CON I SACERDOTI

SULLE ORME DI MADRE SPERANZA – 3

Sac. Angelo Spilla

Vita presbiterale e consacrazione «religiosa» con voti

 

 

Edizioni Amore Misericordioso - novembre 2004

Perché la scelta di Madre Speranza

 

Premessa

«Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum»

«Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme» (Sl 133)

È veramente un’intima gioia incontrarsi e avvertire la fraternità che nasce tra coloro che partecipano dell’unico ed eterno sacerdozio di Cristo.

Siamo convinti che la figura del sacerdote va attenzionata per le varie difficoltà che sorgono nella sua figura in quanto tale, per la difficoltà di proporre il vangelo in una società secolarizzata, per la sua missione condizionata anzitutto da problemi oggettivi per lo più indipendenti da orientamenti e scelte pastorali.

Alle difficoltà oggettive - secolarismo, incapacità della Chiesa di elaborare nuovi linguaggi religiosi, difficoltà nel proporre il messaggio religioso in una società secolarizzata e in profondo rapido cambiamento - si aggiungono quelle altre che riguardano gli aspetti interni alla Chiesa e quindi il rapporto con il proprio vescovo, il rapporto con gli altri presbiteri, crisi di identità e solitudine.

Dinanzi a tutto ciò si nutre la speranza che i sacerdoti si sentano meno soli nella vita quotidiana e nel lavoro pastorale cogliendo l’appello del Papa quando scrive nella Novo millennio ineunte: «Duc in altum! Andiamo avanti con speranza» (58) impegnati a camminare nelle vie dello spirito e nella spiritualità di comunione. Facendoci aiutare propriamente dalla «Novo Millennio Ineunte» di Giovanni Paolo II e dall’Istruzione della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata «Ripartire da Cristo. Un rinnovato impegno della vita consacrata nel terzo millennio», il nostro compito sarà quello di chiederci come la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso può venire in aiuto ai sacerdoti e particolarmente come il sacerdote diocesano con voti, Figlio dell’Amore Misericordioso, è chiamato ad incarnare il proprio «essere religioso» all’interno della realtà presbiterale diocesana ove è incardinato.

In ultimo, anche, occorre chiedersi cosa può e deve dire la vita del sacerdote diocesano FAM al mondo d’oggi nonostante il riconoscimento della spiritualità diocesana.

Sappiamo che la chiamata a questo ramo specifico della famiglia religiosa FAM è piuttosto singolare

in quanto trattasi di coniugare l’essere diocesano e religioso contemporaneamente.

Madre Speranza per ispirazione divina ha voluto infatti che anche i sacerdoti diocesani possono appartenere alla Famiglia dell’Amore Misericordioso mediante l’emissione dei voti con le caratteristiche

e le peculiarità proprie che esige l’essere sacerdote diocesano.

Non nascondiamo le difficoltà nel tentare di affrontare questo tema per la sua peculiarità, per l’approccio singolare in quanto fattore innovativo e, in ultimo, per non rischiare di offrire una risposta a modo umano tentando di accostare in modo semplicistico, senza calarci cioè nella realtà del carisma, elementi della vita religiosa con quella della vita sacerdotale diocesana.

È utile ricordare di trovarci anche davanti ad un pronunciamento della stessa Gerarchia ecclesiastica che ne ha riconosciuto il dono. Si è avuto, infatti, l’approvazione da parte della Sede Apostolica, seppur «ad experimentum», di questo ramo della Famiglia religiosa FAM. Ciò ci dice l’apertura a nuove forme di questo carisma; un dono e una chiamata ancora del Signore e non da volontà umana.

Sappiamo, infatti, quanto è costato a Madre Speranza la fondazione di questo ramo, questo cioè dei sacerdoti diocesani con voti, quante prove e lotte ha dovuto affrontare con il «tignoso», il diavolo, e come è stata obbediente alla volontà del « Buon Gesù».

