.

L'attività misericordiosa di Dio sembra avere proporzione con la miseria dei propri figli. Ed è perciò, che "se la terra abbonda di miseria umana, essa sovrabbonda di misericordia divina (109). Non attende gesti meritori, perché "egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia (Tit. 3,5).

Sarebbe uno sbaglio gravissimo pensare che la misericordia metta allo sbaraglio l'ordine della giustizia. Nel servizio della sua misericordia, Dio non agisce ingiustamente; anzi, opera in armonia piena con dei principi che, trascendono la pura giustizia umana, costituiscono una giustizia in pienezza (110).

L'esperienza di una tale ricchezza della misericordia divina, ha portato alle volte i santi ad avanzare espressioni che, a prima vista ci lasciano perplessi. S. Ambrogio presenta Iddio creatore insoddisfatto, incapace di lasciarsi andare al riposo al temine di ogni fase creativa. Soltanto con la creazione dell'uomo, sarà in grado di abbandonarsi contento al riposo, "avendo finalmente a portata di mano qualcuno al quale poter offrire il perdono" (111).

E' altresì paradossale il grido di S. Agostino, col quale proclama beata la colpa di Adamo, (112) pensando alle viscere di misericordia del Padre che aveva da mandarci un tale Redentore. Ci confida nella sua Confessioni che "più miserabile io diventavo e più vicino tu ti rendevi" (113). Più grande fu la miseria del peccato e più potente la reazione misericordiosa di Chi è "dives in misericordia".

Perché il suo mestiere è amare; amore, che per i peccatori, diventa perdono.

c) Fedeltà e misericordia si richiamano a vicenda come due tratti dell'integra personalità divina. Traducono in dinamismo opportuno verità e vita. La verità del Padre è un cuore amatissimo; e la sua vita altro non è che un impulso irresistibile di amore.

La fedeltà, dunque, lo porta ad esercitare la misericordia, dove i figli si trovano in qualche necessità;

la misericordia, dal canto suo, è la fedeltà di Dio alla sua paternità.

Charles Peguy esprime in un monologo la rievocazione del padre del figliol prodigo:

"E adesso bisogna che io lo giudichi come un padre. Per quel che può giudicare un padre. Un uomo aveva due figli:

Per quel che è capace di giudicare. Un uomo aveva due figli.

Si sa bene come giudica un padre. C'è un esempio ben noto. Si sa bene come il padre ha giudicato il figlio, che se n'era andato e che è ritornato.

era ancora il padre che piangeva di più.

Ecco cosa ha raccontato loro mio figlio. Mio figlio ha svelato loro il segreto del giudizio stesso.

E adesso ecco come mi sembrano: ecco come li vedo.

Ecco come sono obbligato a vederli" (114).

Da Padre. Certo. E con infinita misericordia, di fronte alla loro immensa miseria.

2. L'anafora IV prosegue, evocando puntualmente le tappe di una storia meravigliosa:

"PADRE SANTO, hai tanto amato il mondo

da mandare a noi, nella pienezza dei tempi,

il tuo unico Figlio come salvatore.

Egli si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo

ed è nato dalla Vergine Maria;

ha condiviso in tutto, eccetto il peccato,

la nostra condizione umana.

Ai poveri annunziò il Vangelo di salvezza,

la libertà ai prigionieri,

agli afflitti la gioia.

Per attuare il tuo disegno di redenzione

si consegnò volontariamente alla morte,

e risorgendo distrusse la morte e rinnovò la vita".

Balza a questo punto in evidenza la figura del Figlio in veste di Mediatore, di Pontefice Sommo. E' chiamato a collegare i cieli con la terra e gli uomini dispersi tra di loro. Un programma che delinea le due dimensioni di una croce...

Il sacrificio del Calvario costituisce l'espressione più intensa della parola del Padre. Vorrei sottolineare un solo dettaglio: i sentimenti di fedeltà e misericordia riecheggiano in maniera esemplare nel sacerdozio del Figlio.

a) (mediazione sacerdotale). Il sacerdozio appartiene al mondo della mediazione. Aspira ad assicurare l'intercomunione degli uomini con Dio. Tra le due teste del ponte, una in cielo, l'altra sulla terra, il sacerdote è chiamato ad aprire l'interscambio in due direzioni opposte:

- in discesa, a beneficio del popolo - "in favore degli uomini" - suoi fratelli (Ebr. 5,1).

- in ascesa con gli occhi rivolti verso Dio, i cui interessi egli deve servire come ministro (Ebr. 5,1).

L'attività sacerdotale consiste in definitiva nell'"offrire doni e sacrifici" (Ibid.), allo scopo di colmare l'abisso di separazione che esiste, purificando l'uomo dal peccato e placando la giustizia divina.

(sacerdote ideale). Il profilo del sacerdote ideale risponde alla doppia funzione mediatrice:

- dev'essere "un uomo tra gli uomini" (Ibid. cfr. Num. 8,6) con le radici, ben saldamente piantate tra la sua gente; deve - godere di sicuro appoggio da parte di Dio per garantire solidità della sua rappresentanza al momento della mediazione. (Ebr. 5, 1.4) Sono due, in conseguenza, le virtù fondamentale per adempiere a puntino la funzione sacerdotale:

- innanzitutto la fedeltà (n. 7) nell'amministrazione delle cose divine (Ebr. 5,3). Vi sono gradi, secondo, la qualità del servizio: la fedeltà del domestico, quale fu Mosè; la fedeltà superiore del figlio, che è quella di Cristo. E' sempre indispensabile; l'ultima, però, è perfetta;
- poi, la misericordia (n. 5) che rende il pontefice compassionevole (Ebr. 2,18), capace di "compatire le debolezze umane" (Ebr. 4,15) e di "sentire pietà verso gli ignoranti e i dispersi" (Ebr. 5,2; n 6), e di reagire con quella sensibilità squisita propria di chi ha esperimentato nella propria carne gli effetti della debolezza (Ebr. 5,2), superata vittoriosamente la debolezza stessa (Ebr. 5,3).

Mi sono limitato a tratteggiare una pagina dell'epistola agli Ebrei. E' meraviglioso costatare la consonanza esistente tra il disegno amoroso del Padre e l'esecuzione sacerdotale del Figlio. Del resto, lo si poteva prevedere. Non è lo stesso autore agli Ebrei che inizia la lettera ricordando che, col Cristo, la rivelazione del Padre ha raggiunto il massimo di espressione?

b) Mi si consenta ancora di accennare allo stile con cui opera il sacerdote fedele e misericordioso.

Possedendo Cristo il sacerdozio, non già per vocazione estrinseca, ma per radicazione nella sua qualità di Figlio, ne segue, in linea sacerdotale quello che abbiamo trovato a proposito del suo magistero; è dunque tutto sacerdote e sacerdote di tutti, perché è tutto parola e parola di tutto. In conseguenza il suo sacrificio sarà unico (Ebr. 7,23.24) e avrà un'efficacia letteralmente cattolica (Ebr. 5,9; 7,25).

Viene spontanea la domanda: come potrà questo "cathilicus patris sacerdos" ( n. 19) rendere dovunque e sempre operante un sacrificio storico e irripetibile? La risposta è ancora una volta ispirata alla legge dell'incarnazione: la sacramentalità eucaristica è in grado di assicurare quell'attualizzazione meravigliosa del sacrificio unico della croce, messo a portata di tutti i singoli gli uomini.

