CON I SACERDOTI

SULLE ORME DI MADRE SPERANZA – 5

Sac. Angelo Spilla

L’identità dei sacerdoti diocesani FAM secondo il loro statuto, alla luce della approvazione definitiva

 

 

Edizioni Amore Misericordioso - aprile 2006

dei Sacerdoti diocesani Figli
dell’Amore Misericordioso

Relazione tenuta a Collevalenza

il 15/11/2005 al Convegno

per il XXV° della Dives in Misericordia,

ricordando la approvazione definitiva

dello Statuto dei SDFAM.

 

I religiosi nella Chiesa e nel mondo sono chiamati a riproporre agli uomini la sfida del Mistero Trinitario che è mistero di diversità e di comunione.

L’esempio di Madre Speranza rivela la preziosità dell’attenzione all’altro, del vivere con l’altro questo mistero trinitario, che nell’Eucarestia diventa fonte e culmine della vita della Chiesa, e quindi di ogni comunità.

Come educarci a vivere la santità secondo il carisma dell’Amore Misericordioso è la domanda che ci poniamo come Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso all’indomani dell’approvazione definitiva dello statuto dei sacerdoti diocesani FAM.

Vuole essere questo, a mio avviso, un momento di riflessione per tutta la Congregazione dei Fam e dell’intera stessa famiglia religiosa, per approfondire sia il carisma che ci accomuna sia per crescere ognuno con l’aiuto dell’altro secondo la propria modalità di appartenenza.

In quanto chiamati a perseguire la stessa finalità della Congregazione che è quella di "annunciare la pienezza di bontà di Dio Padre il quale ama tutti i suoi figli e li vuole rendere felici" (Statuto, 3), entrando a far parte della famiglia dei consacrati si tende "con rinnovato impegno alla propria santificazione" (Statuto, 4).

Consapevoli che la vita consacrata oggi ha bisogno soprattutto di un rilancio spirituale, vogliamo tuffarci "nel rinnovato impegno alla propria santificazione".

Penso che nessuno di noi consacrati metta in discussione i tesori di grazia presenti nel carisma dell’Amore Misericordioso. Pensiamo al giorno, o ai giorni iniziali, - può essere il periodo del noviziato o quello della prima professione e poi quella definitiva – quando il nostro cuore è stato toccato dal Mistero della grazia divina facendoci sperimentare la peculiarità del carisma dell’Amore Misericordioso rivelato a noi da Dio per mezzo dello Spirito.

È come se avessimo visto aperti i magazzini della grazia di Dio. Incantati dalla chiamata ci siamo lasciati sedurre.

Ma il problema, a questo punto, è il seguente: quale spazio della spiritualità propria dell’Amore Misericordioso diamo nella spiritualità personale di ognuno?

Il carisma dell’Amore Misericordioso costituisce, cioè, il "proprium" della spiritualità, oppure non dice più niente e tendiamo fare altri percorsi e riferimenti? Se la sua visibilità è scarsa che senso ha, poi, proporla ad altri se convince poco noi?

Questo, dunque, è il momento favorevole della ripresa, della grazia che ci viene offerta.

 

Tendere alla santificazione

Vale anche per noi quanto Giovanni Paolo II ha detto sulla santità nella Novo Millennio Ineunte: riproporre a tutti la misura alta dell’esperienza cristiana. Abbiamo bisogno di santi capaci di creare e di affrontare le sfide enormi del tempo presente. Ci riferiamo a quella santità che dona un enorme potere, il potere di diventare figli di Dio (Gv. 1,12).

Ritorna allora legittima la domanda: il carisma fondazionale ci porta a condividere l’esperienza spirituale e a trasmetterla altrove?

Nel cammino di crescita spirituale non ci dobbiamo confrontare, per un esame di coscienza, solamente se abbiamo o no trasgredito i comandamenti del decalogo. Uno dei peccati forse nascosto in noi consiste nel trascurare la propria crescita e lo scopo della vita così come è determinato da Dio. C’è cioè anche il peccato di rimanere immaturi spiritualmente, quando non si cresce al passo con i propri anni.

Lasciandoci guidare quindi dall’approvazione in maniera definitiva dello Statuto dei sacerdoti diocesani con voti - approvati dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica in data 26 maggio 2005, con le opportune modifiche richieste dalla commissione della nostra Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso – ci verifichiamo ancora sul carisma e le sue finalità, ma soprattutto sulle modalità di applicazione dello stesso Statuto riservato ai sacerdoti diocesani con voti in seguito all’avvenuta approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica.

