Angelo Amato

maria, madre della chiesa

La mariologia del vaticano II alla «Dives in misericordia»

  

Situazione preconciliare

       Nostro contributo intende offrire una panoramica della mariologia conciliare e postconciliare dal 1964 al 1980. Dalla promulgazione della «Lumen Gentium», con il suo famoso capo VIII e con la contemporanea proclamazione di Maria madre della Chiesa da parte di Paolo VI (21 novembre 1964), alla designazione di Maria madre della misericordia nell’enciclica «Dives in misericordia» di Giovanni Paolo II (30 novembre 1980), e alle sue ripercussioni nella mariologia degli anni ‘80. Si tratta di un ventennio di riconsiderazione della teologia e della prassi cattolica, che a Maria ha riservato da sempre un posto privilegiato in tutte le espressioni della sua coscienza di fede. Ancora oggi infatti a Maria viene attribuito un ruolo straordinario che supera il puro dato personale e storico per protendersi verso l’universale dell’azione divina di salvezza[1]. Per cui essa appare come «uno dei più grandi simboli del cristianesimo, intendendo per simbolo una realtà storica che, incarnando un complesso di atteggiamenti ideali, non si esaurisce nei confini della cronaca effimera; che nell’economia della grazia, prolunga presso tutte le generazioni la sua funzione salvifica; che é suscettibile di essere sempre meglio conosciuta, ma il cui mistero sarà pienamente svelato solo alla fine dei tempi»[2]. Maria, in questa sua inesauribile dimensione di realtà-simbolo, mantiene un significato perenne per i cristiani.

       Ciò è confermato dalla storia bimillenaria della pietà mariana e della mariologia[3]. Partendo, infatti, dai circa duecento versetti relativi alla madre di Gesù, nei libri del NT, la traduzione cristiana di tutti i tempi ha trovato feconda ispirazione per un discorso sempre più ricco e articolato su Maria: nei commentari biblici, nell’omiletica, nella catechesi, nell’innologia, nei formulari liturgici[4], nei caratteristici «mariali» medievali, nelle questioni mariologiche delle summe teologiche, nei primi trattati di mariologia del Seicento o in quelli pre e postconciliari[5]. Il nostro secolo - apparizioni di Fatima (1917), proclamazione del dogma dell’assunzione (1950), anno mariano (1954), ripresa a partire dal 1950 dei congressi mariologici e mariani internazionali, capo VIII della «Lumen Gentium» (1964) - può essere a ragione considerato il secolo «mariano»[6], che culmina col vaticano II.

Contemporaneamente proprio durante il concilio - e, per quanto riguarda Maria, durante l’elaborazione del capo VIII della LG - esplodeva quella situazione di crisi e di disagio, che si era delineata a partire dagli anni ‘50. Ci riferiamo non soltanto alla disputa tra cristotipisti ed ecclesiotipisti, scoppiata durante il congresso mariologico internazionale di Lourdes del 1958[7], quanto piuttosto a un insieme di istanze che trovano nel dibattito conciliare il terreno più fertile per essere prese in debita considerazione: Si tratta delle provocazioni salutari provenienti dai movimenti di ritorno alle fonti bibliche e patristiche (con la riscoperta, ad esempio, di Maria come la Figlia di Sion escatologica o come la Nuova Eva), dai movimenti di carattere pastorale (come quello liturgico, missionario, ecumenico), dal movimento ecclesiologico (che vede Maria come parte integrante e fondante della Chiesa), dalla teologia della storia della salvezza (che all’astrattezza e alla deduttività di certa mariologia, intende sostituire una considerazione di Maria come dinamicamente presente in tutta la storia della salvezza dall’AT al NT e alla storia della Chiesa)[8]. Tutto ciò è più o meno esplicitamente presente nella dottrina del capo VIII della LG, che considera Maria non più a parte, quasi un doppione un po' sfuocato di Cristo[9], ma nell’ambito più adeguato del mistero di Cristo e della Chiesa.

 

La crisi preconciliare

       Il decennio immediatamente postconciliare segna un periodo di crisi del discorso teologico su Maria. Gli autori parlano di «recessione mariologica»[10], di «marginalizzazione di Maria»[11], di fase apofatica negativa o di «silenzio su Maria»[12],di «congedo di Maria»[13], di «Maria, nunc est satis»[14]. Se prima si moltiplicavano feste e titoli mariani, ora si tende a ridurre, semplificare e sopprimere. Se prima i privilegi e i titoli mariani erano intesi in senso ontologico, nell’immediato postconcilio essi tendono ad essere interpretati in senso esistenziale e simbolico. Dall’eccesso si passa al difetto. Dal massimalismo si va verso un minimalismo dottrinale e pratico. Fu una vera «crisi di rigetto» di Maria[15]. Le cause sono molteplici. Oltre a quelle generali di quel periodo, segnaliamo ancora le seguenti: la non adeguata assimilazione e valorizzazione della nuova impostazione conciliare; una certa difficoltà nell’organizzare subito un discorso nuovo su Maria; una certa mancanza di mediazioni accorte e serene tra le riflessioni critiche degli studiosi e le attese immediate dei pastori. «Non si colse cioè, almeno in un primo momento, il valore profetico della figura della Vergine in ordine all’impegno della Chiesa per l’autentica liberazione dell’uomo e la sua promozione»[16].

 

Il ritorno di Maria

       Agli anni della contestazione seguono quelli del rinnovamento. Al decennio senza Maria fa seguito un periodo di fervente ritorno a Maria. L’importante documento del 208° Capitolo Generale dei Serviti «Fate quello che vi dirà. Riflessioni e proposte per la promozione della pietà mariana»[17] afferma che la crisi «nel 1975, Anno Santo della Riconciliazione, poteva dirsi avviata alla soluzione»[18]. Testimonianze e qualche volta documenti magisteriali come le esortazioni «Marialis cultus» (1979) ed «Evangelii Nutiandi» (1975) di Paolo VI, il documento di Puebla dell’episcopato latino americano (1979), le encicliche di Giovanni Paolo II «Redemptor hominis» (1979), «Dives in misericordia» (1980) e «Dominum et vivificantem» (1986). Questa riconversione a Maria é già stata definita come «gloriosa e feconda per la mariologia»[19]. Essa é caratterizzata da un bisogno di purificazione, di eliminazione di elementi accessori, di approfondimento critico e di inserimento del discorso teologico su Maria nell’insieme dell’intero mistero cristiano.

 

Le principali caratteristiche del rinnovamento

       Daremo qui una mappa certamente incompleta della situazione mariologica contemporanea, con gli interrogativi, i problemi, le sfide, le istanze, gli orientamenti, le acquisizioni, le riscoperte avvenute in questo effervescente secondo decennio postconciliare, rilanciato mariologicamente soprattutto dalle suggestioni della «Marialis cultus» di Paolo VI. Si tratta di un insieme di elementi che sfidano la mariologia non solo a un rinnovamento metodologico[20], ma anche contenutistico, relativo cioè alla ricomprensione dei dogmi mariani alla luce dell’ermeneutica contemporanea, dell’odierna teologia del peccato originale e dell’escatologia[21].

 

1)    L’orientamento trinitario e pneumatologico

       Lapidariamente il concilio aveva messo in evidenza la dimensione trinitaria del mistero di Maria chiamando la beata vergine: «predilecta filia Patris» (LG 53). Sulla relazione Dio Padre-Maria, la «Marialis cultus» afferma: «In vista di lui (Cristo) Dio Padre, da tutta l’eternità, la scelse madre tutta santa e la ornò di doni dello Spirito, a nessun altro concessi» (MC 26). La santità di Maria è dunque fedeltà dinamica alla volontà del Padre (MC 56), la cui paternità è da lei vissuta come somma liberazione e realizzazione umana[22].

       Viene inoltre ribadito l’essenziale orientamento cristologico della mariologia, che la «Marialis cultus» così riassume: «Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da lui dipende» (MC 25). Un’adeguata comprensione del mistero di Cristo è la base più propizia per l’esatta valutazione di Maria. Per questo le cristologie che misconoscono lo spessore ontologico o psicologico del Cristo - ad es. - quelle metadogmatiche - riducono anche notevolmente la figura di Maria. Infatti, dove c’è una corretta densità cristologica, lì c’è anche una adeguata densità mariologica e viceversa[23]. La devozione alla beata Vergine, poi, nella coscienza di fede dei cattolici, vive questa fondamentale nota cristologica con un orientamento profondamente eucaristico. E’ una realtà incontestabile il fatto che Maria nella pietà dei fedeli esercita un ministero carismatico di guida materna verso il Cristo eucaristico. Come dice S. Efrem: «La chiesa ci ha dato il pane vivo, al posto dell’azzimo che aveva offerto l’Egitto; Maria ci ha dato il pane che conforta, al posto del pane che affatica datoci da Eva»[24].

       Il movimento pneumatologico post-conciliare ha infine fatto riscoprire la relazione Spirito Santo-Maria come importante nella comprensione della beata Vergine. Nel post-concilio, autori come H. Mühlen, H. -M. Manteau-Bonamy, G. M. Richini, D. Bertetto, H. U. von Balthasar, X. Pikaza, L. Boff hanno evidenziato gli stretti legami esistenti tra il «Panàghion» e la «Panaghìa» dall’Annunciazione alla Pentecoste. Per cui Maria a ragione è stata chiamata la «carismatica radicale»[25], la «pneumatophoros» e la «pneumatoformis». La piena di grazia è insomma «trasparenza dello Spirito» (X. Pikaza)[26].

       Alla luce di questo orientamento trinitario e pneumatologico il culto cristiano - e quindi anche la devozione mariana - è essenzialmente «culto al Padre per Cristo e nello Spirito» (MC 25). Per cui l’adagio tradizionale «Ad Jesum per Mariam» può anche essere ritoccato più opportunamente nel modo seguente: «Ad Patrem per Jesum in Spiritu Sancto cum Maria».

 

2)    L’orientamento ecclesiologico

       E’ l’indirizzo che si afferma nel concilio e che vede Maria nell’ambito del mistero di Cristo e della Chiesa. Di ciò si parlerà più avanti della relazione «Maria-Chiesa» (al paragrafo 5.1).

 

3)    L’orientamento antropologico

       Si tratta di un trend importante dalla teologia postconciliare in genere e della mariologia in particolare. E’ la valorizzazione teologica dell’uomo e della sua storia e quindi della riscoperta della paradigmaticità concreta di vita «aderì totalmente e responsabilmente alla volontà di Dio», «ne accolse la parola e la mise in pratica», sì che la sua «azione fu animata dalla carità e dallo spirito di servizio» (MC 66). La «piena di grazia» fu insomma «la prima e la più perfetta seguace di Cristo: il che ha un valore esemplare, universale e permanente» (MC 35).

 

4)    L’istanza femminista

       La teologia femminista nella sua radicalità giunge alla contestazione e al rifiuto della stessa Bibbia - considerata «un pessimo libro»[27] - del nome di Dio - «God is She and Black»: «Dio é donna e nero[28] -, e del Salvatore divino. Secondo l’espressione di Mary Daly, la teologia femminista deve andare «al di là di Dio Padre»[29]. La liberazione della donna deve scaturire dalla donna stessa. Per questo la teologia femminista è stata considerata come «una dottrina di autoredenzione»[30].

