Domenico Cancian fam

comunione di amore e di vita

 

       La seguente vuole essere una relazione di sintesi, un tentativo di raccogliere l’analisi del tema sotto diverse angolature. Mi é sembrato che le indagini fatte potevano esser lette sotto le tre voci del titolo: amore, vita, comunione.

 

I.     L’amore coniugale

       La parola che più é ricorsa, come ci si poteva immaginare, é «amore». Ma, sull’amore coniugale, si sono fatte delle affermazioni che giustificano le ricorrenze del tema. La tesi principale può essere così enunciata: la qualità dell’amore coniugale é l’indice della qualità della vita matrimoniale e familiare. Lo stato di malattia o di salute del matrimonio é segnalato da questo termometro.

       In un’altra formulazione: l’amore é costitutivo del matrimonio, é l’elemento più decisivo. Non ha senso la vita, la vita coniugale e familiare in particolare, senza amore. L’amore dà senso alla vita; é all’origine, é il fine della vita.

       Basti per questo la nostra esperienza: l’intensificarsi o l’affievolirsi dell’amore decide della stabilità o rottura della coppia.

       Due che si amano sempre meglio non pensano certo al divorzio come lo desiderano due che si chiedono l’un l’altro: ma perché dovremo continuare a «stare insieme così»? Infatti uno dei motivi più gravi per invocare la nullità del matrimonio é l’escludere l’indissolubilità, che sarebbe come dire al partner: ti voglio bene ma fino a quando non lo so. Tale amore indeterminato, non «per sempre», in ogni situazione, si dispone alla possibilità del fallimento. Se é vero che escludendo l’indissolubilità il matrimonio sarebbe nullo, vuol dire che quella é l’esigenza interna dell’amore coniugale, determinante.

 

1)    Il dato biblico

       Rileggendo il Pentateuco, i Profeti e il Cantico soprattutto, abbiamo alcune importanti linee del progetto di Dio sul matrimonio e sulla famiglia.

       E’ qui che la coppia é invitata ad una felice trascendenza verticale. Felice perché l’offerta in dono nella Rivelazione (dall’alto) e felice ancora perché interpreta al massimo la natura umana (dal di dentro), compiendo così il più grande desiderio, scritto «fin da principio»: l’amore come comunione, l’essere come amore - comunione. «Fin da principio» (cf Mt 19,4.8 che riporta Gen 1,27; 2,24) vuol dire fin dalla creazione, cioè da che uomo é uomo, fin da sempre perché il Creatore ha voluto così. Diversamente si va contro l’uomo, la sua natura, contro Dio stesso.

Che cos’é scritto da sempre?

―    Che l’uomo e la donna sono due in unità: mistero. Sono stati creati per la relazione interpersonale alla pari, per un rapporto di alleanza così stretto da superare quello con i propri rispettivi genitori, in modo da formare «una sola carne» (Gen 2,24). Una vera comunione di vita, perché «non é bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18).

―    Che l’uomo e la donna sono specchio, immagine di Dio stesso. La coppia da un lato rivela il volto di Dio, il quale appunto é comunione di persona (Trinità), dall’altro la coppia é il partner di Dio, rimandata alla comunione con Lui, fondamento e riferimento ultimo. La coppia non può chiudersi in se stessa.

       Dunque: due persone in relazione, una comunione - unità di vita, a immagine di Dio. L’uomo non osi distruggere questa unione voluta da Dio (Mt 19,6).

―    I Profeti annunciano che l’amore sponsale tra l’uomo e la donna va letto alla luce del rapporto di Dio con Israele. In particolare Osea é invitato a imparare la lezione sull’amore nell’ambito del matrimonio.

       Ma tutta la storia d’Israele é spiegata con l’innamoramento o la pazzia d’amore che Yahvé ha per il suo popolo, anche quando questi dà innumerevoli prove di infedeltà.

       Ebbene, Lui, «pazzo» d’amore, é capace di rifare vergine la prostituta Israele: il mas­simo della speranza profetica[1].

―    Il cantico dei Cantici, eco ampliato del primo canto d’amore (Gen 2,23), appare come il «manuale della Rivelazione sull’affettuosità, l’amore e la sessualità»[2] e quindi sull’amore a tutti i livelli.