Due avvenimenti, in ultimo, ci invitano ad affrontare particolarmente il tema datoci in questa quarta settimana per i sacerdoti diocesani FAM «Vita presbiterale e consacrazione religiosa»: il prossimo 2004 ricorre il 50° anniversario di fondazione dei sacerdoti diocesani FAM e nel 2005 si compie il periodo dei 10 anni, il tempo concesso dalla Santa Sede, «ad experimentum», riguardante l’approvazione di questa nuova forma di consacrazione religiosa.

Sono motivi, questi, che ci fanno riflettere, ci responsabilizzano e ci chiamano ad un maggiore impegno.

 

1. La Vita Consacrata e «nuove» forme istituzionali. Significato di una presenza.

«Ripartire da Cristo», prima ancora che il titolo dell’ultima Istruzione della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, è la felice intestazione del terzo capitoletto della lettera apostolica: «Novo Millennio Ineunte» di Giovanni Paolo II.

Il modello di riferimento della comunione ecclesiale offertaci dal Papa, a conclusione del Giubileo del 2000, è il mistero della comunione trinitaria. Nella lettera apostolica egli infatti ci esorta di

«fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione» (NMI, 43). Ciò comporta «promuovere una spiritualità della comunione», che diventa come un «principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano».

Adattata alla vita religiosa, siamo convinti che si diviene esperti di «spiritualità di comunione» anzitutto grazie a una radicale conversione a Cristo, una docile apertura all’azione del suo Spirito, e un’accoglienza sincera dei fratelli.

«Senza questo cammino spirituale - ricorda ancora il Papa - a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che vie di espressione e di crescita «(Ibidem).

La vita consacrata è essenzialmente vita di comunione, espressione della vita ecclesiale come comunione rinforzata da un carisma speciale, carisma collettivo al quale partecipano tutti i suoi membri, e questo per chiamata divina, per vocazione personale.

È importante riconoscere, però, che la Chiesa è comunione e che tutta la vita ecclesiale è associativa, vita associativa per dono divino, vita associativa in Cristo, Verbo fatto carne, vita associativa che è insieme comunità di fede, di speranza e di carità e società organizzata che esprime e protegge la vita nello Spirito, vita che fa partecipare alla vita divina, alla vita trinitaria (Cfr. LG 8a).

Questa unione fondamentale della Chiesa con Cristo si vive nell’Eucarestia. Ed è l’Eucarestia che suppone una partecipazione di tutti alla missione di Cristo, alla sua funzione di insegnamento

e di santificazione.

Ogni altra vita associativa nella Chiesa è secondaria e dipende da questa vita associativa fondamentale, che fa della Chiesa il corpo di Cristo di cui ogni cristiano è chiamato ad essere membro vivente e responsabile dell’unione con gli altri.

È in questa unione Trinitaria e di «incarnazione»che si situa la vita consacrata come vita associativa nella chiesa. La vita consacrata va vista così come vita di comunione, espressione della vita ecclesiale come comunione rinforzata da un particolare carisma.

A cinque anni dall’Esortazione Apostolica «Vita consecrata» (25 marzo 1996) e dopo la Lettera Apostolica «Novo Millennio Ineunte» (6 gennaio 2001) di Giovanni Paolo II, la Congregazione per

gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha emanato una Istruzione proprio per i religiosi: « Ripartire da Cristo. Un rinnovato impegno della vita consacrata nel terzo millennio» (19 maggio 2002).

Il documento è di grande valore sia perché dà una maggiore comprensione e vitalità alla vita consacrata in se stessa sia, particolarmente per noi, in quanto apre nuove frontiere per la presenza della vita religiosa oggi.

Se da un lato, cioè, si richiama che «le persone consacrate sono chiamate dallo Spirito ad una costante conversione per dare nuova forza alla dimensione profetica della loro vocazione» (n. 1), il documento offre nuovi spazi per una nuova presenza della vita religiosa senza cancellarne altre: «Davanti alla progressiva crisi religiosa che investe tanta parte della nostra società le persone consacrate, oggi in modo particolare, sono obbligate

a cercare nuove forme di presenza, e a porsi non pochi interrogativi sul senso della loro identità o del loro futuro»(n.12).

