La gioia del perdono: messaggio biblico della riconciliazione

Carlo Ghinelli

 

Introduzione

E’ necessario proporre alcune brevi annotazioni per introdurci al tema di questa conversazione:

1) Per poter parlare della gioia del perdono occorre avere un titolo speciale e tale titolo lo può avere solo chi ha fatto esperienza di questo perdono e chi ha assaporato questa gioia.

E’ questo il dono più grande, è questo il titolo che qualificherebbe a prendere la parola. Ciascuno potrebbe venire a raccontare, con l’afflato della sua esperienza personale, quanto è bello e quanto è gioioso essere perdonati dal Signore.

E’ con questa certezza nel cuore che mi accingo a dare voce anche alle vostre voci; la certezza, cioè, che il peccato non è come un leone che dilania e sbrana, ma è solo un’infelice occasione dalla quale l’Amore misericordioso del padre vuole e può liberare.

2) Il tema della «riconciliazione» ci inserisce fortunatamente in un momento della vita della Chiesa contemporanea e consente di metterci in profonda sintonia con ciò che la Chiesa crede e sente oggi. Basti pensare, a livello universale al Sinodo dei Vescovi del 1983, che aveva lo scopo di esaminare i problemi connessi con la «penitenza e la riconciliazione nella missione della Chiesa». A livello italiano, pensiamo al recente convegno ecclesiale di Loreto, dal titolo «Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini».Questa sintonia ecclesiale, a mio avviso, è quanto mai necessaria per coltivare ed esprimere pensieri e vie di riconciliazione che non siano espressioni individualistiche odi parte, ma costituiscano apporti sinceri e fattivi alla edificazione della Chiesa per il bene del mondo.

3) L’approccio biblico al nostro tema merita solo di essere accennato: significa semplicemente che noi prenderemo in mano la Parola di Dio e cercheremo di assaporarne la profonda dolcezza. E’ già occasione di gioia prendere in mano la Bibbia. Leggiamo infatti in 2 Maccabei 12,9: «Noi non abbiamo bisogno di queste cose, avendo a conforto le Scritture sacre che sono nelle nostre mani».

Ma quando ci si sofferma a contemplare l’evangelo della riconciliazione, quando si cerca di inseguire Dio per vedere fin dove è sospinto dalla sua «voglia pazza» (Caqbasilas parla di «mànikos eros») di perdonare, allora la gioia, sì anche la nostra gioia di peccatori, non può non scoppiare. Mi pare di poter dire che al di fuori della Bibbia non sarebbe immaginabile pensare che un’esperienza così triste come quella del peccato possa avere un approdo così gioioso come quello del perdono. Quindi vogliamo essere perseveranti nell’ascolto della parola di Dio per lasciarci illuminare e confortare dal suo messaggio. E come noi sappiamo che la Parola di Dio è sorgente che sprizza luce, fuoco, calore ed amore così con la stessa certezza noi ci mettiamo in ascolto del Vangelo della riconciliazione, cioè della gioiosa notizia e del lieto messaggio della riconciliazione. «Ho una parola di Dio per te» - si direbbe ancora biblicamente - fratello o sorella; per te personalmente! Questo è il Vangelo, questa la gioiosa notizia! E non c’è nessuna forza al mondo dalla quale la potenza dell’Amore Misericordioso possa essere sopraffatta. Domandiamo perciò al Signore di donarci per mezzo della sua Parola quella luce che ci permette di assaporare la gioia del perdono.

4) Dal tema biblico-teologico della riconciliazione, noi cercheremo di privilegiare solo un aspetto, quello del perdono. Pertanto nessuno cerchi completezza e sistematicità in quello che andremo dicendo; anche perché come ho già lasciato intendere desidero proporre alcuni «semi di contemplazione» più che elementi di un sistema teologico. Sono tuttavia convinto che interrogare la Bibbia con questa particolare attenzione significa andare al cuore del messaggio relativo al grande, ineffabile mistero della riconciliazione in Cristo.

Il perdono - possiamo dire - é il più grande dei doni: perciò dobbiamo sviscerare la ricchezza del dono, per assaporare a fondo l’esperienza del perdono. Quella del dono é una dinamica così umana e così cristiana che non è affatto difficile ridirla, qui ed ora, a comune conforto. Il dono rivela ad un tempo l’animo del donatore , la gioia del donato e la preziosità del dono stesso; attraverso il dono si percepisce un intreccio di rapporti interpersonali che superano il dono stesso per introdurci nel mistero della comunione tra persone.

Trattando del perdono dobbiamo metterci in questa lunghezza d’onda senza la quale si minaccia di banalizzare tutto. Con il perdono, infatti, non ci è donato qualcosa, ma ci si dona Qualcuno, cioè Colui che per amore si è fatto «dono»e per amore é sempre disposto a farsi «perdono». Non è solo una qualunque gratificazione che ci viene assicurata con l’esperienza del perdono; al contrario ci sentiamo veramente e pienamente realizzati, condotti alla massima espressione della nostra vita, cioè al ricupero dell’originaria immagine di Dio.

5) Anche dentro l’ambito ristretto del «perdono» intendiamo operare un’ulteriore scelta: desideriamo infatti approfondire la dimensione della gioia che si sprigiona dal fatto che Dio desidera perdonare il peccatore pentito. «La gioia del perdono» dice riferimento ad un tratto caratteristico di quella divina psicologia (il «sentire» Dio) che di fatto noi cogliamo, sia pure per intuizioni e per tentativi, attraverso quella pedagogia del perdono che la Santa Madre Chiesa, mette in atto per mezzo del sacramento della riconciliazione, la confessione. Questo tratto caratteristico, a mio avviso, non é sempre sufficientemente evidenziato; d’altro canto é forse quello che più di ogni altro ha una capacità epifanica ed apocalittica, in quanto esso è indubbiamente un segno manifestativo di una triplice realtà che, nel suo insieme, costituisce il nocciolo del sacramento: la gioia di Dio nel perdonare, la gioia del peccatore nell’accogliere il dono del perdono, e la gioia di questo incontro tra Dio e l’uomo tanto più gratificante quanto più esso si rivela imprevedibile e immeritato. A questo proposito nella lettera enciclica «Dives in misericordia» leggiamo: «La misericordia ha la forma interiore dell’amore, che nel Nuovo Testamento é chiamato agàpe: Tale amore è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo, su ogni miseria umana e soprattutto su ogni miseria morale, sul peccato. Quando avviene, colui che è oggetto della misericordia non si sente umiliato, ma come ritrovato e «rivalutato».Il padre gli manifesta, innanzitutto la gioia che sia stato «ritrovato» e che sia «tornato in vita». Tale gioia indica un bene inviolato: un figlio, anche se prodigo, non cessa di essere figlio reale di suo padre; essa indica, inoltre, un bene ritrovato, che nel caso del figliol prodigo fu il ritorno alla verità su se stesso».

