George Gharib

 la madre di dio come madre di misericordia nel culto della chiesa orientale

 

       Il tema di questa relazione, così come si esprime nel titolo, è troppo vasto e mi preme ridimensionarlo su almeno due punti. Il primo riguarda ciò che si intende per «Chiesa Orientale»; il secondo riguarda il culto. Si può parlare, sì, di Chiesa Orientale, sottolineando la sua unità geografica, etnica e culturale; ma non bisogna dimenticare la sua pluralità di fatto e l’esistenza di diverse Chiese Orientali che sono: la Sira, l’Armena, la Copta, l’Etiopica e la Bizantina. Ognuna di queste diverse Chiese ha il suo patrimonio teologico, canonico, cultuale, artistico, ecc. Il patrimonio cultuale o liturgico di ognuna è di una grande ricchezza teologica, spirituale e simbolica e contiene tra l’altro tutto ciò che riguarda la teologia e la devozione mariana espresso in splendidi inni e bellissime preghiere. Il po' di tempo a disposizione ci obbligherà a limitare lo studio quasi esclusivamente alla Chiesa Bizantina e anche a poche manifestazioni del culto mariano in questa Chiesa[1].

 

La Madre di misericordia in alcune formule della preghiera giornaliera

       La Chiesa Orientale, specie bizantina, possiede un grande tesoro di inni e preghiere mariane, che risale prevalentemente al periodo patristico. Le preghiere portano nomi famosi come Basilio Magno, Giovanni Crisostomo, Giovanni Damasceno. Gli inni anonimi fino al V secolo, sono opera di melodi, poeti insieme teologi e musicisti che mettono sotto forma dossologica l’acquisto teologico dei grandi concili ecumenici. Tutto il mistero cristiano viene esposto, cantato, celebrato. Maria, per la sua connessione con l’insieme del mistero cristiano, è celebrata in mille modi come Theotokos (Madre di Dio), Panaghia (Tuttasanta), Aeiparthenos (Semprevergine) Achrantos (Immacolata), Kecharitomene (Piena di grazia), Nymphe anymphevte (Vergine e Sposa), ecc. Inni come l’Akathistos raccolgono i più bei nomi, i più belli attributi tratti dalla Bibbia e dalla creazione, componendo litanie senza fine[2]. Maria è celebrata anche come Madre di misericordia. Raccoglieremo qui di seguito alcuni testi tratti dall’ufficiatura giornaliera che illustrano il tema.

       Un primo testo lo incontriamo già nei Vespri, cantato insieme con l’Ave Maria nella sua forma greca. E’ indirizzato direttamente a Maria e così si esprime:

              Sotto la tua misericordia ci rifugiamo, o Theotokos:

              non disprezzare le nostre suppliche nelle tentazioni,

              ma liberaci dai pericoli, o sola Pura, sola Benedetta.

       Vi avete certamente riconosciuto il Sub tuum della Liturgia latina. Tutte le altre Chiese orientali hanno il testo, con talune piccole varianti. L’antichità di questa antifona è stata rivelata da un papiro egiziano databile alla metà del III secolo: allo stato attuale delle ricerche è la più antica preghiera indirizzata alla Madre di Dio[3].

       Il testo nella sua brevità, compendia in modo sorprendente i fondamenti dell’intercessione mariana e ne determina un preciso oggetto. I fondamenti sono la maternità divina di Maria e la sua misericordia. La maternità divina di Maria è espressa con il termine tecnico «Teotokos»: esso appare per la prima volta nella tradizione scritta preefesina; si ricorre all’intercessione di Maria perché si crede che ci può aiutare essendo Madre di Dio.

       Il secondo fondamento é la misericordia di Maria. Il termine greco usato é eusplanchnia che significa pietà, misericordia[4], compassione; i Bizantini, come avremo modo di vedere, lo usano molto spesso, dandogli il senso di tenerezza, compassione. Letteralmente significa avere «buone viscere» e come l’emozione profonda di fronte agli infelici muove fino alle viscere, il termine significa, au figuré, «viscere di bontà di fronte alla miseria», dunque misericordia. Nel linguaggio cristiano, il termine esprime in questo senso figurato un aspetto primordiale del cristianesimo. Nella Bibbia, Jahvé stesso è detto «misericordioso e pietoso» (Es 34,6). Nel Vangelo, Gesù raccomanda a tutti: «Siate misericordiosi, come é misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36). E San Paolo supplica gli Efesini: «Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi (eusplanchnoi), perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef 4,32).

       Risulta da questi testi (e da molti altri che si può citare) che la misericordia è la più alta forma dell’amore: non solo amare i nemici, ma manifestare a loro la forma più alta d’amore, la misericordia e la compassione, a imitazione di ciò che Dio fa per noi. Per quanto riguarda Maria, la fede riconosce nella Madre di Dio, la santa che imita meglio la misericordia divina. La misericordia indica la grande sollecitudine del cuore materno di Maria, incline alla misericordia. Rifugiarsi all’ombra di questa sollecitudine materna, equivale a trovare sicura protezione ed aiuto.

       L’Ora di Compieta contiene la più lunga preghiera alla Madonna dell’ufficiatura bizantina[5]. E’ attribuita a Paolo Monaco, del monastero dell’Everghetis, morto nel 1054. La preghiera viene recitata davanti all’icona della Madonna, in chiusura della giornata liturgica. Nell’introduzione, molto solenne, l’autore rievoca molti titoli di Maria, insistendo sul suo ruolo di ponte tra cielo e terra:

              Immacolata, incontaminata, intemerata, ineffabile casta Vergine, Signora, Sposa di Dio, che hai unito il Verbo di Dio agli uomini col tuo misterioso parto e ricongiunto al cielo la nostra natura che ne è stata cacciata.

       E prosegue, enumerando i benefici che Maria dispensa a tutti, specie ai disperati e ai peccatori:

              O unica speranza dei disperati e conforto degli afflitti, e sempre pronta protezione di chi ricorre a te e rifugio dei cristiani.

       Sapendo di essere grande peccatore, egli chiede di non essere disprezzato:

              Non disprezzare me, peccatore e misero, che mi sono corrotto con cattivi pensieri, parole e opere, e sono diventato per debolezza di spirito schiavo dei piaceri del mondo.

       A questo punto l’autore fa leva sull’autorità materna di Maria, Madre del Dio misericordioso:

              Ma tu che sei Madre del Dio amico degli uomini (philanthropos) amichevolmente abbi misericordia di me (splachnisthiti) peccatore e prodigo, e accetta la supplica che ti giunge dalle mie indegne labbra.