       E’ l’esaltazione della fedeltà monogamica come amore appassionato che evita sia l’idealismo (ci sono momenti di crisi) sia l’erotismo: nel corpo si realizza la comunione incarnata delle persone, di quelle persone lì, nell’unicità della loro reciproca donazione che si riflette perfino sul cosmo. Una storia di coppia che ha le fasi dell’innamoramento col desiderio bruciante della presenza (corporea) dell’altro, dell’esilio-prova-smarrimento cui segue l’ostinata ricerca, del compimento «nella casa del vino» di lui (2,4-7), simbolo dell’ebbrezza di un’unione consumata, fra gli aromi, i profumi, i frutti della natura.

       Un tale Amore é il più grande desiderio dell’uomo soddisfatto dal dono dell’Agàpe divina (lo Spirito-Amore) che assume e trasforma l’eros: il miracolo dell’amore eterno comunicato all’uomo mortale.

       La Rivelazione dunque ci dice che:

1)    l’amore é un dono: sia umanamente sia cristianamente siamo preceduti nell’amore, siamo amati prima di incominciare ad amare.

2)    L’amore é un impegno-comandamento, o meglio, il comandamento in cui si ricapitola tutta la legge, ogni legge: siamo chiamati a sviluppare sempre l’amore, a imparare sempre meglio ad amare; ad amare si impara.

3)    Il nostro «voler bene» sarà imperfetto come la natura umana in cui risiede, ma aperto alla possibilità di un compimento definitivo «dall’alto», dal Dio-Amore donantesi alla creatura.

 

2)    Natura dell’amore

       Una prima, fondamentale chiarificazione é che nell’amore umano ci sono sempre due aspetti: da una parte la ricerca del bene proprio, il «mi piaci» col desiderio di possesso per soddisfare e arricchire me stesso, la concupiscenza, l’aspetto egoistico che possiamo chiamare «compiacenza»; dall’altra la ricerca del bene dell’altro, il dare o donare, l’aspetto altruistico che chiamiamo «benevolenza» (cf su questo la relazione di Zenon Grocho­lewski).

       Questi due aspetti coesistono sempre nell’uomo: possono armonizzarsi in modo sempre più maturo fino alla stabile prevalenza del dono di sé, oppure possono contrastarsi fino allo squilibrio e alla prevalenza dell’egoismo. «Esistono azioni in cui tutto é gratuità pura?», si chiede il Cardinal Carlo Maria Martini. Risponde: «Io credo che ce ne siano pochissime. Gesù in croce, l’Eucarestia, il martirio, sono il modello cui dobbiamo ispirarci affinché, pur nella nostra debolezza, possiamo compiere azioni in cui il gratuito sia, per grazia di Dio, decisivo»[3]. Ci saranno sempre dei residui di egoismo, degli spazi di autogratificazione, limiti e peccati; quel che conta é che prevalga la gratuità sull’egoismo.

       Tra i due partners ci sarà sempre una polarità di simpatia-antipatia, di amore-odio. «Nessuno sfugge a questo: siamo stanchi e poi ‘ingasati’, entusiasti e poi perplessi, trattabili e irascibili. Anche l’altro lo può essere o forse più semplicemente oggi notiamo che ha le unghie sporche o non ha fatto il bagno da una settimana. Ciò che prima faceva innamorare, ora dà fastidio. Il ragazzo che rimaneva in contemplazione della bellezza di lei, da marito si arrabbia a dover aspettare al bagno chiuso lei che si fa bella: la bellezza contemplata una volta diventa oggi vanità. Lei lo adorava per il suo dinamismo (“un vulcano di vita!”) e oggi che vuole stare in pace davanti alla TV tutta quella “smania” di lui le fa venire l’esaurimento nervoso. E così la dolcezza diventa stupidaggine, la forza violenza, l’espansività chiacchiere, la riservatezza musoneria...»[4].