Il fatto è toccante; ma non lo è meno lo stile ispirato ad un amore insuperabile nei dettagli. Risuona insistente il motivo sinfonico della fedeltà e della misericordia.

- La fedeltà è scontata dai vincoli stretti perfettamente rispettati, tra il sacrificio della messa e il sacrificio del Calvario;

- per quanto riguarda la misericordia, risulta commovente la tenerezza infinita con cui viene a noi offerto il prezzo della nostra redenzione: la tragedia del Golgota, il sacrificio cruento di Cristo, il sommo dei misteri dolorosi diventa, senza il minimo detrimento, nel sacramento del sacrificio, un mistero gaudioso, una festa gioiosa di grazia, con cui ogni giorno possiamo partecipare all'incontro con Cristo in quel clima di intimità e di famiglia dell'ultima cena coi suoi prediletti.

La teologia odierna, meditando sulla solitudine di Cristo al momento del sacrificio supremo, avanza formule ardite sul cuore del Padre, che affrontano il problema della vicinanza totale, suggerita dalla sua misericordia e della assenza rigorosa, imposta dalla sua fedeltà al piano di salvezza. Peguy ha meditato questo mistero con il ritmo del suo estro poetico:

"Tutto era consumato, quest'incredibile avventura.

Per la quale, io, Dio, ho le braccia legate per la mia eternità. Quest'avventura con la quale mio Figlio mi ha legato le braccia. Per l'eternità legando le braccia della mia giustizia, per l'eternità slegando le braccia della mia misericordia.

E conto la mia giustizia inventando una giustizia stessa.

Una giustizia di amore. Una giustizia di Speranza. Tutto era consumato...(115).

...Ora ogni uomo ha il diritto di seppellire il suo figlio.

Ogni uomo sulla terra, se ha questa grande sventura di non essere morto prima di suo figlio. E io solo io, Dio,

con le braccia legate da quell'avventura,

Io solo in quel minuto padre dopo tanti padri,

Io solo non potevo seppellire mio figlio.

E' allora, o notte, che tu venisti.

O figlia mia cara fra tutte e lo vedo ancora

e lo vedrò per tutta la mia eternità

E' allora o Notte che tu venisti e in un gran sudario tu seppellisti

Il Centurione e i suoi uomini romani.

La Vergine e le pie donne,

E quella montagna, e quella vallata, sulla quale scendeva la sera

E il mio popolo Israele....

E gli uomini di Giuseppe d'Arimatea che già si avvicinavano.

Portando il sudario bianco" (116).

Padre e Figlio, dunque, operano all'unisono perfetto in questa storia della nostra salvezza.

L'eucarestia costituisce il "sacramento" cioè il segno e la realtà significata di questa incredibile storia di amore immenso, secondo la fedeltà e la misericordia di un Padre che, essendo Dio, le potenzia all'infinito.

III. ESCATOLOGIA ("AD PATREM")

1. La logica del discorso impone:

1^) di tratteggiare la misericordia, e la fedeltà che a noi corrisponde come figli, ad imitazione del Figlio;

2^) in corrispondenza con il prologo "archeologico", di chiudere la storia con l'epilogo della "escatologia" salvifica.

2. Sono temi complementari che aiutano a capire fino in fondo il mistero del Padre.

- La nostra vocazione filiale costituisce la donazione estrema, il frutto di tutta una serie di partecipazioni toccanti di amore.

- Il comportamento del Padre, alla fine dei tempi, getterà piena luce circa il suo obbligato modo nascosto di agire lungo la storia del mondo.

3. Ci rendiamo conto che stiamo suggerendo una metodologia che capovolge in certo modo quella in corso.

- Tuttavia crediamo che sia indovinato partire dalla luminosità del mistero del Padre, piuttosto che imbarcarsi in giochi dialettici che utilizzano dati svalutati che si trovano in commercio.

- Anticipare la visione limpida del futuro rappresenta, senza dubbio, un forte reattivo per chi vive in sonnolenza e proietta una luce vivissima su chi desidera orientare con sicurezza i propri passi.

4. Alla sera della nostra vita saremo sottoposti ad un esame decisivo:

- un esame dall'amore, perché l'esaminatore sarà un Padre misericordioso e fedele;

- un esame sull'amore, l'oggetto, infatti, dell'esame verterà sulle nostre reazioni filiali alla fedeltà e alla misericordia del Padre.

- un esame, infine, portato avanti con amore, come si addice ad un incontro tra Padre e figlio, attorno al bilancio definitivo a due colonne, sulla misericordia fedele e la fedeltà misericordiosa.

E' più che giustificata la meditazione ultima in due tempi (117).

1 - Fedeltà

L'accettazione della parola del Padre ci rende fedeli, cioè credenti. Per la fede diventiamo figli. Una volta figli, sentiamo la responsabilità che corrisponde ai depositari dei tesori divini e ci sentiamo spinti, per coerenza, alla fedeltà.

a) Tra i tesori del nostro deposito, il primo è la figliolanza divina. Tale figliolanza non deve restare una pura teoria. "Dobbiamo ricordare, fratelli carissimi, e sapere che se chiamiamo Dio Padre, Dobbiamo anche vivere come suoi figli, affinché come noi ci rallegriamo di averlo per padre, così lui si compiaccia di averci per figli" (118).

La vita filiale deve specchiarsi nel modello. Orbene, Cristo, è tutto Figlio, in corrispondenza a Dio che è tutto Padre. Soltanto una figliolanza vissuta con slancio radicale diventa apostolicamente contagiosa.

Una formula evangelicamente garantita per vivere a fondo la figliolanza è quella indicata nell'apertura stessa del discorso delle beatitudini: "beati i poveri"!

Non è una povertà riducibile a categorie socio-economiche.

E' invece una povertà libera dagli attacchi terreni, perché, sapendosi figlio di Dio, si è sicuri di poter contare sulla predilezione di un Dio che, ad essere provvidente, è Padre.

La povertà così intesa è un sinonimo di figliolanza. Forse un'equazione di questo tipo sarebbe capace di riscattare non poche teorie correnti, che pur citando il Vangelo, sono dubbiosamente cristiane. Non lo saranno se non nella misura in cui rispettino la fedeltà dovuta al Padre che è nei cieli.

b) La fedeltà al Padre spinge verso il servizio della comunità in cui si inserisce necessariamente l'uomo, perché egli non è mai un'isola.

La sociologia, coi suoi problemi complessi, deve oggi fare i conti con l'attuale disaffezione verso le strutture.

Non è il caso di proporre soluzioni semplicistiche. Tuttavia "l'esperienza dimostra che gli uomini difficilmente arrivano a riconoscersi fratelli, a meno che non si sentano figli del Padre" (119). Pio XII batte spesso su questo tasto: " una vera collaborazione di tutti in vista del bene comune sarà un'utopia fin quando tutti non avranno l'intima convinzione di essere membri di una grande famiglia e figli di uno stesso Padre celeste" (120).

c) Il progresso umano, pur nel rispetto dovuto alle sue proprie leggi, non può ignorare che forma parte di un piano superiore della provvidenza paterna.