       Per la femminista olandese Catharina Halkes, che insegna «Femminismo e cristianesimo» all’università di Nimege, e che considera Maria come una «figura storica diventata nella tradizione della Chiesa una figura simbolica»[31], il compito della teologia della Chiesa nei confronti della mariologia é triplice: a) relativizzazione della maternità; b) spiegazione delle Scritture secondo la critica femminista; c) vittoria sulla unilateralità patriarcale[32].

       Al di là delle esasperazioni del pensiero femminista radicale - chiamato da qualcuno anche «teofantasia» (è l’espressione di Naomi Goldberg)[33] a causa dei tentativi sincretisti fatti per elaborare un nuovo discorso teologico, dopo aver ridotto a un deserto la cosiddetta teologia patriarcale - la sfida è stata seriamente e positivamente accolta sia dal magistero, sia dai teologi. Paolo VI, ad esempio, nella «Marialis cultus» chiama Maria «La nuova donna e la perfetta cristiana che riassume in sé le situazioni più caratteristiche della vita femminile perché vergine, sposa, madre» (MC 36), considerandola quindi come «Tipo eminente della condizione femminile» (ib). Per questo «la donna contemporanea desiderosa di partecipare con potere decisionale alle scelte della comunità, contemplerà con intima gioia Maria che, assunta al dialogo con Dio, dà il suo consenso attivo e responsabile non alla soluzione di un problema contingente, ma a “quell’opera di secoli”, come è stata giustamente chiamata l’incarnazione del Verbo» (MC 37). Il Papa afferma anche che Maria non fu «una donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante» ma una «donna forte, che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio» (ib).

       Anche il documento di Puebla[34], enfatizza in modo eccessivo la femminilità di Maria, affermando perentoriamente: «Maria è donna» (n. 299). In Maria la femminilità è stata redenta ed esaltata e la donna è giunta a una dignità di dimensioni insospettate. Per questo «Maria è garanzia della grandezza femminile, indicando il modo specifico dell’essere donna, con quella sua vocazione a essere anima, donazione capace di spiritualizzare la carne e incarnare lo spirito» (ib). Maria per questo rappresenta «il grande segno, dal volto materno e misericordioso, della vicinanza del Padre e di Cristo» (n. 282). «Si tratta di una presenza femminile che crea il clima di famiglia, la volontà di accoglienza, l’amore e il rispetto per la vita. E’ una presenza e un sacramentale dei lineamenti materni di Dio» (n. 291).

       Il teologo brasiliano Leonardo Boff, tenendo conto di questo passaggio epocale da una società del «logos» a una società della «sophia» ha inteso decifrare l’essere donna oggi. Egli considera il femminile come una via autentica di rivelazione di Dio e considera Maria come principio femminile di salvezza, non solo perché è la pienezza di realizzazione del femminile, ma anche perché è in relazione intima, mediante il ministero della sua divina maternità, con la persona del Salvatore. Boff avanza anche l’ipotesi[35] di una spiritualizzazione dello Spirito Santo in Maria, una specie di incarnazione e di unione ipostatica: «In lei lo Spirito Santo si pneumatificò, cioè assunse forma umana»[36]. Maria diventa la personificazione dello Spirito Santo[37], rivelando in tal modo sia una dimensione originale dell’uomo, il femminile, sia un aspetto altrettanto originale di Dio stesso, le sue profondità femminili: «Queste profondità si manifestano storicamente mediante la persona dello Spirito che assume Maria e dà inizio alla realizzazione escatologica del femminile in Dio»[38]. Maria per questo può essere chiamata «il volto materno di Dio».

 

5)    L’orientamento ecumenico

       Presso i non cattolici spesso Maria appare come un segno di contraddizione. Afferma J. Moltmann: «Se volgiamo lo sguardo alla storia passata dobbiamo convenire che il culto mariano e relativa mariologia teologica hanno svolto più un ruolo di divisione che di unificazione»[39]. Gli ortodossi, pur nutrendo una grande devozione verso la Theotokos, la Panaghia Aeiparthenos, e pur accettando sostanzialmente le verità mariane, rifiutano i dogmi dell’immacolata e dell’assunta[40], anzitutto per l’opposizione all’autorità del Papa, e poi per motivi teologici: non sembra loro conveniente esprimere la santità somma di Maria mediante il dogma dell’Immacolata che ne sottolinea solo l’aspetto negativo e cioè la preservazione dalla macchia originale. Presso i protestanti invece si può parlare di un silenzio su Maria e spesso anche di una ripugnanza nei confronti della mariologia, ritenuta una costruzione teologica malata, «un tumore» da recidere[41]. Questo «no assoluto alla mariologia», considerata un vero e proprio «cristianesimo laterale», così viene giustificato: «In essa si ricongiungono tutte le eresie del Cristianesimo: il potere autonomo conferito alla tradizione, il magistero dottrinale arbitrariamente conferito alla tradizione, il magistero dottrinale arbitrariamente conferito al Sovrano Pontefice e ai vescovi, l’equivoco della dottrina del merito, lo scopo della grazia unica del Padre che si frantuma in grazie particolari, le quali lasciano all’uomo la possibilità di acquisire dei meriti, la negazione della mediazione unica del Cristo»[42].

       In questi ultimi anni, però, la riscoperta della figura di Maria nella Bibbia e nel pensiero dei grandi riformatori (soprattutto Lutero e Zwingli) hanno provocato una riconsiderazione del problema. Sembra che si stia a poco a poco riducendo il minimalismo o sottosviluppo mariano presso i protestanti che cominciano a ritenere Maria non solo come «cattolica» ma anche come «evangelica»[43]. Un po' timidamente l’«Evangelischer Erwachsenerkatechismus» del 1975[44] la venerazione protestante di Maria è modesta perché la Bibbia è modesta al riguardo. Ci sono, poi autori che operano una radicale e positiva riconsiderazione della mariologia (cf. tra gli altri, W. Sthälin, H. Asmussen, L. Vischer, M. Thurian, U. Wickert)[45].

       Ulrich Wickert, ad esempio, docente di storia ecclesiastica alla Kiirchliche Hochschule di Berlino, ha spesse volte esternato il suo sì incondizionato ai dogmi mariani della Chiesa cattolica, anche se da un punto di vista strettamente evangelico[46]. Egli parla dell’inevitabilità di una considerazione teologica di Maria da parte degli evangelici, dal momento che l’esistenza cristiana è in fondo una «marianische Grundexistenz»[47].

       Si dà allora una «mariologia ecumenica»? J. Moltmann sembra piuttosto scettico, pur elaborandone una criteriologia generale[48]. Più fiducioso si mostra invece un altro teologo evangelico, Gottfried Maron, il quale afferma: «La stessa teologia evangelica nel prossimo futuro non potrà più dispensarsi come ha solitamente fatto dall’affrontare il tema “Maria”. Per il futuro è probabilmente necessaria una mariologia ecumenica se si vuole che si accresca la comprensione reciproca dei cristiani tra loro»[49]. Per entrambi i teologi comunque il criterio principale di tale mariologia deve essere un orientamento essenziale cristologico[50].

       Estrapolando un apologo proposto dal Wickert, si può dire che i protestanti sembrano essere nella condizione di Giuseppe, che non riusciva a trovare un alloggio per Maria; alcuni di essi però intendono diventare tanti Giovanni, il discepolo che prese Maria nella sua casa: «Ex illa ora, accepit eam discipulus in sua» (Gv. 19,27). E «l’ora di Maria è adesso», afferma con enfasi U. Wickert[51].

 

6)    L’orientamento prassiologico: la teologia della liberazione

       La teologia della liberazione, nata e affermatasi in contesto latinoamericano, si propone non tanto l’intelligenza puramente speculativa della rivelazione cristiana, quanto piuttosto una sua adeguata esperienza liberatrice nella vita personale e sociale dei popoli latinoamericani. In cristologia, ad esempio, gli autori tendono a sottolineare quei gesti e quelle parole del Gesù storico, che possono essere fecondi per una prassi concreta di liberazione e di trasformazione della realtà. Si pone l’enfasi sull’operatività della verità, mediante la cosiddetta ermeneutica prassica, che dovrebbe condurre a un’efficace opera di trasformazione della realtà.

       Anche la figura di Maria viene vista a partire dal luogo sociale dei poveri e degli oppressi. Essa è quella «donna forte» (MC 37) che, avendo fatto esperienza della povertà e della sofferenza liberatrici dell’uomo e della società. Emerge così una prassi di liberazione mariana, radicata non tanto nella propria povertà di mezzi, quanto nella forza decisiva e infinita della fede in Dio e nel fatto di grazia della divina maternità. Sì che Maria, la prima redenta e liberata, può consegnare ai suoi fratelli il suo Figlio Liberatore nell’incarnazione, a Cana, sotto la croce, nella pentecoste continua la storia. E la beata Vergine è cosciente di questo suo ruolo di liberazione, dal momento che il suo Magnificat diventa la magna charta della teologia della liberazione: «il suo inno di ringraziamento non è certo un proclama di messianismo terreno né un grido di rivolta sociale, ma non é nemmeno una preghiera disincarnata: é un canto sgorgato dalla fede, è memoria degli interventi di Dio nella storia»[52]. Puebla aveva già affermato:«Il Magnificat è lo specchio dell’anima di Maria. In questo poema raggiunge il suo punto culminante la spiritualità dei poveri di Jahvè e il profetismo dell’Antica Alleanza (...). Nel Magnificat (Maria) si presenta come modello per coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale, né sono vittime della “alienazione”, come si dice oggi, ma proclamano con lei che Dio è “vendicatore degli umili” e, se ne è il caso, “rovescia i potenti dal trono”...» (n. 297). La teologia della liberazione vede nell’evento mariano di Guadalupe una quadruplice fonte di liberazione: liberazione dalla violenza sessuale, politica ed economica, socio-psicologica, e religiosa[53].

 

7)    L’esigenza dell’inculturazione

       L’«Evangelii nuntiandi» di Paolo VI (1975) e la «Catechesi tradendae» di Giovanni Paolo II (1979) hanno dato definitiva chiarezza ed avvallo all’esigenza dell’inculturazione, come caratteristica essenziale dell’annuncio cristiano qua talis, e non soltanto della prima evangelizzazione missionaria[54]. Inculturazione dice incarnazione totale della fede nello spazio e nel tempo, nel linguaggio e nei simboli culturali, nella carne e nel sangue di un popolo. Si tratta di «portare la forza del Vangelo nel cuore della cultura e delle culture»[55].

       Proprio per la mariologia ci è stato offerto nel più volte menzionato documento di Puebla un concreto esempio di inculturazione del messaggio cristiano nel popolo latinoamericano. L’evento storico di Guadalupe (1531), all’inizio dell’evangelizzazione, segna di fatto il principio teologicamente corretto dell’annuncio del nuovo continente[56]. In tale evento c’é una straordinaria cornice di adattamento culturale del messaggio divino ai nuovi popoli. C’è l’incontro del vangelo con il loro universo simbolico: «Sin dalle origini - nella sua apparizione di Guadalupe e sotto questa invocazione - Maria ha costituito il grande segno (...) della vicinanza del Padre e del Cristo (...). Come quello di Guadalupe, anche gli altri santuari mariani del continente sono segno dell’incontro della fede della Chiesa con la storia latinoamericana» (Puebla n. 282). La devozione mariana fa parte integrante del popolo latinoamericano: essa appartiene all’intima identità propria di questi popoli (283). Per questo Maria viene vista come Madre e modello della Chiesa latinoamericana, con la precisa qualifica di «Chiesa servizio» (n. 300-303). Maria è inoltre modello dell’uomo e della donna latinoamericana, che riscontrano in lei «la figura concreta nella quale raggiunge il suo culmine ogni liberazione e santificazione in seno alla Chiesa» (n. 333). Dinanzi a Cristo e a Maria devono essere rivalutati in America Latina i grandi lineamenti della vera immagine dell’uomo e della donna: «tutti fondamentalmente eguali e membri della stessa stirpe, pur nella diversità di sesso, lingua, cultura e forma di religiosità, abbiamo per vocazione comune un unico destino che, includendo l’annuncio gioioso della nostra dignità, ci converte in evangelizzati ed evangelizzatori di Cristo in questo continente» (n. 334).