6) Un ultimo cenno, a mo’ di introduzione, mi consente di confessare il debito personale che sento di avere verso l’enciclica di Giovanni Paolo II «Dives in misericordia». Ho avuto l’occasione di commentarla in altra circostanza e qui mi permetto di raccomandarla alla comune riflessione. Mi é caro solo ricordare che all’origine di questa enciclica - a quanto é dato sapere - vi é un’ispirazione che risale ad un umile creatura: una di quelle anime che per divina bontà hanno potuto intuire qualcosa dell’amore misericordioso. Sappiamo che spesse volte anche i grandi dipendono dai piccoli ed é commovente, questo, perché è molto evangelico. Più a monte devo riconoscere che il più grande cantore della divina misericordia, colui che con rara arte ha saputo sondare il cuore di Cristo e del Padre per captarne le più profonde vibrazioni in tema di perdono e di gioia, è certamente Luca il terzo evangelista, lo «scriba mansuetudinis Christi» come lo definisce Dante.

Come non potremo non riferirci all’enciclica di Giovanni Paolo II, a fortiori non potremo non ispirarci al Vangelo di Luca. Facciamoci dunque discepoli docili e fiduciosi: la nostra attesa non andrà delusa. Insieme a Luca ci verranno incontro, in questo nostro desiderio di captare almeno alcune vibrazioni del cuore di Dio,. quando perdona, anche Matteo, Giovanni, Paolo: in quello che impareremo dalla loro esperienza con Gesù e dalla loro testimonianza scritta, non potremo non riconoscere aspetti complementari ed originali dell’unico mistero di misericordia.

7) Intendo articolare questa meditazione teologica in due momenti: nel primo cercheremo di entrare in sintonia con il cuore di Dio che trabocca di gioia quando perdona. Nel secondo momento cercheremo di analizzare i vari aspetti della gioia della creatura quando si sente e si lascia travolgere dall’amore misericordioso del Padre.

I. La tua gioia, Signore, è la nostra forza

La gioia del perdono é come l’acqua: se la si attinge direttamente alla sorgente allora se ne apprezza la limpidezza, se ne esperimenta la freschezza e se ne gode profondamente; altrimenti se ne perde quasi subito il ricordo e si continua a vivere come se, anche dopo una confessione o un’esperienza di riconciliazione, nulla fosse cambiato nella vita.

Ebbene, la sorgente della «gioia del perdono» é il cuore di Dio. E’ lì che occorre puntare; da lì bisogna partire, anche se, sulle prime, potremo subire le vertigini e qualcuno potrebbe ipotizzare che forse é meglio partire dal basso, cioè dal cuore dell’uomo perdonato. A me personalmente pare di dover insistere: é dall’alto che dobbiamo attendere ed accogliere la gioia del perdono; è alla fonte che dobbiamo ricorrere per poter beneficiare del suo dono senza alcuna paura che si esaurisca o anche solo so estenui il suo flusso. Si perché,. anche in questo caso, al dire di Efrem il Siro fons vincit sitientem.

Qualcuno potrebbe forse suggerire di iniziare questa ricerca dalla gioia. della creatura perdonata. A me personalmente sembra più opportuno partire dall’alto, dal cuore di Dio, dato che siamo dinanzi a quanto di più singolare, di più inedito e di più peculiare vi è nel cristianesimo. Questa pista di ricerca di articola attraverso un nome (Gesù), un termine (eudokia=benevolenza) ed una prova veritativa (per perdonare Dio-uomo muore e risorge): è questo il cammino che percorreremo ora, nella prima parte di questo nostro «cammino».

1. L’epifania di un nome

C’è un nome, iscritto nella storia, che contiene ed esprime in modo assolutamente efficace la gloria di Dio che perdona, e questo nome è Gesù. In esso possiamo e dobbiamo riconoscere una vera e propria rivelazione del piano salvifico del Padre perché egli, é l’epifania dell’amore del Padre.

Questo nome lo sentiamo fin dalle prime battute del Nuovo testamento: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa: ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20a).

Siamo dinanzi ad un annuncio, carico di novità e di drammacità nello stesso tempo. E’ del tutto inedito il fatto che Dio si faccia uomo per liberare la creatura dal suo peccato. Questo evento fa esclamare a Paolo: «E’ apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tit 2,11).

Ed è più che evidente il fatto che questo nome, dato a questo bambino, dice riferimento ad un destino di morte e di vita; prelude ad un dramma che farà tremare la terra (cf Mt 27,51s). Così si realizza il disegno divino della salvezza e così si invera il nome «Gesù», che deriva dalla radice ebraica «salvare».

Questo duplice carattere della novità e della drammaticità che si sprigiona dal nome «Gesù» ci permette di cogliere con sicurezza la natura e il timbro della gioia di Dio, quando perdona. Riconosciamo, innanzitutto, un tratto della divina pedagogia che intende educarci a percepire esattamente in che cosa consiste la gioia di Dio e come essa si esprime. E’ un tirocinio questo, al quale abbiamo bisogno di rimanere fedeli sempre, nella vita.

Una caratteristica di questa gioia divina, la prima e fondamentale, consiste nel fatto che essa è salvifica: lo dice appunto il nome di Gesù. Questo è il fondamento di ogni altro aspetto o nota dell’amore di Dio. E’ un moto del cuore di Dio, preveniente ogni umana possibilità di corrispondenza; è un bisogno incontenibile del suo essere Dio, che si intreccia con la storia dell’umanità per risollevarla dal male e orientarla verso il bene; è il modo stesso di essere di Dio - così come la Bibbia ce lo rivela e ci insegna a trattarlo - che facendosi conoscere per quello che è, un Dio infinitamente misericordioso (cf Es 34,6s), si compromette un salvatore (cf Gen 3,15) e rimane fedele alla sua promessa fino in fondo. In questa linea è illuminante e consolante un confronto ideale e reale tra Mt 1,21 («gli porrai nome Gesù») e Gen 3,15 («Egli ti schiaccerà il capo»).

