di P. Aurelio Pérez García fam

 

Premessa

Accostarsi alla figura di P. Alfredo produce in me una sensazione simile a quella che provo di fronte a determinate figure bibliche, di cui sembra di cogliere solo qualche sprazzo luminosissimo in mezzo a un mistero di piccolezza e di silenzio. Chiedersi perché il Signore ha scelto proprio Alfredo Di Penta come primo Figlio dell’Amore Misericordioso è come chiedersi, per esempio, perché il Signore ha scelto il popolo d’Israele e non un altro (“Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama” Dt 7, 7-8), perché ha scelto Davide, l’ultimo di otto fratelli, il piccolo pastore che abbatte il gigante Golia (cf 1Sam 16, 1-13; ); Maria, l’umile serva del Signore (“ha guardato l’umiltà della sua serva” Lc 1, 48; cf 11, 27; 1Sam 1, 11); Giuseppe il falegname, figlio di Davide, (Mt 1, 18-25; Lc 4, 22); perché ha scelto di nascondere le sue cose ai sapienti e agli intelligenti e di rivelarle ai piccoli (Lc 10,21); perché ha scelto Josefa Alhama Valera, che, una volta diventata M. Speranza di Gesù, si sente dire dal buon Gesù che “Lui vuole avvalersi della mia nullità perché così si può vedere meglio che è Lui a fare una cosa così grande e di tanto bene per la sua Chiesa e per le anime”[1].

 

Alcuni cenni biografici ed autobiografici

Padre Alfredo Di Penta era nato a Ripalimosani, in provincia di Campobasso, il 25 febbraio 1915. E’ stato l’ultimo di nove fratelli, all’opposto di Madre Speranza, prima di nove fratelli. I genitori Michele e Maria. I fratelli, in ordine di nascita, Felice (come il nonno paterno), Giovanni, Giuseppe, Filomena, Antonio, Ligia, Pasquale, Luciana e Alfredo. Giovanni e Giuseppe sono morti ventenni, a causa della “spagnola”, all’epoca della prima guerra mondiale. La sesta figlia, Ligia, morì essendo giovane novizia, in un convento di clausura, a causa di un uso eccessivo degli strumenti di penitenza, cilici e cose simili[2]. Antonio e Pasquale sono stati quelli che hanno messo in piedi la famosa ditta edile Di Penta, mentre Alfredo si dedicava piuttosto alla vasta tenuta agricola, di cui lascerà una parte alla Congregazione.

Sappiamo che Alfredo conseguì la maturità classica e, in seguito, anche la licenza magistrale. Personalmente gli ho sentito raccontare che da giovane gli piaceva molto guidare macchine sportive e moto. Non abbiamo altre notizie di rilievo sulla sua infanzia e giovinezza. Si può dire che la sua storia per noi inizia a partire dall’incontro con M. Speranza e coincide con la storia della nostra Congregazione.

Nell'ultima grande guerra fu capitano di aviazione. Terminata la guerra si mise a lavorare con i fratelli Antonio e Pasquale Di Penta nella Ditta edile. Conobbe la Madre Speranza nel 1949 quando la medesima Ditta aveva assunto la direzione dei lavori per la costruzione di una seconda ala della Casa generalizia delle Ancelle dell'A.M. da adibirsi ad alloggio dei pellegrini in occasione dell'Anno Santo. In seguito sostituì il fratello e divenne in qualche modo l'amministratore della cassa e l'uomo di fiducia durante tutto l'Anno Santo.

Ma lasciamo che sia lui stesso a parlarci dell’incontro con la Madre e con le nostre suore, in una conversazione che ha tenuto pochi mesi prima della sua morte, nel mese di febbraio del 1999, davanti a molti di noi radunati per una delle prime edizioni di queste giornate su “La misma familia”:

 

“Tutti voi più o meno sapete come ho conosciuto la Madre, sia attraverso la storia della Congregazione, sia attraverso il racconto delle suore che nel 1950 – 1951 sono state nella Casa di Roma. Il mio incontro con la Madre è avvenuto per caso. La nostra Fondatrice cercava una ditta per completare a tempo record la Casa di Roma che doveva essere pronta per il Natale del 1949 ed ospitare i pellegrini dell’Anno Santo 1950.

La Madre ha dato il lavoro ai miei fratelli che si erano impegnati a consegnare la casa nei tempi prestabiliti. Io facevo parte dell’Impresa, curavo la parte amministrativa. Ero assente da Roma, mi trovavo nel Molise per vendere i terreni nella zona di Matrice-Montagano, Campolieto e lasciarne una piccola parte con la casa padronale, come ricordo dei genitori, quella casa che ampliata ed attrezzata ora è Casa Accoglienza.

Mio fratello Lino dirigeva i lavori e doveva andare in Sardegna per avviare i lavori per la bonifica del Flumendosa. Completata la vendita dei terreni, ho lasciato quella parte di mia proprietà, che voi conoscete.

Rientrato a Roma, mio fratello Lino mi ha informato che aveva preso un lavoro di edilizia in via Casilina da fare in fretta per conto di una Congregazione di suore molto in gamba, tutte giovani. Volevo conoscere il nome di questa Congregazione, mi ha risposto che il nome è molto lungo. Una Congregazione fondata da pochi anni, è vivente la Fondatrice ed è presente a Roma. Preso il libretto di appunti mi disse: “Si chiamano Suore Ancelle dell’Amore Misericordioso. Suore che lavorano molto, mentre lavorano pregano e non perdono tempo, sono sempre serene e piene di rispetto nei miei confronti. Ho parlato di te alla Fondatrice, che nonostante gli acciacchi, è l’animatrice di tutti e di tutto. Dicono faccia molta penitenza, abbia doni particolari e parli con il Signore, non si dà importanza, è di una intelligenza non comune e mi tratta come uno di casa”.

Tutte queste notizie mi hanno lasciato perplesso, per il tipo di lavoro. Trattare con gente santa mi sembrava difficile, perché non abituato.