       Egli invoca anche l’ardire (parrhesia)[6] materno di Maria:

              Facendo uso della tua autorità, supplica il nostro Signore e Maestro che dischiuda anche a me le pietose viscere della sua bontà (philanthropa splanchna) e, non curando le innumerevoli mie colpe, mi converta a penitenza e mi renda fedele osservatore dei suoi comandamenti.

       A questo punto l’autore invoca la pietà e la misericordia di Maria, ricorrendo ad un ricco vocabolario:

              Sii sempre ai miei lati, pietosa (eleimon), compassionevole (sympathes) e benigna (philagathes): nella vita presente, calda protettrice ed aiuto per respingere gli attacchi dei nemici e guidarmi a salvezza.

       L’aiuto di Maria è richiesto durante la vita presente, ma anche nell’ora della morte, e specialmente nel momento del giudizio:

              e nell’ora del mio esodo per avere cura della misera mia anima e per respingere lontano le tenebrose visioni dei maligni demoni; e, nel giorno terribile del giudizio, strappami all’eterna condanna e fammi erede della gloria ineffabile del tuo Figlio e Dio nostro.

       L’autore è sicuro di poter aver parte a questa gloria per l’intercessione di Maria:

              Mi sia possibile, o mia Signore; santissima Deipara, di partecipare a questa gloria, per tua mediazione e protezione.

        La preghiera termina con una solenne dossologia:

              Per la grazia e la bontà del tuo unigenito Figlio, Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, a cui conviene ogni gloria, onore e adorazione, col suo eterno Padre, e il santissimo, buono e vivificante Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.

       Per quanto riguarda la liturgia eucaristica, ci soffermeremo su due luoghi dove la Madre della misericordia è invocata: il primo si incontra nella preparazione alla messa; il secondo in una preghiera di azione di grazia recitata dopo la comunione.

       La messa orientale possiede lunghi riti di preparazione del sacerdote volti a fargli prendere coscienza della grandezza dei «terribili misteri» a cui si accinge a celebrare. In uno di questi riti, il celebrante, prima di entrare nel santuario, viene a mettersi davanti alle porte sante dell’iconostasi dove recita con il diacono le preghiere iniziali, seguite da due antifone a Dio misericordioso, poi da questa alla Madonna:

              Schiudi a noi la porta della misericordia, o benedetta Madre di Dio; fa che, sperando in te, non veniamo delusi, ma siamo liberati per mezzo tuo dalle avversità; tu, infatti, sei la salvezza del popolo cristiano[7].

       Da notare che le porte del santuario sono chiuse. Il santuario è il simbolo del paradiso in cui vi è l’altare, l’albero della vita. Il sacerdote, in situazione di esilio bussa alla porta chiusa per poter entrare. Sui due battenti della porta è raffigurata l’Annunciazione. Maria con il suo Fiat ha aperto all’umanità decaduta le porte della prima patria. L’anima in pena continua a supplicarla di aprire la porta della misericordia.

       Il sacerdote di nuovo si inchina davanti all’icona di Cristo posta alla destra della porta dell’iconostasi invocando la sua benignità, poi si inchina davanti all’icona della Madre di Dio posta dall’altro lato, dicendo la seguente antifona:

              O Madre di Dio, fonte di misericordia (eusplanchnia), rendici degni della tua compassione; rivolgi il tuo sguardo sul popolo che ha peccato; mostra, come sempre, la tua potenza. Sperando in te, ti gridiamo: «Salve!» come già Gabriele, il Principe delle Schiere incorporee[8].

       L’allusione all’Annunciazione è molto significativa, come si è visto[9].

       La preghiera di azione di grazia dopo la comunione fa parte di un ufficio speciale[10] composto di inni e preghiere e diviso in due parti: la prima di preparazione alla comunione, la seconda di azione di grazia dopo la comunione. La preghiera su cui vogliamo soffermarci è indirizzata alla Madre di Dio e non porta nome di autore[11]. Essa comincia con l’invocazione:

              Santissima Signora Madre di Dio

       e prosegue chiamando Maria:

              Luce dell’opaca anima mia, o mia speranza e protezione, rifugio, conforto e giubilo.

       Viene poi espresso l’oggetto della supplica, che è quello di ringraziare Maria:

              Ti ringrazio, perché, quantunque immeritevole, mi hai reso partecipe del Corpo immacolato e del Sangue prezioso del tuo Figlio.

       Poi viene chiesto a Maria:

              Tu che hai partorito la vera luce del mondo, illumina gli occhi spirituali del mio cuore. Tu che hai generato la sorgente dell’immortalità, vivifica me, morto per il peccato.

       A questo punto si invoca la Madre di misericordia in questi termini:

              O Madre misericordiosa (phileusplanchnos) del Dio pietoso (eleimon), abbi pietà di me (eleison me).

       Il termine che abbiamo tradotto per «misericordia» è molto più ricco in greco: Maria è difatti chiamata phileusplanchnos, insieme amica e misericordiosa. Così Maria non è più l’inaccessibile Santissima Signora Madre di Dio invocata all’inizio, ma l’amica misericordiosa, capace di rispondere alla richiesta di nuove grazie. La preghiera difatti prosegue:

              E infondi nel mio cuore compunzione e dolore, umiltà nei miei pensieri, e ravvedimento dai giudizi a cui sono asservito.

       Tornando al sacramento ricevuto, si chiede a Maria:

              Fammi degno, fino all’ultimo respiro, di ricevere senza condanna la santificazione dei tuoi purissimi misteri, a salute della mia anima e del mio corpo.

       La supplica finale è quasi una promessa a Maria:

              Domani lacrime di penitenza e di confessione, affinché io ti possa inneggiare e glorificare per tutti i giorni della mia vita, perché tu sia benedetta e glorificata per tutti i secoli. Amen.

 

La Madre di misericordia in un inno di Romano il Melode

       Ci siamo fermati finora su alcuni testi liturgici di recita giornaliera. L’anno liturgico ci offre molti altri testi: Ci vogliamo soffermare ora su uno di questi, tratto dal 26 dicembre, giorno in cui si festeggia la maternità divina di Maria e da considerare come la più antica festa della Madonna, legata al Natale. Nell’ufficiatura del giorno si canta come «kondakion» un inno di Romano il Melode, poeta di origine siriana ma vissuto e morto a Costantinopoli verso il 560 sotto l’imperatore Giustiniano (+565)[12].