       Ciò implica l’ascesi dell’amore, la sua purificazione continua che comporta libera rinuncia all’amore-concupiscenza (peccato), una scelta del bene reale invece che del bene apparente, una sana tensione di crescita verso il meglio. L’amore maturo impara a crescere in ogni stagione, sotto il sole e sotto la pioggia; sa camminare in pianura, in discesa, in salita; sa adattarsi in modo costruttivo (che é ben diverso da accomodarsi, rassegnarsi, scoraggiarsi, esaltarsi) sa cioè integrare positivamente il bene, ma anche il male, il limite e perfino il peccato, così come accade nella vita dell’uomo, creatura «molto buona e bella» (Gen 1,31), ma anche fragile, limitata e peccatrice fin dal seno materno (cf Sal 51,7). Infatti non si é mai, nessuno, totalmente buoni o totalmente cattivi, ma buoni e cattivi contemporaneamente e quindi va più avanti chi sa sfruttare ogni situazione in modo realistico, senza abbattimenti ed esaltazioni, per crescere[5].

       Non cresce anzi regredisce, chi vive «scisso», ossia vive in modo alternato i momenti opposti: un momento «tutto bene», un momento «tutto male», come se ci fossero due o due tu opposti nelle emozioni, senza che ci sia la capacità di sintesi realistica: sì, adesso sento così, però ieri c’era anche l’altro aspetto. L’amore adulto sa riconoscere e mettere insieme questi dati contraddittori di sé. e dell’altro in una relazione ancor più positiva e duratura, con fiducia e umiltà. E’ possibile scegliere ed agire prevalentemente in base all’amore di benevolenza: questo tipo di amore ci qualifica come persone mature, capaci di amare in modo fedele, così da rendere indissolubile l’amore sponsale o verginale.

 

3)    La coniugalità

       La coniugalità é una relazione interpersonale che tocca il livello intellettivo-conoscitivo, affettivo, volitivo-decisionale, una desiderata comunione in cui l’uno é davanti all’altro in permanente dialogo, in una coeducazione reciproca sempre più purificante, nella stima cordiale delle rispettive autonomie. L’autonomia delle due persone é necessaria per sfuggire sia alla dipendenza sia alla dominazione, alla sottomissione e alla ribellione. La coniugalità di due persone complete, non di due metà. L’amore maturo non dirà mai: «Senza di te io non esisto, morirei; sei tu che mi fai vivere...». L’amore maturo é la sintesi della capacità di essere autonomi e di saper dipendere.

       L’immagine dinamica può essere quella di due ciclisti (ai quali poi si aggiungono altri: i figli), interessati ad arrivare più velocemente e speditamente ad una meta: ora corrono a fianco, ora uno «fa strada e tira», ora l’uno si mette sulla scia dell’altro.

       L’immagine statistica é quella di due cerchi che s’intersecano: la parte comune tiene uniti, la parte propria ad ognuno crea una sana tensione di crescita.

       La coniugalità implica una capacità di «relazione oggettuale totale». Un’espressione che implica:

―    avere un’immagine realista di sé e del partner. Vuol dire che la persona é capace di innamorarsi, cioè di uscire da sé e incontrare l’altro, ma é anche capace di superare l’innamoramento inteso come idealizzazione irrealista dell’altro, conseguenza di una insufficiente identità di sé, nella falsa aspettativa di essere amato, e potersi appoggiare. La relazione buona suppone una chiara percezione dell’identità delle due persone, sapere che si é e dove insieme si vuole andare.

―    Avere la capacità di iniziare e mantenere una matura relazione d’amore che non sia trasferenziale, ossia ripetitiva di un modello passato, bensì creativa, aperta e adatta alla nuova situazione, capace di esprimersi a tutti i livelli nel modo corretto.

 

4)    Altre caratteristiche dell’amore coniugale maturo

―    La capacità di empatia. I desideri, i sentimenti, la situazione dell’altro sono colti come fossero i propri; l’empatia ci permette di entrare nei panni dell’altro, sentire emotivamente quel che lui sente, senza perdere la propria lucidità, offrire la risposta più opportuna, anche se può risultare dura, evitando comunque di offendere, mentire, salvare la faccia... Non é quindi un semplice compatire in senso sentimentalistico, né un puro intervento moralistico, tantomeno diplomazia. Servono occhi disposti a vedere, cuore capace di amare uscendo dal proprio egoismo, mani pronte ad intervenire.