A via Casilina ho conosciuto la Madre, che allora portava il bastone e gli occhiali. Sono stato accolto con molta cortesia. Lo sguardo della Madre ha penetrato il mio animo. Si è presentata Suor Emilia, di venerata memoria, allora rappresentante legale della Congregazione. Mi disse di avere molto rispetto con la Madre, perché è la Fondatrice, la Madre Generale e una santa. Sarebbe uscita in macchina con me, usare molta prudenza nella guida. Vi confesso che ci restai molto male, la ringraziai dei consigli e le dissi che erano inutili, perché conoscevo anch’io un poco il galateo.

Conobbi la Madre Ascensione, Superiora della Casa di Roma, mi colpì la sua modestia e bontà…

Conobbi altre suore, non cito i nomi per timore di lasciare qualcuna e lasciarla male.

Queste suorine, nel 1950, erano giovani e forti, piene di buona volontà. Venivo dal mondo, ero laico, mi hanno aiutato con il loro esempio. Vi confesso che mi sono meravigliato nel vedere suore, giovani o meno, lavorare con entusiasmo e con amore per la gloria di Dio.

Si è creata una certa simpatia della Madre e delle suore verso la mia povera persona, il Signore si è servito della Madre e delle suore per farmi scoprire la vocazione e la bellezza della vita religiosa. Non ringrazierò mai abbastanza il Signore e la SS. Vergine di avermi dato questo dono”[3].

 

La preparazione

            Certamente Alfredo non immaginava che cosa il Signore stava preparando per lui, ma lo veniva comunque preparando proprio attraverso il rapporto con M. Speranza e con le sue suore.

E’ ancora lui a raccontarcelo, sottolineando di essere stato molto colpito dallo “spirito di obbedienza, fatto di affetto e di stima”, dallo stile di gioia, di sobrietà e di serenità che vedeva regnare tra le suore. Contemporaneamente, in questa sua testimonianza emerge già il carattere generoso di Alfredo, il suo spirito di servizio e sollecitudine attenta per i bisogni degli altri. Ascoltiamolo:

“L’anno 1950 – 1951, è stato per me un anno di noviziato sotto la guida della nostra Madre. La Casa di Roma, per me, è piena di tanti bei ricordi. Lo spirito di obbedienza, fatto di affetto e di stima, che regnava tra le suore mi faceva riflettere: queste suore hanno rinunziato a tante cose, molte anche alla patria per servire Dio nei fratelli in povertà, castità, obbedienza. Beate loro che si accontentano di poco e sono sempre serene. Siccome lavoravano molto proposi alla Madre, allo scopo di farle riposare e darle un poco di svago, di accompagnarle a turno al lago di Albano, fare un giretto in barca, consumare una merendina, visitare l’aeroporto di Ciampino e rientrare in casa per le preghiere. Ne parlai alla Madre che approvò sorridendo. Durante le passeggiate era sempre presente la Madre sia in macchina sia in barca.

Le suore accettarono con entusiasmo e non finivano di ringraziare la Madre per il permesso e me, per la proposta. Dissi alla Madre che non avevo visto mai delle persone accontentarsi per tanto poco, in un mondo in cui la gente non era mai contenta e cercava sempre di possedere di più. “Le faccio tanti auguri, e speriamo che le sue figlie conservino sempre questo spirito di distacco da tutto”. La Madre mi ha risposto: “Le mie figlie sono veramente buone, ma non glielo dire perché potrebbero peccare di superbia”.

Si viaggiava molto in auto, le piaceva correre, perché con me, bontà sua, era sicura, quando rallentavo per far sentire alla segretaria i colloqui che la Madre aveva con il Signore mi diceva: “Figlio, cammina, se sei stanco prendi un caffè al primo distributore che incontriamo, altrimenti non si arriva mai”. Durante i viaggi, molte volte da soli, mi parlava di Dio, della Sua paternità e di tante cose sante, con molta discrezione senza rendersi pesante”[4].

 

i “segni” per suscitare la fede (testimone di eventi straordinari)

La preparazione di Alfredo è stata intessuta anche di tanti eventi straordinari di cui è stato testimone diretto. E’ sempre lui a ricordarne alcuni, chiamandoli “episodi edificanti”:

“Avrei centinaia di episodi edificanti da raccontare, ma quasi tutti sono stati registrati dalla segretaria della Madre. Un pomeriggio, era venerdì di quaresima del 1950, scusate non mi ricordo il giorno, ci recavamo a Monte Compatri per ordinare il vino dei Castelli Romani da dare ai pellegrini. Al ritorno si è pregato, poi mentre si parlava la Madre non rispondeva e parlava con qualche altro, vi confesso che non ho capito nulla. Mi accorsi che sul collo dei piedi della Madre vi erano due macchie, credevo che fosse olio caduto, non so da dove, con il fazzoletto asciugai quelle macchie e mi accorsi che era sangue. A Roma mostrai il fazzoletto e mi spiegarono tutto con mia grande meraviglia.

La suora incaricata del refettorio dei pellegrini, disse alla Madre e a me che occorreva del burro, perché erano in arrivo 500 pellegrini. Dovevamo uscire per fare le spese, ed io feci il conto per vedere la quantità di burro da comprare. La Madre mi disse di prenderne un chilo e sarebbe bastato per parecchi giorni e così fu, vi faccio notare che i pellegrini erano 500.

Giugno 1950, la Madre è molto ammalata, il medico consiglia di trasportarla con l’Autoambulanza in un luogo più fresco, per sottrarla al caldo afoso di Roma. Mi dicono di restare a dormire in via Casilina, le suore più anziane ricordavano che c’era una camera con l’ingresso nel palazzetto. Io accettai l’invito, ero molto preoccupato per le condizioni di salute della Madre, alla quale mi ero molto affezionato.