       L’inno in questione, formato da un Proemio e da 18 stanze o strofe legate tra loro dall’acrostico e dal ritornello «Piena di grazia» ripetuto in coro da tutti i presenti, riprende a suo modo il tema della Nuova Eva e mostra l’intimo legame che unisce il piano della salvezza nelle due fasi della caduta e della restaurazione e il posto che in ambedue ebbe la donna quale mediatrice di rovina (la vecchia Eva) e di redenzione (la Nuova Eva).

       Romano vi sceneggia Maria mentre cullava il Figlio cantandogli una specie di ninna-nanna dove, dopo aver celebrato le grandezze di Dio in lei compiute, esclama:

              «Rallegratevi ora come me, terra e cielo: io porto il vostro Creatore tra le braccia. O voi della terra, mettete fine alle vostre tristezze, contemplando la gioia sbocciata nel mio immacolato seno, quando mi sono sentita chiamare Piena di grazia» (str.2).

       Chi sente questo lieto canto è Eva che si struggeva in fondo all’Ade (srt. 3); essa sveglia subito il marito, dicendogli tra l’altro:

              «O Adamo, al sentire il grido della rondine che annuncia l’aurora, scuoti il tuo sonno di morte e alzati» (str. 4).

       Adamo si sveglia, ma si mostra esitante, per paura di un nuovo inganno. Romano gli mette in bocca l’amara ironica riflessione:

              «Sento un dolce gridare, un canto incantevole, ma la voce del modulatore non mi adescherà questa volta: è la voce di una donna, per questo ne ho paura. Ho esperienza  e diffido di ogni femmina. La voce mi piace, perché è tenera, ma il prezzo mi allarma: sta forse cercando di ingannarmi un’altra volta portandomi il disonore la Piena di grazia?» (srt. 5).

       Eva lo rassicura e tutt’e due si dirigono verso la grotta ove Maria li accoglie alla porta (str. 6-7).

       Alla vista della Vergine, Adamo lascia parlare il cuore ed esclama:

              «Eccomi ai tuoi piedi, o Vergine Madre Immacolata e, mio tramite, tutta la mia stirpe ti sta avanti. Non disprezzare i tuoi genitori, poiché il Bambino tuo ha rigenerato quanti sono nella corruzione. O Figlia, abbi pietà (oiktirison) di me invecchiato nell’Ade, Adamo, prima creatura: ascolta il gemito di tuo padre. Vedendo le mie lacrime, siimi misericordiosa (splangchnisthiti) ed ai gemiti presta orecchio benevole. Vedi i cenci che fabbricò per vestirmi il serpente, difendi la mia estrema povertà presso colui che hai messo al mondo, o Piena di grazia!» (str. 8).

       Anche Eva supplica, esponendo la sua propria miseria, spesso pungolata dai rimproveri di Adamo accusandola di essere la causa di tutto.

       A questo punto Romano descrive in questi termini la reazione di Maria:

              «Gli occhi di Maria su Eva e su Adamo, si empirono di lacrime. Presto però le contenne, cercando di dominare la natura, ella che oltre la natura aveva dato alla luce il Cristo. Le sue viscere (splanchna) furono scosse dalla compassione (sympaschousa) per i parenti, perché al Pietoso (eleimon) si addiceva una Madre misericordiosa (eusplanchnos). Perciò ella disse loro: “Ponete fine ai lamenti, mi farò vostra avvocata presso il Figlio mio. Intanto, non più tristezza, perché ho messo al mondo la gioia. Sono venuta al mondo per rovesciare il regno del dolore, io, Piena di grazia”» (str. 10).

       E Maria continua, adducendo le ragioni della sua fiducia:

              «Ho un Figlio misericordioso (oikteirmona), ricco di pietà (eleimon) e lo dico per esperienza... Come un padre ama i propri figli, così il Figlio mio ama quanti lo temono» (str.11).

       E di proporsi come lo mediatrice presso il Figlio.

       A questo punto Maria si accosta al Figlio e gli riferisce la richiesta dei primi parenti, aggiungendo: «Essi mi supplicano di prestargli protezione» (str. 12). La risposta messa in bocca a Gesù da Romano è di straordinaria ricchezza e esprime tutto il piano della salvezza in chiave di amore e di compassione:

              «O Madre..., se non avessi desiderio di salvarli, non avrei abitato in te... E’ per la tua stirpe che abito in una mangiatoia..., per amore loro tu porti in braccia me, che i Cherubini non vedono (str. 13) ...Io sono disceso sulla terra affinché essi possano avere la vita...» (str. 14).

       Gesù aggiunge che conta ancora fare di più, ma non vuole dirlo per non turbare la sua Madre.

       A queste parole, Maria si turba lo stesso e supplica il Figlio di rivelarle ciò che manca ancora a questo suo disegno di amore (str. 15). Romano mette in bocca a Gesù la seguente risposta:

              «Sono sopraffatto dall’amore che sento per l’uomo. Io, o Ancella e Madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere ciò che sto per fare e avrò rispetto per la tua anima, o Maria. Il Bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai fra non molto con le mani inchiodate, perché ama la tua stirpe. Colui che tu nutri, altri l’abbevereranno di fiele; colui che tu chiami vita, dovrai vederlo appeso alla croce, e di lui piangerai la morte!» (str. 16).

       E Gesù di aggiungere:

              «Tutto questo sopporterò volentieri, e causa di tutto questo è l’amore che ho sempre sentito e che sento tuttora per gli uomini, amore di un Dio che non chiede altro che di poter salvare» (str. 17).

       E per consolare la Madre, Gesù le promette che sarà la prima a vederlo dopo la risurrezione. E per quanto riguarda la sua richiesta in favore dei parenti, egli afferma:

              «O Madre mia, é per causa tua e per mezzo tuo che ioli salverò» (str 13).

       E di proclamarla Regina:

              «Considera la mia morte quale sonno, Madre mia. Dopo tre giorni nel sepolcro volontario, tu mi vedrai rivivere e rinnovare la terra e tutti i terrestri. Queste cose, Madre, annunciale a tutti. Di queste cose fanne tesoro, per queste cose sii Regina, a causa di queste cose rallegrati» (str. 18).

       L’inno stesso termina in modo breve e brusco:

              «Maria allora si affrettò ad uscire per recarsi da Adamo e, portando la buona novella ad Eva, disse: “Abbiate ancora pazienza: avete udito ciò che egli si prepara a soffrire per voi, voi che mi acclamate Piena di grazia» (str. 18).