       Madre Speranza rivolgendosi alle suore, così intende l’empatia:

       «Figlie mie, teniamo presente che quelli che soffrono aspettano il nostro conforto; di più, confidano nelle Ancelle dell’Amore Misericordioso, sperano che si faranno partecipi delle loro sofferenze; l’amore di Gesù e la carità ci chiedono lo stesso. Quando incontrerete un uomo sotto il peso del dolore fisico o morale, non cercate di offrirgli un aiuto o un’esortazione, senza avergli rivolto prima uno sguardo compassionevole (mirada compasiva). Il mondo, figlie mie, si allontana da quelli che piangono e questi con l’animo in pena cercano l’isolamento, pur sentendo la necessità di sfogarsi; noi dobbiamo prestarci a raccogliere questo sfogo, facendo in modo che le nostre confidenze siano per essi tavola di salvezza (tabla de salvación). Ma per questo é necessario comprenderli (comprenderlos), sentire che loro sentono (sentir con ellos), e simpatizzare (simpatizar) con loro. Nel momento in cui abbiamo la sensazione che li abbiamo compresi li vedremo già consolati e le nostre parole saranno un balsamo per le loro ferite. Non dimentichiamo: la consolazione che viene dal cuore é la prova più penetrante dell’amore» e perciò occorre «formarsi nella sofferenza per poter portare agli afflitti, agli infermi, ai moribondi e alle loro famiglie, il soccorso morale di cui hanno bisogno nell’ora della tribolazione»[6].

       Del resto questa capacità di entrare emotivamente nelle situazioni di bisogno e di sofferenza la troviamo squisitamente in Gesù. Gli evangelisti la esprimono con verbo «splaghnizomai»[7] che letteralmente si traduce «essere com-mosso nelle viscere nei riguardi di qualcuno», cioè «aver com-passione viscerale». Le viscere sono indicative del seno materno che ha gestato per nove mesi il figlio facendo un tutt’uno con la madre. «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero , io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). Gesù prova com-passione viscerale (materna) per le folle «stanche e sfinite come pecore senza pastore» (Mt 9,36), per la gente che lo segue senza mangiare (Mc 8,2), per gli ammalati (Mt 20,34; Lc 7,13). E’ la compassione del Padre del figlio prodigo (Lc 15,20) e del buon samaritano (Mt 18,27). I miracoli di Gesù provengono dalla commozione del suo cuore misericordioso.

―    La capacità di saper rinunciare, liberamente, ad altri «amori», approfondendo creativamente la reciproca fedeltà. L’amore é sempre esposto al rischio: non ci sono, per nessuno, certificati di garanzia di fedeltà che escludono la possibilità del tradimento (si veda la storia d’Israele, ad es. Ez 16; si pensi come i santi chiedevano con sincerità la perseveranza; si rifletta sulla propria storia)

       «La Maturità affettiva lascia liberi, anzi crea un curioso paradosso: più uno diventa capace di amare in profondità, più col passare degli anni. é capace di apprezzare l’altro in modo realistico, come parte del proprio mondo personale e sociale, ma si amplia anche in lui la possibilità di trovare una terza persona che possa essere per lui idealisticamente un partner uguale o forse migliore di quello presente. L’amore maturo é sempre aperto alla possibilità del tradimento, perché lascia liberi, quindi liberi anche di andarsene»[8]

       L’insorgere del desiderio di un’altra persona può diventare così l’occasione per rafforzare, in libertà e responsabilità, la relazione d’amore con la persona amata. Come se ci si dicesse: «Sì, mi piacerebbe, ma voglio rinnovare liberamente il mio impegno con il partner, lo voglio anche se mi costa, anche se non me ne viene niente adesso, anche se nessuno mi vede, anche se posso sembrare stupido...sì scelgo ancora lei perché lo voglio, mi piace così».

―    Gli sposi sono due persone che viaggiano insieme verso la stessa meta, cioè aperte ai valori che sono oltre l’effimero, la fruizione immediata del piacere offerto dall’ultima moda. E’ lasciarsi attrarre da quello che «vale di più» e mettersi in un cammino di progressiva autotrascendenza.