Il documento in quanto tale è di una eccezionalità grande. Presenta la vita consacrata, quale presenza della carità di Cristo in mezzo all’umanità, per quello che è e per quello che fa (Prima parte ) per sollecitare il coraggio di affrontare le prove e le sfide al fine di riscoprire il senso e la qualità della vita consacrata in quanto tale (Seconda parte). Nelle rimanenti due parti viene richiamato l’impegno nella vita spirituale vivendo in modo particolare la spiritualità di comunione (Terza parte) e

le necessità di essere testimoni dell’amore per seguire Cristo sulle vie della storia dell’uomo (Quarta parte).

Proprio in ragione del cercare»nuove forme di presenza» (12) e del dare uno slancio apostolico nella

«fantasia della carità» (36) si qualifica, a mio avviso, il carisma dato ai sacerdoti diocesani con voti. C’è già qui il richiamo e la ragion d’essere di questa presenza.

Anche la stessa normativa codiciale canonica lascia un’apertura alla nascita ed al riconoscimento di «nuove» forme di vita consacrata. L’importanza del can. 605 del Codice di Diritto Canonico è senza dubbio notevole per la vita consacrata e il suo futuro. Per «nuove» forme di vita consacrata si intendono forme istituzionali diverse da quelle approvate. Queste comunque dovranno rientrare all’interno delle finalità generali fissate dal can. 573 e proprio perché «nuove» contribuiranno certamente a manifestare un aspetto differente del mistero di Cristo, che viene tramite esse carismaticamente riattualizzato.

Il legislatore - ancora il Papa quindi - mostra una grande sensibilità nei confronti della realtà della vita consacrata nonché una apertura alla libertà creatrice dello Spirito nel suscitare sempre nuovi carismi per l’edificazione della Chiesa.

Anche qui, nel nostro caso, in sintonia con il Codice di Diritto Canonico, non si tratta di chiedere alla Sede Apostolica l’approvazione di un nuovo Istituto ma una nuova «forma» di vita consacrata all’interno della stessa Famiglia religiosa, non modificando il contenuto della vita consacrata ma presentando componenti strutturali nuove, che non rientrano in quelle già previste.

Di fatto esistono oggi realtà ecclesiali che non trovano una collocazione all’interno delle forme istituzionali di vita consacrata e che possono essere considerate una prefigurazione di forme nuove. Altre, invece, come il ramo dei Sacerdoti Diocesani FAM, sono state approvate «ad experimentum».

 

2. I Sacerdoti Diocesani FAM quale «nuova» forma di presenza religiosa

Leggendo il diario di Madre Speranza si evince come Dio escogita sempre «cose nuove» per condurre avanti il suo piano. E giunge anche il momento, per ispirazione dall’alto, di dare vita a un ramo particolarissimo all’interno della Congregazione: i sacerdoti diocesani consacrati come Figli dell’Amore Misericordioso.

È difficile a prima vista comprendere questo particolare inserimento nella Famiglia Religiosa FAM sia dal punto di vista giuridico che spirituale e pastorale.

Nel suo diario scriverà, infatti, così la Madre il 29.02.1952: « Il buon Gesù mi ha detto che è arrivato il momento di scrivere ciò che si riferisce al Clero in comunità…., non devo farmi nessuna illusione ma solo scrivere ciò che Egli mi ha detto senza preoccupazione del risultato». E poi il 20.03.1952 annota il colloquio avuto con Mons. Perini quando scrive: « Le ho anche parlato del progetto che il Clero secolare faccia vita di comunità e mi ha risposto quello che già sapevo e cioè: come riusciranno a vivere in comunità Sacerdoti Religiosi insieme a Sacerdoti secolari se non si amano tra di loro? Le ho risposto che per questa stessa ragione, secondo il buon Gesù, è un bene metterli insieme affinché, uniti, si amino e insieme si santifichino».

È da notare, però, che la gestazione di questo ramo è stata molto sofferta: il «tignoso» più volte è ritornato a farle guerra, infastidito da questo disegno divino.

La data di nascita di questo nuovo ramo sarà l’8 dicembre del 1954: « Nella casa di Fermo fanno i loro voti nella Cappella dei Figli dell’Amore Misericordioso i due primi Sacerdoti del clero secolare: Don Luigi Leonardi e Don Lucio Marinozzi». Si aspetterà poi il 25 luglio 1995 l’approvazione, ad experimentum per 10 anni, da parte del Magistero ecclesiastico.