Subito dopo l’infedeltà della prima coppia umana Dio interviene per promettere, unilateralmente, incondizionatamente, il Salvatore. Nella pienezza dei tempi, l’economia della salvezza si realizza con il compimento di quella originale promessa. Ambedue questi «momenti forti»dell’unica storia salvifica sono frutto della benevolenza divina, della volontà di quel Dio che pone le sue delizie dello stare con i figli degli uomini (cf Prov 8,31) nel venire, abitare e conversare con noi (cf Gv 1,14-18) nel passare per amico dei peccatore (cfr. Mt 11, 19) ma soprattutto nel perdonare le colpe degli uomini (cf Mt 9,6) nel togliere il peccato del mondo (cf Gv 1,29).

La gioia di Dio-Padre, quindi, si concentra e si esprime compiutamente nell’evento, nella missione, nel nome di Gesù. In questo nome troviamo anche la sintesi della storia della salvezza, che è sostanzialmente un ininterrotto racconto della gioia di Dio che perdona.

2. Alle sorgenti della gioia

C’è un termine del Nuovo Testamento, soprattutto nell’opera lucana, che esprime nel modo più completo e perfetto possibile la natura della gioia di Dio che perdona: «eudokia» = benevolenza. Per penetrare nel significato autentico di questo termine potremmo pensare fin dall’inizio alle «viscere di misericordia del nostro Dio» di cui parla il «Benedictus» (cf Lc 1,78), oppure a quello sguardo divino, di cui parla il «Magnificat» (cf Lc 1,48), che si posa sulla povertà di Maria di Nazaret e di generazione in generazione si estende su quelli che temono il Signore. Abbiamo qui due sondaggi, iniziali ma promettenti, di quell’unico ineffabile mistero che è la divina benevolenza. Ma abbiamo anche altri rilievi da fare.

E’ Gesù il termine primo e privilegiato della divina compiacenza: «Tu, sei il figlio mio amatissimo, in te mi compiaccio» (Lc 3,21). E’ l’umanità intera oggetto della divina benevolenza: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). Sono i piccoli (gli «anawim» dell’Antico e de Nuovo Testamento) che attirano in modo peculiare le divine compiacenze: «Ti ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così è piaciuto a te» (Lc 10,21). Infine il piccolo gregge é destinatario della promessa del regno: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno» (Lc 12,32).

La benevolenza del Padre dunque ci dà la Pace (2,14), la conoscenza dei misteri di Dio (10,21), la partecipazione al regno (12,32), mediatore unico ed insostituibile di questi doni è Gesù (3,21). E’ solo a partire dal cuore di Cristo che si può intuire la profondità del cuore di Dio; è solo per mezzo di Cristo che si può arrivare ai piedi di quel trono di grazia dal quale deriva «tutto ciò che abbiamo di buono e di perfetto» (Gc 1,16).

Abbiamo qui la possibilità di cogliere un’altra nota della gioia di Dio che perdona: non solo essa è una gioia salvifica, ma anche gratificante. Nel senso che il dono della salvezza di Dio ce lo comunica mediante una storia interminabile di doni, di grazie, che da un lato liberano il campo umano da tutto ciò che è male, peccato e idolatria, dall’altro lo rendono aperto e desideroso della comunione con il donatore.

Percepire questo stile divino, rendersi consapevoli che Dio agisce così è già occasione e fonte di gioia anche per noi, «peccatori, ma fiduciosi nella tua infinita misericordia» (dalla «Preghiera eucaristica I».

«Forte è il suo amore per noi» (Sal 117,2): anche questa felicissima espressione della preghiera ebraica ci conduce verso la gioiosa scoperta dell’incontenibile amore misericordioso del Padre. La forza di Dio è creatrice e la stessa redenzione, ben lo sappiamo, è una nuova creazione. Ecco come si manifesta e si comunica a noi la gioia divina del perdono: mediante un gesto creativo. Esso ci consente di attingere alle sorgenti dell’atto divino l’onnipotenza misericordiosa di Dio: «O Dio - si leggeva in una orazione della liturgia latina - che manifesti la tua onnipotenza soprattutto nell’indulgere e nel perdonare (parcendo maxime et miserando)».

Quando Dio perdona, ricrea, secondo la natura di ogni suo atto divino e secondo lo stile che manifesta nel corso della storia della salvezza: infatti anche quando libera Israele dall’Egitto, Dio si crea un popolo nuovo (cfr. Is 43,1); anche quando consumerà il suo progetto di salvezza Dio creerà cieli nuovi e terra nuova (cf Is 65, 17; Ap 21,1-5). Ora noi sappiamo che l’atto creativo suscita in Dio stesso una reazione di gioia: c’è una specie di ritornello nel primo racconto della creazione (cf Gn 1,4.10.12.18.21.25.31) «E Dio vide che la luce era bella...e Dio vide che tutto quello che aveva fatto era davvero molto bello». Il commento migliore a questo refrain lo troviamo forse nel libro dei Proverbi «IO ero accanto a lui - dice la Sapienza - quando Dio fissava i cieli...IO ero accanto a lui come un bambino (oppure «come un architetto», o anche «come prediletta») ed ero la sua gioia quotidiana, alla sua presenza mi divertivo di continuo. Giocavo sul globo terrestre, la mia gioia era vivere con gli uomini» (8,27-31).

Per questa sua precisa nota creatrice l’atto con cui Dio perdona alla creatura peccatrice suscita in Dio stesso una incontenibile gioia. Ne abbiamo limpida testimonianza nel capitolo 15 di Luca «Vi assicuro - dice Gesù a più riprese - che in cielo si fa più festa per un peccatore che si converte che non per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione...Gli angeli di Dio fanno grande festa per un solo peccatore che cambia vita...Io non potevo - è il padre misericordioso stavolta che parla - non essere contento e non far festa perché questo tuo fratello era per me come morto e ora è tornato in vita, era perduto e ora l’ho ritrovato» (15,7.10.32).

3. L’unità di misura

E’ certamente improprio questo linguaggio, ma forse paradossalmente ci aiuta a penetrare ulteriormente nell’abisso, così insondabile, dell’amore misericordioso e gioioso di Dio.

C’è una parola di Dio che ci stimola a dare questo discorso sulla misura dell’amore divino: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i suoi amici» (Gv 15,13) ed è parola così alta che può essere illustrata e compresa solo con altre riflessioni offerteci dalla stessa fonte, la Bibbia. Ecco, allora come si esprime San Paolo, a proposito: «E’ difficile che qualcuno sia disposto a morire per un uomo onesto; al massimo si potrebbe forse trovare qualcuno disposto a dare la vita per un uomo buono. Cristo invece è morto per noi, quando eravamo ancora peccatori: questa è la prova che Dio ci ama». (Rm 5,7s).