La mattina alle ore quattro, mi chiamano, dicendomi che la Madre desidera parlarmi per farsi accompagnare alla Casa di Matrice. Non potevo dire di no, poteva sembrare che non la volessi accompagnare, venne anche la Segretaria Generale e suor Piedad. Facemmo un viaggio ottimo. Allora non c’era l’Autostrada del Sole né la superstrada. A Matrice invece di riposarsi, si mise a passeggiare per vedere la tenuta. La mattina seguente, siccome era sofferente con le ginocchia, usava il bastone, per vedere se le ciliegie erano mature, fece un volo di circa 400 metri. Abbiamo trovato il suo bastone appoggiato al pozzo che adesso è stato chiuso e la Madre sotto una pianta di ciliegie a pregare.

La sera dello stesso giorno venne a trovarci il professore Tommaso Correra, allora Primario dell’ospedale civile di Campobasso, uomo di grande fede, mio carissimo amico; dopo aver visitato e parlato con la Madre, mi disse: “Questa è una santa, clinicamente è morta. Riaccompagnala a Roma, perché se dovesse morire qui, le suore potrebbero darti dei dispiaceri”. Non sapevo come dirlo alla Madre. La notte porta consiglio; la mattina seguente, mentre ci recavamo a Campobasso per la S. Messa, mi disse: “Figlio, non ti preoccupare per quello che ti ha detto il medico, io adesso non posso morire, perché il Signore mi ha detto di fare tante cose, se mi chiama non le potrei fare”. Migliorò rapidamente. Un giorno sempre a Matrice, era l’ora di pranzo, e la Madre non si trovava. La cercammo e la trovammo in estasi, in ginocchio su grosse spine che non so dove le abbia trovate.

Il 25 di giugno 1951, la Madre voleva andare nel Veneto, allora non c’erano le case di Vazzola e Francenigo, il diavolo le aveva promesso un viaggio disastroso, che non saremmo arrivati a destinazione. Al comunicarmi queste notizie, restai perplesso, mi disse che il Signore ci avrebbe aiutati, “questa volta lascio a casa la segretaria, perché si spaventa e portiamo una giovane che ti può aiutare”. Partiamo per Padova e Conegliano Veneto. Allora non c’era l’Autostrada del Sole, la Serenissima e la Romea era in costruzione. Fino a Firenze la macchina si comporta bene, è abbastanza nuova e in ordine. Al Passo della Futa, tra Firenze e Bologna, scoppia la prima gomma e siccome la strada era in pendenza, mentre cambiavo la gomma, la suora reggeva la macchina per timore che cadesse il martinetto. La seconda scoppia al Passo di Radicosa e la stessa funzione. Arriviamo nella Pianura Padana e la macchina si ferma, la Madre scende anche lei, mentre io con la suora controllo le candele e la calotta, tutto è a posto. La macchina riparte, sale la Madre e non vuole ripartire. A circa trecento metri c'era un elettrauto, controlla la macchina e la trova in ordine.

La Madre recitava il Trisagio alla SS. Trinità perché venisse in nostro aiuto, così abbiamo potuto continuare il nostro viaggio in pace. A Padova nella Basilica del Santo, la Madre si è rivolta direttamente al Signore, ha detto: “Sant’Antonio, non Ti offendere se mi rivolgo direttamente a Gesù perché devi accontentare tanta gente che si rivolge a Te e non puoi perdere tempo con me”. Smetto di annoiarvi”[5].

 

La croce o la spada?

            Fa parte di questa educazione preparatoria un’episodio molto significativo nel quale mi sembra di vedere un riflesso di ciò che il Signore ci dice per bocca del profeta Zaccaria:

“Non con la potenza né con la forza, ma con il mio spirito, dice il Signore degli eserciti!” (Zc 4, 6)

L’episodio è riportato in una lettera di P. Alfredo conservata nell’Archivio della nostra Famiglia religiosa

Collevalenza, 25/03/97

Oggi consegno al Padre Mario Gialletti un Crocefisso perché lo possa conservare in archivio: l’ho avuto direttamente dalla Madre. Così ricordo.

Eravamo nell’anno 1950. Da poco avevo conosciuto la Madre e frequentavo la Sua Casa in Via Casilina; come Ufficiale di Aviazione avevo anche il porto d’arma e avevo con me una rivoltella, una 6/35. La Madre mi invitò a disfarmene e io non comprendevo il motivo: in fondo mi faceva compagnia e mi dava sicurezza.

La Madre mi offrì questo Crocefisso, assicurandomi che Questo mi avrebbe fatto più compagnia e mi avrebbe dato più sicurezza. Aggiunse anche che ne avrei avuto uno ancora più grande, se il buon Gesù le avesse concesso la grazia che Gli stava chiedendo.

Accettai la proposta della Madre e mi liberai della rivoltella buttandola sul Tevere dal ponte prima di Fratta Todina, a Monte Molino.

Poi la Madre mi disse la storia di questo Crocefisso.

E’ quello della Sua prima Professione come Ancella dell’Amore Misericordioso (Madrid, 1930); successivamente Lo aveva lasciato per alcuni anni alla Sig.na Maria Pilar de Arratia e con Questo in mano essa emise i santi voti in articulo mortis come Ancella dell’Amore Misericordioso; nella tomba Le fu messo un altro Crocefisso. Da quel momento la Madre Lo passava a me.

L’ho avuto tanto caro con me per tutta la vita e in Lui ho esperimentato tanta compagnia e sicurezza.

Ora preferisco consegnarlo all’Archivio perché non vada perduto o smarrito.

P. Alfredo Di Penta fam

 

La chiamata

Nel corso di questi anni, tra il 1949 e il 1951, Alfredo ebbe quindi modo di conoscere e apprezzare vivamente la Madre Speranza. Lei, nel frattempo, gli veniva parlando di una Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che doveva nascere e, quando venne il momento della fondazione di questa, apprese dalla Madre che lui doveva essere il primo figlio.