 

8)    La valorizzazione della religiosità popolare

       La religiosità popolare (= RP), o devozione o pietà popolare, è una caratteristica forma di inculturazione del vangelo presente nel popolo[57]. E’ il vangelo vissuto ed espresso «dal basso», con caratteristiche e linguaggi particolari. Nell’ultimo ventennio la RP é stata fortemente rivalutata. Puebla, ad esempio, in sostanza, é un coacervo di valori che rispondono con saggezza cristiana ai grandi interrogativi dell’esistenza. La sapienza popolare cattolica possiede una capacità di sintesi vitale; così congiunge creativamente il divino e l’umano di Cristo e Maria, spirito e corpo, comunione e istituzione, persona e comunità, fede e patria, intelligenza e affetto. Questa saggezza è un umanesimo cristiano che afferma la radicale dignità di ogni persona quale figlio di Dio, stabilisce una fraternità fondamentale, insegna a incontrare la natura e a comprendere il lavoro e fornisce i motivi per un certo buon umore e arguzia, anche se si trova a vivere una vita molto dura» (n. 448). Si tratta, pertanto, di una saggezza cristiana, che diventa principio di discernimento e istinto evangelico, per cui i fedeli captano spontaneamente quando nella Chiesa si serve il Vangelo e quando lo si svuota o lo si soffoca con altri interessi. Si tratta di un elementare ed essenziale sintesi evangelica presente nel popolo, anche se non tematizzata. E’ quel basso continuo che sostiene l’ulteriore armonia della tematizzazione e della motivazione dell’annuncio cristiano. E’ l’humus su cui dovrebbe svilupparsi la fede adulta (in quanto coscientemente motivata ed espressa) di un popolo.

       Una costante della RP è la sua dimensione mariana: «Nell’ambito della pietà popolare i fedeli intuiscono facilmente il legame che intercorre tra Cristo e Maria; con semplicità venerano la Madonna come l’immacolata Madre di Dio; con gioia la riconoscono Madre degli uomini e vivono il loro rapporto con lei in termini di affettuosa relazione materno-filiale; comprendono vitalmente il significato della povertà di Maria e del suo dolore; da lei apprendono pazienza e mitezza, ma sanno che Maria nella sua vita fu una donna forte, che non stava dalla parte dei potenti; sanno pure che la Madre di Gesù è buona e che vive in cielo presso il suo Figlio, quindi ricorrono fiduciosi alla sua intercessione ed implorano il suo aiuto; amano celebrare le sue feste, recarsi in pellegrinaggio ai suoi santuari, cantare il suo onore»[58].

       Anche in questo campo la Chiesa latinoamericana è stata la più disponibile a non misconoscere o disprezzare, bensì a valorizzare tale religiosità popolare come il carattere distintivo dei popoli latinoamericani. In America Latina, infatti, il cattolicesimo è un «cattolicesimo popolare» (Puebla n. 444). «Simbolo luminosissimo» di questo vangelo incarnato nel cuore dei popoli latinoamericani è «il volto meticcio di Maria di Guadalupe, che si erge all’inizio dell’evangelizzazione» (n. 446). La devozione a Maria è quindi uno dei suoi più importanti elementi dell’identità propria di questi popoli e caratterizzano la loro pietà popolare» (n. 454). La RP, pur includendo le fondamentali devozioni al Cristo eucaristico, alla Santissima Vergine, il culto ai santi, ai defunti, processioni, novene, feste patronali, pellegrinaggi ai santuari ecc., rimane però spesso a livello elementare sia nella conoscenza, sia nella pratica della vita cristiana. Per questo Puebla invita all’evan­gelizzazione della pietà popolare (n. 469, n. 910-915) e soprattutto alla riduzione dei suoi limiti negativi: sincretismo, magia, fatalismo, pratiche religiose estranee al cristianesimo, superstizione, feticismo, idolatria, ignoranza, allontanamento dalla Chiesa e ingresso nelle sette ecc. (n. 456-914).

       La pietà popolare mariana resta un campo fecondo di studio e di evangelizzazione. Ancora oggi riceve giudizi per lo meno affrettati. Si vede quanto dice la norvegese K. Borresen: «Davanti a Maria, così come viene venerata nell’Italia del sud o in Polonia, mi sento alienata»[59]. Il problema qui sembra essere la totale indisponibilità dell’autrice ad approfondire l’espressione popolare della devozione mariana presente in Italia, in Polonia o in America Latina (e stando alle ricerche recenti, anche nei paesi anglosassoni), per poterla poi adeguatamente valutare. Siamo convinti, infatti, che si tratta di un’esperienza originale e globale di vita cristiana vissuta con particolari codici linguistici ed espressivi.

 

9)    Fedeltà alla riforma liturgica

       E’ la liturgia il contesto esperienziale più adeguato per la comprensione della figura della Madre del Signore. Nelle celebrazioni liturgiche, la venerazione alla Beata Vergine sembra quasi annullarsi, per confluire nel culto da rendere al Padre al Figlio e allo Spirito Santo. Nella memoria rituale della storia della salvezza, nella celebrazione del mistero pasquale, nell’ascolto della Parola, nella comunione dei Santi, nell’attesa della Parusia Maria associa la sua voce pura alle nostre voci impure per glorificare con noi la gloriosa Trinità[60]. La liturgia ha la straordinaria capacità di «collocare in un quadro efficace e significativo le espressioni di venerazione a santa Maria»[61].

 

10)    Attenzione alle scienze umane

       Il dialogo con le scienze umane è una costante della teologia postconciliare. Considerate positivamente come possibili conoscenza e di liberazione dell’uomo, l’incontro e il confronto con esse veniva auspicato da Paolo VI, per eliminare una delle cause del disagio che si avverte nel campo del culto mariano: «il divario, cioè, tra certi suoi contenuti e le odierne concezioni antropologiche e la realtà psicologica, profondamente mutata, in cui gli uomini del nostro tempo vivono ed operano» (MC 34). Il rinnovamento della mariologia esige il confronto con le acquisizioni sicure e comprovate delle scienze storiche, filosofiche, linguistiche, sociologiche, psicologiche, ermeneutiche. Non mancano tentativi parziali al riguardo. A. Müller ha operato una rilettura della mariologia partendo da tre modelli contemporanei di pensiero: il modello linguistico-analitico, quello socio-critico e quello ermeneutico[62]. Utili contributi provenienti, con opportuni e vagliati criteri metodologici, dalle scienze psicologiche e psicanalitiche, che cercano di conoscere ed eventualmente guarire la dimensione lunare dell’uomo, il suo sottosuolo psichico, teatro anch’esso della redenzione di Cristo. Sulla scia delle indagini cristologiche di H. Wolff[63], anche Maria Kassel, nel quadro della psicologia del profondo, ha rivelato alcune funzioni positive esercitate dall’archetipo Maria nella tradizione cattolica: a) con Maria si é mantenuta nella Chiesa cattolica l’importanza dei valori femminili per lo sviluppo umano; b) Maria ha mantenuto presente nel cattolicesimo la dimensione dell’inconscio; c) nella verginità di Maria viene rivalutata l’importante funzione liberatrice ai fini dello sviluppo della donna come persona[64].

 

11)    Altre istanze

       Suggestive provocazioni provengono dalla realtà di Maria come donna ebrea[65] e della sua presenza nel Corano e nella devozione dei fedeli mussulmani (cf il Simposio Mariologico Internazionale organizzato dal Marianum e che si terrà agli inizi di ottobre del 1986). Nell’Islam Maria occupa un posto significativo. Insieme a Gesù è un «segno per l’umanità»[66]. E’ vergine e madre: è donna «eletta nelle donne dell’universo intero»[67]. Maria non é solo figura da ammirare, ma per la sua fede, pietà e riservatezza, è anche modello da imitare[68].

       Istanze al rinnovamento provengono ancora dall’estetica teologica di von Balthasar - Maria «capolavoro di bellezza umana, non ricercata nel solo modello formale, ma realizzata nell’intrinseca ed incomparabile capacità di esprimere lo Spirito nella carne, la sembianza divina nel volto umano, la Bellezza invisibile nella figura corporea»[69] - e della sua teodrammatica (Maria personaggio chiave del dramma della redenzione)[70].

       Emerge anche un’istanza cosmica. Nell’umanità di Cristo, nato dalla Vergine, e nella realtà dell’assunzione di Maria, la creazione viene restituita alla sua integrità originale; «Protologicamente Maria corrisponde all’immagine dell’uomo che Dio aveva voluto; escatologicamente Maria corrisponde all’immagine dell’uomo che Dio ha voluto con la redenzione di Cristo»[71]. Anche la redenzione del cosmo ha una dimensione mariana. Oltre che Theotokos, Maria in questo senso è anche «Kosmotokos», madre della creazione[72].

       Ci sono, infine, controverse problematiche di tipo metodologico.

       a)    Qual’è il luogo più appropriato della trattazione su Maria? In ecclesiologia, in cristologia, in antropologia teologica, nel contesto più ampio di tutto il discorso teologico, oppure in una sintesi a se stante?[73].

       b)    come discernere la realtà centrale della mariologia (il famoso «principio primo»), che serva da nucleo organizzatore del discorso su Maria? Bisogna puntare veramente su un principio primo, scegliendo un particolare orientamento, ad es., cristologico (maternità divina), ecclesiologico (Maria tipo della Chiesa), antropologico (il femminile)?[74] Oppure bisogna semplicemente rinunciare a questo principio, ordinando i dati in modo cronologico-salvifico, o spiegando la vicenda di Maria al di là di questa medesima vicenda, alla luce cioè delle leggi e delle costanti dell’agire di Dio nella storia di cui la beata Vergine è un esempio clamoroso (la legge della promessa-compimento, dell’abbassamento-esaltazione, della concentrazione nella persona e del decentramento nella comunità...)?[75].

       c)    Qual’è la gerarchia delle verità nell’ambito della mariologia?[76].

 

 

Maria «Madre della Chiesa»

1.    La relazione Maria - Chiesa

       Uno degli orientamenti più significativi della mariologia postconciliare è dato dalla linea ecclesiologica che vede una relazione stretta tra Maria e la Chiesa. Già nel 1951 Hugo Rahner, nel suo noto volume «Maria e la Chiesa» aveva invitato a «reimparare ciò che era così familiare e caro alla chiesa primitiva: vedere la chiesa in Maria e Maria nella chiesa»[77]. Per la teologia patristica Maria è il «tipo della chiesa e cioè esempio, sostanza, e insieme compendio di tutto ciò che si doveva poi sviluppare nella Chiesa nella sua essenza e destino»[78]. I Padri «vedono Maria e la chiesa in un’unica immagine: tipo e antitipo sono uniti come il sigillo e la cera»[79]. «Nei tempi dei Padri l’intera mariologia era già delineata nell’ecclesiologia, senza comunque che venisse nominata la madre del Signore: la virgo eclesia, la mater ecclesia, la ecclesia immaculata, la ecclesia assumpta - tutto quanto più tardi diverrà mariologia - è stata inizialmente pensato come ecclesiologia[80]. Per questo la devozione a Maria e alla chiesa stanno o cadono insieme.