Cercavamo una «Misura» dell’amore di Dio per noi, allo scopo di conoscerne la singolarità e la peculiarità (intuiamo, infatti, che Egli ci ama «da Dio») ed abbiamo trovato un «prova» (e questa pure ci introduce nella vera intelligenza dell’amore di Dio). E’ una prova per assurdum, dal punto di vista del ragionamento e della previsione umana, e proprio perché tale ci sembra l’unica capace di ri-velare il mistero, l’unica degna di fede (nel senso più forte e proprio del termine), l’unica che ci abilita a portare avanti - con trepidazione e con fiducia nello stesso tempo - il nostro discorso.

L’unità di misura con la quale Dio ci ama è dunque quella di amarci senza misura: in modo tale, cioè da non essere riconducibile a nessun parametro umano. E’ proprio questa acquisizione che, a mio avviso, ci consente di penetrare in un altro aspetto tanto consolante, della gioia con la quale Dio coltiva ed esprime il suo amore misericordioso: la testimonianza di Giovanni, così felicemente conservataci nella sua prima lettera, viene incontro a questo nostro desiderio.

Dirò subito, per rendere nel modo più chiaro possibile il mio pensiero, che è la dimensione oggettiva della gioia divina quella che ci è dato cogliere ora: «oggettiva» nel senso che essa sta fondata su quella verità che ci è stata rivelata e che, senza tale rivelazione in Cristo, all’uomo non sarebbe mai stato possibile sospettare neppure lontanamente. Ecco come, invece, ci é possibile attingerla.

E’ la verità di Dio, che, una volta percepita e accolta, ci introduce nella piena intelligenza della verità dell’uomo. Ed è solo la verità che può generare l’autentica gioia. Innanzitutto è necessario confessare il peccato e aprirsi al perdono di Dio.

«Se diciamo: "Siamo senza peccato" inganniamo noi stessi e la verità di Dio non è in noi» (1 Gv 1,8): perciò confessando il nostro essere peccatori, sconfessando il nostro peccato noi confessiamo la verità di Dio, cioè ci innestiamo nel flusso della grazia perdonante, offriamo, per così dire, a Dio la possibilità di manifestarsi come Dio misericordioso. E questa «verità di Dio» rivela e fa esplodere in pienezza la verità dell’uomo: Giovanni infatti continua: «Se invece riconosciamo pubblicamente i nostri peccati, Dio li perdonerà, perché egli mantiene la sua parola: Egli ci libererà da tutte le nostre colpe, perché é buono» (1,9).

E’ questa la via più sicura per entrare nel profondo del mistero di Dio; non è il caso di seguire ragionamenti umani, che possono procedere solo per generiche intuizioni o per vaghe analogie. Abbiamo qui una via aperta dinanzi a noi: percorriamola, con fiducia da peccatori quali siamo, ed avremo modo di procedere, pur nella lotta contro le tenebre per amore della luce, di rivelazione in rivelazione - così si passa all’intuizione - esperienza che perdonando, Dio ci é Padre e ci fa di nuovo suoi figli, in un ricuperato e più intimo rapporto interpersonale. E’ vero, é proprio vero, anzi é l’unica verità che ci é stato dato professare e cantare: Dio manifesta la sua paternità quando, perdonandoci il peccato, ci fa suoi figli suoi. E’ sempre Giovanni che esclama: «Vedete come ci ha voluto bene il Padre! Egli ci ha chiamati ad essere suoi figli. E lo siamo davvero» (3,1). Il vivere la gioia di figli redenti, la gioia di creature perdonate e graziate ci consente di intuire la gioia del Padre che ama, del Padre che perdonando si commuove intimamente (Lc 1,78).

Questa certezza della gioia che perdona, che rende possibile e incontenibile la nostra gioia di uomini e donne perdonati, ci é continuamente testimoniata e proclamata dalla Parola di Dio che risuona incessantemente nella Chiesa a letizia di quanti si riconoscono peccatori e riconoscono che il Dio di Gesù Cristo è un Dio che può e che vuole perdonare. Giovanni infatti prosegue: «Se diciamo: Non abbiamo mai commesso peccato, facciamo di Dio un bugiardo, e la sua parola non é in noi» (1,10). Come prima ci aveva detto che Dio perdonando i nostri peccati «mantiene la sua parola», così ora afferma che se non confessiamo i nostri peccati «la sua parola non é in noi». Qui ovviamente si tratta della «Parola di Dio», sussistente, cioè di Dio stesso, di Cristo vero Dio e vero uomo, della Parola-mistero di salvezza e fonte di beatitudine per tutti quelli che la ascoltano, la accolgono, la assimilano, la vivono e la professano con la loro vita. Di questa Parola-mistero la parola di Dio scritta e la Parola proclamata nella Chiesa é segno verace ed efficace.

Ma non é solo la «verità di Dio» che ci consente di attingere un aspetto della gioia del perdonare; é anche la verità di Cristo che ci conduce sullo stesso sentiero e ci fa fortunati scopritori di questo immenso ed inesauribile tesoro di luce e di grazia, dal quale emerge più limpida che mai la verità dell’uomo. Innanzitutto occorre confessare Gesù come l’innocente che ci libera dal peccato. Giovanni, infatti, nella stessa lettera scrive: «Voi sapete che Gesù è venuto tra noi per togliere di mezzo il peccato. Chiunque rimane unito a Gesù non pecca più» (3,5s). Tutta la testimonianza evangelica conferma questo asserto: uno degli aspetti dell’opera redentrice di Cristo consiste appunto nel rimettere i peccati (cf Mc 2,3ss; Mt 9,6ss; Lc 5,17ss): é l’aspetto negativo, liberatorio del mistero pasquale di morte e di resurrezione di Gesù.

Non é affatto riduttivo dire che la verità di Gesù, di ciò che Gesù é venuto a fare, di ciò che Gesù continua a fare per noi, di ciò che Gesù é per ogni creatura che si apre al dono della salvezza, consiste proprio in questa opera di liberazione dal peccato; come non é affatto esagerato che la Verità dell’uomo, dell’uomo storico consiste in questa fondamentale e radicale apertura al dono di Dio in Cristo. Ed é sostanzialmente una apertura alla esperienza della divina figliolanza, sorgente di gioia per noi, ma ancor prima sacramento della gioia paterna di Dio.