I due articoli delle Costituzioni, articoli 10 e 20, che si riferiscono al ramo dei sacerdoti diocesani con voti e particolarmente lo Statuto riguardante questi sacerdoti, presentano questa chiamata quale segno profetico per la Chiesa con il compito di testimoniare che Dio è un Padre buono che ama tutti i suoi figli, e a testimoniare quest’amore con l’unità concreta delle altre componenti della stessa famiglia religiosa.

Lo Statuto, ricco e chiaro nel suo contenuto, delinea la finalità e la modalità di questa chiamata, fermo restando che si tratta del medesimo carisma della Congregazione FAM.

Tra le varie qualità va specificata quella che riguarda il fine primario della Congregazione e cioè operare «per l’unità del clero diocesano e la sua santificazione, in spirito di concreto servizio fraterno» (Statuto, art. 5), incarnando nel proprio ministero la particolare sollecitudine dell’Amore Misericordioso del Signore.

Con questo carisma si corrisponde maggiormente alla perfezione della carità, ossia alla santità della vita propria e altrui, si impara ad estendere il proprio «io» fino a raggiungere la capacità di aderire a un progetto comunitario, così ché i doni di ciascuno diventino tesoro per tutti e la testimonianza personale confluisca in un bene ecclesiale.

Proprio perché - come ha scritto qualcuno - «il sacerdozio è un gioco di squadra», il sacerdote diocesano FAM dovrà farsi carico nell’impegno della comunione presbiterale. La comunione è la dimensione tipicamente ecclesiale della vita in Cristo, per cui non si dà spiritualità cristiana, tanto più sacerdotale, che non abbia la comunione come sua dimensione costitutiva. È questa la nostra scommessa.

Il sacerdote diocesano con voti, così facendo, diverrà l’apostolo dell’Amore Misericordioso che «in modo diretto» agirà per conto della Famiglia religiosa conseguendo il fine primario indirizzato al clero diocesano. La Congregazione raggiunge questo fine, l’unione con il clero diocesano (Cfr. Costituzioni, art. 18), anche mediante questa «nuova forma» di presenza religiosa. Non si tratta di inventare chissà quali strategie pastorali per promuovere la pienezza della santità sacerdotale. Saranno questi stessi sacerdoti la «buona notizia» che il presbitero diocesano attende. Il sacerdote diocesano con voti testimonierà questa vita sacerdotale

di comunione, nella comunione, a partire dalla comunione, a condizione della comunione, in vista della comunione.

Anche con la testimonianza di una qualche forma

di vita comunitaria sacerdotale, si aiuteranno i confratelli a far scoprire questa comunione presbiterale come «Kairòs», un tempo di grazia al fine di dare una nuova forza alla dimensione profetica della propria vocazione.

L’intento comunque sarà quello non di voler sottrarre i sacerdoti da una realtà che li lega come presbiterio in quanto tale, proprio perché questa spiritualità nel suo darsi, nel suo attuarsi, è sempre legata a una Chiesa in un tempo e in un luogo, legata a quella forma di essere della Chiesa nella storia che si attua nella vita della Chiesa particolare.

La caratteristica infatti di questi sacerdoti diocesani con voti consiste nel fatto che, loro per prima cosa, non mutano la propria condizione canonica; rimangono quindi «chierici diocesani consacrati» e solo «in quanto singoli vengono uniti all’Istituto religioso dei Figli dell’Amore Misericordioso per praticarvi i voti e partecipare alla vita comune» (Statuto, art. 1).

È soprattutto nel concreto di una data Chiesa particolare che il carisma dell’Amore Misericordioso, vissuto dal sacerdote diocesano con voti, assume quella speciale configurazione che lo rende aderente alla Famiglia stessa.

 

3. Spiritualità diocesana o carisma dell’Amore Misericordioso?

Mi pongo un interrogativo di fondo: È utile e attuale il carisma dell’Amore Misericordioso per i sacerdoti diocesani per il fatto che viene riproposta ai giorni nostri, con maggiore insistenza, la spiritualità diocesana come spiritualità di comunione?