Lo Statuto dei SDFAM nella sua prima parte (definizione, finalità e testimonianza ecclesiale) richiama il tema di fondo che lega tutta quanta la Famiglia dell’Amore Misericordioso.

È quanto ci viene esortato sia nelle Costituzioni nostre, sia negli innumerevoli scritti della Madre fondatrice, sia, in ultimo, nei documenti capitolari tra cui l’ultimo celebrato a Collevalenza nel luglio del 2004.

Non trascuriamo, tra l’altro, l’ininterrotta testimonianza sempre viva di quei nostri fratelli (e nel caso dell’intera Famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso, anche delle consorelle) che ci hanno preceduto nel cammino verso il traguardo celeste. È viva e forte la testimonianza che essi ci lasciano. E ci affidiamo anche alla loro intercessione tenendoli come modelli di santità con la loro vita religiosa vissuta.

Consapevoli, dunque, che ci lega un’unica vocazione, un medesimo dono di grazia, una medesima chiamata e una stessa finalità, ci sentiamo spinti alla santificazione mediante la missione da effettuare con modalità diversa.

Ciò che deve caratterizzare tutti è l’annunzio della "pienezza di bontà di Dio Padre il quale ama tutti i suoi figli e li vuole rendere felici: per questo in Gesù Cristo si è rivelato particolarmente ricco di amore e di misericordia, affinché l’uomo, anche il più malvagio e peccatore non temesse di tornare pentito alla casa del Padre, per esservi di nuovo accolto in qualità di figlio" (Statuto, 3).

 

Chiamati per la Chiesa e per il mondo

Prendendo coscienza di ciò ci proponiamo alcune esortazioni perché non cadano nel vuoto ma vogliono essere un invito a ravvivare il dono di Dio in noi. Ci sentiamo tutti quanti una Congregazione chiamata per la Chiesa e per il mondo.

La stessa vita consacrata va vista come un dono di Dio per la Chiesa innanzitutto. Benché anche noi immersi nella morsa di una crisi numerica non dimentichiamo di essere chiamati per il mondo e per la Chiesa dei segni profetici.

Attraverso la propria vita manifestiamo l’amore di Dio per tutti gli uomini, mantenendo viva nella Chiesa l’esigenza di riconoscere il volto di Dio nel volto dei poveri.

È necessario, pertanto, per noi mantenere alto e sempre attuale il carisma dell’Amore Misericordioso per il bene di tutti. Ma soprattutto è necessario riproporlo come pegno di credibilità di tutta la Chiesa attraverso la testimonianza che siamo chiamati a dare particolarmente ai sacerdoti e ai più poveri.

Leggiamo infatti nelle Costituzioni: "vediamo nei sacerdoti i primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini" (art. 18). Ed ancora: "i Figli dell’Amore Misericordioso «aiuteranno e conforteranno molte famiglie bisognose ed afflitte; porteranno consolazione ai malati; presso di loro gli orfani e i bisognosi troveranno la propria famiglia, i giovani la guida, i deboli il sostegno e i caduti la forza per rialzarsi» … In un genuino clima di famiglia dobbiamo identificarci con i poveri… Ogni bisognoso – povero, malato o peccatore - deve trovarci sensibili e pronti nell’intervenire affinché ritrovi la sua dignità di figlio di Dio, libero e responsabile per accogliere il suo Amore" (art.17).

E riguardo a ciò non dimentichiamo quanto ha sottolineato in maniera particolare l’ultimo capitolo generale dedicando un punto assai importante dal titolo: "I FAM, una Congregazione che annuncia al mondo l’Amore Misericordioso, scommettendo sui sacerdoti e sui poveri" (Documento, 15-19).

 

La relazione con Dio

Ritengo a questo punto sottolineare il tema dell’ottavo capitolo generale FAM, celebrato nel luglio 2004: "ravviva il carisma di Dio che è in te" ( 2Tm 1,6). È qui che bisogna giocare la partita: ripartire da una profonda comunione con Gesù Cristo Amore Misericordioso. Ricordiamo a questo proposito quanto soleva ripetere la Madre: "l’unión con el buén Jesús".

La nostra riqualificazione spirituale deve proprio partire dalla relazione con Dio. Nella formula di consacrazione abbiamo detto al Signore: "Io in piena libertà mi dono totalmente a Te". Quando incontriamo veramente Dio si fa l’esperienza di un amore incondizionato. Ci sentiamo amati così come siamo, con le proprie luci ed ombre, aspetti sani e feriti, e non sentiamo il bisogno di essere diversi per poter essere amati. Non bisogna essere speciali per essere amati da Dio poiché Dio ci ama così come siamo. Ed è perché afferrati da questo mistero di amore che ci rendiamo conto di non potere vivere senza di Lui, senza che Lui sia la persona più importante della nostra vita.