Così si passa all’intuizione-esperienza che, perdonando, Gesù ci rifà figli di Dio, in un ricuperato e più intimo rapporto fraterno con sé.

E’ sempre Giovanni che scrive: «Se uno rimane unito a Gesù non pecca più. Se pecca ancora, dimostra di non aver veramente veduto Gesù, e di non averlo capito...Gesù, il Figlio di Dio, é venuto proprio per distruggere le opere del diavolo. Chi é veramente figlio di Dio non vive più nel peccato, perché ha ricevuto la vita di Dio. Non può continuare a peccare, perché é diventato figlio di Dio. Così si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo...»(3,6 - 10).

I passaggi sono netti e vincolanti: come sopra abbiamo visto che dalla confessione del peccato si passa all’accoglienza del perdono e in questa abbiamo l’esperienza del nostro essere figli di Dio e, conseguentemente, l’esperienza di avere come Dio un Padre che si commuove di gioia nel perdonare; così ora avvertiamo che dal riconoscere che Gesù, l’innocente, é venuto per liberarci dal peccato si passa alla vera conoscenza di Lui (é il significato forte, tipicamente giovanneo, dei verbi «vedere» e «capire» del v.&), alla vita di unione con lui (si direbbe anche vita di conversione, di discepolato), alla vita da «figli nel Figlio», che é partecipazione alla vita stessa di Dio (cf v.9).

La vita dell’uomo redento, per mezzo della vita del Figlio di Dio, é partecipazione alla vita stessa di Dio. Ora, cosa c’é di più bello, di più felice, di più gioioso della vita di grazia, che - sempre secondo Giovanni - é, ad un tempo, vita senza peccato e vita da impeccabili (cf v.9)? Ebbene questa vita da redenti, che é letteralmente inondata di gioia, é solo un segno, un sacramento veritiero della gioia che caratterizza la vita di Dio!

Se qualcuno avesse qualche dubbio residuo sulla legittimità di questo confronto, ascolti queste ultime espressioni di Giovanni: «Ecco come sapremo che la verità ci ha generati. Allora non avremo più paura davanti a Dio. Anche se il nostro cuore condanna, Dio é più grande del nostro cuore» (3,19).

Questo «Vangelo» vive e rivive nel mondo per mezzo della predicazione della Chiesa, la quale non vuol essere altro che messaggera e serva della misericordia salvifica di Dio. Ecco, a proposito, un’altra pagina della «Dives in misericordia»: «Se, infatti, la realtà della redenzione, nella sua dimensione umana, svela la grandezza inaudita dell’uomo, «qui talem ac tantum meruit habere Redemptorem», al tempo stesso la dimensione divina della redenzione ci consente, direi, nel modo più empirico e «storico», di svelare la profondità di quell’amore che non indietreggia davanti allo straordinario sacrificio del Figlio, per appagare la fedeltà del Creatore e Padre nei riguardi degli uomini creati a Sua immagine e fin dal «principio» scelti, in questo Figlio, per la grazia e per la gioia...

I peccati dell’uomo vengono «compensati» dal sacrificio dell’Uomo-Dio. Tuttavia, tale giustizia, che é propriamente giustizia «su misura» di Dio, nasce tutta dall’amore: dall’amore del Padre e del Figlio, e fruttifica tutta nell’amore. Proprio per questo la giustizia divina, rivelata nella Croce di Cristo, é «su misura» di Dio, perché nasce dall’amore e nell’amore si compie, generando frutti di salvezza. La dimensione divina della redenzione non si attua soltanto nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all’amore quella forza creativa dell’uomo, grazie alla quale egli ha nuovamente acceso alla pienezza di vita e di santità, che proviene da Dio. In tal modo, la redenzione porta santità, che proviene da Dio. In tal modo, la redenzione porta in sé la rivelazione della misericordia nella sua pienezza» (n.7).

Desiderosi di comprendere qualcosa della gioia di Dio nel perdonare abbiamo riflettuto sulla più pregnante manifestazione di questa gioia: il nome «Gesù»; abbiamo scoperto la più limpida sorgente di questa gioia la divina benevolenza del Padre: ci siamo incontrati con la più assurda delle prove: morire da Dio per amore dell’uomo peccatore. Ora possiamo iniziare la ricerca sulla gioia del peccato perdonato. Una gioia che non qualificherei semplicemente come «umana», perché in essa si incontrano profondità umana e sublimità divina.

II. La nostra gioia, Signore è il tuo Vangelo

La gioia del perdono è come la luce: se la si coglie direttamente dal sole, allora se ne comprende l’inarrestabile potenza, se ne intuisce la rara preziosità e se ne gode profondamente; altrimenti ci si deve accontentare di sorgenti luminose provvisorie e artificiali, che, comunque, possono illuminare solo dall’esterno ma non riescono mai a fare luce dentro, nell’intimo, nel profondo dell’uomo.

Ebbene, questo sole, capace di sprigionare tanta luce quanta ne basta per illuminare a giorno il cuore dell’uomo, è Cristo e il campo nel quale egli riesce a diffondere tale luce, fino a dissipare ogni tenebra, é il cuore dell’uomo. E’ lì che occorre puntare; da lì bisogna sempre ripartire, anche e soprattutto quando il peso del peccato e la noia dell’abitudine sembrano spegnere ogni umana possibilità di risurrezione.

Dopo che si é imparato a conoscere il cuore di Dio - impresa umanamente certo impossibile ma Cristo stesso è venuto tra noi per aprire una via nuova percorrendo la quale, come abbiamo visto, abbiamo la fondata speranza non solo di sapere come la pensa Dio in fatto di peccato e di perdono, ma anche di rimanere nel suo amore riconciliante e ricreatore - possiamo acquisire anche una più precisa conoscenza del cuore dell’uomo, perché anch’esso é un mistero, ma non tale da restare per sempre indecifrabile dinanzi alla luce del Vangelo di Cristo e di fronte alla grazia della Pasqua.

Anche questa seconda pista di ricerca si articola in tre tempi: ‘un’esperienza interiore, per capire la rivelazione del perdono; un’esperienza interiore, per capire la rivelazione del perdono; un bisogno vitale, quello di evangelizzare il perdono; ma incarnazione doverosa, per «dire» colla vita quanta gioia c’é nel perdono accolto.