Bisogna essere comprensivi per chi, privo di fede, pretende di risolvere i problemi riguardanti la costruzione del mondo, alla luce della sola ragione. Ma sopprimere lo sguardo verso l'alto è un comportamento illogico e contraddittorio per chi si professa fedele e, perciò stesso, figlio di Dio. L'infedeltà tocca il vertice massimo, allorché si sacrifica il contatto filiale, in nome di un preteso attivismo apostolico.

E' vero che dossologia e diakonia rappresentano altrettante dimensioni essenziali dell'azione cristiana. Sono espressioni dell'amore di Dio e del prossimo. Questo non toglie che vi sia tra di loro un ordine gerarchico. Il Figlio di Dio ci ha detto con un linguaggio muto ma eloquentissimo, cioè col suo esempio ripetuto che bisogna che l'apostolo si ritiri in silenzio a pregare il Padre celeste, anche abbandonando per qualche tempo le turbe, oggetto della propria sollecitudine.

Non perderemo niente. Anzi, ci guadagneremo; perché l'azione apostolica, dopo, diverrà più intensa.

Il motivo è palese: la diakonia, come l'amore fraterno è sempre condizionato dall'amore del Padre. Il quale è l'unico principio sia dell'essere sia dell'agire dei suoi figli.

2 - Misericordia

Siamo chiamati a praticare la misericordia sull'esempio del Padre che è misericordioso (Lc. 6,26). Si è fatto notare che il Signore condannò con severità il servo incapace di praticare, una volta perdonato, la misericordia col suo debitore: "la sua condanna non è soltanto il carcere per i debiti contratti, ma la tortura, per la compassione respinta" (121).

Sorgono, però, delle situazioni che ci lasciano perplessi, allorché la misericordia sembra invadere il terreno della giustizia. Occorre tener presente l'imperativo con cui ci si impone l'imitazione del Padre (Mt. 5,48; Lc. 6,36). La soluzione giusta non può omettere il modello escatologico di retribuzione, che deve entrare in linea di conto col nostro comportamento attuale.

La retribuzione divina lascia l'impressione di arbitrio. La giustificazione addotta dal padrone ricorre alla signoria assoluta. Le cose però non sono tanto semplici.

Dio chiama tutti al suo servizio, come lascia intendere la parabola evangelica degli operai della vigna (Mt. 20, 1-16).

Non sembra, però, che vi sia proporzione tra lavoro eseguito e retribuzione ricevuta. Tutti hanno lo stesso salario, indipendentemente dalla durata del loro contributo.

Si è tentati di pensare che il lavoro non conta affatto agli occhi del Signore. Tanto più che leggiamo questa norma: "quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: siamo servi inutili; abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc. 17,10).

Il sospetto prende corpo se si considera la storia reale in cui cala l'insegnamento della parabola: Santi, canonizzati dopo lunghi anni di preghiera e di severissime penitenze, saranno a fianco di adolescenti e perfino di tanti "buoni ladri" che strapparono il paradiso all'ultimo momento.

Il padrone reagisce contro l'accusa di ingiustizia (Mt. 20, 14-15). Forse, nell'odierno contesto sociologico, non si riesce a cogliere la motivazione profonda addotta nella parabola. Infatti, "forti obiezioni si sollevano anche contro la giustizia di Dio...La bestemmia risuona spesso sulle labbra del tribolato, del perseguitato, dell'infortunato" (122).

Ma Dio non fa violenza a causa della sua misericordia. Nella nostra salvezza sono due i fattori che intervengono (dico "fattori" e non "addendi"): l'apporto di Dio che è infinito e il contributo umano sempre finito, qualunque sia la sua misura.

Il prodotto finale, - non può prescindere dal fattore umano, perché altrimenti il prodotto sarebbe inesistente;
- la qualità del fattore umano è indifferente; perché data la qualità del fattore divino, il prodotto è sempre di ordine infinito. Il premio, infatti, è divinamente infinito; e perciò gratuito; non dovuto ai nostri meriti, che restano nel piano della finitezza. Il premio è puro dono della misericordia divina.

Ci dà denaro da negoziare; perché è buono e vuole come condizione la nostra partecipazione umana: "qui creavit te sine te non salvabit te sine te" dice Agostino. Ma la salvezza è al di sopra delle forze dell'uomo. In realtà è Dio, per misericordia paterna, coronando i nostri meriti, in realtà corona la sua grazia.

Il Padre, dunque, non violenta la giustizia, "perché alla base d'ogni atto di giustizia divina c'è sempre un atto di misericordia" (123). La sua azione consiste nel far pulsare registri di un'altra giustizia, infinitamente superiore alla nostra, perché risponde alla sua immensa carità.

Le applicazioni operative per i figli di Dio, sono a portata di mano. Prescindere dal mistero di Dio nella retribuzione finale, al momento di discutere le sperequazioni umane...è falsare il problema alla base e sbagliare le eventuali soluzioni. La lotta di classe, come tutte le altre tensioni di tipo orizzontalistico, trovano un energico correttivo, alla luce di questa dimensione, verticale che condiziona la nostra vita sociale. Diventa misteriosa anch'essa, a causa del fattore misterioso che ivi opera (di nascosto, in incognito) ma anche effettivamente reale ed efficace.

Anche il perdono sembrerebbe in contrasto col rigore della nostra giustizia umana.

In realtà è conseguenza rigorosa della novità del precetto evangelico: "Amate i vostri nemici...perché siete figli del Padre vostro" (Mt. 5,44), il cui comportamento è al di sopra dei meriti e demeriti dei destinatari del suo amore. Dio ci impone il perdono per sottomissione ad un esempio assoluto: il comportamento del Padre. Se Dio ci si presenta come modello, è giusto che ci giudichi in base allo sforzo di imitazione.

C'è però un'altra norma che sembra contraria alla precedente. Il "Padre nostro" dettato da Cristo, sembra dire che Dio avrà da "rimettere a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Il criterio sembra capovolto: norma per il giudizio finale non è il comportamento divino preso come criterio, ma è piuttosto il nostro modo di agire verso gli altri che diventa norma, davanti alla quale Dio dovrà reagire in materia di perdono.

L'opposizione è inesistente. Il criterio vero è l'amore misericordioso del Padre, i cui lineamenti sono inconfondibili alla luce delle parabole (Lc. 15,4 ss; 15,8 ss; e soprattutto 15,11-32; il figliol prodigo). Un Padre paziente, sempre pronto a perdonare perché questo è il suo mestiere, sorgente di gioia in famiglia, tranne che per il fratello maggiore, che è fuori in ispirito pur essendo dentro corporalmente.

Orbene, dire che il giudice avrà criterio di perdono il nostro comportamento, in definitiva, è dire che si adopera la norma di perdono divino. Infatti:

- chi perdona su questa terra, sarà perdonato nel cielo;

d'accordo con la norma del 'padre nostro' e con l'imitazione di Dio Padre che sempre perdona;

- chi non perdona, non sarà perdonato; perché è la norma proposta nella preghiera domenicale; ma, nel fondo, perché chi si comporta così, volta la schiena al Padre misericordioso, e non adempie la legge di imitazione nel perdono.