       De Lubac, nelle sue celebri «Meditazioni sulla Chiesa» - pubblicate un anno dopo quelle di Hugo Rahner - afferma che «le accuse fondamentali che la Riforma rivolge all’idea cattolica della Chiesa, corrispondono a quelle che essa rivolge al culto cattolico della Vergine»[81]. In entrambe si vede un attacco e un’usurpazione sacrilega dell’unica mediazione di Cristo e dell’assoluta sovranità di Dio. Rifacendosi anch’egli alla tradizione patristica riafferma i legami «essenziali», «intessuti dal di dentro»[82] esistenti tra Maria e la Chiesa. Le due realtà sono intrinsicamente solidali e si rimandano a vicenda. Gli stessi simboli biblici sono applicati alternativamente o simultaneamente alla Chiesa e a Maria: novella Eva, paradiso, arca dell’alleanza, scala di Giacobbe, porta del cielo, tabernacolo dell’Altissimo, città di Dio»[83]. Le litanie di Maria sono spesso le litanie della Chiesa e le litanie della Chiesa sono le litanie di Maria[84]. Questo non è semplice parallelismo o uso improprio di simboli ambivalenti, ma consapevolezza che Maria è figura ideale della Chiesa, «il tutto della Chiesa»[85]. «Sicut enim Christi mater, sic mater Ecclesiae» avrebbe detto Ivo di Chartres[86], sulla scia dell’agostiniano: «Nam Ecclesia quoque et mater et virgo esta»[87]. E S. Pier Damiani: «Madre grande e beata, dalle sui viscere si formò la carne del Cristo e dalla quale nuovamente, come l’acqua e il sangue, oggi emana la Chiesa»[88].

       La dimensione mariana dell’ecclesiologia e quella ecclesiale della mariologia furono ampiamente dibattute e messe in rilievo al congresso mariologico internazionale di Lourdes del 1958 (Maria ed Ecclesia)[89], alla luce di interessanti indicazioni del magistero pontificio sulla «mediazione sociale» di Maria[90].

       Il concilio raccolse queste suggestioni e, dopo intenso dibattito, inserì Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa definendola membro sovreminente e singolare della Chiesa («superemines», «singulare membrum Ecclesie» LG 53; cfr anche 54), e sua figura e modello eccellentissimo («typus et exemplar spectaqtissimum» LG 53; cfr. anche LG 63-65)[91].

       Nel post concilio questa dimensione ecclesiale di Maria è stata approfondita ampiamente con la considerazione ad esempio di Maria «Chiesa nascente»[92]. «Maria nel momento del suo sì, è l’Israele in persona. E’ la chiesa in persona e quale persona. Ella è certamente questa personalizzazione della chiesa perché a motivo del suo fiat é diventata la madre in carne ed ossa del Signore. Ma questo fatto biologico é realtà teologica per ché é realizzazione del più profondo contenuto spirituale dell’alleanza da Dio liberamente stipulata con Israele»[93]. Importanti esponenti della teologia tedesca postconciliare chiamano Maria «Realsymbol der Kirche», vedendo nel suo fiat la «forma mariana» della stessa fede, dal momento che il sì di Maria si riflette in tutti i sì dei cristiani. Essendo la persona storica di Maria «Realsymbol» della Chiesa viene affermata anche la marianità essenziale della Chiesa»[94]. La Commissione Teologica Internazionale nel documento «Temi scelti di ecclesiologia» (1985) dedica il paragrafo finale a «Maria, chiesa già realizzata» affermando: «La Chiesa e il regno trovano la loro più elevata realizzazione in Maria. Che la Chiesa sia la presenza in mysterio del regno, risulta evidente in maniera definitiva partendo da Maria, dimora dello Spirito Santo, modello della fede Realsymbol della chiesa. Per tale motivo il concilio afferma riguardo a lei: “La Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione che la rende senza macchia e senza ruga (cf Ef 5,27)” (LG 65). La distanza, spesso dolorosa, tra la chiesa pellegrinante e il regno compiuto, é già percorsa in lei che, “assunta”, “resa simile a suo Figlio risuscitato dai morti, già conosce in anticipo la condizione che tutti i giusti vivranno” (Paolo VI, Professione di fede, n. 15). Perciò la madre di Gesù “é l’immagine e la primizia della chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura” (LG 68)[95].

       Paolo VI nella «Marialis cultus» approfondisce la dottrina conciliare dell’esemplarità di Maria nei confronti della Chiesa. Maria come la Chiesa é «la vergine in ascolto» (virgo audiens: MC 17), «la vergine in preghiera» (virgo orans: MC 18), «la vergine madre» (virgo pariens: MC 19), «la vergine offerente» (virgo offerens: MC 20), «maestra di vita spirituale» (pietati magistra: MC 21). Ancora Paolo VI nell’«Evangelii nuntiandi» parla di Maria come «stella dell’evangelizzazione sempre rinnovata che la Chiesa deve promuovere ed adempiere» (EN 82). Puebla dedicherà una parte notevole del suo documento alla relazione che intercorre tra Maria e la Chiesa latinoamericana.

       C’è però un titolo che i Papi hanno usato spesso in questa seconda metà del nostro secolo e che il concilio non volle espressamente accettare: è il titolo di «Madre della Chiesa». E’ tale titolo che forse rende più appariscente la ricchezza di rapporto esistente tra Maria e la Chiesa. Maria, infatti, non solo è nella Chiesa come suo membro eminente, non solo è con la Chiesa come figura o modello, ma anche per la Chiesa come sua Madre.

 

2)    Il titolo «Madre della Chiesa» nei dibattiti conciliari

       «Se é vero dunque che Maria, sotto un certo aspetto appartiene alla Chiesa, se si è potuto talvolta, non senza esagerazione, dirla sua figlia, con molta maggiore verità la si dovrà chiamare invece sua madre»[96]. Per la tradizione patristica e medievale Maria è la madre del popolo nuovo, è la terra nella quale è stata seminata la Chiesa, è la «madre della Chiesa che siamo noi»[97]. Tra Maria e la Chiesa c’è «communicatio idiomatum», c’è «pericoresi», c’è cioè perfetta reciprocità. La Chiesa è Madre di Maria, ma anche Maria è Madre della Chiesa: «ater igitur Ecclesia Mariae; et Maria mater Ecclesiae»[98]. Questo senza che Gesù cessi di essere solo capo della sua Chiesa e anzi nella riaffermazione che Maria fa parte della famiglia dei redenti e che tutte le sue grandezze le derivano dalla redenzione di Cristo»[99]. Insomma «Mater et Ecclesia, una mater et plures»[100].

       Il titolo «Madre della Chiesa» non si trova in modo esplicito nel capo VIII della costituzione dogmatica sulla Chiesa. Nella preparazione alla «Lumen gentium» erano state avanzate richieste in tal senso, sia nelle proposte di alcuni padri conciliari, sia all’interno di alcuni schemi conciliari. L’allora Card. Montini, insieme al Card. Suenens, il 5 dicembre 1962 aveva osservato a proposito dello schema «De Ecclesia»: «Cum gaudio etiam maiore accipio fore ut Beata Maria Virgo ut Mater Sanctae Ecclesiae a Concilio honoretur»[101]. E infatti lo schema del 22 aprile 1963 riportava nel titolo: «De Beata Maria Virgine Matre ecclesiae»[102]. Non pochi padri conciliari, però ritenevano «Mater Ecclesiae» «non tradizionale», «non chiaro», «inadeguato», «non ecumenico»[103]. Nonostante che Papa Montini, il 4 dicembre 1963, avesse espresso la speranza che il concilio potesse ornare Maria col nome di Madre della Chiesa[104], lo schema del 3 luglio 1964 del capo VIII aveva eliminato il riferimento esplicito alla «Madre della Chiesa»[105].

       Le ragioni dei Padri conciliari favorevoli al titolo - suo uso in Paolo VI e Giovanni XXIII; inadeguatezza della sola tipologia ad esprimere la relazione Maria - Chiesa; motivazioni bibliche[106]- non impedirono la sua scomparsa nelle successive redazioni del capo VIII[107]. Il titolo non veniva accettato anche perché sconosciuto in Oriente e ambiguo. Non senza una certa dose di ironico sofisma, e in un latino abbastanza contorto, così il Vescovo di Cuernavaca si opponeva al titolo: «Quaestio est nimis subtilis et non paucas difficultates praebet...(e.g.): 1) Si Maria esset Mater Ecclasiae cum Ecclesia sit Mater nostra, Maria... (dicenda) esset avia, i.e. Grand-Mère, sicut dixerat S. Franciscus Salesius... (a nemine secutus). 2) Si Maria mater Ecclesiae, tunc et angelorum, quos S. Thomas membra Ecclesiae cosiderat.

3) Si Maria mater Ecclesiae, certe non eo sensu quod esset Mater suiipius, nam ipsa membrum est insignissimum; sed 4) hoc innueret quod Maria... (quidem sopra Ecclesiam esset; sed) extra Ecclesiam ut Pater extra filiam esset, et supra (est), cum vera relatio cum Ecclesia vedeatur esse Intra, sed Supra, quia in Maria Ecclesia acquirit privilegia quae nullo modo aliis suis membris conceduntur... (vel saltem non eo modo)»[108].

       Possiamo aggiungere subito che una ricerca linguistica e storica più approfondita avrebbe fatto evitare a non pochi penose cadute di stile: «l’uscita d’alcuni teologi che nel titolo denunciarono una novità senza senso o un significato puramente devozionale, d’estrazione meridionale e privo di validità teologica, non rivelò nemmeno il pregio del buon gusto, del tutto mancante essendo quello della buona informazione»[109]. Per quanto riguarda il gioco linguistico è chiaro che il termine «Madre» deve essere preso non in senso univoco, ma analogico. Maria non è infatti Madre della Chiesa come lo è del Figlio. Non è generando fisicamente Cristo, che Maria genera allo stesso modo la Chiesa. Però Maria è Madre della Chiesa, perché è Madre del Cristo, e cioè nell’ordine della grazia. La maternità infatti, è una relazione con fondamento reale che congiunge Maria e il Cristo da una parte, Maria e la Chiesa dall’altra: «Ma tra l’una e l’altra parte si definiscono caratteristiche e aspetti specifici, modificanti la relazione stessa di maternità e determinanti in Maria un diverso modo di essere Madre nei confronti del Cristo e nei confronti della Chiesa: fisicamente nel primo caso spiritualmente nel secondo. E tuttavia nell’uno e nell’altro le conviene sempre il medesimo nome di Madre se pur a titolo diverso»[110]. Il procedimento analogico diventa più chiaro se spostiamo l’attenzione sul concetto di Madre predicato sia della Chiesa, sia di Maria. La Chiesa è chiamata la madre di tutti i fedeli, la nostra santa madre. Di Maria si dice a sua volta che è la Madre dei fedeli e quindi madre della Chiesa. In entrambi i casi il discorso si fonda sull’analogia di funzioni materne nell’ordine della grazia: una relazione di maternità unisce Maria alla Chiesa ed entrambe ai fedeli.