Riteniamo fondamentale, allora, risvegliare un vivo desiderio di comunione con il Signore che stimoli la convinzione personale. Si tratta per ognuno di noi scoprire, come per Gesù, che c’è una chiamata e una missione; comprendere che la vita consacrata comincia in Dio. C’è, cioè, la priorità della chiamata e solo dopo la sequela.

Occorre una coscienza viva di questa primarietà dell’intervento di Dio, della Sua iniziativa gratuita che non si ferma solamente all’atto iniziale ma riguarda un atteggiamento continuo di Dio. Con la docilità interiore allo Spirito Santo e alle mediazioni di cui Egli si serve, saremo capaci con desiderio ardente di rispondere fedelmente a Cristo che ci chiama per amore.

I santi ce lo insegnano; anche gli uomini del nostro recente passato. Di esempi se ne potrebbero portare tanti. Ricordo, uno per tutti, Charles De Foucauld il quale confidava: "dal momento in cui ho creduto in Dio, io sentii che non potevo fare altro che dare me stesso a Lui in modo totale".

Tocchiamo dunque il richiamo della testimonianza ecclesiale che ci interpella come risposta al dono della chiamata facendo propri i sentimenti di misericordia di Gesù Cristo e attirare altri al suo amore.

 

Povertà per la vocazione

Un richiamo a vivere bene il nostro rapporto con Dio e dare una chiara testimonianza di fede nella missione a cui siamo chiamati ce la dà proprio Gesù con il suo rapporto libero e deciso nei confronti del Padre. Alla stessa maniera ce lo chiede con radicalità. Ricordiamo il brano evangelico del giovane ricco, quando quest’ultimo rivolge a Gesù la domanda: "Cosa devo fare per avere la vita eterna?" (Mc 10,17). Gesù non si accontenta della semplice osservanza dei comandamenti. La legge va osservata, va bene, ma ciò non compie la piena relazione con Dio. Gli stessi comandamenti non cominciano con la richieste di norme, ma con un comando: "Io sono il Signore, Dio tuo". Solo dopo comincia il decalogo. Ciò che sta all’inizio è la richiesta di questa relazione. La legge è nell’ambito della vita. La legge non è per la legge. Il tale che va da Gesù ha osservato la legge, ma Gesù chiede un’altra cosa: andare a Lui, andare oltre all’osservanza della legge. "Vendi; poi, vieni e seguimi". La condizione è quella di essere poveri. Per seguire il Signore bisogna essere poveri. Come per la chiamata dei primi discepoli: lasciare le reti, senza compromessi. E questo viene ricordato in maniera particolare a noi religiosi, in quanto chiamati e consacrati per la missione. Per seguire il Signore niente compromessi perché il Signore è uno. Il discepolo ha un solo maestro: segui me!. L’oggetto del seguire è lo stesso soggetto che chiama. Gesù sta chiedendo di recuperare la dimensione primordiale: il cuore dev’essere di Dio.

Questo, per noi FAM, costituisce il senso del nostro "ripartire da Cristo", seguendo l’esortazione di Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte.

A noi religiosi, dunque, il Signore sta chiedendo di recuperare la dimensione primordiale: il cuore dev’esser di Dio. E ciò diventa poi importante per ragionare teologicamente nell’esercizio della povertà da vivere come consacrati e sacerdoti. Come è possibile seguire il Signore se il nostro cuore non è per Lui? Quello che ognuno è, si manifesta anche per quello che ognuno ha. Potremmo dire anche che ciò che possediamo diventa motivo di ciò che ci manca, in quanto di ostacolo. L’alternativa è la ricchezza di Dio. Non pensare a essere meno ricchi o no, ma una scelta di fondo: Cristo. Questa è la sfida a cui tendere. Lasciare tutto, il presente, il futuro, i progetti. Al discepolo, al consacrato quindi, interessa stare con il Maestro. Altrimenti ragioniamo riguardo alla povertà con elementi umanistici. San Paolo ce lo ha ricordato facendo riferimento a Gesù: "Da ricco che era, si è fatto povero" (2 Cor 8,9). La nostra povertà dev’essere ad immagine della povertà di Cristo: il Figlio Gesù, obbediente al Padre. Gesù che cosa ha fatto? L’elemento straordinario ed originario presente nei vangeli è il fatto che Gesù chiama Dio "Abbà". La povertà di Cristo è questa obbedienza alla volontà del Padre. Questa obbedienza è stata resa possibile. A noi è stato concesso di fare nostra la risposta del Figlio al Padre.