E' sempre la stessa norma. Quella di una luminosità estrema in disaccordo, forse, con tendenze spontanee di ispirazione terrena, ma perfettamente in linea con il cuore del Padre.

Questo disaccordo ci lascia vedere quanto il Padre sia straniero tra i suoi figli; quanto sia sconosciuto nella sua famiglia, che dovrebbe essere costituita di fratelli, figli dello stesso Padre. Non è il caso di lottare perché gli venga restituita la cittadinanza che un po' dappertutto gli è stata ritirata?

Conclusione

E' il caso di parafrasare S. Agostino:

"PADRE SANTO....tutto quello che ho detto in queste pagine di

ciò che è tuo,

lo riconoscano anche i tuoi;

se poi qualcosa ho detto di mio,

possa tu perdonarlo, ed i tuoi

AMEN" (124)

Lasciatemi concludere con tre certezze, acquistate attraverso queste non brevi riflessioni sul mistero del Padre.

1°. In TEOLOGIA, è dovere parlare del Padre:

Ma per essere un "patrologo" (letteralmente chi parla del Padre) bisogna essere un ottimo conoscitore del suo mistero, un buon "PATROSOFO"; il che non sembra assolutamente possibile senza essere un amatore del Padre intenso che rende facile la conoscenza, quello di un "PATROFILO".

Il teologo parla perché sà e sà perché ama il Padre. Occorre che viva davvero, fino a renderlo contagioso ai fratelli quell'interrogativo formulato da Ireneo: "Se fin d'ora, per aver ricevuto il pegno dello Spirito noi gridiamo! "abba, padre" cosa sarà quando, risuscitati, lo vedremo a faccia a faccia; quando tutti i membri, accorrendo in folla, canteranno l'inno di trionfo in onore di colui che li avrà risuscitati dai morti e dotati della vita eterna"? (125)

2° La vita teologale è assicurata dalle tre virtù ben note.

- La FEDE è radicalmente filiale; perché ha per oggetto fontale il mistero del Padre; è efficacemente filiale, perché ci rende figli; è, infine, apostolicamente filiale perché orientata alla generazione di nuove schiere di fratelli del Figlio.

- Dobbiamo scoprire la dimensione filiale della SPERANZA che poggia, in definitiva, sulla misericordia del Padre che porta a compimento, "per Christum", suo Figlio, il disegno amoroso della nostra salvezza.

- Dobbiamo praticare la CARITA' filialmente, nello Spirito Santo, che ci pone in sintonia col Padre, perché è il suo spirito paterno ed è il nostro spirito di figliolanza che ci spinge a gridare "abbà, Padre".

3° MARIA, anche qui, e soprattutto qui, è Madre e Maestra;

- perché è figlia primogenita del PADRE, in quanto la prima credente;

- perché è la Madre del suo FIGLIO divino, e Madre altresì di quanti si dicono e sono i suoi fratelli;

- perché, infine, è la sposa dello SPIRITO SANTO e perciò conosce sperimentalmente, alla perfezione, i segreti del vincolo di amore che lega il Figlio con il Padre e viceversa.

Per citare, un'ultima volta, una pagina di Péguy. Anche in essa vi sono delle imprecisioni teologiche. Ma stimola potentemente la meditazione sul Padre.

"Ho visto...ho visto...

Ho visto vite intiere dalla nascita alla morte,

Dal battesimo al viatico,

Svolgersi come una bella matassa di lana.

Ora vi dico, dice Dio, non conosco nulla di così bello in tutto

il mondo Come un piccolo bimbo che s'addormenti nel dir la

preghiera

Sotto l'ala dell'angelo custode

E che sorride da solo scivolando nel sonno.

E già mescola tutto insieme e non ci capisce più nulla

E arruffa le parole del Padre Nostro e le infila alla rinfusa

tra le parole dell'Ave Maria

Mentre già un velo gli cala sulle palpebre,

Il velo della notte sul suo sguardo, sulla sua voce.

Ho visto i santi più grandi, dice Dio. Ebbene, io vi dico

Non ho mai visto nulla di più buffo e quindi di più bello al

mondo

Di questo bimbo che s'addormenta nel dir la preghiera

(Di quest'esserino che s'addormenta fiducioso)

E che mescola Padre Nostro e Ave Maria

Nulla è più bello, e in questo perfino

La Santa Vergine è d'accordo con me.

Su quest'argomento.

E posso ben dire che sia il solo punto su cui andiamo

d'accordo.

Perché generalmente siamo di parere contrario.

Perché lei è per la misericordia.

E io, bisogna pure che io sia per la giustizia" (126).

Sbaglia a dire che c'è contrasto tra il Padre e la Madre. Non c'è tensione tra la misericordia e la giustizia del Padre. Perché sono due aspetti dello stesso sentimento paterno.

E non c'è possibilità di tensione tra la Madre e il Padre; perché Maria fu la prima della classe con Maestri di eccezione; e potè bere alla sorgente. E quale è il libro dove Maria imparò ad amare con viscere di misericordia, se non nel cuore del Padre?

"a cui sia gloria per Cristo nello Spirito Santo"

AMEN.


1 - Così M. MURRY, nella "Vita di Gesù" p. 37. (Citato da C. SPICQ, Dios y el Hombre en el Nuevo Testamento, Salamanca, 1979, p. 80, n. 91)

2 - Leggiamo nel Corpus Hermeticum che Dio è padre "per causa della sua facoltà creativa universale, perché è proprio del Padre creare" (11,17; in: A.J: FESTUGIERE, La révélation d'hermès Trimègiste, Paris; 1954, IV, p. 57). In seguito troviamo una precisazione interessante: "Dio è tale in ragione del suo potere creatore, a causa del suo operare; Padre, invece, a causa del bene" (C.H. XIV, 4; FESTUGIERE, op. cit., IV, p. 65). Non è difficile trovare nell'A.T. idee analoghe a quelle dei greci e altri semiti. Cf. Deut. 32,6: "Così ripaghi il Signore, o popolo stolto e insipiente? Non è lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito?"

3 - E' significativa la comparazione di EPITTETO: "Se il Cesare ti adottasse come figlio, nessuno sarebbe in grado di sostenere il tuo sguardo; e non ti sentirai orgoglioso di sapere che sei figlio di Dio?" (I,3,1) Questa scelta la fece Yahve con Israele. La ricorda Es. 4,22: "Dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito. Io ti avevo detto: lascia partire il mio figlio perchè mi serva". La evocano spesso i profeti: Cf. Is. 63,16: "perchè tu sei nostro padre"; 64,8: "Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma"; Ger. 31,9: "Io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito"; ecc.