       Per questo il capo VIII della «Lumen gentium», pur non registrando apertamente il titolo, ne riafferma comunque tutto il suo contenuto, quando chiama Maria «madre delle membra (di Cristo)» («mater membrorum Christi»: LG 53), «madre di Cristo e madre degli uomini specialmente dei fedeli» («mater Christi et mater hominum maxime fidelium»: LG 54), «nostra madre nell’ordine della grazia» («mater nobis in ordine gratiae existitit»: LG 61; cfr. anche LG 62, 63, 65, 67, 69).

 

3)    La proclamazione del titolo «Madre della Chiesa»

       Chiudendo i lavori della terza fase conciliare (21 novembre 1964), nello stesso giorno della promulgazione della costituzione dogmatica sulla Chiesa, «che ha come vertice e coronamento un intero capitolo dedicato alla Madonna»[111], il Papa Paolo VI affermava «essere questo il momento più solenne e più appropriato per soddisfare un voto che, accennato da Noi al termine della precedente sessione, moltissimi Padri Conciliari hanno fatto proprio, chiedendo istantaneamente una dichiarazione esplicita, durante questo Concilio, della funzione materna che la Vergine esercita sul popolo cristiano»[112]. E così continuò: «A tale scopo abbiamo creduto opportuno di consacrare in questa stessa pubblica sessione, un titolo in onore della Vergine suggerito da varie parti dell’orbe cattolico ed a Noi particolarmente caro, perché con sintesi mirabile esprime il posto privilegiato riconosciuto da questo Concilio alla Vergine nella Santa Chiesa. A gloria dunque della Vergine e a nostro conforto. Noi proclamiamo Maria Santissima “Madre della Chiesa”, cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei fedeli come dei Pastori, che la chiamano Madre amorosissima; e vogliamo che con tale titolo soavissimo d’ora innanzi la Vergine venga ancor più onorata ed invocata da tutto il popolo cristiano»[113]. Secondo il Papa il titolo «non è nuovo», «appartiene alla genuina sostanza della devozione a Maria» e trova «la sua giustificazione nella dignità stessa della Madre del Verbo Incarnato»: «Madre di Colui che fin dal primo istante della Incarnazione nel suo seno verginale, ha unito a sé come Capo il suo Corpo Mistico che è la Chiesa»[114].

 

4)    Fondamento storico del titolo

       Sembra che il titolo esplicito di «Mater ecclesiae» non sia presente nella tradizione patristica (l’espressione dell’epitaffio del bambino di nome Mago, del secolo V, è probabilissimamente da leggersi «Mater ecclesia» e non «Mater ecclesiae»)[115]. Gli autori concordano nell’attribuire la prima testimonianza del titolo «Mater ecclesiae» riferito a Maria (l’espressione, infatti, poteva anche riferirsi alla «grazia dello Spirito, alla «Sinagoga», o ad altre realtà)[116] al monaco Berenguado (IX secolo; da non confondersi con Berengario di Tours di qualche secolo posteriore), il quale, commentando i primi versetti del capo 12 dell’Apocalisse, propone, oltre all’interpretazione «ecclesiale» anche l’interpretazione «mariana» della «mulier quae paritura erat» del versetto 4: «Possumus per mulierem in hoc loco et beatam Mariam intelligere, eo quod ipsa mater sit Ecclsiae; quia eum peperit, qui caput est Ecclesiae et filia sit Ecclesiae, quia maximum membrum esta Ecclesiae»[117]. Maria è allo stesso tempo Madre della Chiesa, perché ha generato il capo della Chiesa e Figlia della Chiesa, perché è membro eminente di essa. La ragione teologica della sua maternità ecclesiale è la maternità del Cristo capo.

       Un secondo testo lo si trova nelle «Distinctiones monasticae» (inizio del secolo XIII). L’autore, un monaco cistercense, afferma: «Ipsa (Maria) etiam mater videtur Ecclesiae; nam quum sit certissime mater capitis, non incongrue mater esse intelligitur et corporis. Mater igitur Ecclesia Mariae; et Mariae mater Ecclesiae. Et sicut sancta Ecclesia multum ut iustum est, diligit Mariam, plus tamen Maria Ecclesiam. Ecce cui minus dimittitur, plus diligit. Illa esta ergo nostra mater verissima, quae nos maxime diligit. Nihil enim sic veram matrem probat sicut vehemens dilectio»[118]. Dalla maternità fisica nei confronti del Capo della Chiesa, si ricava in modo non incongruo la maternità spirituale nei confronti della Chiesa, Maria, inoltre, è Madre della Chiesa, per il suo grande amore per essa.

       Altre testimonianze si trovano in Ruperto di Deutz († 1135), in un’opera attribuita a Sant’Alberto Magno († 1280), in alcuni documenti liturgici dei sec. XIII-XIV (in un tropo alla Salve Regina si trova: «Virgo, mater ecclesiae»), in S. Lorenzo Giustiniani[119].

       Nei documenti pontifici il primo riferimento esplicito si trova nella Bolla aurea «Gloriosae Dominae» di Benedetto XIV, del 27 settembre 1748[120], il cui testo fu sostanzialmente ripreso dal Vaticano II: «la Chiesa Cattolica edotta dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come madre amatissima» (LG 53). Tale titolo si trova anche in Leone XIII (1878-1903), almeno cinque volte in Giovanni XXIII (1958-1963), parecchie volte in Paolo VI (nell’Esortazione Apostolica «Signum magnum» il titolo è considerato «di fede»)[121] e moltissime volte in Giovanni Paolo II, il quale ne ha dato la seguente descrizione: «Maria è madre della Chiesa, perché, in virtù dell’ineffabile elezione dello stesso eterno Padre e sotto la particolare azione dello Spirito d’amore, ella ha dato la vita umana al Figlio di Dio (...). Il suo proprio Figlio volle esplicitamente estendere la maternità di sua madre (...) additandole dall’alto della croce il suo discepolo prediletto come figlio. Lo Spirito santo le suggerì di rimanere anche lei, dopo l’ascensione di nostro Signore, nel cenacolo raccolta nella preghiera e nell’attesa, insieme agli apostoli fino al giorno della pentecoste, in cui doveva visibilmente nascere la chiesa, uscendo dall’oscurità. E in seguito tutte le generazioni dei discepoli e di quanti confessano ed amano Cristo - così come l’apostolo Giovanni - accolsero spiritualmente nella loro casa questa madre, la quale in tal modo, sin dagli inizi stessi, cioè dal momento dell’annunciazione, è stata inserita nella storia della salvezza e nella missione della chiesa»[122].

 

5)    Fondamento teologico del titolo

       La già citata Kari Borresen ritiene che il titolo Madre della Chiesa, usato spesso nei documenti papali dopo il concilio Vaticano II, «applicato a Maria, rassicura i teologi che sono rimasti “massimalisti”, questo titolo infatti è cristotipico, implicando la collaborazione di Maria nell’opera della redenzione»[123]. Anche W. Beinart, editore dell’«Handbuch der Marienkunde», è piuttosto restio ad accettare il titolo Madre della Chiesa, che egli ritiene appartenere al linguaggio «immaginifico - simbolico» più che teologico[124]. Maria, più che Madre della Chiesa, è piuttosto Madre nella Chiesa. Anzi, il linguaggio teologico sembra essere più vicino alla realtà quando vede Maria non solo come madre, ma anche come sorella dei fedeli, il cui significato nella Chiesa e per la Chiesa è la solidarietà con noi nell’amore alla Trinità[125].

       La persistente reticenza nei confronti di questo titolo mariano, conferma la realtà della Chiesa che continua a meditare nel suo cuore il ruolo di Maria nella comunità dei fedeli. E questo ruolo - stando anche alle indicazioni del concilio - non è adeguatamente espresso dalla sola considerazione tipologica o paradigmatica di Maria nei confronti della Chiesa. Qualche teologo non esita invece a ritenere tale titolo come «indispensabile nell’espressione della missione di Maria»[126]. Del resto, dopo accurate indagini positive, difficilmente si può negare al titolo il suo fondamento biblico - ecclesiale[127], sì che a ragione Paolo VI già nel 1966 poteva parlare di «antica tradizione»[128].

       Anzitutto la maternità ecclesiale di Maria si fonda sulla sua maternità divina. Maria è madre della Chiesa «perché Madre naturale di Cristo, nostro capo e redentore»[129]. «La forza di questo ragionamento deriva dalla teologia del corpo mistico»[130]. Il Verbo di Dio incarnandosi possiede in sé in modo virtuale ed eminente la vita divina di tutti i cristiani. Per questo Maria generando il Cristo genera i membri della Chiesa. La maternità ecclesiale di Maria risponde così alla sua missione materna integrale[131].

       In secondo luogo, la maternità ecclesiale di Maria non è solo legata alla sua maternità biologica, ma anche alla cooperazione materna all’opera di Cristo. Siamo coscienti che in questo ambito bisogna essere prudenti per non contraddire il dettato della 1 Tm 2,5 sull’unica e completa mediazione di Cristo. Però anche il Vaticano II ha parlato di cooperazione di Maria - subordinata e del tutto dipendente da Cristo (LG 60,62) - «per restaurare la vita soprannaturale delle anime» (LG 61), «per la qual cosa è divenuta per noi madre nell’ordine della grazia» (ib). Sì che il concilio, pur evitando volutamente il titolo ne ha affermato la sostanza quando dice che «La Chiesa cattolica, edotta dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale venera Maria come madre amatissima» (LG 53). Il titolo è il prolungamento della dottrina conciliare sulla cooperazione di Maria e sulla sua maternità nell’ordine della grazia. Allo stesso tempo offre un’ulteriore specificazione al titolo di Madre di Dio. Se Theotokos innalza Maria fino al mistero della vita divina trinitaria, Ecclesiotokos porta Maria nel cuore stesso della vita della Chiesa, la quale mostra non solo il volto del Cristo, suo capo, ma anche quello materno di Maria sua Madre. Ecclesiotokos, infatti, è una conseguenza della maternità messianica di Maria, il cui contenuto più che da categorie classiche (non si tratta né di casualità efficiente, né di casualità finale) è dato da categorie di tipo personale e specificatamente femminili[132]. La casualità materna esercitata da Maria sulla formazione della Chiesa costituisce l’aspetto più fondamentale e sorprendente della sua maternità messianica. Si tratta di una casualità che appartiene all’esperienza comune dell’umanità e che ha un’importanza primordiale nell’esistenza di ogni essere umano. E’ una casualità che emerge dalla lettura evangelica dell’opera di Maria. L’annunciazione, ad esempio, è un sì all’instaurazione del regno messianico e quindi implicitamente alla formazione della Chiesa. Essere Madre del Messia significa per Maria impegnarsi anche in una maternità che contribuirà alla nascita del regno. Gli episodi di Cana e del Calvario sono tappe e manifestazioni di questo ruolo materno di Maria. Ricevendo Giovanni al Calvario (Gv 19,26), Maria riceve in eredità un altro figlio e in lui diventano figli di Maria. La maternità di Maria continua così nella Chiesa, come maternità nei confronti di ognuno dei discepoli[133]. La maternità di Maria da fisica si fa spirituale e adottiva e da individuale si fa comunitaria ed ecclesiale.