La notizia lo sconvolse. Conosciamo la pagina del Diario in cui la Madre descrive questo momento[6]. Ma lasciamo che sia P. Alfredo stesso a raccontarci questo avvenimento centrale della sua vita… e anche della nostra:

“La Madre parlava di fondare una Congregazione… una Congregazione di sacerdoti, di religiosi, di fratelli di studio e di fratelli artigiani. Ascoltavo attentamente e le dissi di trovare dei santi sacerdoti per aiutarla nei primi anni della fondazione. Leggevo molti giornali e riviste. La Madre mi diede dei libri di meditazione per darle il mio parere sul contenuto, così mi sono abituato a fare la meditazione…

Un giorno la Madre, mi chiese come mai alla mia età non ero sposato, le risposi che c’era stata la guerra e non intendevo aumentare il numero delle vedove in caso di morte.

“Hai combattuto nell’Arma Aerea, tu sei dei pochi tornati a casa dopo tanti pericoli”. Risposi: evidentemente sono stato fortunato, mia madre e mio padre hanno pregato per me e il Signore mi ha aiutato. Sorridendo la Madre mi disse: “Il Signore non fa niente per caso, su di noi ha il suo piano di salvezza”…

Il 24 febbraio 1951, alle ore 16, la Madre stava male ed alloggiava nel piano terra di via Casilina, mentre recitava il Santo Rosario con Suor Visitazione e Suor Natalina, ad un certo punto non rispondeva più al Rosario, una suora va a chiamare la segretaria che registra il colloquio della Madre. Il Signore le disse che il giovane Alfredo Di Penta doveva essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso. La Madre mi fece chiamare dalla sua segretaria la quale mi disse che la Fondatrice desiderava parlarmi di una cosa molto importante e delicata. Mi recai dalla Madre dopo un esame di coscienza, pensavo tra me: “Che cosa dovrà dirmi?”. Mi accolse con molta delicatezza e mi disse con tanta sofferenza che il Signore aveva detto che era arrivato il momento di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso e, che il primo dovevo essere io. Vi lascio immaginare come mi sono trovato in quel momento. Le dissi subito: “Lei non ha capito bene il nome, io sono la persona meno adatta per una cosa così grande”. Vi confesso che rimasi scioccato, io sacerdote, non mi ci vedevo, mi cascava addosso il mondo. Una cosa troppo alta per me. La Madre mi disse: “La vocazione è un dono di Dio noi possiamo accettarlo o rifiutarlo”. Dissi: “Da dove comincio? Se il Signore mi aiuta e lei mi sostiene mi rimetto alla volontà di Dio. Non potrò aiutarla, anzi avrò bisogno di aiuto e di tanta pazienza”. Mi assicurò la sua preghiera, la sua pazienza e l’aiuto del Signore e vi confesso di aver sentito questo aiuto anche da parte di tante buone consorelle che hanno cambiato la mia vita.

La notte non presi sonno per l’emozione. Le suore mi vedevano pensieroso e preoccupato. Mi era caduta una tegola in testa. Appena la notizia venne a conoscenza delle suore, cantarono il Te Deum di ringraziamento, io ero molto emozionato. Mi davano gli auguri ed io pensavo tra me, ‘Povera Madre, è caduta male’”.

 

La Madre, insieme ad Alfredo, mosse subito i primi passi presso il Vescovo di Fermo, Mons. Perini[7], cercando il modo di preparare il futuro primo Figlio dell’Amore Misericordioso per il sacerdozio. Ma il tentativo di Fermo non andò bene per la resistenza di Alfredo a stare nel collegio di D. Ricci, che versava in condizioni disastrose. Lo stesso Buon Gesù le dice, allora, di rivolgersi al Vescovo di Todi[8]: Mons. Alfonso Maria De Sanctis li accoglie volentieri, e dispone la preparazione di Alfredo agli studi ecclesiastici servendosi dell’allora canonico Mons. Lucio Grandoni, Cancelliere della Curia vescovile di Todi. Di tale esperienza Mons. Grandoni ha parlato nell’omelia per il trigesimo della morte di P. Alfredo in questi termini:

“Il mio rapporto con Padre Alfredo cominciò 49 anni fa, all’inizio del 1951, io ero prete novello, ordinato a 22 anni e l’allora Vescovo Mons. Alfonso Maria De Santis mi chiese di insegnare teologia ad Alfredo Di Penta perché potesse diventare sacerdote. Era un incarico che mi spaventò, un incarico che ritenni superiore alle mie forze, in realtà trovai in lui una umiltà e una disponibilità che mi incoraggiarono”[9].

Il 14 agosto Alfredo, insieme a Don Giovanni Barbagli e Fr. Sanzio Supini[10] riceve da Mons. De Santis l'abito di Figlio dell'A.M., emettendo il giorno dopo i voti di obbedienza, castità e povertà. Sappiamo che i due primi compagni di Alfredo lasceranno la Congregazione in breve tempo. Misteri della chiamata e della risposta.

 

La “visione” di Alfredo

            Voglio chiamare con questo nome, “visione di Alfredo”, un’esperienza di tipo mistico che lui qualche volta ha raccontato, soprattutto negli ultimi tempi, dopo molto insistere, perché era molto restio a farlo. Io ricordo di averglielo sentito raccontare, quando era Superiore a Spinaceto, negli anni 1979-1980. Io ero giovane sacerdote e avevo la fortuna di stare nella sua stessa comunità. Anche se una volta lo feci arrabbiare molto, sentivo da parte sua molta fiducia e affetto nei miei confronti, sicuramente anche per il gran bene che aveva voluto a mia zia Sr. Rosario, vissuta diversi anni nella casa di Matrice, e della quale mi parlava spesso con grande affetto, stima e direi anche un’ammirazione che mi confondeva. Mi chiese due volte di accompagnarlo, per alcuni brevi giorni di riposo, nella villa che suo fratello Lino aveva all’Olgiata, nei dintorni di Roma. Durante quei viaggi, in un clima confidenziale, parlammo di molte cose e, tra le altre, mi raccontò l’esperienza che ebbe nella notte tra il 13 e il 14 agosto del 1951. Con il suo linguaggio semplice, senza enfasi, ma che traspariva ancora l’intensa emozione di quel momento, mi diceva che tra le tre e le quattro del mattino si era svegliato all’improvviso, avvolto da una luce intensissima, e aveva visto Gesù vestito con una tunica bianca e lunga, e una luce di uno splendore unico che gli usciva dal petto. Ai piedi di Gesù e guardando verso di Lui, c’era M. Speranza, in ginocchio, che sembrava molto piccola e aveva un’espressione radiosa di felicità che lo colpì molto. Alfredo fu preso da timore e aveva paura di guardare ciò che i suoi occhi vedevano con piena coscienza. Dopo, la luce e la visione scomparvero e lui notò, piegato e appoggiato su una sedia, l’abito religioso che avrebbe dovuto indossare quel giorno per la prima volta. La porta della sua camera, che dava sul cortile interno delle suore, era ben chiusa, precisava lui. Il mattino seguente, M. Speranza, sorridendo, gli disse che non era quello il modo di accogliere nostro Signore che gli faceva il favore di portargli l’abito per la vestizione.