In che cosa si contraddistingue, cioè, la spiritualità dell’Amore Misericordioso rispetto alla spiritualità diocesana? Si tratta eventualmente di sovrapposizione, ripetizione o evasione dato che si parla tanto, oggi, di spiritualità diocesana del prete?

«La grande sfida» che ci sta avanti nel millennio che inizia e alla quale ci chiama il Papa, come ha scritto nella «Novo Millennio Ineunte» è proprio questa: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione» (n. 43). E ciò comporta , in primo luogo, «promuovere una spiritualità della comunione» da diventare come «un principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano» (Ibidem).

È certo che diventare esperti di comunione sono tenuti particolarmente coloro che vengono configurati a Cristo capo e pastore. Questo, per di più, avviene grazie a una conversione a Cristo, una docile apertura all’azione dello Spirito Santo e un’accoglienza sincera dei fratelli.

Il discordo sulla spiritualità diocesana è assai importante a questo nostro riguardo anche perché oggi non si parla tanto di «spiritualità del prete diocesano» quanto ancora di « spiritualità diocesana del prete», sottolineando quindi l’indole spirituale della diocesanità in quanto tale.

Allora ritorna la questione.

Dire «spiritualità diocesana» significa dire la santità da attualizzare in un tempo e in un luogo, dentro una comunità ecclesiale. Si discute a tal proposito come far diventare patrimonio comune alle Chiese particolari la proposta della spiritualità diocesana. Quali criteri, segni, strumenti e circostanze possono essere indicati a una Chiesa particolare, e in specie al suo presbiterio, per stimolare l’identificazione della sua peculiare spiritualità diocesana? Come educare alla diocesanità per un cammino di santità intrapreso e percorso in maniera sinodale e comunionale dall’intera comunità cristiana della diocesi?

Sono tanti i tentativi di risposta ma centrati sulla dimensione trinitaria dell’inserimento dei presbiteri nelle diverse Chiese particolari. Una spiritualità di comunione al modo della comunione Trinitaria. Al modo del Dio trino ed unico, anche i suoi ministri sono chiamati a testimoniare con tutta la loro vita l’amore totale, facendosi padri e madri, costruendo l’unità attorno al vescovo, e incarnando la santità in un tempo e in un luogo che è la diocesi. Da qui scaturisce poi il servizio di testimonianza e di animazione cristiana.

Dinanzi a tutto ciò sembrerebbe che il discorso fosse chiuso e risolto.

Ma sorge invece un’altra questione in generale prima e specifica poi: qual’è l’apporto che dà la vita consacrata alla diocesi e, particolarmente, quella dei sacerdoti diocesani con voti FAM?

La comunità religiosa e particolarmente i religiosi in quanto tali non sono da considerare come soggetti che danno dei contributi alla Chiesa particolare ma vanno visti come parte viva della Chiesa che è, per sua stessa natura, comunione organica dei diversi stati di vita e delle differenti vocazioni.

I religiosi vanno considerati parte integrante e vitale della stessa Chiesa particolare in quanto il carisma dell’Istituto religioso è esso stesso dono per la Chiesa particolare. E il carisma è una realtà congiunturale che lo Spirito Santo suscita secondo le necessità della Chiesa e le necessità dell’uomo, in un determinato luogo e tempo. Tende anche a travalicare i confini della Chiesa particolare in cui nasce e a diffondersi in tutta la Chiesa. Il carisma dunque, e quindi la spiritualità corrispondente, possono diventare un’opportunità di rinnovamento per tutta la Chiesa. Questo non significa che ogni carisma deve essere presente in ogni Chiesa particolare perché si parte dal fatto della possibilità e non della necessità.

Naturalmente questa possibilità si sa che arricchisce una data Chiesa particolare caratterizzandone la propria spiritualità diocesana secondo la presenza di quel carisma accolto dal vescovo diocesano.