4 - Sap. 14,3: "la tua provvidenza, o Padre, la guida"....Ps 89,27-28: "Egli mi invocherà: Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza. Io lo costituirò mio primogenito, il più alto tra i re della terra". Cf. FILONE, De op. mundi, 21, 171-172: "Dio è amore provvidente in favore di questo mondo. Se il fabbricante, infatti, ha cura di quello che fa, è un'esigenza delle leggi e dell'ordine della natura; ed è perciò che i padri hanno una sollecitudine completa per quanto riguarda i figli". Completa il suo pensiero applicandolo a Dio: "I genitori, nella mia opinione, sono per i loro figli quello che Dio è per il mondo: allo stesso modo che Dio ha dato l'esistenza a chi non esisteva prima, anch'essi, imitando nella misura del possibile la sua virtù, contribuiscono alla perennità della razza" (De spec. leg. II, 165,225)

5 - "Cette province l'homme simple ne peut se la représenter que sous la figure d'un père grandiosement magnifié. Seul un tel père peut connaitre les besoins de l'enfant humain, se laisser fléchir par ses prières ou adoucir par ses repentis. Tout cela est évidemment si infantile, si éloigné de la réalité que, pour tout ami sincère de l'humanité, il devient douloureux de penser que jamais la grande majorité des mortels ne pourra s'élever audessus de cette conception de l'exstence" (S. FREUD, Malaise dans la civilisation, in Rev. Psychan, VII, n. 4 p. 701)

6 - G. MORRA, Perchè la ricerca di "padri sociologici", in Prospettive nel Mondo, 53, nov. 1980, p. 28.

7 - "Deus in hac vita non potest a nobis videri per suam essentiam; sed cognoscitur a nobis ex creaturis, sedundum habitudinem principii, et per modum excellentiae et remotionis" (S. TH. I, p. 13, a. 1)

8 - J.P.SARTRE, Parole, Milano, 1964, p. 17: "Un buon padre non esiste, è la norma; non si accusino gli uomini bensì il legame di paternità che è marcio. Fare figli, non c'è cosa migliore; averne, che cosa iniqua! Se fosse vissuto mio padre si sarebbe steso sopra di me e m'avrebbe schiacciato. Per fortuna è morto prematuramente"

9 - J.B. LOTZ, II Padrenostro oggi. Meditazioni, Roma, 1979, p. 20.

10 - LOTZ. cit., p. 20-21

11 - Si ricordi a questo propostio la parola di PIO XI "Alla Gioventù Cattolica Italiana" del 4,12,1927: "La pietà cristiana non è un insieme di vane pratiche, o vaghezza di sentimento, ma è una cosa molto solida, sostanziale, e, nello stesso tempo, molto semplice e molto facile, a capirsi e praticarsi. Non si tratta che di elevarci a Dio: e ciò che si dice 'pietà filiale' o, se volete dirlo con una parola, la filialità verso Dio, concepito, amato e servito come Padre. Proprio come Egli ha voluto, e come Gesù Cristo, il Redentore divino, ha insegnato: Pater noster!".

12 - S. Tommaso meditando sui concetti di paternità e figliolanza in Dio scrive: "Hoc autem est de ratione paternitatis et filiationis, quod filius per generationem pertingat ad habendam perfectionem naturae quae est in patre, sicut et pater" (S. Th. I. q.42, a.4) Non si dimentichi la valenza diversa del termine anche in piano "religioso". "Che significa quest'appellativo religioso di 'Padre'? Nella nostra civiltà occidentale attuale, noi pensiamo di colpo che essa evochi essenzialmente la generazione. Ma non fu sempre così: pensiamo per esempio, al titolo di 'Padre della Patria'" (P. AUBIN, Dio-Padre, Figlio, Spirito. La Trinità alla luce della Bibbia, Torino, 1975, p. 80)

13 - I.A. CHIUSANO, Da quando sono nati qualcosa è cambiato dentro di me, in Prospettive nel Mondo, 53, nov. 1980, p. 48-19.

14 - Cf. AUBIN, op. cit., p. 81.

15 - "Tu sai con certezza che il tuo Signore ti vuole bene con più tenerezza che un padre, con una sollecitudine più intensa di quella di una madre; ti guarda con un ardore più vivo di quello dello sposo e della sposa; la tua salvezza gli procura gioia, e sente più allegria di te stesso vedendoti libero dai pericoli della morte...Si manifesta in tutte le forme dell'amore...La sua bontà è indicibile, il suo amore per gli uomini, insondabile" (S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Ad eos qui scandalizati sunt, 8; PG, 52, 498)

16 - "L'anima unisce, per un istinto soprannaturale, le effusioni spontanee della sua filiale tenerezza, al rispetto profondo che la fa piegare davanti al Padre 'd'immensa Maestà'" (E: GUERRY; Andiamo al Padre, Meditazioni, 3 ed. Monza, 1945, p. 32).

17 - TERTULLIANO, De Oratione, 2,4. (Il Padre Nostro, ed. V. GROSSI, L. VICARIO, Roma, 1980, p. 46).

18 - S. AGOSTINO, Serm. 7,7; PL 38,67.

19 - C. VAGGAGINI, El sentido teològico de la liturgia, Madrid, 1959, 203: "Existe una fuerte tendencia: 1. a reservar el nombre de Dios sòlo para el Padre; 2 a considerar también 'como Padre', no ya simplemente a Dios, sino al 'Padre', la primera persona de la Trinitad, cuyo 'Hij' ed Jesucristo, y del que nosotros somos también hijos adoptivos; 3. a considerar, como dicho al Padre, primera persona de la Trinidad, lo que el AT decìa sòlo de Dios".

20 - S. CIRILLO ALESSANDRINO, In lo. 11,7; (Jo 17.6-8); PG 74,500

21 - S. CIRILLO ALESSANDRINO, Thes. 5; PG 75,68

22 - E. MASSA, Dal pagamesimo a oggi, la storia di un'immagine, in Prospettive, op. cit., p. 55.

23 - Cf. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 8, 14; 1161, 18 ss). Il "padre", infatti, agisce come l'artista oppure il poeta; il quale, come dice ARISTOTELE, "ama la sua opera perchè ama, prima di tutto, essere" (Idib., 9,7; 1167 b, 33s)

24 - "I greci parlavano di Giove come padre degli déi e degli uomini; ma quella paternità non dava luogo a un amore di amicizia. La grandezza di Dio la rendeva inconcepibile" (CHIUSANO, art. cit., p. 61)

25 - "Secondo un'opinione comune, puoi amare l'amico per interesse; ma per interesse non potrai mai amare il nemico. Se esiste un amore disinteressato e gratuito, immotivato e libero, quindi frutto d'una volontà libera e soggettiva, il suo caso limite si realizza nell'amore dei nemici" (CHIUSANO, art. cit. p.59)

26 - Mt. 5,43-48: Avete inteso che fu detto: 'Amerai il tuo prossimo' e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perchè siete figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste".

27 - CHIUSANO, art. cit., p. 62.

28 - Cf. S. METSCHERLICH, Auf dem Weg zur vaterlosen Gesellschaft, Munchen, 1963.

29 - S. GREGORIO NAZIANZENO, In sanctum baptisma, or. 40,43; PG, 36,419

30 - Is., 66,12-13: "Poichè così dice il Signore: 'Ecco io farò scorrere verso di essa, come un fiume la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli; i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio così vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati"

31 - La domenica 10 di settembre, 1978, parlando nell'Angelus della pace, Giovanni Paolo I diceva così: "anche noi che siamo qui, abbiamo gli stessi sentimenti; noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E' papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male, vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore" (Gli insegnamenti di Giovanni Paolo I, Leumann (TO), 1978, p. 89)

32 - C. PORRO, Il mistero di Dio, Torino, 1976; p. 134: "Per ragioni contingenti - l'opposizione al razionalismo - la teologia cattolica finisce così col sottolineare in modo assai marcato l'aspetto conoscitivo del mistero trascurando quello contenutistico".