 

A Collevalenza, la preparazione continua

Tre giorni dopo la professione, il 18 agosto 1951 vengono a Collevalenza, insieme alla Madre e ad alcune suore e Alfredo viene nominato superiore della prima Comunità presso la casa parrocchiale di Collevalenza.

Il 7 dicembre 1951 riceve la tonsura dalle mani di Mons. De Sanctis e continua la preparazione al sacerdozio.

Ma a Todi fece solo un anno di preparazione. La Madre stessa desiderava per Alfredo una preparazione più sistematica e fa capire, nel suo Diario che vide buona, anche se dolorosa, la disposizione della Congregazione dei Seminari, di inviare Alfredo nel Pontificio Seminario di Viterbo (“Seminario della Quercia”) per completare gli studi filosofici e compiere regolarmente quelli teologici in preparazione al sacerdozio[11].

Invece Alfredo prese malissimo la cosa. Si vergognava da morire di dover riprendere gli studi, all’età sua, con seminaristi molto più giovani di lui. Sicuramente questo fu uno dei periodi più bui della sua esistenza. Come ad Abramo, alla nostra Madre e a tutti i veri credenti non gli venne risparmiata la prova della fede.

 

La prova

Mentre negli ultimi anni, P. Alfredo è stato abbastanza prodigo di dettagli per quanto si riferiva al suo incontro con la Madre, con le suore e alla chiamata ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso, riguardo ai momenti più duri della sua vita ha mantenuto quasi sempre il riserbo che lo caratterizzava. Poche volte l’abbiamo sentito parlare dei problemi iniziali a Fermo e dei problemi incontrati al seminario della Quercia, e sempre come chi fa fatica a sollevare il velo di esperienze dolorose che preferisce conservare nel segreto del cuore. Della forte crisi che accompagnò il passaggio da Todi a Viterbo, fino al punto di voler lasciare la Congregazione, io personalmente non l’avevo mai sentito parlare, ed è stata una grande sorpresa vedere, nel Diario della Madre, come lei ne parla dettagliatamente e quanto ci ha sofferto. Abbiamo cercato di riportare questa tappa dolorosa nel mese di maggio della formazione permanente di quest’anno 2000-2001, sotto il titolo: “Il Calvario di P. Alfredo”[12].

Prendo solo alcuni stralci da ciò che scrive la Madre:

“26 febbraio 1952 – Parto per Fermo (…)

            Solo Gesù sa quanto mi è costato abbandonare in questi momenti la casa di Collevalenza, in una situazione così difficile per il P. Alfredo, il quale soffre terribilmente (…) Il Padre sente di non avere la forza di entrare in Seminario e il tignoso sfrutta la sua tristezza per convincerlo che, all’età sua, è un pazzia affrontare gli studi ecclesiastici.

            Il Padre, in questo stato di turbamento, ha bisogno di sfogarsi e lo fa con questa povera creatura, e solo il Buon Gesù sa quanto soffro vedendo questo figlio in queste condizioni: mi incolpa delle sue sofferenze e dice che preferisce essere Fratello di Studio, dato che ha il diploma di maestro.

            Ma Gesù vuole da lui un’altra cosa, e così io devo mantenermi forte nella lotta con questo figlio, affinché arrivi ad essere un santo Sacerdote, dato che questo è ciò che Gesù gli chiede”.

“28 febbraio 1952 – Neanche questa notte mi sono messa a letto, perché l’ho trascorsa come lei già sa, cioè, fuori di me e unita al Buon Gesù e, nonostante ciò, debbo dirle che soffro molto per la situazione del Padre Alfredo.

Desidererei essere vicino a lui perché scaricasse su di me quelle espressioni che, se da una parte mi fanno soffrire molto, dall’altra costituiscono sicuramente uno sfogo per il suo cuore angosciato. A chi meglio di una madre si debbono dire? Inoltre a me servono per unirmi più strettamente con il Nostro Dio, perché le prove e il dolore del Padre li sento come miei e così mi offrono l’occasione di provare il mio amore verso il Buon Gesù, dato che amarlo quando mi colma di grazie, carezze e beni, è molto facile, ma unirmi strettamente a Lui, con gioia ed allegria, non sempre so farlo in mezzo al dolore e vorrei, Padre mio, abituarmi a ciò, o meglio, formare in me questo prezioso abito”.

 

“1 marzo 1952 – Parto per Roma, alle quattro e mezza sono stata ricevuta da Sua Emza il Cardinale (…)

Ha detto ad un signore che stava con lui che io avevo fondato una Congregazione “maschile” e che lui era disposto ad aiutarmi in tutto, ma non a lasciare il P. Alfredo a Todi, perché lui vuole che vada al Seminario di Viterbo dove, dice, si preparerà bene al Sacerdozio.