Si sa anche che una volta accolto si storicizza nelle forme della vita ecclesiale in cui entra e contribuisce quindi a determinare il volto di quella medesima Chiesa. Anche gli stessi religiosi, però, mentre da un lato concorrono alla vita ecclesiale di una determinata Chiesa particolare, dall’altro sono anch’essi segnati dalla spiritualità diocesana di cui fanno parte, per quel tempo che rimangono in quel determinato territorio diocesano.

Il contributo dei religiosi va visto quindi per l’apporto di un determinato carisma, atto ad arricchire la spiritualità diocesana, quale forma concreta della vita cristiana in un luogo e in un tempo.

Se ne deduce anche che la presenza religiosa, almeno in linea di principio, non è legata ad un compito di supplenza o al bisogno di «raccogliere» vocazioni per colmare dei vuoti. Il senso e la ragione di questa presenza è legato al discernimento che quel determinato carisma è utile e necessario a quella Chiesa particolare.

La coscienza dell’importanza della spiritualità diocesana non deve condurre, quindi, a trascurare

la realtà della vita religiosa e tanto meno a disprezzarla o a ritenerla superflua. Spiritualità diocesana

e vita religiosa non sono da opporre ma da armonizzare, anche se non omologabili.

Da qui: qual’è il significato della presenza dei sacerdoti FAM? Il tentativo che si vuole fare, e far capire, consiste nel presentare questa peculiare forma di consacrazione come chiamata ad incarnare nella stessa persona del presbitero il suo essere religioso e diocesano nello stesso tempo. Una possibilità che si fa dono.

Se prima parlavamo di apporto dato, come possibilità del religioso alla Chiesa particolare caratterizzandone la spiritualità diocesana, qui si tratta, invece, di ricoprire contemporaneamente i due ruoli. È lo stesso sacerdote che vive la propria spiritualità diocesana a ricoprire quel particolare carisma, l’Amore Misericordioso, come mezzo e strumento di santificazione sua e dei confratelli.

Mi azzardo con un paragone un po’ forte ma di richiamo per esprimermi meglio. Mi rifaccio ad Abramo, alla vittima che è il suo figlio e all’altare che viene preparato sopra il monte. Viene poi Cristo e diventa Egli stesso altare, vittima e sacerdote. Ma anche dello stesso Figlio di Dio crediamo che è il Verbo Incarnato.

Qualcosa di simile avviene qui, anche se siamo su orbite diverse.

Il sacerdote diocesano FAM è contemporaneamente religioso e diocesano. In lui vengono superate le distinzioni delle due figure poiché si integrano e si arricchiscono vicendevolmente. Qui ora avviene una forma quasi di osmosi ove si avverte che l’essere religioso, con tutti i suoi requisiti, arricchisce e plasma il presbitero diocesano con la sua spiritualità, concorrendo così alla vita ecclesiale di quella diocesi; e il sacerdote diocesano accogliendo il carisma, e quindi la spiritualità che gli corrisponde, contribuisce a determinare il volto di quella medesima Chiesa.

Possono essere tanti i tentativi di lettura e di interpretazione di questo «ramo religioso FAM». Letto anche sotto quest’ottica mi sembra che non offuschi ma contribuisce a comprendere il pensiero della Madre che ha avuto per ispirazione del Signore quest’altra presenza di suoi figli all’interno della Famiglia dell’Amore Misericordioso.

 

4. Cosa può e deve dire la vita del Sacerdote Diocesano Fam al mondo d’oggi

Tentiamo solamente di dare alcuni orientamenti percorribili con possibilità di maggiori sviluppi personali.

Lo Statuto approvato dalla Gerarchia Ecclesiastica sottolinea per i sacerdoti diocesani FAM una finalità importantissima: «Essi debbono tendere con rinnovato impegno alla propria santificazione, così da conseguire una maggiore armonia tra vita interiore ed azione apostolica, al fine di operare più efficacemente per il bene delle persone loro affidate e per l’edificazione della Chiesa» (Art.4). C’è qui tutto un programma chiaro ed esplicito: tendere alla santificazione nell’esercizio del ministero sacerdotale.