33 - Conc. Vat. I, Constitutio dogmatica "Dei Filius" de fide catholica, cap. 4,. De fide et ratione (DS 3015)

34 - H. DE LUBAC, Paradosso e mistero della Chiesa, Milano, 1979, p. 14: "Mistero....non è qualcosa di irrazionale, di assurdo, o, nella migliore delle ipotesi, qualcosa di semplicemente non contraddittorio, davanti a cui però si dovrebbe rinunciare a qualsiasi sforzo di intelligenza, qualcosa che si sottrae a ogni tentativo di penetrazione, come una parete verticale e liscia contro la quale non si può se non urtare....non è nemmeno una verità provvisoriamente inaccessibile alla nostra ricerca; un dominio non ancora aperto all'umana ragione, ma che questa, divenendo 'adulta', potrebbe sperare a poco a poco a ridurre, o ricuperare come proprio....Il mistero è sempre qualcosa di inafferrabile per l'uomo...Infine per raggiungerci e rivelarci a noi, esso deve comportare un aspetto afferrabile"....

35 - Schema Constitutionis de Ecclesia, Vaticano, 1964, p. 18.

36 - G. PHILIPS, La Iglesia y su Mistero en el Concilio Vaticano II. I, Barcelona, 1968, p. 32-33.

37 - B. NEUNHEUSER, Mistero, in Dizionario enciclopedico di Spiritualità, dir. E. ANCILLI, Roma, 1975, p. 1214. "Questa realtà visualizzata del mistero (disegno salvifico di Dio, storia della salvezza, azione di Cristo, riti culturali della Chiesa) è il dato positivo fondamentale, in derivazione da essa, acquista poi importanza anche la visione più astratta della dottrina, del mistero della fede dM e del contenuto sostanziale della vita cristiana".

38 - H. BOULLARD, Comprendre ce que l'on croit, Paris, 1971, p. 144 "Non si accede all'essere di Dio se non attraverso le attività nelle quali egli si manifesta.
Non si accede a ciò che i teologi chiamano la 'Trinità manente' che attraverso ciò che essi chiamano la 'Trinità economica'".

39 - S. MASSIMO CONF. Schol, in lib. de div. nomin., 13,2; PG 4,408.

40 - M. UNAMUNO, Ensayos, Madrid, 9158, II, p. 880. Insiste dopo sulla stessa idea: "La definiciòn mata a Dios porque definir es poner fines, es limitar, y no cabe definir lo absolutamente indefinible"

41 - Tale è la frase scritta dallo stesso UNAMUNO in margine alle opere, in lingua danese, di Kierkegaard, e che furono trovate nella biblioteca del professore salmantino.

42 - S. AGOSTINO, Serm. 117,5; PL 38,663

43 - S. GREGORIO DI NISSA, Vita Mosis; PH 44,317

44 - AUBIN, op, cit., p. 13: "Senza dubbio, la Trinità è un mistero, ma non per questo si dev'essere pigri! Poichè, alla fin fine, questo mistero è rivelato, e non lo è perchè ci si accontenti di ripetere formule ortodosse, ma per invitarci a penetrarvi, a immergerci in esso, a scoprirlo incessantemente, a impregnarcene"

45 - DE LUBAC, op. cit., p. 14

46 - S. GREGORIO NAZIANZENO, Orat. 30,17; PG 36.125: "A parere mio, il teologo migliore non è colui che pensa di aver posto in luce il mistero divino - compito impossibile a un essere legato come noi alla materia -, ma colui che è più immaginoso di un altro nell'elaborare in se stesso, in modo meno .

incompleto, quell'immagine della verità o la sua ombra, o qual' cos'altro' che noi sappiamo esprimere".

47 - TERTULLIANO, De oratione, 2,1; op. cit., p 45.

48 - TERTULLIANO, De oratione, 3,1; op. cit., p. 46.

49 - PS DIONISIO, De myst. Theol. 5; PG 3,1048

50 - LOTZ, op. cit., p. 17.

51 - Cf. CIRILLO DI GERUSALEMME, Catech, 11,19; PG 33,716; GREGORIO NAZIANZENO, Or 29,8; PG 36,85; ILARIO DI POITIERS, De Trinitate, 11,9; PL 10,405

52 - H. URS VON BALTHASAR, Solo l'amore è credibile, Torino, 1965, p. 62. Insiste su questo pensiero dicendo: "L'amore autentico è sempre incomprensibile, e non è dono per me che a questa condizione".

53 - S. SBARBARO, A mio padre. Citato da MORRA, art. cit. p. 25

54 - CHIUSANO, art. cit., p. 49.

55 - IRENEO, Adv. Haer. 5,6,1; V. DELLAGIACOMA, Siena, 1968, p. 166: "Dio sarà glorificato nella sua creatura conformata e modellata sul proprio Figlio, poichè per le mani del Padre, cioè per mezzo del Figlio e dello Spirito, l'uomo, non una sua parte, diventa simile a Dio".

56 - CI. GEFFRE', "Padre" come nome proprio di Dio, in CONCILIUM, 3/1981, p. 14 (412): "sarebbe scorretto cercare nel Nome di Padre la caratteristica specifica del Dio di Israele nella sua differenza con il Dio-Signore del pensiero greco (si tratti del Bene di Platone, del Primo Motore di Aristotele o dell'Uno di Plotino), Il Dio d'Israele è sì il Dio personale per eccellenza, il Dio vivente, il totalmente Altro che, nel tempo stesso, è vicinissimo a noi".

57 - S. GREGORIO DI NAZIANZO. Or. 20,7; PG 35,1073.

58 - ORIGENE, In Joh, com. 2,2,3; PG 14,109.

59 - S. AGOSTINO, De Trinitate 4,29; PL 42,908.

60 - PS DIONISIO, De div. nominibus, 2; PG 3,641.

61 - S. BASILIO, Hom. 24 in Sabellium, 4; PG 31,609.

62 - TERTULLIANO, Adv. Prax. 8; PL 2,164.

63 - S. CIRILLO ALESSANDRINO, In Ioan. 11,7; PG 74,500.

64 - Infatti, come dice lo stesso Cirillo, "chi dice 'Padre' punta verso quello che spetta alla proprietà: mostra, infatti, che egli generò" (Ibid.)

65 - S. GREGORIO DI NISSA, Contra Eun., 1; PG 45,396

66 - ILDEFONSO DE TOLEDO. in Santos Padres espanoles I. BAC, Madrid, 1971, p. 240

67 - S. GREGORIO NAZIANZENO, Orat. 25,16; PG 35,1221: " Il Padre è veramente Padre; e ciò lo si può dire con molta più verità di lui, che non di quelli che tra di noi sono chiamati padri; sia perchè a differenza che nei corpi, ciò si verifica in maniera del tutto singolare, sia perchè Egli è solo nella generazione, sia perchè è Padre di uno solo, dell'Unigenito, sia perchè solo ingenerato, prima di essere Padre non fu figlio, sia perchè è il tutto Padre del Figlio e di tutto il Figlio (ciò che certamente non si può dire a noi), sia perchè Padre dall'inizio; la usa paternità infatti non ebbe un inizio in seguito".