       Si è creduto che l’inno sia pervenuto troncato. Può avallare la cosa l’assenza della preghiera finale che conclude la maggior parte degli inni di Romano. Crediamo invece che Romano non voleva andare più oltre, come lo conferma l’acrostico. Intento del Melode non era di soffermarsi oltre sulla storia di Adamo ed Eva, ma di celebrare Maria come mediatrice e collaboratrice dell’opera di amore e di misericordia di Dio in favore dell’umanità decaduta e bisognosa di salvezza.

 

Il Patto di Misericordia nella Chiesa etiopica

       Tra le Chiese orientali spicca la Chiesa Etiopica per la sconfinata devozione alla Madonna. Questa è basata su alcune convinzioni che sono per gli Etiopi come verità rivelate. Esse sono:

1.    l’esistenza di una comunanza di sangue e parentela con la Madonna tramite la Regina di Saba;

2.    per loro l’Etiopia sarebbe stata scelta dalla Madonna e a lei donata dal Redentore come feudo e perpetuo retaggio, e questo durante la fuga in Egitto;

3.    per il Kedana Meherat o Patto di misericordia stipulato tra Cristo e sua Madre sul Golgota, per la salvezza di tutti, specie dei peccatori. «Tale Patto - è stato scritto - nella mentalità etiopica è come il “terzo” o “nuovissimo Testamento” dell’economia divina per la salvezza del genere umano[13].

       I testi che presentano il Patto non sono concordi né sul luogo né sul momento in cui il Patto fu stipulato. Si parla del Pretorio ai tempi della Passione, o del Golgota dove Maria era solita pregare dopo l’Ascensione del Figlio, o nella casa di Maria nel giorno stesso della sua Dormizione. In ogni modo gli Etiopi sono così convinti della realtà del Patto da celebrarlo liturgicamente in una festa annuale al 16 del mese di Yakatit (corrispondente al 26 febbraio) e da ripeterne la commemorazione il 16 di ogni mese, come fanno per le grandi feste.

       Il fatto è così riferito dal Sinassario o lezione storica che si legge il giorno della festa: dopo l’Ascensione, Maria era rimasta nella casa di Giovanni. Frequentemente si recava al sepolcro del Figlio sul Golgota. I giudei la volevano lapidare, ma il Signore la nascose. Gesù la visitava sempre e gli angeli la servivano. «Una volta quelli la presero e le mostrarono il luogo della regione dei giusti i quali alla sua vista esclamano: “Lode al Signore, che per noi ha creato te...! Per te abbiamo trovato salvezza e sei divenuta per noi porto di salvezza, lontano dalla rovina, per l’incarnazione del Figlio nato da te”. Gli angeli quindi la presero con sé sul trono della sua gloria... Poi gli angeli la presero per mostrarle il luogo dei tormenti. A questa vista Maria esclama: “Ahimé, ahimé! Oh, se qualcuno avvisasse i figli degli uomini di non venire qua!” L’Angelo la rassicura, dicendo: “Non temere Maria: il Signore è con te, con te e con quelli dopo di te”. Poi gli angeli la presero e la ricondussero al suo luogo».

       D’allora in poi - prosegue il racconto - Maria nostra Signora cominciò ad essere triste assai a causa dei peccatori tutti. In questo stesso dì, il 16 Yakatit, si trovava al Calvario a pregare il Figlio:

              Ti scongiuro, Figlio mio, per Dio, tuo Padre, Cristo, il tuo nome, lo Spirito tuo Paraclito, e per il mio seno in cui ti portai per nove mesi e cinque giorni mentre la terra non ti può portare e gli angeli non osano avvicinarsi a te.

              Ti scongiuro, Figlio mio, per la tua nascita da me senza dolore e la tua generazione senza pena.

              Ti scongiuro, Figlio mio, per il mio petto che ti nutrì e le mie labbra che ti baciarono.

              Ti scongiuro per le mie mani, che ti abbracciarono, e per i mie piedi, che comminarono con te.

              Ti scongiuro per il presepe, dove giacesti, e per i panni, in cui fosti avvolto.

              O Figlio, mio diletto, ti prego e supplico: ascolta la voce della mia domanda, vieni e compi tutto ciò che ho in cuore.

       «A queste parole di Maria - prosegue - Madre della Luce, Gesù appare attorniato da angeli e dice alla Madre: “Che vuoi che ti faccia, Maria, Madre mia? Maria Patrona pietosa, rispose al Figlio diletto:

              Figlio mio, diletto mio, Signore e Salvatore, speranza e mio rifugio, in cui pongo la mia fiducia: tu mi hai dato consistenza nel seno di mia madre, mi copristi nell’utero, tu sei ognora il mio ricordo. Ascolta dunque la mia preghiera e la mia petizione; porgi l’orecchio a ciò che con la mia bocca ti dirò, io, Maria, tua Madre e tua ancella:

              Se qualcuno rievoca la mia memoria, edifica una chiesa nel mio nome, riveste un nudo, visita un ammalato, ciba un affamato, disseta un assetato, consola un afflitto, allieta un mesto, scrive le mie lodi, dà a suo figlio il mio nome, canta un inno nella mia festa: rimuneralo; Signore, con la buona mercede che tu elargisti, che occhio non ha visto, orecchio non ha percepito, a cui cuore umano non ha pensato.

              Ti prego dunque, Signore, e ti supplico per chiunque confida in me: liberarlo dall’inferno, ricordandoti della fame, della sete e di quanto ho sofferto con te.

       Il Sinassario termina con la seguente risposta di Gesù all’accorata richiesta di sua Madre: «Sia come hai detto e ti esaudirò ogni richiesta. Non son forse divenuto uomo per mezzo tuo? Ho giurato per il mio capo: non smentirò il patto che ho stretto con te!»[14].

       In un altro testo, più recente, la risposta di Gesù è molto più circostanziata. Gesù insiste sul posto essenziale che occupa Maria nel piano di amore e di misericordia di Dio per l’umanità:

       «Madre mia - risponde Gesù - mi hai presentato una buona domanda per la salvezza di tutti. E’ questo il desiderio che il Padre mio nutrì prima del mondo. Quando demmo ad Adamo una donna, abbiamo posto in bocca a lui una parola, perché le desse un nome dicendole: “Sii chiamata Vita”. Ciò non fu per lei, ma fu una profezia di te. Quella non fu vita, ma fu omicida, ché fu a capo della ribellione. Tu sei la vita, Madre mia, ché chiedi la vita per tutti - Quando stringemmo il patto con Noé, gli mostrammo il segno del patto e gli demmo te stessa, l’iride nel cerchio del cielo. - Anche con Abramo stringemmo un patto, quando Dio disse ad Isacco: “Tuo figlio sarà chiamato per te seme”. - Quando apparvi a Giacobbe, mi fosti scala e sedetti sopra di te. - Quando apparvi a Giobbe, mi fosti nube e reclinai sul tuo dorso. - E quando apparvi a Mosé mi fosti albero e accesi su te la mia divinità».