Si tratta di una spiritualità che nasce dalla carità pastorale, che riesce a farsi amare e che manifesta la paternità di Dio. Si è chiamati «ad incarnare nel proprio ministero la particolare sollecitudine dell’Amore Misericordioso del Signore» (Art.6) sia in ordine ai sacerdoti del clero diocesano sia «per quanti sono maggiormente colpiti dal male morale , fisico o materiale, ponendo di preferenza la propria carità pastorale al loro servizio» (Ibidem). Siamo convinti che la «nostra» santificazione è compito essenziale della nostra vita … fallito questo, tutto è perduto, come si afferma della carità (Cfr. 1 Cor. 13,1-8), essenza stessa della santità. Lo stesso papa Giovanni Paolo II ce lo ha ricordato nella Novo Millennio Ineunte : «Contro la tendenza alla mediocrità spirituale, abbiamo bisogno di ribadire ogni giorno la priorità di questa meta: la nostra santificazione, che altro non è che quella misura alta della vita cristiana ordinaria». Ricordiamoci, però, che la santificazione è un dono di Dio. C’è una tentazione, che sempre insidia ogni cammino spirituale e la stessa azione pastorale: quella di pensare che i risultati dipendano dalla nostra capacità di fare e di programmare. Certamente il Signore chiede anche la nostra collaborazione, ma guai a dimenticare che «senza Cristo non possiamo fare nulla»(Cfr. Gv 15,5).

Ciò che si deve veramente trovare nel sacerdote è l’esperienza di Gesù Cristo. Cristo è la sola cosa che vogliamo dire. Ciò che veramente si deve trovare in questa particolare figura del sacerdote diocesano FAM è l’esperienza di Gesù Cristo. È per questa ragione che la «contemplazione» nei suoi molteplici aspetti deve avere il primato in ogni nostra scelta pastorale. Se manca questa radice contemplativa non ha ragion d’essere questo carisma dell’Amore Misericordioso.

La santità, poi, non dev’essere considerata mai come un fatto esclusivamente personale. Per sua natura è contagiosa ed espansiva. A tal fine i sacerdoti diocesani FAM «sono chiamati, innanzitutto, ad annunziare la pienezza di bontà di Dio Padre il quale ama tutti i suoi figli e li vuole rendere felici: per questo in Gesù Cristo si è rivelato particolarmente ricco di amore e di misericordia, affinché l’uomo, anche il più malvagio e peccatore, non temesse di tornare pentito alla casa del Padre, per esservi di nuovo accolto in qualità di Figlio» (Art.3).

La santità, comunque, rimane il cammino più esigente che si vuole realizzare all’interno del proprio presbiterio, mantenendo una forte e vera comunione con il proprio vescovo e con i confratelli presbiteri. La maturità ci porterà, poi, ad assumere uno stile di apprezzamento e di valorizzazione di tutti gli aspetti positivi e delle potenzialità di bene presenti nei confratelli presbiteri. Ci si sentirà vicini a loro come veri fratelli che il Signore ci affida per percorrere con loro un cammino di santità e per annunziare comunitariamente il mistero della salvezza. Ogni cosa deve essere fatta in spirito di carità, soprattutto verso i sacerdoti.

Madre Speranza soleva dire: «Mancava una Congregazione che pensasse ai sacerdoti diocesani. Voi dovete vivere insieme al clero diocesano, non camminando avanti, né indietro, ma camminando insieme». E questo potrà essere mantenuto particolarmente da questo ramo dei sacerdoti diocesani con voti che condivide con la grande famiglia dell’Amore Misericordioso questo carisma, quale grande dono di grazia che ci viene offerto in Gesù. È una sfida che abbiamo davanti quando si parla del carisma dell’Amore Misericordioso, una sfida molto difficile e molto esigente, ma bella, una sfida per la quale vale la pena investire tutta la propria esistenza.

Un riferimento tutto particolare va poi fatto a Madre Speranza, la nostra fondatrice dell’Amore Misericordioso. Il contenuto essenziale del carisma che lo Spirito Santo ha trasmesso alla Madre «è Dio, Amore Misericordioso, che nel Signore Gesù si è manifestato meravigliosamente «ricco di misericordia»(Ef 2,4) nei confronti di ogni uomo, specialmente nei poveri e degli infelici, dei sofferenti e dei peccatori. «Misericordioso» è l’Amore di Dio che si rivela a noi in modo paterno e materno, gratuito, liberante e fedele» (Cost., art.1).