       Il titolo «Madre della Chiesa» rivela in terzo luogo la volontà del Padre di attribuire alla donna la più ampia influenza sulla formazione ed espansione della comunità ecclesiale. Evidenzia il ruolo di Maria come donna e come «madre amatissima» (LG 53). Questo aspetto di amore tra Maria e la Chiesa come fondamento della relazione materna era già stato indicato dalla tradizione teologica, quando affermava: «Illa est ergo nostra Mater verissima, quae nos maxime diligit»[134]. Nella maternità di Maria, Dio Padre ha voluto dare un volto materno alla comunicazione della grazia nella Chiesa. Inoltre, col suo cuore di Madre, Maria diventa nella Chiesa e per la Chiesa l’espressione dei sentimenti del Padre nei confronti dei propri figli nel Figlio. Infine il Padre, origine prima della maternità di Maria, diventa il termine ultimo verso cui conduce tale maternità ecclesiale di Maria[135].

       Precisiamo subito che tale titolo non intende porre Maria sopra o fuori della Chiesa, della quale Maria è membro. Esso intende mostrare fondatamente che Maria esercita una propria casualità materna nella nascita e nello sviluppo della Chiesa nella storia. Maria è un membro della Chiesa, in quanto redenta e in quanto fin dalla Pentecoste fa parte della comunità ecclesiale storica. Tale realtà, però non può eliminare il fatto che Maria come Madre coopera al sorgere e all’evolversi della Chiesa.

       Qui emerge la complessità dei rapporti esistenti tra Maria e la Chiesa (membro, figura, modello, madre) e anche l’importanza del linguaggio per esprimerli adeguatamente. Questo però non deve essere motivo di rifiuto del titolo Madre della Chiesa. Anche Teotokos contiene dei rischi e delle ambiguità sia nel contenuto che nel linguaggio. Con tale titolo non si vuole affatto affermare che Maria sia superiore a Dio. Così l’affermazione che Maria è Madre della Chiesa, non intende dire che Maria è sorgente principale della Chiesa. Intende, invece, affermare che Maria offre al Padre, al Figlio e allo Spirito la collaborazione umana e materna - affidatale come compito dalla stessa Trinità - in relazione alla comunità ecclesiale.

       La teologia contemporanea ha approfondito tale presenza materna di Maria nei confronti della comunità ecclesiale: essa diventa madre e modello di fede, speranza, di offerta generosa nel sacrificio, nel servizio, nella preghiera, nella testimonianza, nella comunione, Maria, inoltre, intercede maternamente per i figli presso il suo Figlio e, essendo nostra «madre nell’ordine della grazia» (LG 61), non fa mancare il suo influsso sulla diffusione della grazia, soprattutto di quella sacramentale.

       In conclusione; Maria, come Madre della Chiesa, resta e opera fondamentalmente nella Chiesa, con la Chiesa e per la Chiesa.

 

6)    Recezione del titolo

       Nonostante difficoltà e incomprensioni teologiche a poco a poco il titolo entra nel tessuto vivo della pietà cristiana. Il titolo rifluisce nella liturgia, secondo la massima «lex credendi lex orandi», e cioè dalla convinzione di fede alla celebrazione della fede. Paolo VI, in seguito a richieste provenienti da tutto il mondo, approva tre formulari di Messe su Maria Madre della Chiesa. I primi due sono riservati rispettivamente ai Serviti (13 luglio 1968) e ai Vescovi polacchi (11 ottobre 1971). Il terzo per la Chiesa universale corrisponde al testo della messa votiva «De Beata Maria Ecclesiae Matre», introdotto nella seconda edizione tipica del Messale Romano di Paolo VI nel 1975[136]. L’analisi teologica dei testi liturgici evidenzia la ricchezza biblica di tale titolo mariano. Ad esempio, nel prefazio si dice che Maria, accogliendo il Verbo nel suo cuore immacolato, «meritò di concepirlo nel grembo verginale» e «divenendo madre del suo Creatore, segnò gli inizi della Chiesa»[137]. Anche l’edizione tipica latina del 1981 del Missale Abrosianum contiene il titolo «Mater ecclesiae»[138].

       Amplissima recezione riservò a questo titolo il documento di Puebla nell’ambito della trattazione della Chiesa, «la famiglia che ha per madre la Madre di Dio» (n. 285; n. 282-291). Maria è «Madre della Chiesa, perché Madre di Cristo, capo del corpo mistico» (n. 287). «Essa è inoltre nostra Madre “perché cooperò con la carità” (LG 53) nel momento in cui dal cuore trafitto di Cristo nasceva la famiglia dei redenti» (n. 287).

       Puebla ha considerato Maria come Madre e modello non solo della Chiesa universale, ma in modo particolare della Chiesa latinoamericana. «Maria è nostra Madre» perché collabora alla generazione di nuovi figli nella Chiesa mediante l’opera dell’evangeliz­zazione (n. 288). Maria è «la Madre educatrice della fede» (n. 290) e con il suo «cuore grande come il mondo» (n. 289) non è solo «la pedagoga del vangelo nell’America latina» (n. 290), ma «implora il Signore della storia per tutti i popoli» (n. 289). Maria come vera Madre della Chiesa «è segno di riconoscimento del popolo di Dio» (n. 291). La presenza materna di Maria è indispensabile alla Chiesa: «Si tratta di una presenza femminile che crea il clima di famiglia, la volontà di accoglienza, l’amore e il rispetto per la vita. E’ una presenza e un sacramentale dei lineamenti materni di Dio. E’ una realtà così profondamente umana e santa da suscitare nei credenti accorate invocazioni d’affetto, di calore e di speranza» (n. 291).

       C’é disponibilità ad accogliere il titolo anche presso alcuni teologi non cattolici. Citiamo ad esempio, John Macquarry, il quale come «Lady Margaret Professor» ad Oxford, nel 1966 scriveva a proposito di Maria Madre della Chiesa : «io credo che questo titolo particolare più di ogni altro, fornisca una interpretazione del posto di Maria sulla quale cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti possono essere d’accordo»[139]. Le tre ragioni per questo suo consenso: 1) Gv. 19,27: molto probabilmente le parole «ecco tua madre» sono rivolte all’intera comunità cristiana; 2) il titolo dà a Maria una certa priorità nella Chiesa, dal momento che essa ha avuto un ruolo indispensabile nell’incarnazione del salvatore; 3) tale titolo vede in Maria il prototipo della Chiesa. secondo il cattolico G. M. Corr, trattandosi di un titolo personale e non istituzionale, esso può essere accettato da tutti i cristiani, creando così un clima di reale ecumenismo spirituale[140].

       Ancora recentemente il teologo evangelico U. Wickert ha ribadito che, da storico della Chiesa, egli vede una linea provvidenziale che parte dal dogma dell’Assunta e, in concomitanza col concilio, giunge alla proclamazione di Maria Mater Ecclesiae: «La solenne definizione di Pacelli e l’ispirazione (conciliare) di Roncalli, si appartengono, e si sono rivelate reciprocamente provvidenziali: e la “Mater Ecclesiae” di Montini in un certo senso pone il sigillo a tutto ciò[141]. Lo stesso teologo parla di Maria che, come «Ecclesiotokos», è la madre dell’unità[142]. Così anzi intitola una sua relazione tenuta il 1 giugno 1985: «Maria madre della Chiesa, madre dell’unità», nella quale afferma che l’unità dei cristiani è possibile, solo se la pietra scartata (in questo caso Maria) diventerà pietra angolare[143].

 

«Madre della Misericordia»

       Come si è visto, il titolo «Madre della Misericordia», con la sua non pacifica recezione dentro e fuori la Chiesa cattolica, sembra coagulare in sé le varie istanze e problematiche della mariologia postconciliare. Può essere considerato a ragione il filo conduttore che dal Vaticano II porta ai nostri giorni, attraverso l’importante passaggio della «Dives in misericordia»[144], con l’invocazione «Mater misericordiae». La liturgia stessa della messa votiva di Maria Madre della Chiesa, nella colletta, congiunge subito Maria al Padre delle misericordie: «Deus misericordiarum Pater, cuius Unigenus, cruci affixus, beatam Mariam Virginem, Genitricem suam, Matremque quoque nostram costituit, concede...»[145]. Si tratta di un titolo mariano tradizionale, usato per la prima volta in una preghiera di Oddone di Cluny († 942)[146] e presente nella «Salve regina», ma rimesso in nuova luce da Papa Giovanni Paolo II. E’ il grande annuncio di Dio, Padre delle misericordie (n.2), nella concretezza del mistero di Cristo, il rivelatore del Padre «ricco di misericordia». L’enciclica si concentra sulla realtà del mistero pasquale di Cristo, visto come un grande mistero di misericordia. Il Cristo morto e risorto è infatti «l’incarnazione definitiva della misericordia» (n.8).

       In questo contesto viene vista la «Madre della Misericordia» (n.9). Maria, infatti è «colei che, in modo particolare ed eccezionale - come nessun altro - ha sperimentato la misericordia e al tempo stesso, sempre in modo eccezionale, ha reso possibile col sacrificio del cuore la propria partecipazione alla rivelazione della misericordia divina» (ib.)[147]. Tale rivelazione si è attuata nello sconvolgente incontro della giustizia divina con l’amore («bacio dato dalla misericordia alla giustizia»).

       Maria  é quindi «colei che conosce più a fondo il mistero della misericordia divina». Ne conosce il valore e la grandezza e quindi a ragione la si può chiamare «Madre della misericordia: Madonna della misericordia, o Madre della divina misericordia».

       Senza voler anticipare quanto gli altri studiosi diranno su questo argomento, facciamo solo alcuni rilievi.

       Diciamo subito che il titolo «Madre della misericordia» si presenta in primo luogo non come un titolo «affettivo» ma «effettivo». Nel senso che la misericordia di cui si parla è anzitutto Cristo e il suo mistero. Così come aveva detto ad esempio Eadmero († 1141): «Ipse (cioè Cristo) enim misericordia nostra est, et tu (Maria) eiusdem misericordiae mater es»[148]. Maria cioè è la madre di colui che è misericordia.

       Questo titolo inoltre continua la meditazione della Chiesa cattolica sul ruolo materno della beata Vergine. Maria viene riproposta nella sua altissima missione sia di Madre di Cristo, sacramento per eccellenza della misericordia senza confini del Padre, sia di Madre della Chiesa, sacramento anch’essa della misericordia divina nella storia. Maria è infatti «colei che, attraverso la partecipazione nascosta e, al tempo stesso, incomparabile alla missione messianica del suo Figlio, è stata chiamata in modo speciale ad avvicinare agli uomini quell’amore, che egli era venuto a rivelare».

       Il titolo infine racchiude anche delle importanti risonanze affettive. La rivelazione della misericordia, infatti, «si fonda, nella Madre di Dio, sul singolare tatto del suo cuore materno, sulla sua particolare sensibilità, sulla sua particolare idoneità a raggiungere tutti coloro che accettano più facilmente l’amore misericordioso da parte di una madre». Maria diventa il luogo più opportuno e adeguato per la rivelazione della tenerezza di Dio e del suo amore misericordioso nel mistero pasquale del Figlio. Maria si presenta come la figlia del Padre delle Misericordie, come la madre del Cristo, misericordia incarnata, e come il sacrario dell’amore divino misericordioso. Maria è il volto materno e misericordioso di Dio. Ed essendo Madre della Chiesa, è anche il volto materno e misericordioso della Chiesa. Il Padre delle misericordie fa risplendere il volto della Madre della misericordia in tutta la Chiesa trionfante militante e sofferente.