Ci dovremmo sentire, come Famiglia religiosa, a farla diventare quindi nostra. Questa dovrebbe diventare cioè la nostra povertà. Si è ricchi, allora, nella misura in cui si è poveri. Solo dopo, quindi, potremo parlare del distacco dalle cose materiali e l’impegno ad una vita povera di fatto, da condursi in operosa sobrietà. La misura delle cose è conseguenza, non la causa.

La dimensione profetica della vita spirituale passa perciò dalla povertà cristiana. Anche per noi religiosi ci può essere la tentazione dell’accumulo delle cose materiali determinato dalle preoccupazioni e dalla paura del futuro ma ciò mette in gioco la relazione con il Signore. Non dobbiamo avere paura del futuro se diamo fiducia alla parola del Signore. Solo il Cristo rimane il necessario; tutto il resto continua ad essere valido ma viene affettivamente ed effettivamente dopo.

 

Quale modello di comunità per i sacerdoti diocesani

Ciò che mi accingo a dire adesso riesce un po’ difficile e forse anche un po’ rischioso. Spero di mantenermi comunque entro i limiti dell’ortodossia.

Faccio riferimento a quanto voluto dalla Madre in riferimento ai sacerdoti diocesani appartenenti alla Congregazione FAM.

Penso che questa nuova forma di appartenenza tra l’altro adesso con diritto di piena cittadinanza per il conferimento datole dall’autorità ecclesiastica – risponde a qualcosa che si prepara per le comunità del futuro. Se guardiamo infatti l’attuale forma di vita religiosa ne risulta che questa è una risposta storica e non un modello a priori. Le forme istituzionali possono essere transitorie, non è garantita la loro perennità. Diversi istituti religiosi, infatti, sono consapevoli di ciò e cercano di portarsi a modelli diversificati e meno statici. Potrà darsi, cioè, che alla staticità subentri la dinamicità, cioè la capacità di adattamento continuo delle condotte, piuttosto che una semplice applicazione di quanto precedentemente fatto.

Ho trovato interessante uno studio in tal senso di Padre Rino Cozza, il quale ha tentato di dare una risposta e ha tentato di individuare possibili linee di riflessione e ricerca.

Alla domanda come saranno le comunità del futuro, l’autore spiega che "il saper stare, qui, ora, comporterà una capacità di considerare attentamente le situazioni contingenti e ricercare in loco soluzioni adeguate attraverso la scomposizione delle risposte concettuali preconfezionate dalla tradizione, dopo aver saputo leggere la realtà a più livelli scegliendo poi sulla linea del possibile piuttosto che del perfetto. Per tutto ciò è richiesta una intelligenza in azione che predisponga momenti, cerchi soluzioni, elabori progetti. Il che è possibile attraverso un gruppo comunitario dalle interazioni fondate sulla fiducia, e soprattutto significativamente ancorate a un preciso territorio perché oggi i progetti nascono da un intreccio fra ecclesiologia e vita consacrata, non solo nei grandi principi ma anche nelle realtà più locali e particolari. I nuovi modelli di vita religiosa saranno nuovi modelli di identità ecclesiale per i quali diocesanità non vorrà dire dispersione ma ricupero del valore della chiesa locale" (Le Comunità del futuro, in: Testimoni, 15 Nov., 19, p.12-13).

Anche se l’autore fa riferimento in modo particolare all’alleanza profetica tra laici e religiosi per intraprendere nuovi percorsi di comunione, ne viene fuori certamente una domanda: sappiamo essere persone aperte alla novità, forti della propria identità?

E ciò vale soprattutto per noi, per la Congregazione FAM che vede nascere nel suo seno questa nuova forma di appartenenza. Ritengo che tutti siamo chiamati ad interrogarci su questa nuova figura di consacrati FAM, religiosi cioè in senso stretto e sacerdoti diocesani FAM.

La novità a cui ci chiama il tempo presente e che stiamo vivendo (ma non dimentichiamo che in questo caso si tratta di una ferma volontà della Madre poiché chiestole dal Signore) è di presentare il carisma dell’Amore Misericordioso come progetto capace di generare identità autentiche.