       Poi Gesù evoca tutte le sofferenze della sua vita terrena: umiliazione della grotta, esilio, fame, sete, flagellazione, chiodi, lancia, per affermare che tutto faceva parte dello stesso piano d’amore di Dio: «Madre mia, tutto ciò mi è capitato nella mia carne, per compiere il volere di mio Padre, che mi ha inviato per salvare il mondo. Egli aveva predetto per bocca di Isaia: “Per il peccato del mio popolo andai alla morte”».

       Parlando poi delle sofferenze di sua Madre egli afferma di considerarle uguale alle sue: «Madre mia, i miei tormenti per la croce e il tuo pianto siano uguali. Il sangue per i chiodi, la trafittura subita e le tue lacrime siano uguali. Il mio calice di morte e il tuo lamento siano uguali. La mia dimora nel sepolcro e il tuo deliquio con le tue fatiche siano uguali. Io sono il Salvatore del mondo e tu, la vita del mondo tutto».

       Per cui tutto ciò che Maria chiede o desidera, viene compiuto dalla Trinità: «Tu intercedi - continua Gesù - e il Padre mio ha misericordia. Tu sei protettrice ed io, clemente. Tu preghi e lo Spirito Santo perdona i peccati del mondo tutto».

       Detto questo, Gesù termina con questa promessa solenne: «Per te, Madre mia, farò ciò che ho fatto a nessuno, ché tu mi hai generato per la salvezza del mondo. Il Padre mio desterà il tuo animo, perché chieda presso di lui e interceda dinanzi a lui. Io renderò salda la fiducia del tuo animo nello Spirito Santo ed egli renderà tenera la sua mansuetudine. Ebbene quanto sgorgherà l’acqua delle tue lacrime e quando vedrò i tuo occhi di colomba spargere lacrime calde, il mio interno si commuoverà. Si raffredderà perciò il fuoco della mia collera, i flutti della mia ira si ammansiranno d’improvviso scenderà la mia misericordia e la mia clemenza dove tu vorrai».

E ancora: «Sii un ponte per quanti ti amano: per mezzo tuo salgano dalla terra al cielo, come ho detto nel mio vangelo: Io, quando sarò sollevato da terra, trarrò tutto a me. – Con che lo trarrò? Non sei tu la fune della mia misericordia? Per mezzo tuo traggo gli eletti del Padre mio»[15].

       Per gli Etiopi, il Patto di misericordia è diventato il nome proprio di Maria e la sola sua invocazione può salvare: «Questo è il Nome di Nostra Signora, la santa doppiamente Vergine, Maria, Madre di Dio; il Nome che quando è invocato si scuotono il firmamento dei cieli e le viscere della terra sino alle fondamenta dello Sceol. E sono turbate dal timore le ali degli angeli, come foglie squassate dal vento. Quando questo nome è invocato, a parte il timore delle creature, anche il Nostro Signore e Salvatore, Figlio di Lei, che ha nelle sue mani l’onnipotenza, quando fa comparire innanzi a lui il peccatore per pronunziare il giudizio di condanna, se sente invocare quel Nome di Maria che è scritto con l’inchiostro del Patto sulla fronte del peccatore, abbandona in clemenza l’aula del giudizio e tralascia la condanna»[16].

 

Il tipo iconografico dell’Eleousa[17]

       L’iconografia bizantina esprime in diversi modi il tema della Madre della misericordia. Il più interessante e ricco per il nostro proposito è il tipo iconografico mariano detto dell’Eleousa. Il termine designa un tipo di icona che appartiene al gruppo più vasto della Brephocratousa (o Madonna con Bambino), ma se ne distingue per delle caratteristiche peculiari. L’Eleousa abbandona la rigidità di atteggiamento propria dell’Odigitria, nella quale non v’é posto per i sentimenti; al contrario essa lascia trasparire un innegabile senso di affettività e di tenerezza. Le guance del Bambino e della Madre si avvicinano: le due figure si scambiano bacio e carezze; la Madre tiene tra le sue la mano del Bambino; il Bambino spinge l’affetto sino a portare il braccio a cingere il collo della Madre.

       Il termine Eleousa designa appunto l’atteggiamento amoroso della Madre, volto a provocare la pietà (eleos) e la misericordia del Figlio verso i fedeli e anche lo scambio di affetto tra lei ed il Figlio. Il tipo mette dunque in rilievo l’affetto che lega Madre e Figlio in vista del bene da elargire ai fedeli e insiste sull’umanità del Figlio, in contrasto con il tipo della Odigitria, ove l’accento è messo sulla divinità di lui.

       Testi liturgici di origine slava attribuiscono il prototipo al pennello di San Luca che, secondo una radicata tradizione, avrebbe lasciato ritratti della Madonna fatti dal vivo. Ma questa tradizione non è suffragata dai fatti: la più antica raffigurazione del tipo, un avorio che proviene dall’Egitto risale soltanto al sec. VIII. A nostro parere si può salvare l’attribuzione a San Luca considerando il tipo quale derivazione della Odigitria attestata, questa a partire già dal V secolo. In ogni modo la prima manifestazione della presenza dell’Eleousa a Costantinopoli risale al periodo tra i secoli XI e XII. Esistevano in questa città almeno due chiese dedicate all’Eleousa. La più recente fu costruita dall’imperatore Giovanni II Comneno (1118-1143) nel palazzo imperiale, non lontano dalla cappella funebre gentilizia dedicata a San Michele. E’ noto che durante il regno dei Comneni, l’Odigitria veniva trasferita ogni venerdì nella chiesa dell’Eleousa per una solenne cerimonia. Documenti di un arte figurativa di questa processione attestano la presenza di una icona di questo tipo nella chiesa dell’Eleousa[18]: siamo nel secolo XII e, dunque, non lontano dal tempo in cui la famosa icona della Madonna di Vladimir lasciò la capitale bizantina per Kiev e ciò tra il 1130 ed il 1135[19].