       Il mistero di Dio Trinità, il mistero della Chiesa e il mistero di Maria sono tutti essenzialmente misteri di misericordia. Il titolo «Madre della misericordia», pone ancora una volta il problema della dimensione affettiva della teologia[149], come componente essenziale di conoscenza, di approfondimento e di partecipazione al mistero.

 

Maria, presenza universale

       La mariologia postconciliare è un grande cantiere in attività in cui Maria non è una «specialità confessionale»[150], ma una presenza universale significativa per tutti i cristiani e per tutti gli uomini e le donne del mondo. Non è una realtà alienante e da sottosviluppo teologico, ma si propone come la dimensione essenziale dell’autentica esistenza umana e cristiana, per questo è «marianische Grundexistenz».

       La presenza di Maria nel nostro vivere ecclesiale quotidiano è un dono del Padre, nel Figlio (soprattutto eucaristico) e nello Spirito Santo. Formando Maria, la Trinità restituisce alla nuova creazione la sua purezza originale. Formando Maria, la Trinità creatrice e redentrice forma la prima cellula della Chiesa[151]. E Maria, madre prototipo della Chiesa nella sua fede e nella sua comunione col Cristo, insegna alla Chiesa a far nascere Dio nel mondo. Puro inizio della Chiesa, Maria ne è soprattutto Madre misericordiosissima.


[1]        Cf. BEINERT W., Die mariologischen Dogmen und ihre Entfaltung in BEINERT W., - PETRI H.(Hrsg.) Handbuch der Mariankunde, Pustet, Regensburg 1984, p. 232. L’opera intera verrà d’ora in poi citata con Handbuch.

[2]        208° CAPITOLO GENERALE DELL’ORDINE DEI SERVI DI MARIA, Fate quello che vi dirà. Riflessoni e proposte per la promozione della pietà mariana, Curia Generalizia OSM, Roma 1983, n. 34. L’opera verrà citata d’ora in poi con Fate.

[3]        Cf. SÖLL G., Storia de dogmi mariani, LAS, Roma 1981. Cfr. anche dello stesso autore: Maria in der Geschichte von Theologie und Frömmigkeit in Handbuch, p. 93-231 (cfr. nota 1).

[4]        Per un’introduzione alla figura di Maria nella liturgia cfr. CASTELLANO J.,  (beata) VERGINE MARIA in SARTORE D. - TRIACCA A.M. (a cura) NUOVO DIZIONARIO di LITURGIA, Paoline, Roma 1984, p. 1553-1580.

[5]        Cf. DE FIORES S., Mariologia/Mariologia in  DE FIORES S. - MEO S.  (a cura), Nuovo Dizionario di mariologia, Paoline, Cinisello Balsamo 1985, p. 891-920. Il dizionario verrà citato d’ora in poi con Nuovo Dizionario di mariologia.

[6]        Cf. beinart w., Die mariologischen Dogmen, p. 236 (cfr. Nota I).

[7]        Cf. GHERARDINI B., Chiesa, in Nuovo dizionario di mariologia, p.352 (cfr. Nota 5).

[8]        Cf. LAURENTINI R., Marie dans la foi chrétienne. Situation et avenir in Initiation à la pratique de la Théologie, Cerf, Paris 1983, III p. 469-512.

[9]        Cf. RATZINGER J., Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 1969, p.226.

[10]      Cf. SÖLL G., Maria als Urbild und Mutter der Kirche, in SEYBOLD M. (Hsrg) Maria im Glauben der Kirche, Franz-Sales-Verlg, Eichstätt-Wien 1985, p.227. Quest’opera d’ora in poi verrà citata con Maria.

[11]      Cf. LAURENTINI R., Bulletin sur la Vierge Marie, Revue des Sciences Philosophiques et Téologiques 65 (1981) p. 333.

[12]      Cf. COURTH F., Marie heute neu gefragt? Trierer Theologische Zeitschrift 93 (1984) p.40-50.

[13]      Cf. SÖLL G., Congedo da Maria? in AMATO A. (acura), Annuncio cristiano e cultura contemporanea, LAS, Roma 1978, p.25-39.

[14]      Secondo l’infelice espressione usata durante il congresso mariologico di Zagabria nel 1971, in contrapposizione a quella tradizionale «De Maria numquam satis».

[15]      Cf. Fate, c. 6 (cfr., nota 2).

[16]      Ib.

[17]      Cf Nota 2.

[18]      Ib, n. 4.

[19]      Cf. FERNANDEZ D., Tendencias y enfoques de la mariología actual, Ephemerides Mariologicae 34 (1984) p.305.

[20]      Secondo le indicazioni della «Optatam totius» n.16 e della «Marialis cultus» n.29-39.

[21]      Cf. ad esempio alcuni studi a riguardo: La asunción de Maria desde las antropologías e la escatología actuales, Ephemerides Mariologicae 35 (1985) n.1-2; CASCANTE J.M., El dogma de la Inmaculada en las nuevas interpretaciones sobre el pecado original, Estudios Marianos 42 (1978) p. 113-146; DE FLORES S., Teología de la Inmaculada Concepción, Ephemerides Mariologicae 35 (1985) p. 299-310;  DE VILLAMONTE A.,La teología del pecado original y el dogma de la Inmaculada, Salmanticenses 22 (975). Per le caratteristiche generali della mariologia postconciliare, oltre agli articoli che citeremo, cfr. anche i seguenti studi:  BRAINE D., The Place the Virgin Mary in Dogmatics, Scottish Journal of Theology 37 (1984) p.145-162; CARROLL E.R., A Survey of Recent Mariology, Marian Studies 35 (1984) p.157-187; GOZZELINO G., Maria negli orientamenti della teologia attuale dal Concilio Vaticano II alla Marialis Cultuse al suo seguito in La Madonna dei tempi difficili, LAS Roma 1980, p.37-72; LURENTIN R., Presente i porvenir de la Mariología, Ciencia Tomista 76 (1985) p.5-31; LLAMAS E., Método Teológico y Mariología, Estudios Marianos 42 (1978) p.27-55; NAPIORKOWSKI S.C., La mariologie et se problèmes dans notre siècle, Miscellanea Francescana 85 (1985) p.564-575; PETRI H., Ueberlgungen zu Sprachproblem der mariologie in Maria e la Chiesa oggi, Marianum-Dehoniane, Roma-Bologna 1985, p.452-463.

[22]      Per ulteriori approfondimenti della relazione «Dio Padre - Maria» cf. AMATO A., Dio Padre in Nuovo Dizionario di Mariologia, p. 469-484 (cf. nota 5).

[23]      Per il rapporto «Gesù Cristo - Maria» cf. AMATO A., Gesù Cristo in Nuovo Dizionario di Mariologia,p.527-541 (cfr.nota 5).

[24]      Citato in P. Yousif, La Vierge Marie et l’Eucharestie dans S.Ephrem de Nisibe et dans la patrisique syriaque, Estudes Mariales 36-37 (1979-80) p.58 (in una nostra versione italiana). Per la relazione «Eucaristiia - Maria» cf. AMATO A., Eucaristia in Nuovo Dizionario di Mariologia, p. 1327-1362 (cfr.nota 5).

[25]      Cf. MÜHLEN H. Der Aufbruch einer neuen Verehrung Marias, Cartholica 25 (1975) p.156.

[26]      Cf. PIKAZA X., María y el Espíritu Santo, Estudios Trinitarios 14 (1981) p.3-82; Per un approfondimento della relazione «Spirito Santo - Maria» cf. AMATO A., Spirito Santo in Nuovo Dizionario di Mariologia p. 1327-1362 (cfr. nota 5).

[27]      Cf. HALKES, Catharina, Gott hat nicht nur Stärke Söhne. Grundzüge einer feministischer Theologie, G. MOHN, Gütersloh 19823 p. 55.

[28]      Cf. HAUSSCHILD Ingeborg, Die Verunsicherung der Gemeinden durch die «Feministiche Theologie» in BEYERHAUS P. (Hsgr), Frauen im teologischen Aufstand. Eine Orientierungshilfe zur «Feministische Theologie» Neu-hausen-Stuttgart 1983, p. 17.

[29]      Cf. DALY Mary, Beyond God the Father, Beacon Press, Boston 1973.

[30]      Cf. BURGGRAF Jutta, La madre della Chiesa e la donna nella Chiesa, Studi Cattolici 30 (1986) p.166.

[31]      HALKES Catharina., Maria e le donne, Concilium 19 (1983) p.1331.

[32]      Cf. Ib p.1328-1341.

[33]      Citata da BURGGRAF J., La madre, p.165 (cfr. nota 30).

[34]      Si tratta del testo ufficiale della III Conferenza generale dell’Episcopato latino-americano, che noi riporteremo nella y traduzione italiana autorizzata: Puebla. L’evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina, EMI, Bologna 1979.

[35]      Cf. BOFF L., Il volto materno di Dio. Saggio interdisciplinare sul femminile e le sue forme religiose, Queriniana, Brescia 1981, p.92. Una sintesi di questa ipotesi la si trova nell’opuscolo dello stesso autore che ha come titolo: Ave Maria. Il femminile e lo Spirito Santo, Cittadella, Assisi 1982.

[36]      BOFF L., Ave Maria, p.51 (cfr.nota precedente).

[37]      Ib, p. 54.

[38]      Ib, p. 66.

[39]      MOLTMANN J., Una mariologia ecumenica?, Concilium 19 (1983) p. 1215.

[40]      Cf. ad es. MEYENDORFF J., La teologia bizantina, Marietti, Casale M. 1984, p.181-184.

[41]      Cf. BARTH K., Die Kirchliche Dogmatik, Zollikon Zürich 19484 I/2 p.153.

[42]      MEHL R., Du catholicosme romain, Delachaux- Niestlé, Neuchâtel-Paris 1957, p. 91.

[43]      Cf. PETRI Heinrich, Maria und die Oekumene in Handbuck, p.332 (cfr. nota 1)

[44]      Pubblicato a Gütersloh da G.Mohn.

[45]      Cf. ad esempio, PETRI H., Maria p. 343-351 (cfr nota 43).

[46]      Cf. WICKERT U., Freiheit von Sünde. Erhöhung von Gott. Die Koinzidenz von Schöpfung und Erlösung in Mariens Erwählung und ihre heilsgeschichtliche Wirkung in Maria p. 59 (cfr. nota 10).

[47]      Cf. WICKERT U, Marie und die Kirche, Theologie und Glaube 68 (1978) p.388.

[48]      Cf. MOLTMANN J., Una mariologia ecumenica?, p.1217-1222 (cfr.nota 39).

[49]      Cf MARON G., Maria nella teologia protestante, Concilium 19 (1983) p.1297.

[50]      Cf Ib. p.1298.

[51]      Cf WICKERT U., Freiheit, p. 66 (cfr. nota 46).

[52]      Cf Fate, n.77 (cfr. nota 2).

[53]      Cf ELIZONDO V., Maria e i poveri: un modello di ecumenismo evangelizzatore, Concilium 19 (1983) p. 1316-1327.