1. Un’esperienza interiore

E’ qui, nel profondo dell’io personale, che deve risuonare innanzitutto quel «vangelo della riconciliazione» che unico può donarci ed assicurarci l’esperienza della gioia vera. Questo rientrare in se stessi, questo raccogliersi «soli con il Solo» é condizione preliminare e indispensabile per assaporare fino in fondo la gioia del perdono.

Allo scopo di illustrare questo punto del nostro itinerario potremmo riferirci all’esperienza di tanti santi. IO, per rimanere fedele alla scelta fatta, vorrei ricordare solo due personaggi: Davide e Paolo.

Appena la parola di Dio, attraverso la mediazione ministeriale del profeta Natan, arriva al suo orecchio, Davide si sente colpito nel cuore e confessa incontenibilmente la sua situazione: «Ho peccato contro il Signore» (cf 2 Sam 12,13).

E’ una luce improvvisa che lo colpisce, una vera e propria rivelazione. Tant’è vero che, colpito e vinto dalla divina misericordia, non solo confessa questo suo peccato: «Sono colpevole e lo riconosco, il mio peccato é sempre davanti a me» (Sal 51,5), ma riconosce di essere peccatore da sempre: «Fin dalla nascita sono nella colpa, peccatore mi ha concepito mia madre» (Sal 51,7) e, soprattutto intuisce il desiderio di Dio (questo Dio che rivelandosi nel tempo manifesta il suo desiderio incontenibile di far comunione con noi, di fare festa con i peccatori convertiti, di condividere la sua gioia con noi!): «Ma tu vuoi trovare dentro di me la verità nel profondo del cuore mi insegni sapienza». (Sal 51,8). Non basta quindi gettare uno sguardo attorno a se stessi per riconoscere i peccati, e neppure basta uno sguardo dentro di sé, per riconoscersi peccatori. Occorre gettare uno sguardo fuori e sopra di sé, per comprendere che Dio ci vuole perdonare, cioè vuole trovare dentro di noi la verità: per questo nel profondo del cuore ci insegna sapienza, semina pace, genera gioia, la gioia del perdono.

Per questo Davide, per entrare in sintonia con il desiderio di Dio, continua a pregare così: «Purificami dal peccato e sarò puro, lavami e sarò più bianco della neve. Fa che io ritrovi gioia della festa, si rallegri quest’uomo che hai schiacciato...Crea in me, o Dio, un cuore puro...Ridonami la gioia di chi é salvato...» (Sal 51,9-14). A ben considerare, due desideri si incrociano in questo salmo: il desiderio di Dio («tu vuoi») e il desiderio della creatura («purificami, lavami, crea in me...»). Frutto di questo duplice desiderio é la gioia di ambedue, Dio e l’uomo, nella quale il desiderio si appaga.

Questa esperienza interiore in termini neotestamentari, si chiama anche «apocalisse», cioè rivelazione. E’ qui,, in interiore homine, che accade la prima e indimenticabile rivelazione, suscitata dall’evangelo della riconciliazione. Ce ne é testimone San Paolo il quale, ritornando spesso e volentieri sulla sua conversione, la presenta appunto in termini di rivelazione: «Avete certamente udito come mi comportavo un tempo...Ma Dio decise di rivelarmi suo Figlio, perché lo facessi conoscere fra i pagani: Nella sua bontà, già prima della mia nascita, mi aveva destinato a questo incarico e poi mi chiamò» (Gal 1,13-16). In questa primissima rivelazione Paolo intuisce che in lui si realizza il progetto di quel Dio che è buono e come tale desidera solo perdonare (cfr anche Os 11,9).

Scrivendo al suo discepolo, Timoteo, Paolo così esprime: «Ringrazio Gesù Cristo nostro Signore: egli mi ha stimato degno di fiducia e mi ha dato un incarico e mi dà la forza di compierlo. Eppure prima io avevo parlato male di lui, l’avevo offeso e l’avevo perseguitato. Ma Dio ha avuto misericordia di me, perché allora ero andato dalla fede e non sapevo quel che facevo. Così la bontà del Signore é stata abbondante con Gesù Cristo.

Questa é una parola sicura, degna di essere accolta da tutti: «Gesù Cristo é venuto nel mondo per salvare i peccatori». IO sono il primo dei peccatori, ma proprio per questo Dio ha avuto misericordia di me. Perché Gesù Cristo mostrasse in me, per primo, tutta la sua sapienza per dare un esempio a tutti quelli che in futuro crederanno in lui e riceveranno la vita che viene da Dio» (1 Timoteo 1,12-16).

E’ proprio il caso di indugiare un po' e di assaporare quella «gioia piena, dolcezza senza fine» (Sal 16,11) di cui parla il Salmo. Oppure esclamare, con la Liturgia: «Il tuo amore, o Dio, é il nostro pane nel deserto» (versetto, Mercoledì XVI Settima «per annum»). Quanto poi alla esperienza interiore, faccio mia e desidero comunicarvi questa riflessione di Sant’Ambrogio: «Non credere solamente agli occhi del corpo. Si vede meglio quello che é invisibile, perché quello che si vede con gli occhi del corpo é temporale, invece quello che non si vede é eterno. E l’eterno si percepisce meglio con lo spirito e con l’intelligenza che con gli occhi» (Trattato «Sui misteri», n.15; SC 25 bis, 163s).

E’ sempre e solo questo divino intreccio di misericordia e di bontà che rende possibile l’umana conversione: paolo ne é consapevole e lo riconosce di fronte a Dio e ai fratelli. La sua fede lo libera e lo impegna nello stesso tempo e così Paolo, il perdonato, il graziato, il liberato diventa un Vangelo della divina misericordia.

2. Un bisogno vitale

Un «vangelo di sua natura vuole essere evangelizzato; tende a diffondere e ad espandere il suo messaggio di salvezza.

E’ così anche per il «Vangelo della misericordia»: non può, non deve essere privatizzato.

Già Davide aveva intuito che il dono ricevuto esige di essere condiviso: «Ridonami la gioia di essere salvato, mi sostenga il tuo spirito generoso. Ai peccatori mostrerò le tue vie, e i malvagi ritorneranno a te» (Sal 51,14ss). I passaggi sono chiari e sintomatici: dalla gioia del perdono all’abbandono fiducioso nell’aiuto divino per arrivare alla propaganda del dono ricevuto, alla comunicazione dell’esperienza fatta, così che questa possa esercitare, per così dire, la sia forza epidemica.