Questa determinazione del Cardinale, nonostante sia qualcosa di forte sia per il Padre che per me (dato che il Sr. Vescovo di Todi ci aveva promesso di preparare lui stesso il Padre, senza che dovesse andare in Seminario, e di fatto lo stava facendo), mi ha consolato perché io vedevo che a Todi il Padre non si stava preparando seriamente, e così mi è dispiaciuto solo per il Padre, dato che lui si è deciso a studiare solo con questa condizione, perché non era disposto a entrare in alcun Seminario”.

 

“3 marzo 1952 – Faccio visita a sua Eccza il Sr. Vescovo di Fermo, e gli racconto quanto è avvenuto con S. Eminenza il Cardinale, e come questi ha deciso che il P. Alfredo smetta di studiare a Todi e passi al Seminario di Viterbo, e come il Padre non è disponibile a fare questo passo.

La notte del 3 ho sofferto molto, perché il tignoso mi ha trattato molto duramente, dandomi parecchi colpi sulla spalla e in testa, dicendomi una serie di atrocità riguardo al Padre, che mi fanno soffrire abbastanza, perché, anche se so che è padre di menzogna, i suoi temporali sono sempre pesanti.

Io, in mezzo alle mie sofferenze, grazie al Buon Gesù mi sento felice e, aiutata da Lui, sono pronta a soffrire tutto ciò che Lui permetta, anche se si trattasse della prova di un fallimento e dovessi passare per la dolorosa angustia di cui parla il tignoso, perché sono sicura che, aiutata dal Buon Gesù, vincerò; che il Padre sarà Sacerdote e che la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso si rafforzerà sempre di più con le angustie, croci e dolori.

“Tu solo sai, Gesù mio, quanto soffro sentendo dire al Padre che non è disposto ad andare in Seminario, che piuttosto chiede a S. Eccza la dispensa dei suoi Voti!

Aiutalo, Gesù mio, e dona al mio carattere una grande prontezza per accomodarsi facilmente al carattere degli altri, e nutri il mio carattere di quell’insieme di dolcezza, fortezza e tatto, di cui tanto ho bisogno in questi difficili momenti, per poter compiere fedelmente la vostra Divina Volontà e comportarmi come madre con l’angosciato Padre”.

 

“4 marzo 1952 – Padre mio, questa notte è stata per me dura, molto dura, dato che, pur facendo molti sforzi con il cuore e la mente per riconcentrarmi, o meglio, per uscire da me ed entrare in Lui, tutto è stato inutile: non è venuto e io non sono uscita da me per entrare in Lui, e non ha spostato neanche per un momento il velo che lo copre, e non l’ho neanche sentito. Ma, in mezzo a questa sofferenza, mi sento tranquilla, pensando che così piace al mio Dio.

Mi tormenta, anche, il vedere la poca rassegnazione del Padre e chiedo al Buon Gesù mi conceda il fervore per poter riscaldare questo figlio e fargli comprendere che, quando si ama il nostro Dio fortemente, si trovano tante dolcezze nel dolore che si sospira per esso, lo si sogna e non si può vivere se non nella croce.

Ma sa che cosa mi succede, Padre mio? Nel momento in cui comincio a parlare al Padre in questo modo, si alza e mi dice: “non voglio sentirla, mi ha ingannato una volta e basta. Gesù doveva misurare ciò che dà ad ognuno e non dare in questo modo che non se ne può più. Io non gliela faccio, quindi sarò buono nel mondo”. Che tormento per questo figlio e per me, Padre mio!”

 

“5 marzo 1952 – Mi trovo, di nuovo, a Collevalenza vicino ai miei figli, ma con una grande pena, perché vedo il Padre deciso ad abbandonare la Congregazione”.

 

“6 marzo 1952 – Mi chiedi, Gesù mio, se soffro molto. Tu lo sai e neanche ignori, Signore, il martirio che provo nel vedere il Padre Alfredo così fuori di sé.

Dove sono, Gesù mio, le promesse che gli hai fatto e che io ho fatto a lui in tuo nome? Credi, Gesù mio, che il Padre riuscirà a sopportare questa prova così dura per lui? Se Tu lo credi ed è gradito a Te, sia fatta, Signore, la tua Volontà, anche se per lui e per me sarà dura, sia fatta anche se ci dovremo soffrire molto e sia fatta, Signore, anche se non riusciamo a capirla, ma fa, Gesù, che i nostri cuori ardano nel tuo amore perché oggi, con l’anima inondata di dolore, non so dirti niente, non sento le dolcezze dell’amore e, come vedi, non so dirti una sola parola! Solo, Gesù mio, che si compia in noi la tua Divina Volontà, anche se ci dobbiamo soffrire molto”.

 

“19 marzo 1952 – Come sono rimasta addolorata, Padre mio! (…)

Lui (P. Alfredo) in questo momento si è dimenticato che nostro Signore fa miracoli nei confronti delle anime umili che confidano in Lui e che, anche se respinte, perseverano nella loro richiesta. Io chiedo al Buon Gesù che non tenga in conto niente di quanto dice e che lo illumini e infiammi nel suo amore, e così allontani da sé questo pensiero che tanto lo tortura, cioè il che cosa diranno e il voler fare bella figura.

Fa, Gesù mio, che (…) veda Te in tutte le cose, orientadole per la gloria Tua e il bene della sua anima; e aiutalo a sollevarsi dalla terra ed elevarsi verso di Te”.

 

Sacerdote per sempre fino al “consummatum est”

Ricevette il sacro Ordine del Suddiaconato il 18 dicembre 1954[13] e il Diaconato il 9 aprile 1955[14]. Il 3 luglio dello stesso anno, dopo aver sostenuto con ottimi risultati gli esami del 3° anno di teologia, per un particolare rescritto di Sua Eminenza il card. Giuseppe Pizzardo della Sacra Congregazione dei Seminari, venne ordinato sacerdote da Sua Ecc.za Mons. Alfonso Maria De Sanctis nella nuova Cappella dell'Istituto Amore Misericordioso a Collevalenza (oggi Santuario dell’Amore Misericordioso), inaugurata la sera precedente[15].