       Dell’Eleousa sono pervenute molte riproduzioni nelle forme più svariate: mosaici, affreschi, monete e icone. Il tipo esiste con maggior frequenza a mezzo busto, ma le altre raffigurazioni riproducono la Madonna a tutta figura, in piedi o seduta. Da notare che la scritta Eleousa si rileva di rado sulle icone: queste non portano il nome del tipo, ma altro nome. Come accennato, la replica più antica che si conosca è in avorio: proviene da Alessandria d’Egitto e si conserva nella Walters Art Gallery di Baltimora. La replica più bella, invece, è la Madonna di Vladimir in cui l’iconografo ha fuso insieme la tipologia dell’Eleousa e della Odigitria; mentre infatti i volti dei due protagonisti si stringono in affettuoso slancio, il braccio della Madre rimasto libero indica il Figlio.

       Esistono diverse varianti dell’Eleousa: in esse si ritrovano gli elementi distintivi del tipo: ma con alcune modifiche nei gesti e nell’espressione affettiva: il Bambino inizia a presentare movimenti del corpo, si agita, accarezza con la mano la guancia della Madre, e questa cerca di calmarlo, ecc. Tra le principali varianti citiamo la Glykophilousa (Colei che abbraccia dolcemente), la Panton Chara (La Gioia di tutti), la Gorgoepikoos (Colei che soccorre prontamente), la Kardiotissa (Dal gran cuore o Rincuorante), la Pelagonitissa, la Madonna della Passione conosciuta, questa, come la Madonna del Perpetuo Soccorso in Occidente, ecc. In Russia il tipo è conosciuto sotto molti altri nomi; Vladimirskaia, Kostromskaia, Donskaia, Tolgskaia, Korsunskaia, Jaroslavskaia, ecc.

       Che l’Eleousa sia da considerare come l’icona della Madonna Madre di misericordia, risulta da molti testi liturgici, che sarebbe troppo lungo enumerare. Ci accontentiamo di riprodurre qui alcuni versi riferiti all’Eleousa e tratti dall’Ermeneutica della Pittura specie di manuale dell’iconografo compilato sul Monte Athos dal monaco Dionisio Da Furnà: Ecco questi versi:

              Tu ami senza sosta cingendo con le mani

              colui che ti tiene per mano, o Signora del mondo;

              imploralo per coloro che ti glorificano

              e fiduciosamente ti riconoscono Madre di Dio.

Altri versi politici rimati per Colei che ama teneramente:

              O Maria, Madre di Dio, o tu che ami Iddio,

              Genitrice del tuo Figlio e Signora pietosa,

              scongiura che sia concesso il perdono dei peccati

              a me, Niceforo, empio sacerdote.

Altri versi ancora più concisi, per la stessa icona:

              O Maria che ami teneramente,

              supplica il tuo Figliolo

              di concedere la remissione dei peccati

              a me Niceforo, sacerdote[20].

 

Conclusione

       Mi sia permesso, dopo l’esame di questi testi tratti per lo più dalla liturgia bizantina, fare alcune considerazioni.

       1)    La prima riguarda il vocabolario. Il termine di «Madre di misericordia» non si incontra tale quale. Si parla di preferenza della misericordia di Maria (come del resto della misericordia di Dio) e di Maria come misericordiosa. Il vocabolario usato è abbastanza ricco: eleimon (pietosa) e derivati (panteleimon, eleousa); sympathes (compassionevole); oiktermon (pietosa); philagathes (amica che vuole bene); eusplacchnos e derivati (phileusplancnos e polyeusplanchnos). Quest’ultimo termine è il primo ad apparire (sec III, nel Sub tuum) ed il più costantemente usato. Letteralmente significa «avere buone viscere»per il debole, il misero. Il termine semitico che traduce è «rahamîn», «rehem» che significa utero, da dove provengono due dei bei nomi di Dio che ricorrono nella «basmala» premessa a tutte le sure del Corano Rahmân e Rahîm. La misericordia è la più alta forma dell’amore, raffigurata dall’amore della madre per il frutto dell’utero o delle viscere, come hanno tradotto i greci. Dio é misericordioso, perché ama la sua creatura e Maria è associata a questo piano di amore di Dio.

       2)    Maria è misericordiosa perché scelta e diventata Sposa di Dio misericordioso il quale l’ha associata al suo piano di misericordia facendone la Madre del proprio Figlio. Secondo Teofane di Nicea (+1381) essi possono dire al loro frutto comune: Nostro Figlio unico, nostro beneamato, nostre comune viscere[21]. Ora - aggiunge - il Figlio di cui Maria è Madre è anche nostro fratello per grazia: così Maria è la Madre spirituale dei fratelli del Figlio; essendo così la loro Madre, è anche la loro avvocata, la loro mediatrice, la loro via di salvezza. «La Madre di colui che, per bontà ineffabile, volle essere come un nostro fratello, è dispensatrice e legittima distributrice dei benefici dello Spirito non solo perché distribuisce i doni del Figlio a quanti sono i fratelli per la grazia, ma anche a quelli che sono propri suoi figli non tanto secondo la natura quanto per grazia»[22].

       3)    A Maria è riconosciuto un vero potere di Madre una «parrhesia», un ardire materno presso Dio che si esercita in favore di tutti, specie i peccatori. Germano di Costantinopoli (+ 733), rivolgendosi a Maria esclama: «Ma tu, che presso Dio hai il potere di Madre, procuri in sovrabbondanza il perdono a coloro che abbondantemente peccano. Infatti non è possibile che tu non sia ascoltata, poiché colui che è Dio per tutto e in tutto, obbedisce a te come vera ed incontaminata Madre sua...»[23]. Questo gli permette anche di dire: «Nessuno è salvato se non attraverso di te, o tutta santa. Nessuno è liberato dai mali se non attraverso di te, o tutta casta. Nessuno è commiserato per grazia se non attraverso di te, o tutta venerabile...»[24].

       4)    Fin dove arriva l’amore misericordioso di Maria? ― I testi sembrano affermare che arriva fin dove giunge la misericordia di Dio. E in caso di contrasto con la sua giustizia? Il Patto di misericordia risolve il contrasto, come si è visto in favore di Maria. Anche Germano di Costantinopoli afferma che Maria riesce a scongiurare la giustizia di Dio: «Tu trasformi ― dice ― “la collera, lo sdegno, la tribolazione, carico di angeli cattivi” (Sal 78,49); tu fai rivolgere indietro la giusta minaccia e la sentenza della dolorosa condanna, poiché ami grandemente il popolo che si chiama con nome di tuo Figlio»[25].