[54]      Per una introduzione teologica al problema cf ALSEGHY Z., Il problema teologico dell’inculturazione del Cristianesimo; AMATO A. - STRUS A. (a cura) Inculturazione e formazione Salesiana, SDB, Roma1984, p. 15-39: Per un’introduzione bibliografica, cf. AMATO A., Inculturazione, Contestualizzazione, Teologia in contesto. Elementi di bibliografia scelta Salesianum 45 (1983) p.79-111.

[55]      Cf «Catechesi tradendae» n.53. Cf anche il documento della Commissione Teologica Internazionale su «Temi di ecclesiologia», pubblicato nel 1985 (il n.4 parla della necessità, del fondamento e dei diversi aspetti dell’inculturazione). Per il testo cf Il Regno Documenti 31 (11986) p.32-45.

[56]      Cf AMATO A., Mariologia in contesto. Un esempio di teologia inculturata: «Il volto meticcio di Maria di Guadalupe» (Puebla n. 446) Marianum 42 (1980) p. 421-469.

[57]      Cf AGOSTINO G., Pietà popolare in Nuovo Dizionario di Mariologia, p. 1111-1112 (cfr. nota 5).

[58]      Cf Fate, n.52 (cfr. nota 2).

[59]      Cf  BORRESEN Kari Elisabeth, Maria nella teologia cattolica, Concilium 19 (1983) p.1315.

[60]      Cf Fate, n.55 (cfr. nota 2).

[61]      Ib, n. 56.

[62]      Cf MÜLLER A., Discorso di fede sulla Madre di Gesù. Un tentativo di mariologia in prospettiva contemporanea, Queriniana, Brescia 1983.

[63]      Cf WOLFF Hanna, Gesù, la maschilità esemplare. La figura di Gesù secondo la psicologia del profondo. Queriniana, Brescia 1979. Gesù psicoterapeuta. L’atteggiamento di Gesù nei confronti degli uomini come modello della moderna psicoterapia, Queriniana, Brescia 1982.

[64]      Cf KASSEL Maria, Maria e la spiche umana. Considerazioni alla luce della psicologia dl profondo, Concilium 19 (1983) p.1347s.

[65]      Cf ad es., BEN-CHORIN S., La madre di Gesù in prospettiva giudiaca, Concilium 19 (1983) p.1240-1248.

[66]      Il Corano, Sura 21,91. Edizione italiana a cura di M.M. Moreno, UTET, Torino 1967.

[67]      Ib. Sura 3,42.

[68]      Cf ad esempio BERTOGLI V., Le mariologie musulmane, Laurentianum 20 (1979) p.274-311;  GEAGEA N., Mary of the Koran: a meeting point between Christianity and Islam, Philosophical Library, New York, 1984.

[69]      Così Paolo VI nell’omelia dell’8 dicembre 1985, in Insegnamenti di Paolo VI, LEV, Città del Vaticano 1975, XIII p. 1493s.

[70]      Cf von BALTHASAR H.U., La risposta della donna in Teodrammatica, Jaca Book, Milano 1982, III- p.263-331.

[71]      Cf BEINERT H., Die mariologischen Dogmen, p.303 (cfr. nota 1).

[72]      Cf SEYBOLD M., Nachfrage in Maria, p.133s (cfr. nota 10).

[73]      Cf DE FIORES S., Mariologia/Mariologia, p.893-896 (cfr nota 5).

[74]      Cf Ib, p. 906-912.

[75]      Cf Ib. p. 907.

[76]      Cf «Unitatis redintegratio» n.11. Cf BENASSI V., Per una collocazione teologica del dogma mariano. Annotazioni su «Unitatis Redintegratio» 11c Marianum 37 (1975) p. 358-369.

[77]      RAHNER H., Maria e la Chiesa, Jaca Book, Milano 1977, p.17.

[78]      Ib., p.19.

[79]      Ib, p.20.

[80]      In RATZINGER J. - von BALTHASAR H.U., Maria chiesa nascente, Paoline, Roma 1981, p. 27.

[81]      Cf DE LUBAC H., Meditazione sulla Chiesa, Paoline, Roma 1955, p. 389.

[82]      Cf Ib. p.392.

[83]      Cf Ib, p. 393-396.

[84]      Cf Ib., p. 423.

[85]      Secondo l’espressione dell’Olier, citato da de Lubac, ib. p.397.

[86]      IVONIS CARNOTENSIS EP, De nativitate Domini; PL 162, 57OC.

[87]      AURELII AUGUSTINI, De sacra virginitate, c.II; PL 40, 397.

[88]      PETRI DAMIANI, Sermo 63; PL 144,861B «Magna igitur et felix mater et beata virgo Maria, ex cuius visceribus caro Christi desumpta est, ex qua rarsus por aquam et sanguinem profluxit Ecclesia» E subito dopo: «Hoc itaque modo et ex Maria prodiisse videntur Ecclesia» (Ib).

[89]      Cf gli atti «Maria et Ecclesia», pubblicati dall’Accademia Mariana Internazionale in 16 volumi.

[90]      Cf QUADRIO G., Maria e la Chiesa, La mediazione sociale di Maria SS. nell’insegnamento dei Papi da Gregorio XVI a Pio XII, SEI Torino 1962.

[91]      Per una sintesi e bibliografia aggiornata della questione cfr. GHERARDINI B., Chiesa in Nuovo Dizionario di Mariologia, p.350-368 (cfr nota 5).

[92]      Cf RATZINGER J.- VON BALTHASAR H.U., Maria Chiesa nascente, (cfr. nota 80).

[93]      Cf. Ib. p.30.

[94]      Cf COURTH F., Zur Situation der deutschsprachigen Mariologie, Marianum 43 (1981) p. 152-174.

[95]      N. 10.4 (cfr. nota 55)

[96]      Cf DE LUBAC H., Meditazione, p. 415 (cfr nota 81).

[97]      Cf Ib. p.414.

[98]      Distinctionum monasticar. lib. III de Matre, in PITRA J.B., Spicilegium Solemense, Akad Druk - U. Verlagsanstalt Graz 1963 (ristampa anastatica dell’edizione parigina del 1855) III p.130,41s.

[99]      Cf DE LUBAC H., Meditazione, p.415 (cfr. nota 81).

[100]    Cf cit. in Ib.p. 419.

[101]    Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani Secundi, I 4,292. Citeremo come AS.

[102]    Cf AS II 3,306.

[103]    Cf AS II 300-338.

[104]    Cf AAS  56 (1964) p. 37.

[105]    Cf AS III 1,353-374.

[106]    Per una sitesi cf CASANOVAS CORTES R., El titulo«Madre de la Iglesia» en los textos y en las Actas del Vaticano II, Ephemerides Mariologicae 32 (1982) p. 252-257.

[107]    Cf AS 60,10-35; AS III 8,151-171; 375.

[108]    Cf AS III 1,542.

[109]    Cf GHERARDINI B. Chiesa p.358 (cfr. nota 91).

[110]    Cf GHERARDINI B., Mater Ecclesiae Sacra Doctrina 18 (1973) p. 145-184.

[111]    Cf Discorso di Paolo VI a chiusura del terzo periodo del Concilio in Enchiridion Vaticanum I n.300*.

[112]    Cf Ib.

[113]    Ib.

[114]    Ib. n. 307*.

[115]    Cf DÜRIG W., Ist die Inschrift des Magus-Epitaphs die früheste Bezeugung des neuen liturgischen Marientitels «Mutter der Kirche»? Münchener Theologische Zeitschrift 27 (1976) p. 376-384.

[116]    Cf ad esempio FERNANDEZ D., Origines Histórico de la expresión «Mater Ecclesiae» Ephemerides Mariologicae 32 (1982) p. 189-200.

[117]    BERENGAUDI, Espositio super septem visiones libri Apocalypsis; PL 17, 960B.

[118]    Distinctionum manasticar. lib. III, p. 130, 30- 131,3 (cfr. nota 98).

[119]    Per l’esame di queste testimonianze cf lo studio citato alla nota 116.

[120]    Cf «Bulla aurea gloriosae Dominae» (27 settembre 1748) in Bullarium Romanum 2, t. 2, n. 61 p. 428.

[121]    Cf AAS 59 (1967) p. 468.

[122]    «Redemptor hominis»n. 22. Per lo studio del titolo nei documenti pontifici cf MOLINA PRIETO A, Maria «Mater Ecclesiae» en los documentos pontificios Ephemerides Mariologicae 32 (1982) p. 201-222.

[123]    Cf BORRESEN K., Maria nella teologia cattolica, p.1312 (cfr. nota 59).

[124]    Cf BEINART W., Die mariologischen Dogmen, p. 301 (cfr. nota 1).

[125]    Cf Ib.

[126]    Cf GALOT J., Téologie du titre «Mère de l’Eglise» Ephemerides Mariologicae 32 (1982) p.159.

[127]    Per gli studi sull’argomento cf RIVERA A., Bibliografia sobre María, Madre de la Iglesia, Ephemerides mariologicae 32 (1982) p. 265-271.

[128]    Nell’enciclica «Christi matri» del 15 settembre 1966: AAS 58 (1966-67) p. 447s.

[129]    Paolo VI nel discorso del 2 febbraio 1965: AAS 57 (1965) p.250-251.

[130]    Così GHERARDINI B. Mater Ecclesiae, p.157 (cfr. nota 110).

[131]    Cf GALOT J. Théologie du titre p. 160 (cfr. nota 126).

[132]    Cf Ib. p.164.

[133]    CF Ib. p. 166.

[134]    Cf nota 118.

[135]    Cf GALOT J., Théologie du titre p. 173.

[136]    Cf Messale Romano, LEV, Città del Vaticano 1983, p. 894-850.

[137]    Cf Ib. p.336. Per uno studio accurato cf GARRIDO BONAÑO P., María, Madre de la Iglesia en la liturgía promulgada por Paulo VI, Ephemerides Mariologicae 32 (1982) p.223-235.

[138]    Cf. TRIACCA A.M. La Vierge Marie Mère de Dieu, dans la liturgie eucharistique ambrosienne in TRIACCA A., La Mère de Jésus-Christ et la communion des saints dans la liturgie, Edizioni Liturgiche, Roma 1986, p.322.

[139]    MACQUARRY J., Principles of Christian Theology,  SCM London 1966, p. 254.

[140]    G.M. CORR, «Mother of the Church» an ecumenical Title? Marianum 37 (1975) p. 290.

[141]    Cf WICKERT U., Freiheit, p.70 (cfr. nota 46).

[142]    Ib. p. 74, 82.

[143]    Ib. p.85.

[144]    AAS 72 (1980) p. 1177-1232.

[145]    Missale Romanum, TPV, Città del Vaticano, 19722- p. 849.

[146]    Vita S. Odonis I,9; pl 133, 47b.

[147]    Le frasi tra virgolette e senza riferimenti ono contenute nell’ampio n. 9 della «Dives in misericordia».

[148]    De concepcione 32; PL 159,314 D. Altra documentazione in MEO S.M. Maria «Mater misericordiae» in SARAIVA MARTINS J. (a cura), Dives in misericordia. Commento enciclica di Giovanni Paolo II, Urbanian University Press - Paideia, Roma-Brescia 1981, p. 451.

[149]    Cf GALOT J., Maria la donna nell’opera della salvezza, Università Gregoriana Editrice, Roma 1984, p. 19.

[150]    Cf BEINERT W., Die Mariologischen Dogmen, p. 236 (cfr. nota 1).

[151]    Cf LAURENTINI R., Tutte le genti mi diranno beata. Due millenni di riflessioni cristiane. EDB, Bologna 1986, p. 299.