       Posso infatti fermarmi al livello fisico-corporeo della bellezza-forma esteriore e stabilire di conseguenza una relazione erotica: il piacere del’eccitamento sessuale.

       Posso, andando oltre, fermarmi a livello psichico: resto colpito emotivamente dai modi di fare e di atteggiarsi, da certe qualità che l’altro possiede.

       Posso, infine, cogliere la persona per quello che é e rappresenta a livello di valori spirituali: sono commosso dinanzi al suo essere unico, al suo essere a immagine di Dio, al mistero che l’altro é e rivela.

       V. Frankl così definisce l’amore:

       «Quell’atto umano, spirituale con il quale avviciniamo un’altra persona nella sua essenza, così come é, ma anche nel suo valore, nel suo dover essere. In altri termini: poter dire tu a qualcuno, e oltre a ciò, potergli dire sì. Questo tu amati rappresenta ciò che si nasconde dietro le caratteristiche fisiche e psichiche e a sua volta le illumina. Le apparenze fisiche e psichiche non sono che l’abito esteriore e interiore con cui la persona si riveste. A colui che é preso sessualmente piace una caratteristica fisica, a chi é innamorato piace una qualità psichica del partner, cioè qualcosa che questi “ha”, “possiede”, colui che ama coglie ciò che il partner “é”: una persona in sé, un tu non paragonabile né sostituibile con altri»[9]. Si può dire che le caratteristiche fisiche e psichiche conducono all’innamoramento iniziale, ma il vero amore lo si raggiunge quando le suddette caratteristiche sono colte come espressione di quell’essere unico, aperto a Dio e quindi a Lui rinviate perché di Lui immagine. Così é disposto ad uscire da sé per accogliere i valori dell’altro, per accogliere l’altro così com’é, nel suo essere; si arriva alla comunione di due persone nel loro essere, nella fonte del loro essere.

       Qui si passa dall’umano al cristiano. Amare l’altro nel suo essere storico, a tutti i livelli, é amarlo nel suo essere unico e insostituibile, quindi in modo eternamente fedele.

―    Questa crescita nell’amore avviene utilizzando uno strumento: il dialogo coniugale a tutto campo, fatto cioè con gesti , parole, silenzi sereni, sguardi, atteggiamenti, ascolto...

       Un dialogo in realtà così impegnativo da esigere la messa in opera delle virtù umane fondamentali, senza le quali si va al monologo arrabbiato o deluso, alla rottura della comunicazione, alla discussione o battibecco violento e inconcludente, alla condanna o colpevolizzazione dell’altro...con spreco di tempo, energie e senza alcuna utilità.

       Le virtù - da riscoprire - implicano attenzione, impegno continuo, lavoro su se stessi, non dire mai: basta,. mi sono stufato. E sono: umiltà, pazienza, saggezza, prudenza... (cf relazione di Tilde e Giuseppe Carpita).

       Ma questo dialogo nella copia, se vuole essere sincero e duraturo, ha bisogno di diventare dialogo della coppia con Dio e con i fratelli, col prossimo, «L’autentico amore coniugale é assunto nell’amore divino ed é sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dall’azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi, in maniera efficace, siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e di madre»[10].

       Questo ce lo dice sia la Rivelazione sia la nostra esperienza umana. «Il protosimbolo sponsale, dunque, non è il matrimonio umano e neppure l’amore di Dio per Israele, ma l’amore di Cristo per la Chiesa, l° dove l’unione di Cristo con la Chiesa é mediata dal dono totale di Lui. E’ questo dono che fa esistere la Chiesa, é questo dono che la unisce indissolubilmente al suo Signore. Solo partendo dalle nozze messianiche si comprende il progetto di Dio Creatore sul matrimonio»[11].