 

dossier di testi

 

I Suppliche alla Madre della misericordia dall’ufficio mariano «Paraklisis»

       O peccatori e infelici, corriamo ognora dalla Madre di Dio, e contriti prostriamoci gridando dal fondo dell’anima: O Regina, porgici aiuto, muoviti a pietà verso di noi; affrettati, stiamo per perderci per la moltitudine dei peccati. Non rimandare i tuoi servi delusi; poiché te abbiamo come unica speranza.

       Non cesseremo giammai noi indegni, di predicare la tua potenza, o Madre di Dio. Se non fossi tu ad intercedere, chi ci libererebbe da tanti pericoli? Chi ci avrebbe preservati immuni sino al presente? Non ci allontaneremo, o Regina, da te; poiché tu salvi sempre i tuoi servi da ogni sventura.

       O potente interceditrice e baluardo inespugnabile, fonte di misericordia, rifugio del mondo, con insistenza a te gridiamo: O Signora Madre di Dio, affrettati a liberarci dai pericoli, tu che sola soccorri con sollecitudine.

       O invincibile protettrice dei cristiani, inconcussa mediatrice presso il Creatore, non disprezzare le voci di supplica di noi peccatori, ma affrettati, pietosa, a venire in aiuto di noi che con fede a te gridiamo: O Madre di Dio, non tardare ad intercedere per noi; orsù, muoviti a pregare per noi, tu che ognora proteggi quanti ti venerano.

       Non mi abbandonare in balia umana, O Signora tutta santa, ma accogli la supplica del tuo servo. Le angosce mi opprimono, non posso più sostenere i dardi del demonio; me infelice! non ho difesa, né dove rifugiarmi da ogni parte sono combattuto e non trovo conforto in altri che in te. O Regina del mondo, speranza e protezione dei fedeli, non disprezzare la mia supplica, ma ottienimi quanto mi é necessario.

       Nessuno ricorrendo a te, ritorna confuso, o Vergine pura, Madre di Dio; ma chiede la grazia e ottiene il dono corrispondente alla domanda.

(Testo greco in horologion, Roma 1937, pp. 901-921, passim)

 

II ― Preghiera alla Madre di Dio di Paolo Monaco (1054)

       Immacolata, incontaminata, intemerata, ineffabile, casta Vergine, Signora, divina Sposa, che hai unito il Verbo di Dio agli uomini col tuo misterioso parto e ricongiunto al cielo la nostra natura che ne era stata cacciata. O unica speranza dei disperati e conforto degli afflitti; i sempre pronta a protezione di chi ricorre a te e rifugio di tutti i cristiani, non disprezzare me, peccatore e misero, che mi sono tutto corrotto con cattivi pensieri, parole e opere e sono diventato per debolezza di spirito schiavo dei piaceri del mondo. Ma tu che sei Madre di Dio misericordioso, benignamente abbi pietà di me peccatore e prodigo, e accetta la supplica che ti giunge dalle mie indegne labbra. Facendo uso della tua autorità materna supplica il nostro Signore e Maestro che dischiuda anche a me le pietose viscere della sua bontà, e, non curando le innumerevoli mie colpe, mi converta a penitenza e mi renda fedele osservatore dei suoi comandamenti. Sii sempre ai miei lati, pietosa, compassionevole e benigna: nella vita presente, protettrice valida e aiuto per respingere gli attacchi dei nemici e guidarmi a salvezza; e nella ora del mio esodo per avere cura della misera mia anima e per respingere lontano le tenebrose visioni dei maligni demoni; e, nel giorno terribile del giudizio, strappami all’eterna condanna e fammi erede della gloria ineffabile del tuo Figlio e Dio nostro. Mi sia possibile, o mia Signora santissima Deipara, di partecipare a questa gloria, per tua mediazione e protezione. Per la grazia e la bontà del tuo unigenito Figlio. Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, a cui conviene ogni gloria, onore e adorazione, col suo eterno Padre, e il santissimo buono e vivificante Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli amen.

(La preghiera ricorre alla fine di Compieta e viene

dunque recitata a conclusione della giornata.

Testo greco horologion, Roma 1937, pp. 272-274)

 

III ― Supplica alla Madre di Dio di S. Germano, patriarca di Cp. (- 733)

       O castissima, buonissima e misericordiosissima Signora, conforto dei cristiani, fervidissimo sollievo degli afflitti, prontissimo rifugio dei peccatori, non lasciarci orfani del tuo sostegno! Infatti, se saremo abbandonati da te, dove poi noi accorreremo? E che cosa poi avverrà di noi, o Madre di Dio tutta santa, respiro e vita dei cristiani? Infatti, come per natura il nostro corpo ha avuto il respirare come indizio della sua energia vitale, così anche il tuo santissimo nome - portato incessantemente sulla bocca dei tuoi servi in ogni occasione, luogo e modo - é, non dico testimonianza, ma causa di vita, di gioia, di aiuto. Possa ti proteggerci con le ali della tua bontà, difenderci con le tue intercessioni! Possa tu procurarci la vita eterna, o inviolata speranza dei cristiani! E quindi, mirando la ricchezza della benevolenza a noi donata per tuo mezzo, possiamo noi dire, noi poveri di opere e d modi conformi a Dio: «La terra é piena della misericordia del Signore» (Sal 33,5).

       Noi, allontanatici da Dio nella moltitudine dei peccati, attraverso di te abbiamo ricercato Dio e lo abbiamo trovato: ed avendolo trovato, siamo stati salvati..., noi il tuo popolo, la tua eredità, il tuo gregge adornato dal nome di tuo Figlio. Veramente non c’é alcun limite della tua grandezza, non c’é sazietà del tuo soccorso, non c’é numero dei tuoi benefici. Nessuno é salvato se non attraverso di te, o irreprensibilissima. Nessuno riceve un dono se non attraverso di te, o tutta casta. Nessuno é commiserato per grazia se non attraverso di te, o tutta venerabile. Ed in cambio di ciò, chi non proclamerà te beata? Chi non magnificherà te, se non secondo il merito, ma almeno nel modo più ardente? Te, la glorificata; te, la beatificata: te, che dal tuo stesso Figlio e Dio hai avuto cose grandiose come grandi e meravigliose. E per ciò tutte le generazioni ti celebreranno.