68 - S. ATANAZIO, Orat. 2,3,4; PG 26,220

69 - S. CIRILLO ALESSANDRINO, In. Is. 3,1; PG 70,580. Cf. S. ILARIO, De Trinitate, 3,22 PL 10,91

70 - Cf. PIO XI, Divini illius Magistri, del 31,12,1929, in AAS 22 (1930) p. 69: "Hominem scilicet, quem a pristina nobilitate delapsum, Christus redemit in esamque supernaturalem dignitatem restituit adoptivus filius Dei esset".

71 - Cf. J. JEREMIAS, Abba. Jésus et sono Péere, Paris, 1972, p. 37 ss. "Cette expression ("votre Pére") est doc l'une des caractéristiques de l'enseignement donné par Jésus aux disciples. Si nous interrogeons sur son contenu, voici ce qu'il faut dire: Dieu se montre le Pére disciples en ce qu'il leur pardonne, les accompagne de sa miséricorde et sa sollicitude et leur prépare le salut. Nous le voyons, tout cela est trés proche de la signification du mot "Pére" chez les prophètes. Un élément nouveau mérite cependant d'ètre souligé: les manifestations de la bonté paternelle de Dieu sont del événements eschatologiques" (p. 47). "Jèsus rapporte son pouvoir au fait que Dieu lui a ouvert sa propre intimitè comme un père à son fils. "Mon père" est donc une parole de révélation. C'est l'affirmation capitale de Jésus concernant sa mission" (Ibid., p. 59)

72 - Così, per esempio, il MAESTRO ECKART: "Mio padre secondo la carne, non è propriamente parlando mio padre, perchè egli mi dona soltanto una piccola parte del suo essere. D'altra parte, io mi trovo separata da lui. Egli può essere ormai morto, ed io continuo a vivere. Ecco perchè il Padre celeste è davvero mio Padre; perchè io sono suo figlio e ho ricevuto da lui tutto quanto io posseggo. Più ancora: io sono lo stesso Figlio e non un altro. Il Padre realizza una sola opera. Ecco perchè il Padre mi genera nel suo unico Figlio" (Sermons 6; Paris 1974, p. 85).

73 - S. CIRILLO ALESSANDRINO, Dial. 4; PG 75,905.

74 - S. GREGORIO NISSENO, In illud: "tunc ipse filius subilicietur" etc. Or.; PG 44,1325

75 - MAESTRO ECKART, op. cit., p. 66.

76 - Cf. B. BRO, Jésus Christ ou rien, Paris, 1977, p. 191-196.

77 - Cf. J. GALOT, El corazòn del Padre, Bilbao, 1960, p. 107: "La filiaciòn respecto al Padre es el privilegio màs fundamental, el que transciende el alma humana en su màs honda realidad. Somos hijos del Padre por el transfondo de nosotros mismos, y esta filiaciòn se encuentra en el origen y en la base de nuestra vida sobrenatural de cristianos. Es esta filiaciòn el Padre nos ha dado todo lo restante. Esta novedad oficialmente estrenada en la alborada de Pascua, contenia las demàs. Con nuestra dignidad de hijos se relaciona todo lo que hay de bello, de grande en nuestra vida, todas las gracias que trasforman nuestra existencia, la noblezza de nuestro destino y las alegrìas que la acompanan. Todo descansa en nuestra indole de hijos, que nos abre sin condiciones los tesoros del amor del Padre".

78 - S. MASSIMO CONFESSORE, Schol in Lib. de Div nom. 2,5; PG 4,221: "Dio Padre, mosso da un eterno amore, è alla radice della distinzione delle Ipostasi"

79 - S. IRENEO, Adv. Haer. 5,6,1 (DELLAGIACOMA, P.166)

80 - CIRILLO D'ALESSANDRIA, Thesaurus, 34; PG 75,581; In Ioan, 10,2 (jo. 15,7); PG 74,336; In Ioan. 11,3 (Io. 17,17); PG 74,477; De Trinitate, 6; PG 75,1017.

81 - S. BASILIO, De Spirito Sancto, 18,47; PG 32,153; S. NISSENO, Contra Macedonium, par. 12; PG 44,1316.

82 - S. IRENEO, Dimostrazione, 7; ed. V. DELLAGIACOMA, Siena, 1968, p. 16

83 - Delle cinque volte che appare il termine "uiothesia" nel N.T. in tre testi è espressamente collegato con lo Spirto. Cf. Rom. 8,15; Rom. 8,23; Gal. 4,4-6)

84 - S. AGOSTINO, De Trinit. 7,4,7; PL 42,939: "Quando si tratta di Dio, il pensiero è più esatto del discorso, e la realtà è più esatta del pensiero". S. TOMMASO riprende a questo proposito la dottrina aristotelica (Periherm. 1, c. 1 n 2; Bk 16 a 3): "Secundum Philosophum, voces sunt signa intellectuum, et intellectus, sunt rerum similitudines. Et sic patet quod voces referuntur ad res significandas mediante conceptione intellectus" (S. Th. I, q 13 a 1 c).

85 - S. G. DAMASCENO, De fide orthodoxa, 1,13; PG 94,856

86 - Mc. 14,36 raccoglie la supplica di Cristo al Padre "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice". Lo Spirito di Cristo risuona nei cuori dei cristiani ("E che voi siete figli ne è la prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!" (Gal. 4,6), e li fa rivolgersi al Padre con atteggiamento filiale ("voi avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: 'Abbà, Padre'" (Rom. 8,15).

87 - M. J. SCHEEBEN, I Misteri del Cristianesimo, Brescia, 1953, p. 132.

88 - SANTA TERESA DE JESUS, Camino de perfecciòn, 27,1, in Obras Completas, EFREN DE LA MADRE DE DIOS-OTGER STEGGNINK, Madrid, 1979, p. 277.

89 - S. TERESA, Camino de perfecciòn, 27,2; ibid., p. 227.

90 - S. TERESA, Camino de perfecciòn, 27,3; ibid., p. 277-278.

91 - Ch. PEGUY, Il mistero dei santi innocenti, Milano, 1979, p. 26-27.

92 - PEGUY, op. cit., p. 36-37.

93 - PEGUY, op. cit., p. 42.

94 - MORRA, art. cit., p. 27: "Di manifestazioni, che testimoniano la diffusa esigenza di autorità nei giovani, ne conosciamo non poche: la perdita o l'uccisione del padre induce alla ricerca di padri inautentici, leaders carismatici o rivoluzionari, garu, campioni sportivi e cantanti; la mancata formazione della persona, dovuta ad una carenza di autentica autorità, si traduce in uno stato d'animo di incertezza e di risentimento, che trova un compenso nella liberazione della personalità non raggiunta in forme di gregarismo e narcisismo collettivo, evidenti nelle assemblee e nei cortei; la ricerca dei posters con cui tappezzare la cameretta rivela la ricerca ansiosa di modelli autoritativi e paterni".