Il 3 settembre 1956 fu eletto, nel 1° Capitolo generale dei FAM, Superiore generale della Congregazione, carica che ricoprì per due sessenni consecutivi. Ha svolto numerosi e diversi altri servizi, da parroco di Collevalenza a Vicario generale, Superiore presso la comunità di Spinaceto dal 1974 al 1980, Superiore della comunità di Perugia dal 1980 al 1986, finché nel 1994, chiudendosi la Casa del Clero di Perugia, è stato trasferito presso la Comunità del Santuario in Collevalenza e nel maggio del 1995, per motivi di salute, è passato alla Comunità di accoglienza sacerdotale presso la Casa del Pellegrino, sempre in Collevalenza.

Tutti lo ricordiamo a Collevalenza, negli ultimi anni, muovendosi lentamente con il carrellino in cui teneva la bomboletta dell’ossigeno, il breviario e qualche altro opuscoletto. In questo modo girava fin dove riusciva a muoversi, si fermava a pregare nel Santuario, incontrava e salutava le persone con la sua affabilità discreta e rispettosa, seguiva tutte le attività.

Il primo giugno del 1999, un giorno avanti la sua morte, trovandomi a Collevalenza per una riunione, lo incontrai verso le 3 del pomeriggio aspettando l’ascensore. Appoggiato al suo passeggino, era affaticato, ma con lo sguardo vivo e presente. Mi chiese come stavo e poi mi domandò se avevo visto i bei lavori che stavano facendo per i parcheggi nuovi e il centro informazioni del Santuario. Non gli sfuggiva niente. Lo salutai senza pensare che era il nostro ultimo saluto su questa terra. Il giorno dopo, 2 giugno 1999, alle ore otto del mattino si addormentava nel Signore senza far rumore, come era vissuto.

 

Alcune considerazioni sulla persona di P. Alfredo

            Non è facile parlare di chi poco ha parlato e intensamente ha vissuto, anche perché le cose più grandi il Signore le fa quasi sempre nel silenzio e lontano dai riflettori, come si può vedere nella sua opera magna, l’incarnazione, morte e risurrezione.

            Ma penso che fa bene a noi contemplare questa figura e chiederci perché il Signore ha scelto proprio lui. O meglio chiederci che cosa ha voluto dirci il Signore scegliendo proprio lui e non un altro come primo Figlio dell’Amore Misericordioso. Perché il Signore non fa le cose per caso, perché è distratto o non trova di meglio.

Il Vescovo di Todi Mons. Grandoni, parlava in questi termini della chiamata di P. Alfredo: “Tante volte noi siamo portati a credere che le realizzazioni dipendono dalla forza di carattere, dipendono da una personalità particolarmente forte, da una personalità straordinaria, invece il Signore si prende gioco di noi e prende proprio persone semplici, umili, obbedienti, disponibili, per fare grandi cose. Per questo ha scelto Padre Alfredo Di Penta per questa missione di inizio e di avvio della Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso”[16]

 

Un maestro di umiltà e di silenzio

            Una caratteristica che tutti abbiamo notato in P. Alfredo è stata la sua discrezione umile e silenziosa. La riassumerei con le commosse parole che il nostro Superiore generale P. Lucas disse nell’omelia del suo funerale:

“L'umiltà e la semplicità, di cui ci parla il vangelo, caratterizzavano in maniera particolare Padre Alfredo. Come è vero che il Signore nasconde le cose grandi ai sapienti e agli intelligenti e le manifesta ai piccoli, agli ultimi, a coloro che sanno ascoltare! Padre Alfredo è stato l'uomo dell'ascolto e del silenzio ed un grande esempio di umiltà e di semplicità, mettendosi sempre all'ultimo posto…

Egli è stato un grande maestro del silenzio: parlava poco, pregava molto e attuava silenziosamente, predicando più con l'esempio della vita che con le parole, come ci insegnava nostra Madre[17]

            Questo atteggiamento “da ultimo posto” era quasi caratterizzato da una certa ritrosia. Sembrava di ritrovare in lui l’incarnazione, così rara, del detto di S. Paolo: “Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso” (Fil 2, 3)

 

Un uomo di fede semplice e profonda

All’umiltà univa una fede semplice e profonda, senza enfasi, che manifestava nella preghiera intensa e nei consigli che dava. Una fede tanto più eloquente, nella sua discrezione, se pensavamo che era stato testimone di eventi straordinari. In lui si realizzava bene quel detto della nostra Madre secondo il quale la fede è il premio di Dio all’umiltà.

 

Uno che si faceva servo degli altri

            Ho ricordato come, fin dai primi tempi in via Casilina, manifestò la sua sensibilità e disponibilità al servizio, portando le suore a riposarsi sul lago di Castelgandolfo. Questo lo avrebbe fatto anche altre volte, anni più avanti. Personalmente lo ricordo quando era superiore a Spinaceto e io ero incaricato dei nostri giovani teologi. Stavamo nella casa vecchia di via Renzini, le suore abitavano nell’appartamento del quinto lotto. I teologi dovevano partire presto per andare a scuola e P. Alfredo mi diceva: tu non ti alzare presto perché devi studiare, stare con i teologi e poi lavorare in parrocchia; non ti devi strapazzare; mi alzo io che dormo poco di notte e preparo la colazione per i ragazzi. E tutte le mattine, dopo la preghiera, trovavamo la colazione, il caffè e il latte caldo preparati da lui.

            - Hai mangiato? – chiedeva quando arrivavi tardi. – Tu sei giovane, hai bisogno di mangiare -. A tavola era il primo che si alzava per servire e raccogliere i piatti. Così lo ricordiamo anche a Perugia, finché la salute glielo ha permesso.

Ricordiamo la sua disponibilità nel confessare e ascoltare le persone, fino all’ultimo, nella misura in cui le forze glielo permettevano.

“Padre Alfredo è stato veramente un uomo giusto, un uomo buono che ha raggiunto la santità cercando di fare bene le piccole cose d’ogni giorno”[18].