       Il dialogo della coppia con Dio e col prossimo si avvale delle virtù teologali: avviene infatti nella fede, nella speranza e nell’amore. Virtù che danno motivazioni più profonde, significati nuovi, orizzonti più vasti al vivere quotidiano della coppia interpellata dal Tu divino. I due hanno un Terzo invisibile compagno di viaggio col quale e dietro il quale corrono più motivati e più coraggiosi perché si va alle nozze con Lui, alla comunione piena e definitiva con Lui, lo Sposo dell’umanità tutta, resa bella come una sposa (cf Apc 21,2; 22,17,20; ed anche Gv 3,29; Mt 9,15).

 

II.   La vita

       Nel progetto del Creatore la coppia é chiamata alla fecondità. E’ benedetta per trasmettere la vita, così che la famiglia umana possa prendere possesso della terra stabilendovi l’ordine e la pace, a immagine del Dio creatore del mondo e dell’umanità.

       Dunque la coppia capace, nel miracolo dell’amore, di esprimere il miracolo della vita di un terzo, un’altra persona, figlio dell’amore fecondo di lui e di lei.

       Il contrario sarebbe un amore sterile, e con questo, qualora si escludesse intenzional­mente e artificiosamente la vita, un amore non vero.

       Il Vaticano II, specie nella Gaudium et Spes e il Magistero della Chiesa nella Humanae Vitae e nella Familiaris Consortio propongono le argomentazioni teologiche per cui i due fini del matrimonio sono detti ugualmente decisivi: senza amore non c’é vita umana vera e senza apertura alla vita non c’é vero amore. Il matrimonio é il luogo dell’amore e allo stesso tempo il luogo ove sorge  la vita. L’esclusione della prole, così come l’esclusione dell’amore fedele e indissolubile, rende nullo il matrimonio. Di qui la responsabilità dell’amore coniugale che fa degli sposi padri e madri, o, paternità e maternità responsabili delle modalità in cui sorge la vita.

       Se oggi si sente di rilanciare una «cultura della vita» (cf la comunicazione di F.Costa) é perché nell’attuale situazione si colgono svariati sintomi preoccupanti intorno alla vita che nasce, soffre ed è nella marginalità termina. Fra tutti il più vistoso appare quello della crescita sotto zero in Italia. Il controllo della natalità, fra tante considerazioni, può avere a monte il seguente interrogativo: ma vivere così vale, serve, merita?

       Certo, se la vita non ha senso per me, non posso e non vale la pena mettere al mondo figli in questo «brutto mondo». talvolta questa idea circola come luogo comune in modo più o meno esplicito, altre volte in forme di rassegnato egoismo, di pigrizia, da consumisti sazi, incapaci di soffrire, lottare, servire, amare.

       La paura della vita e del figlio, di certe forme di vita o di certi modi di vita che offendono i nostri schemi, dice che in fondo non si é contenti della propria vita. Solo e tutta colpa della società? O non, più realisticamente e soprattutto, della qualità della vita di cui ognuno di noi é responsabile.

       Occorre, ancora una volta, ritrovare la propria fiducia nella vita, motivarne la bellezza e la gioia, l’accoglienza, il rispetto e la passione, riscoprire i valori fondamentali della vita umana che sono alla base dell’ecologia umana più elementare.

       Sul fronte del sociale e del politico si esige naturalmente un impegno di opinione, un’azione legislativa, un’opera culturale adeguata. Lo sviluppo del volontariato, l’atten­zione alla natura perché non venga alterata, i centri per l’accoglienza, il sostegno, il recu­pero della vita e tanto altro, sono segni postivi da valorizzare.

       Il comandamento «onora tuo padre e tua madre» chiede ai figli di cogliere nei loro genitori una presenza divina e come tale venerarla: ciò corrisponde al mistero dell’amore fecondo che fa capo al Dio creatore attraverso i genitori.

       Ma chiede anche ai genitori di essere in grado di rispondere alle domande dei figli; che cos’é questo? perché? Rispondere con competenza umana e soprattutto cristiana. A loro tocca questo primo indispensabile magistero sul senso della vita umana e sui fondamenti della fede. Non possono proprio delegarlo a nessuno: coloro che trasmettono la vita debbono anche trasmettere il senso della vita.