       Chi provvede al genere umano insieme al tuo Figlio così come fai tu? Chi assiste così soccorrevolmente le nostre afflizioni? Chi tanto celermente prevenendo ci sottrae alle tentazioni che si insinuano in noi? Chi combatte tanto per le suppliche dei peccatori? Chi facendo da garante parla tanto intensamente in difesa degli incorreggibili? Infatti, poiché hai ardire e forza di madre presso tuo Figlio, tu con le tue preghiere e con le tue intercessioni salvi e riscatti dalla punizione eterna noi, che siamo stati condannati dai nostri peccati e non osiamo neanche guardare verso l’altezza del cielo. Perciò che é afflitto, presso te si rifugia; chi subisce ingiustizia, a te ricorre; chi é oppresso dai mali, invoca il tuo aiuto. O Madre di Dio tutte le cose sono straordinarie, al di sopra della natura, al di sopra della parola e della possibilità. Per questo anche la tua protezione é al di sopra del pensiero. Infatti coloro che erano stati respinti, coloro che erano stati scacciati, coloro che erano diventati nemici, con tuo parto tu li hai riconciliati, li hai uniti in famiglia e li hai resi figli e eredi. Coloro che ogni giorno sono sommersi dai peccati, tu li strappi dai flutti tendendo le mani del tuo aiuto. Con la sola santissima pronunzia del tuo nome tu respingi gli assalti del maligno contro i tuoi servi e l salvi. Coloro che ti invocano, o tutta intemerata, tu li previeni e li liberi da ogni necessità, dalle tentazioni di ogni genere.

(Supplica tratta dell’Omelia VII. Versione italiana di V. Fazzo,

in germano di costantinopoli.

Omelie mariologiche, Città Nuova, Roma 1985, pp.140-143).

 


[1]        Per uno sguardo d’insieme sulle Chiese Orientali ed il loro culto mariano, vedi G. GHARIB, Oriente Christiano, in Nuovo dizionario di Mariologia, Edizioni Paoline, Roma 1985, pp. 1030-1043; E. M. TONIOLO, Maria vincolo di unità, Centro di cultura mariana «Mater Ecclesiae», Roma 1986.

[2]        Per quanto riguarda l’Akathistos, rimandiamo all’eccellente versione metrica di E. TONIOLO, Acatisto: canto di lode a Maria fonte di luce.  Editrice «Cor Unum», Roma 19855 . Per uno uno studio d’insieme, vedi E. TONIOLO, voce Akashistos,  nel già citato Nuovo Dizionario di Mariologia, pp.16-25. Per la versione latina dell’inno e il suo influsso sull’Occidente latino vedi G.G. MEERSSEMAN, Der Hymnos Akathistos in Abendland, Freiburg 1958, 2 vv.

[3]        Si é scritto molto su questa antifona mariana, sul tempo di composizione e sui contenuti dottrinali e liturgici: Vedi in proposito G. GIAMBERARDINI, Il «Sub tuum praesidium» e il titolo «Tèotokos» nella tradizione egiziana, in Marianum, 31 (1969), pp.350-362; idem, Il culto mariano in Egitto,  vol I Gerusalemme 19752 , pp. 69-130. Il testo grego si trova in qualsiasi edizione dello HOROLOGION (o Libro delle ore); qui ci riferiamo all’edizione romana del 1937, p.232.

[4]        Eusplanchos proviene dal greco eu e splanchna che significa avere «buone viscere»; traduce l’ebraico rahamîn: il semitico rehem significa utero; in arabo rahmân e rahîm sono due nomi di Dio, che si ritrovano nella basmala che precede tutte le sure del Corano.

[5]        Il testo greco della preghiera in HOROLOGION, Roma 1937, pp. 272-274.

[6]        La parrhesia é un termine difficilmente traducibile per la complessità dei significati che contiene. Esso significa di per sè ardire, libertà di parlare a fronte alta e con certezza di ottenere. La parrhesia é data al cristiano nel battesimo e diviene prerogativa dei santi, in primo luogo della Madre di Dio.

[7]        Testo greco e versione italiana in La divina Liturgia del santo Padre nostro Giovanni Crisostomo, Roma 1967, pp.10-11

[8]        Il testo greco e la versione italiana in Ibidem, pp.12-13.

[9]        A proposito dell’icona dell’Annunciazione, vedi G.GHARIB, Le icone festive della Chiesa Ortodossa, Ancora, Milano 1985, pp.69-75.

[10]      Testo greco dell’Ufficio completo della Comunione si trova in HOROLOGION, Roma 1937, pp. 935-966.

[11]      Testo greco e versione italiana in La divina Liturgia... (vedi nota 6), pp. 178-181.

[12]      Su Romano il Melode, vedi G. GHARIB, Romano il Melode: Inni. Edizioni Paoline, Roma 1981: contiene una presentazione dell’autore e dell’opera, con la prima versione italiana dei 63 inni genuini attribuiti a Romano. L’inno del Natale di cui si tratta si trova a pp. 178-184.

[13]      Vedi MARIO DA ABY-ADDI, Il culto Mariano nella Chiesa Etiopica, in Marianum 19 (1957), p.256. Sul Patto di misericordia, vedi l’articolo di E. CERULLI, La festa etiopica del Patto di misericordia e le sue fonti, in Silloge bizantina in onore di Giuseppe Mercati, Roma 1957, pp. 53-71.

[14]      Testo in M. ERBETTA, Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Marietti, Casale Monferrato 1981, vol. I/2, pp.622-623.

[15]      Per il testo completo, vedi  M. ERBETTA, op. cit., pp.624-627.

[16]      Testo tratto da E. CERRUTI, art. cit. p. 63.

[17]      Per l’iconografia mariana e i diversi tipi di icone mariane vedi G. GHARIB, art. Icone, in Nuovo dizionario di Mariologia, pp. 670-679; SUOR MARIA DONADEO, Le icone della Madre di Dio; Morcelliana, Brescia 1982

[18]      Vedi A. GRABAR, L’art peleochrétien et l’art byzantin. Variorum Reprints, Londra 1979; il n. VIII: L’Hodigitria et L’Eleousa; il n. IX: Les images de la Vierge de tendresse: type iconograet thème...

[19]      Sulla Madonna di Vladimir, Vedi P. EVDOKIMOV. La teologia della bellezza, Edizione Paoline, Roma 19812 , pp.244-251.

[20]      Testo in DIONISIO DA FURNA’, Ermenautica della pittura, Florentino, Napoli 1971, pp.311 e 313.

[21]      THEOPHANES NICAENUS. Sermo in Sanctissimam deiparam. Edidit M.Jugie, Roma 1935, pp.136.

[22]      Ibidem, p. 198.

[23]      GERMANO DI COSTANTINOPOLI, Omelie mariologiche, Città Nuova, Roma 1985, p.114.

[24]      Ibidem, p.141.

[25]      Ibidem, p.114.