 

Uno che si è fatto povero per amore

            Certamente alla famiglia Di Penta non mancavano i beni materiali. P. Alfredo si è spogliato di tutto per seguire la vocazione a cui il Signore lo ha chiamato per mezzo della Madre. Pensiamo al cambiamento di tenore di vita che ha supposto per lui la vocazione religiosa.

Era quasi ossessionato dalla virtù della povertà, fino al punto che la stessa Madre scherzando gli dava del tirchio e gli diceva di non esagerare.

Ho sentito raccontare da P. Mario Gialletti che nei primi tempi, P. Alfredo portava in macchina un paio di scarpe vecchie, che si infilava quando si metteva alla guida nei suoi numerosi e frequenti viaggi, per non consumare le scarpe buone, soprattutto quella destra, con l’accelleratore e il freno. Quando la Madre se ne accorse gli diede una strigliata affettuosa. Pietro ci ha raccontato ancora di come faceva mettere le toppe sul fondo delle scarpe, anziché la risuolatura completa.

 

Affabile

            Nelle ricreazioni era molto affabile: gli piaceva raccontare le avventure della guerra mondiale, quando era aviatore, le missioni che facevano, i primi incontri con la Madre, gli inizi della Congregazione, il rapporto amichevole con Mons. De Sanctis ecc. Gli piaceva fare le battute spiritose, quando si trovava in un clima di confidenza. Aveva un discorrere piacevole, anche se la gola non l’aiutava molto, soprattutto negli ultimi tempi.

 

Prudente e rispettoso, dimostrava stima sincera

Si avvertiva in lui una grande prudenza e rispetto verso ogni persona, pur dicendo con franchezza le sue impressioni. Sappiamo quale affetto e rispetto, unito a profonda stima, nutriva per le nostre consorelle e per tutti i confratelli, senza eccezioni.

Ricordo di avergli sentito fare qualche valutazione negativa solo in rare occasioni, avvertendo in lui più una sofferenza interiore che un giudizio vero e proprio.

 

Un uomo di speranza

            Con le prove che ha sofferto ha imparato sicuramente ad avere una speranza forte. “Padre Alfredo è stato l'uomo della speranza. Essendo vissuto per tanti anni vicino a Madre Speranza, ha imparato da lei a sperare ed a confidare, senza mai perdersi d'animo, nemmeno nei momenti di maggiore difficoltà, riuscendo a trasmettere agli altri le sue ferme convinzioni e la sua grande fede nella Provvidenza”[19]

 

Ha saputo amare e soffrire

            Mi sembra che anche il suo modo di amare era come lui, semplice, discreto e rispettoso, sincero e genuino. Il suo stile era buono e retto. Personalmente ho dei ricordi molto belli, che serbo nel cuore, delle confidenze che mi faceva e dei consigli che mi dava.

Si preoccupava di tutto con vero interesse fino a soffrirci nel silenzio. Essendo di temperamento un po’ ansioso, più di una volta l’abbiamo sentito dire che non dormiva la notte per qualche preoccupazione. In quelle notti insonni il rosario scorreva a lungo tra le sue dita. Anche l’asma e i problemi al cuore che lo hanno tormentato, sono stati sicuramente collegati a questi fattori.

 

Esempio di fedeltà e santità

Cito ancora l’omelia di P. Lucas in cui sottolinea il suo esempio di fedeltà e santità: “Padre Alfredo è stato il primo Figlio dell'Amore Misericordioso ed è stato per tutti noi anche il grande esempio da imitare nell'incarnare e nel vivere il nostro carisma e la nostra missione. Egli è stato esempio e modello di fedeltà e disponibilità, pronto a compiere il più piccolo desiderio della Madre ed attento sempre ai confratelli e alle consorelle, contento di poter rendersi utile e di poter prestare qualche servizio. E' stato il primo in tutto: nel lavoro, nella disponibilità, nella generosità, nel sacrificio; tutto fatto con grande semplicità ed umiltà, nel nascondimento e nel silenzio, senza farsi mai notare e senza far rumore. Cosi è vissuto e così se ne è andato.

Egli ha saputo mettere in pratica i consigli che Madre Speranza rivolgeva spesso ai primi Figli e alle prime Figlie: "Dovete diventare santi. I primi hanno il dovere di diventare santi". E Padre Alfredo ci è riuscito”[20]

 

Conclusione

            Concludo ringraziamo il Signore per averci dato in P. Alfredo una figura bella perché semplice, e grande perché piccola. In lui vediamo realizzata la parola di Gesù: “Chi vuol essere grande tra di voi, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. Il Signore ci aiuti a far nostro il mistero della piccolezza di questo “primo Figlio del suo Amore Misericordioso”.

P. Aurelio Pérez García FAM

 


[1]     Diario (El pan 18, 6)

[2]     Queste notizie sulla famiglia sono state fornite a Ennio Fierro dalla nipote di P. Alfredo, Elisabetta.

[3]     Testimonianza di P. Alfredo alla Famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso, febbraio 1999.

[4]     Ib.

[5]     Ib.

[6]     Diario (El pan 18, 1042-1050)

[7]     Cf Diario (El pan 18, 1050-1055)

[8]     Cf Ib, 1056-1057

[9]     Dall’Omelia di S.E. Mons. Decio Lucio Grandoni, vescovo di Orvieto-Todi, nel trigesimo della morte di P. Alfredo di Penta, 2 luglio 1999.

[10]    Cf Diario (El pan 18, 1080-1081)

[11]    Cf Diario (El pan 18, 1153)

[12]    Cf Diario (El pan 18, 1103-1185)

[13]    Cf Ib, 1519

[14]    Cf Ib, 1526

[15]    Cf Ib, 1534

[16]    Dall’Omelia tenuta da S.E. Mons. Decio Lucio Grandoni, vescovo di Orvieto-Todi, nel trigesimo della morte di P. Alfredo di Penta, 2 luglio 1999.

[17]    P. Maximiano Lucas, Omelia per la Messa di funerale di P. Alfredo, 3 giugno 1999.

[18]    Ib

[19]    Ib

[20]    Ib