       Genitori non si nasce: c’é bisogno di imparare ad educare ed anche a farsi educare dai figli nel dialogo paziente, favorendo un clima familiare di fiducia e di sostegno, ma anche di rispetto di alcune regole... L’atto educativo é come il prolungamento del dare la vita, è comunque l’indispensabile compimento dell’amore paterno e materno. E’ forse l’arte più difficile, anche perché richiede che il padre e la madre considerino il figlio non come «loro», ma come avente vita autonoma, come altra persona che dovrà autodeterminarsi in piena libertà verso la propria vocazione o, e ciò é davvero doloroso, su strade sbagliate (cf la parabola del figlio prodigo in Lc 15).

 

III.    Spiritualità di comunione

       La coppia che vive l’amore sponsale aperto alla trasmissione della vita nei figli, é per ciò stesso chiamata a vivere una spiritualità di comunione di amore e di vita (cf la relazione di A. e M.C. Moscatelli).

       La spiritualità é l’ambito specifico della concreta vita dell’uomo che si qualifica come essere spirituale. Per noi cristiano é la vita secondo lo Spirito che ci sollecita a rispondere alla nostra vocazione in questa nostra storia. Vuol dire capacità di incarnare i Valori del Vangelo cercando di intendere bene sia quelli, sia i segni dei tempi, evitando l’attivismo e l’intimismo, il frammentario e il superficiale, il magico e il devozionale, il pressap­pochismo e la specializzazione settoriale... tutte forme che alla fine ci fanno evadere dalla responsabilità di affrontare seriamente, cioè alla luce dei valori spirituali, i problemi della vita.

       Lo Spirito ci aiuta a non cedere al pessimismo per cui si diviene «duri», si condanna in modo indiscriminato, ci si chiude in un atteggiamento di orgoglio arrabbiato; ma ci aiuta anche a non cedere all’ottimismo ingenuo che vede tutto bene e deve profetare sempre cose buone per non disturbare nessuno (cf. ad esempio (Ger 26).

       La spiritualità matrimoniale si fonda su sacramento che fa della relazione sponsale un riflesso dell’amore di Cristo e della Chiesa, e della famiglia la Chiesa domestica.

       Questo grande mistero-sacramento é la fonte ispiratrice della vita cristiana familiare.

Ecco due espressioni di tale spiritualità:

―    Matrimonio e famiglia come scuola e cantiere dell’amore a servizio della vita più umana e cristiana. E’ questo il luogo privilegiato in cui si custodisce l’Amore che l’ha posta in essere. E’ lì che si riflette l’Amore-Comunione del Dio Uno e Trino, é lì dunque che si deve curare anzitutto la formazione, l’educazione o l’ascesi, la conversione dal comodo egoismo - in cui tutto ci è dovuto - all’amore casto, gratuito e responsabile, pagato di persona. Questo é realmente decisivo: il matrimonio e la famiglia nascendo e vivendo nell’Amore proveniente da Dio hanno la responsabilità di educare all’amore e alla vita come capacità di donarsi.

―    Matrimonio e famiglia possono comunicare il senso profondo della speranza e della fiducia nell’amore-vita, fondata nella Paternità di Dio, nel Cristo morto e risorto per noi, nello Spirito-Amore effuso nei nostri cuori, nell’Eucarestia, nella presenza materna della Chiesa e di Maria...Una speranza che fonda l’impegno coraggioso di affrontare le difficoltà invece che sfuggirle. Credere nell’amore più forte della morte e del peccato, fiamma del Signore, é avere già la certezza di potercela fare, di far prevalere, anche per quanto spetta a noi, il bene sul male: e questo ci viene da Dio. Ma é anche fiducia umile nelle nostre possibilità limitate certo, ma, con la grazia di Dio e l’aiuto fraterno, vere e proprie energie. L’uomo, pazzo d’amore (cf il Cantico e i santi), diventa capace di opere meravigliose.

―    L’effettiva apertura alla comunione con i fratelli misura lo spessore dell’amore coniugale e familiare. sarebbero i frutti. Se nella famiglia s’impara ad amare nel servizio, nel dono e perdono, nell’accoglienza-stima-rispetto , nella comunione delle persone che sono marito e moglie, padre e madre, fratello e sorella, allora acquista pregnante significato l’amore del prossimo, specie per chi non ha, per disgrazia, questa fondamentale esperienza familiare.