Anche San Paolo, nella lettera ai Filippesi, dopo aver descritto in termini commoventi la sua conversione e dopo aver indicato le profonde trasformazioni avvenute nella sua vita, ci confida: «Tutte queste cose che prima avevano per me un grande valore, ora che ho conosciuto Cristo, le ritengo da buttare via. Tutto é una perdita di fronte al vantaggio di conoscere Gesù Cristo, il mio Signore...Voglio solo conoscere Cristo e la potenza della sua risurrezione...IO non sono ancora arrivato al traguardo, non sono ancora perfetto! Continuo però la mia corsa per tentare di afferrare il premio, perché anch’io sono stato afferrato da Cristo Gesù» (3,7-12).

Anche su questa testimonianza di Paolo mette conto riflettere attentamente e lo faremo formulando una sola domanda, anche se la articoleremo a grappolo: in che cosa consiste questa superiore conoscenze se non in una esperienza personale del Signore risorto? A che cosa allude quella perdita in assoluto, roba da buttare, se non allo stato di peccato in cui egli viveva prima di Damasco? E come è stato possibile questo cambiamento radicale di giudizi di valore su modelli di vita e scelte di fondo se non per quell’imprevedibile evento della conversione di Paolo?

Non possiamo non esplicitare, a questo punto, la gioia che fu tutta e sola di paolo, nel vivere questo «momento» singolare della sua vita terrena, la gioia profonda di chi non può non comunicare la ricchezza e la preziosità dell’esperienza fatta (cfr anche At 4,19-20). E? esattamente questo il passaggio che ci interessa qui e lo illustreremo ancora con le parole dell’apostolo: «Fratelli miei - prosegue nella sua testimonianza - io non penso davvero di avere già conquistato il premio. Faccio una cosa sola: dimentico quel che sta alle mie spalle e mi slancio verso quel che mi sta davanti. Continuo la mia corsa verso il traguardo per ricevere il premio della vita...Tutti noi, che siamo maturi nella fede, comportiamoci in questo modo...Fratelli miei, fate come me, guardate a quelli che seguono il nostro esempio. E’ vero- osserva ora con estrema amarezza - non pochi si comportano come nemici della croce di Cristo...Noi invece, cittadini del cielo, é di là che aspettiamo il nostro salvatore, Gesù Cristo, il Signore» (Fil 3,13-20).

La gioia del perdono accolto esige dunque di essere interiormente assimilata per essere gioiosamente condivisa. Non si può trattenere gelosamente un dono così grande che, di sua natura, tende a creare intorno a sé un vasto campo di azione nel quale il flusso della grazia possa dilatarsi sempre di più.

Non sembri esagerato il mio insistere su questo punto: a mio avviso, infatti, solo nel comunicare la gioia del perdono ricevuto se ne può penetrare in carattere divino, cioè la sua potenza salvifica. Per questo desidero riferirvi quest’altre parole di San Paolo che ci indicano il fondamento oggettivo della nostra comune gioia di peccatori redenti: «Prima anche noi eravamo pazzi, ribelli, corrotti, schiavi di molti desideri e pensieri malvagi. Vivevamo nella cattiveria e nell’invidia: odiosi agli altri e pieni di odio tra noi. Ma ecco che Dio nostro Salvatore ci ha rivelato la sua bontà e il suo amore per gli uomini. Noi non abbiamo fatto nulla che potesse piacere a lui, ma egli ci ha salvati perché ha avuto pietà di noi. Ci ha salvati con lo Spirito Santo in un battesimo che fa risorgere a nuova vita, perché Dio ha sparso abbondantemente su di noi lo Spirito Santo per mezzo di Gesù Cristo nostro Salvatore. Così perdonati e rinnovati dalla sua grazia, riceviamo la vita eterna che speriamo. Queste parole meritano fiducia, e desiderio che tu insista nel ripeterle». (Tit 3,3-8).

Siamo «vasi di misericordia» - ci ricorda ancora San Paolo - e come tali andiamo ripetendo la nostra meraviglia così: «Dio, volendo avrebbe potuto mostrare la sua collera, ha invece sopportato con molta pazienza coloro che meritavano il suo castigo e la distruzione. Inoltre ha fatto conoscere quanto é grande e potente la sua misericordia: ci ha preparati per la sua gloria» (. 9,22s)

3. Una incarnazione doverosa

Tra le molte conversioni riferiteci da Luca,, nel suo Vangelo, ce n’é una che merita particolare attenzione proprio per la nota della gioia che in essa si esprime: é quella di Zaccheo il quale, visto ed interpellato da Gesù «scese subito dall’albero e con grande gioia accolse Gesù in casa sua (Lc 19,6). Se poi consideriamo la situazione dalla quale Zaccheo proveniva: «era un capo degli agenti di tasse ed era molto ricco» (v.2) e la situazione alla quale approda: «Signore, la metà dei miei beni la do ai poveri e se ho rubato a qualcuno gli rendo quel che ho preso quattro volte tanto» (v.8), allora possiamo comprendere come la gioia di questa conversione, lungo dal rimanere una esperienza interiore, lungi dal coinvolgere l’interessato in una mera comunicazione del suo cammino di conversione, lo travolge letteralmente in una serie di propositi, di gesti e di donazioni che stanno a testimoniare l’autenticità e l’impegnatività della gioia cristiana, quando essa é vissuta fino all’estremo delle sue esigenze.

Occorre stare attenti, perciò, dal pericolo di concepire e di vivere la gioia del perdono solo in termini intimistici o quasi romantici: la gioia cristiana invece possiede e desidera esprimere la sua dimensione incarnazionistica, in forza della quale essa può e deve tradursi in fatti concreti coraggiosi ed attuali, tali da incidere nella storia dei nostri contemporanei.

Vi sono due particolari nella storia di Zaccheo che ci permettono di cogliere altri aspetti di questa gioia del perdono: innanzitutto il fatto che questa esperienza accade per l’incrociarsi di due sguardi: quello di Gesù che «doveva passare di là» (ricordiamo anche le altre parole di Gesù «oggi devo fermarmi a casa tua») e lo sguardo di Zaccheo che «desiderava vedere chi fosse Gesù». E’ una esperienza interpersonale assai forte (potremmo ricordare anche il fatto che ambedue si chiamano per nome: «Zaccheo...Signore...») che fonda e regge un cambiamento radicale nella vita di Zaccheo e gli consente di vivere nella gioia non solo quell’istante, ma ogni momento della sua esistenza.