95 - MORRA, ibid. "Se dunque, vogliamo evitare che il bisogno di autorità paterna, oggi così sentito, si sposti verso padri sociologici, capaci di potere, ma non di autorità (partiti, sindacati, Stati totalitari, ecc.) dobbiamo dare una risposta a questo bisogno. Ma in ciò la sociologia, scienza non solo utile, ma non di rado necessaria, non si può essere di molto aiuto, dato il suo carattere prevalentemente descrittivo e fattuale. Bisogna ricorrere ad altre scienze, al fine di agire sulle strutture e sull'uomo interiore".

96 - S. CIRILLO ALESSANDRINO, In Ioannem 1,3; PG 73,45.

97 - J. MOLTMANN, Il padre materno. Un patripassianismo trinitario per superare il patriarcalismo teologico? in CONCILIUM, 3/1981, p. 95.

98 - F. GIANFRANCESCHI, L'amore paterno oggi, in PROSPETTIVE, 5 (1980), n. 53, p. 3: "Non a caso, ancora si sta imponendo in maniera sorprendentemente estesa l'immagine carismatica del nuovo Papa (immagine eminentemente paterna, primo riflesso terreno del Padre nostro che è nei cieli) come grande guida disinteressata: ossia non paternalistica, ma fondata soltanto sull'amore e sulla sapienza, essendo il paternalismo una caricatura della paternità alonata di interesse utilitaristico e di intenzioni plagiarie".

99 - A. VAN DER DOES DE WILLEBOIS, Declino della paternità e violenza, in COMMUNIO, 50/1980, p. 91-92: "Ed ecco che in piena crisi, un padre ci è stato dato. Addirittura un Santo Padre - molto santo e molto 'padre' -. Anche lui, secondo le esigenze della nosta epoca e in accordo con esse, in una maniera tanto inimitabile quanto esemplare, ha spostato l'accento dalla Persona sulla Personalità. Una personalità eccezionalmente adeguata e dotata per dominare la tempesta della violenza e mostrarci ciò che costituisce la grandezza dell'uomo".

100 - Deyt. 7,9: "Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele, che mantiene la sua alleanza e misericordia per mille generazioni, con coloro che l'amano e osservano i suoi comandamenti".

101 - S. AGOSTINO, Enarr. in Ps. 39,28; PL 36,452.

102 - S. AGOSTINO; De Spiritu et littera, 31,54; PL 44,235: "Seguendo questa fedeltà per la quale noi crediamo, noi siamo fedeli a Dio. Seguendo al contrario quella per la quale Dio adempie quello che ha promesso., Dio stesso ci è fedele". Cf. anche Enarr. in Ps 32,1,9; PL 36,284: "L'uomo che crede a Dio che promette gli è fedele; Dio, che sviluppa di fronte all'uomo che lui ha promessa, è un Dio fedele".

103 - K. BARTH, Dogmatique, II, La Doctrine de Dieu, II, 2, Genève, 1957, p. 65: "C'est la fidélité que, dans sa liberté, Dieu se manifeste et confirme à sa création...Il s'agit de fidélité, et non d'un principe de permanence et de continuité cosmique". E questo spiega la "fiducia" totale con cui corrisponde l'uomo. "Avoir toute" fiance - en Dieu significa donc: remettre ce bien qui est notre vie au pouvoir et à la bonne volonté de Dieu, sans avoir d'engagement matériel de sa part. Nous n'avons que sa parole, que la confiance en sa parole qu'il nous de nous a donnée. Nous nous sommes donnés à lui à corps perdu, pour ainsi dire, et c'est à lui de nous garder la foi. Nous n'avons rien dans les mains pour le forcer à nous rendre ce bien confié. Mais nous avons en lui la foi qu'il le gardera" (K. BARTH, La Confession de Foi d l'Eglise, Neuchatel, 1946, p. 13).

104 - B. DE MARGERIE, Les perfections du Dieu de Jésus Christ, Paris, 1981, p. 251: "La fidélité divine est un attribut relatif plutot qu'absolu. Elle suppose la création. Mais il est vrai qu'en étant fidèle aux promesses faites à ses créatures, c'est encore à Lui - meme que l'Eternel est fidèle".

105 - S. IRENEO, Dimostr. 60 (DELLAGIACOMA, p. 56)

106 - SPICQ, Op. cit., p. 38-39. Adduce come prova: Rom. 9,16; I. Cor, 7,25; Fil. 2,27; I Tim. 1,13; I Petr. 2,10. Ef. 2,4: "o de theos plousios on en elleéi e I. Petr. 1,3: "Katà to poly autou éleos".

107 - S. AGOSTINO, De civ. Dei, 9,5; PL 41,261.

108 - P. PARENTE, Dio e l'uomo, Torino, 1949, p. 108: "La radice della misericordia è l'amore...Ora in Dio, che è amore per natura, c'è la misericordia in sommo grado".

109 - S. AGOSTINO, Confes. 6,712; PL 14,272. Cf. qualcosa di analogo di IRENEO, Adv. Haer. 3,22,3.

110 - Così S. TOMMASO: "Patet quod misericordia non tollit iustitiam sed est quaedam iustitiae plenitudo. Deus misericorditer agit non quidem contra ilustitiam suam faciendo sed aliquid supra iustitiam operando" (S. Th. I, II q 1 a 3 ad 2); e così anche i suoi commentatori: "Dio esercita la sua misericordia non contro, ma al disopra della sua giustizia, come chi da quel che deve o chi rimette l'offesa rinunziando alla riparazione. Così intesa la misericordia non solo non s'oppone alla giustizia, ma anzi la trascende e diventa una certa pienezza di giustizia." (PARENTE, op. cit. p. 108).

111 - S. AMBROGIO, In Hexam. 6,10; PL 14,272.

112 - La Chiesa nella veglia pasquale, canta in questi termini l'annuncio della risurrezione del Signore: "Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!"

113 - S. AGOSTINO, Confes. 6,16,26; PL 32,732

114 - PEGUY, Il mistero, po. cit., p.28.

115 - Ch. PEGUY, Il mistero della seconda virtù, Milano, 1978, p. 131.

116 - Peguy, Il portico, op. cit., p. 131-132

117 - S. LEONE MAGNO vuole che il binomio fedeltà-misericordia del Creatore si rifletta sull'uomo fatto a sua immagine e somiglianza: "La misericordia vuole che tu sia misericordioso, la giustizia ti impone di essere giusto, perchè Dio desidera vedere la sua immagine riprodotta nello specchio del cuore umano, mediante l'imitazione che tu adempi delle opere divine" (Serm. 95,7; PL 54,464)

118 - S. CIPRIANO, De orat. dom. 11, (GROSSI-VICARIO, p. 98).

119 - PIO XII, Conflictatio bonorum, AAS 41 (1949)p. 59-60.

120 - PIO XI, Quadragesimo anno, in AAS, 23 (1931) p. 223. Nella stessa linea insiste PIO XII Summi Pontificatus in AAS 31 (1939)p. 428

121 - SPICQ, op. cit., p. 68-69.

122 - PARENTE, op. cit., p. 106.

123 - PARENTE, op. cit., p. 108.

124 - S. AGOSTYNO, De Trinit. 15,51; PL 43,1098.

125 - S. IRENEO, Adv. Haer. 5,8,1. (LOSSKY, op. cit., p. 271).

126 - PEGUY, Il mistero, op. cit., p. 112.