       Se Dio ci ama paternamente e maternamente, se noi ci amiamo fraternamente nel clima familiare, possiamo amarci gli uni gli altri come membri di un’unica grande fami­glia, quella che abbraccia tutti gli uomini radunati dal Primogenito, Cristo Gesù.

       Il sacrificio che Dio gradisce é la misericordia (cf Mt 9,13; Os 6,6), é cantare con la vita le note dell’inno della carità (1 Cor 13) per cui impariamo, prima in famiglia e poi fuori di casa, ad essere pazienti, benevoli, umili, rispettosi, disinteressati, aperti alla verità, pronti alla comprensione e al perdono. Come l’Amore Misericordioso di Dio e dei famigliari si china sulle mie ferite e le cura, mi sostiene e mi protegge, mi responsabilizza nel servizio, così anch’io posso portare il peso dell’altro, posso amare, servire, vincere il male col bene.

―    Una volta innescata la miccia dell’amore nell’ambito familiare, i componenti della stessa possono correre a riscaldare e illuminare quelli fuori di casa. Cominciando con piccoli gesti, ma fatti con genuinità: il saluto, la gentilezza, il favore, l’assistenza, l’attenzione, la parola, il primo passo, la preghiera, la confidenza, in ogni caso la fiducia invece del sospetto, l’accoglienza invece della diffidenza, la comprensione invece della condanna, la pace invece della durezza...

       E poi con l’impegno ecclesiale, sociale e politico serio, organizzato in modo che questo amore-vita diventi progetto, comprensione e servizio sistematico, cultura che anima il sorgere di iniziative e opere coraggiose per affrontare le situazioni difficili, le povertà di ieri e di oggi: la solitudine, l’emarginazione, il rifiuto, l’apatia...

       L’etica cristiana imperniata sull’amore-comunione non é né astratta, né volontaristica (come un voler essere gentili per forza); piuttosto fiorisce con la naturalezza fresca e genuina di chi l’ha imparata bevendo il latte materno e mangiando il pane alla mensa di famiglia, con la grazia ricevuta al fonte battesimale, al confessionale, alla mensa euca­ristica.

       Il comandamento dell’amore é più un dono che un comando, più una grazia che un peso: é la risposta all’amore già ricevuto da Dio e dai fratelli. Una scuola e un apprendi­stati lento e faticoso anche, ma soprattutto bello.


[1]        Per questa lettura dell’Antico Testamento, cf. V. MANNUCCI, Sinfonia dell’amore sponsale, Elle di Ci 1932-2, p. 136.

[2]        G.KRINETSKI, Kommentar zum Hohenlied, Frankfurt a. M. 1981, p. 44.

[3]        C.M. MARTINI, La donna della riconciliazione, Centro Ambrosiano distribuz. PIEMME, Milano 1985, p. 57.

[4]        A.MANENTI, Vivere in due e più..., Paoline 1981, p. 164s.

[5]        L’integrazione del bene e del male é ben chiara a livello psicologico in A. CENCINI, Vivere riconciliati, Dehoniane Bologna, 1985.

[6]        M.ESPERANZA DE JESUS, La Perfección de la vida religiosa, Collevalenza 1967, pp. 7-8.

[7]        I passi neotestamentari nei quali ricorre questo verbo sono: Mt 9,36; 14,14; 15,32; 18,27; 20,34; Mc 1,41; 6,34; 8,2; 9,22; Lc 7,13; 10,33; Interessante anche Lc 1,78 in cui esce il sostantivo «splagchna = viscere» riferito a Dio: per le viscere di misericordia del nostro Dio. Cf su questo A.SICARI, in AA.VV., la Madre della misericordia, Rogate-roma 1987, pp.65s

[8]        A. MANENTI, Vivere in due e più..., pp.166s.

[9]        V. FRANKL, Logoterapia e analisi esistenziale, Brescia, Morcelliana, 1972, pp.164-167.

[10]      Gaudium et spes, n. 48.

[11]      V. MANNUCCI, Sinfonia dell’amore sponsale, Elle Di Ci, 1983 -2, pp.137-138.