In quanto sacerdote diocesano FAM siamo chiamati a «comunicare» con uno stile di vita proprio questa chiamata, propriamente radicata nel carisma dell’Amore Misericordioso secondo le Costituzioni, ma in maniera più particolare secondo lo Statuto approvato.

Occorre però precisare che comunicare un’esperienza spirituale non può consistere nella semplice trasmissione di contenuti o messaggi. Oggi non è possibile prescindere da un coinvolgimento personale che induce vita e sollecita comunione. Questa vita spirituale, che viene arricchita dal fatto che ci si sforza di incarnare il carisma in noi, non può essere vissuta e trasmessa con un linguaggio esclusivamente razionale.

L’interrogativo che seriamente ci poniamo consiste sul come rendere significativa questa esperienza in un linguaggio comprensibile e attuale che ne comunichi i contenuti.

Non è facile rispondere ma alla nostra buona volontà precede certamente la grazia del Signore che ci ha chiamati a questo compito.

È certamente necessario a tal riguardo coltivare la vita spirituale mediante l’Eucarestia, la preghiera mediante la lectio divina, il sacramento della riconciliazione, la direzione spirituale, una certa forma di vita fraterna e la castità come espressione di un amore puro e disinteressato. Tutto questo ci faciliterà a vivere e ridire la spiritualità dell’Amore Misericordioso.

Naturalmente va anche detto che è importante la collaborazione operativa e concreta con la stessa Famiglia dell’Amore Misericordioso in un atteggiamento di piena reciprocità e complementarietà. Senza questa collaborazione che è fatta di comunione di intenti, condivisione dello stesso carisma, conoscenza, rapporti di fraternità e condivisione di esperienze spirituali comunitarie (ritiri, esercizi spirituali, visite, momenti di fraternità, ecc…) sarà sempre più difficile impegnarsi efficacemente. Esperienze positive in questo senso ce ne sono state e ce ne sono in atto. La strada intrapresa comunque è quella giusta. Rimane da insistere e continuare, nella ferma convinzione che ci possono essere nuovi percorsi lasciandoci ispirare e ripartire sempre da Cristo.

 

Alcune conclusioni

Se «ripartire da Cristo» significa per noi qualcosa di più di un semplice slogan, allora cosa può significare se non prendere sul serio il carisma dell’Amore Misericordioso da viverlo come sacerdoti diocesani con voti? Resta comunque il fatto che si tratta di una possibilità che si fa dono!

Sarà certamente questo dono che ci permetterà di vivere la spiritualità di comunione presbiterale testimoniando operativamente e armonizzando le diversità. Questo carisma poi, alimentato da una ricca vita spirituale, ci aprirà la via ai poveri e a quanti oggi sono in ricerca, anche se inconsapevole, di Cristo come sorgente di verità e di libertà.

La sfida che ci viene rivolta è proprio questa: abbandonare la facile inclinazione a dipingere scenari bui e negativi, per tracciare percorsi possibili, non illusori, di redenzione, di liberazione e di speranza.

La grazia del Signore, Amore Misericordioso, capace di salvare e di redimere anche questa epoca della storia, nasce e cresce anche nei nostri cuori. Sta a noi accoglierla, assecondarla e favorirla, convinti che si tratta di iniziativa di Dio, portatrice di cambiamento e di salvezza. Basta pensare ai nostri santi e a Madre Speranza che hanno segnato profondamente l’epoca in cui sono vissuti, portando ad essa dei valori e delle energie di bene. L’itinerario della santità rimarrà dunque il ministero del sacerdote diocesano con voti, abilitandolo ad una missione nei confronti dei confratelli e dei poveri. È con questo ministero che si continua, anche, ad annunziare l’Amore Misericordioso di Dio come espressione dell’unica Famiglia.

Una provvidenziale intuizione di Madre Speranza nel creare il ramo dei sacerdoti diocesani con voti.