Il secondo particolare consiste nel contrasto tra la reazione gioiosa di Zaccheo, segno della sua interiorità ed esteriore libertà nei confronti delle ricchezze (cosa peraltro assai difficile, anzi quasi impossibile: cf Lc L9,23s) e lo scandalo-mormorazione della folla la quale, stabilendo una perfetta equazione tra esattore di tasse e peccatore, dimostra di non saper neppure ipotizzare una conversazione autentica e, quel che é peggio, lascia intendere di non voler credere alla potenza salvatrice della presenza di Gesù.

Al contrario, l’atteggiamento di Zaccheo che mira realisticamente alla esperienza più piena e più totalizzante della conversione, manifesta pure l’aspetto forse meno riflesso ma certamente più oggettivo della autenticità del perdono ricevuto e, conseguentemente, della gioia, frutto del dono. Alla scuola di Zaccheo comprendiamo allora che la gioia del perdono é parte essenziale della nostra vita é caratterizzata irrinunciabile della nostra testimonianza, é segno efficace di quel rinnovamento di mentalità che porta a cambiare la vita stessa.

Se é vero - come abbiamo cercato di illustrare finora - che la gioia del perdono é direttamente proporzionale alla volontà salvifica di Dio e al desiderio di salvezza nell’uomo, é altrettanto vero che tale gioia sarebbe miseramente condannata a rimanere «incompiuta» se non potesse sprigionare tutta la sua potenza rinnovatrice e tutta la sua energia liberatrice. In questo senso la gioia del perdono é un bene verso cui tendere giorno dopo giorno, é oggetto di una riconquista quotidiana e come tale, é anche pegno di quella gioia eterna che l’infinita misericordia di Dio assicura a tutti quelli che sinceramente lo amano.

Con questa sua nota individuante, la gioia cristiana del perdono manifesta la potenza della Parola di Dio («operativum verbum» direbbe Sant’Agostino) la quale come fa fiorire il deserto (cf Is 41,18s) così sa trasformare anche le pietre in veri figli d’Abramo (cf Mt 3,9).

Una di queste autentiche figlie di Abramo é Maria di Nazaret, ed é proprio essa che, con il suo «Magnificat» ci insegna a vivere giorno dopo giorno la gioia del perdono. Non che essa abbia sperimentato il peccato e perciò abbia avuto bisogno, come noi, del dono del perdono; ma anch’essa certamente ha esperimentato la gioia del dono proveniente, la gioia della grazia che invade e anima tutta la vita, la gioia del vivere con Dio, in Dio, per Dio. Ecco come ella prega: «Grandi cose ha fatto in me Colui che é potente...mi ha guardato con uno sguardo di misericordia...la mia povertà lo ha colpito fino alle viscere...la mia condizione mi fa beata per mille generazioni;...così si realizza in me la divina promessa nella quale tutta la storia, passato presente e futuro, trova la sua unica piena spiegazione...»

Il «Magnificat» - pare a me - costituisce una preghiera somma, attraverso la quale a tutti noi é dato «cantare senza fine le misericordie del Signore»(cf Sal 89,2).

Conclusione

La gioia del perdono é come fuoco inestinguibile: esso é provocato da una duplice sorgente di energia, il cuore di Dio, impaziente nel perdonare, e il cuore dell’uomo, che dal perdono accolto si sente come rigenerato, ricreato dal suo Fattore.

Perché questo fuoco possa ardere per sempre, senza andare incontro al pericolo di essere spento o anche solo attenuato, é assolutamente necessario che i due protagonisti - Dio e l’uomo - abbiano la possibilità di incontrarsi ogni volta che lo desiderano, ogni volta che il loro desiderio li porta ad incrociarsi sulle vie dell’amore. Trovo molto bella ed interessante questa testimonianza di Simone Weil, una grande pensatrice francese morta ancora giovane negli anni dell’ultima guerra: «Dio e l’umanità sono come due amanti che hanno sbagliato il luogo dell’appuntamento. Tutte e due arrivano in anticipo sull’ora fissata, ma in due luoghi diversi. E aspettano, aspettano, aspettano. Uno é in piedi, inchiodato sul posto per l’eternità dei tempi. L’altra é distratta e impaziente. Guai a lei se si stanca e se ne va! Perché i due punti in cui si trovano sono il medesimo punto nella quarta dimensione...Bisogna soltanto attendere e chiamare. Non chiamare qualcuno, finché non si sa se c’é veramente qualcuno: gridare che si ha fame, e che si vuole il pane. Si griderà più o meno a lungo, ma finalmente si sarà nutriti, e allora non si crederà, si saprà che esiste veramente il pane».

E’ nell’incontro interpersonale tra Dio misericordioso e la creatura peccatrice che accade quell’evento di grazia dal quale possiamo continuamente attingere la gioia del perdono. Tale incontro é possibile, oggi come sempre; tale incontro é necessario, per tutti; tale incontro é sollecitato e offerto senza privilegi o discriminazioni. Ecco come lo descrive la «Dives in misericordia»: La misericordia é il più grande fra gli attributi e le perfezioni di Dio...Non si tratta qui della perfezione dell’inscrutabile essenza di Dio nel mistero della divinità stessa, ma della perfezione e dell’attributo per cui l’uomo, nell’intima verità della sua esistenza, s’incontra particolarmente da vicino e particolarmente spesso con Dio vivo. Conformemente alle parole che Cristo rivolse a Filippo, «l visione del Padre - visione di Dio mediante la fede - trova appunto nell’incontro con la sua misericordia un singolare momento di interiore semplicità e verità, simile a quella che riscontriamo nella parabola del figliol prodigo (13).

Quindi il Papa, indicando le vie sulle quali avviene questo incontro ed evidenziando la permanenza del perdono divino in vista della gioia umana, scrive: «La Chiesa vive una vita autentica, quando professa e proclama la misericordia - il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore - e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa é depositaria e dispensatrice Gran significato ha in questo ambito la costante meditazione della parola di Dio e, soprattutto, la partecipazione cosciente e matura all’Eucarestia e al sacramento della penitenza o riconciliazione. L’Eucarestia ci avvicina sempre a quell’amore, che é più potente della morte:...attesa quell’inesauribile amore, in virtù del quale egli desidera sempre unirsi ed immedesimarsi con noi, andando incontro a tutti i cuori umani. E’ il sacramento della penitenza o riconciliazione che appiana la strada ad ognuno, perfino quando é gravato di grandi colpe. In questo sacramento ogni uomo può sperimentare in modo singolare la misericordia cioè quell’amore che è più potente del peccato». (n.13)