Attenzione, però. Se da una parte il nostro carisma non deve identificarsi chiudendosi, dall’altro questa nuova forma non deve considerarsi nata da stanchezza. Si tratta di apertura al dono dello Spirito e di rinnovamento per rendere sempre visibile ed attuale il carisma in questo momento di creatività culturale che ci spinge a nuovi orizzonti,

Il quadro descritto, però, non ci deve far pensare che ineluttabilmente a questo sono ricondotti tutti i religiosi, perché grande esempio ed impareggiabile stimolo riceve la Chiesa da questa forma di vita consacrata fino ad ora condotta e assai collaudata.

Il problema che adesso ci poniamo, è un altro. Per il fatto che si è avuta ora l’approvazione definitiva dei sacerdoti diocesani all’interno della Congregazione FAM, nonostante siano stati istituiti dalla Madre l’8 febbraio 1954 a Fermo, viene da chiedersi dove consiste questa intuizione profetica della Madre, che vedeva nei sacerdoti diocesani inseriti a pieno titolo nella Congregazione FAM non solo i "destinatari" del carisma ma anche i "soggetti".

E’ importante cioè cogliere la peculiarità, l’originalità e il bisogno di quest’altra forma di vita religiosa che non si dissocia dalle altre ma la completa. Non sappiamo quali saranno le comunità religiose del futuro, ma sappiamo che questa forma approvata arricchisce certamente la Congregazione stessa e risponde in pieno alle finalità del carisma.

Per comprendere meglio ciò dobbiamo fare riferimento certamente allo Statuto recentemente approvato, che va necessariamente applicato in ogni sua parte dai sacerdoti diocesani FAM innanzitutto. Se si tratta di una modalità nuova che va a congiungersi alla precedente, senza per nulla sminuire, o peggio ancora volere eliminare la forma precedente secondo lo spirito delle costituzioni, è necessario una maggiore presa di coscienza da parte di tutti i membri della Congregazione FAM per incoraggiarla e favorirne lo sviluppo. Va richiesto particolarmente ai sacerdoti diocesani che ne fanno parte di "offrire una chiara e tipica testimonianza ecclesiale conforme alla natura della vita consacrata" (Statuto, 7).

Con l’ultimo Capitolo Generale FAM si è approfondito questo aspetto e si è discusso sia in riferimento a quanto la Congregazione è chiamata a compiere sia in riferimento all’applicazione dello Statuto da parte degli stessi interessati.

Dal documento finale si legge infatti:

"È molto importante collaborare con i SDFAM nel portare avanti la missione sacerdotale … In questa linea sentiamo il bisogno di inventare qualcosa e farlo a livello congregazionale" (Decisioni capitolari, pag.16).

Iniziative, comunque, in questo senso se ne stanno conducendo già da tempo. Si apprezza soprattutto la condivisione del carisma tra gli stessi membri, il cammino di formazione permanente che in modo comunitario viene da tutti fatto, i raduni spirituali compresa la terza settimana ormai collaudata di novembre che vede radunati a Collevalenza i sacerdoti diocesani con la delegazione d’Italia FAM, iniziative caritative in favore delle missioni tenute dalla Congregazione stessa, particolarmente in Brasile, India e Romania, esercizi spirituali e visite periodiche di confratelli che vanno a trovare altri confratelli. Da ultimo sta partendo anche l’esperienza del progetto comune del cammino vocazionale per giovani che vede interessati quanti guidano le varie comunità parrocchiali e hanno dei gruppi giovanili. Ma con ciò rimane ancora l’appello lanciato dal Capitolo generale: inventare qualcosa e farlo a livello congregazionale.

L’approvazione definitiva dello Statuto, però, richiama particolarmente e direttamente i sacerdoti diocesani FAM ai quali è diretto lo stesso Statuto. A questi si chiede innanzitutto la stretta osservanza dello Statuto, che nella sua forma espositiva si presenta lineare e secondo lo stile degli altri statuti ma che ha bisogno di essere tenuto in grande considerazione poiché diventa lo strumento di santificazione attraverso il quale si persegue il carisma al quale siamo chiamati. Attraverso la sua applicazione, ogni sacerdote diocesano FAM non solo si sentirà in piena comunione con la stessa Congregazione e si sentirà sollecitato a vivere con la testimonianza della propria vita sacerdotale ad incarnare nel proprio ministero la particolare sollecitudine dell’Amore Misericordioso del Signore verso i sacerdoti e i poveri, ma si sentirà meglio inserito come membro della Famiglia stessa che lo sa posto in avanguardia inserito nel proprio presbiterio, come espressione della famiglia religiosa. Naturalmente ci sono degli accorgimenti che bisogna adesso fare e mi riferisco alla conduzione della vita comunitaria e del rapporto vivo e fraterno che bisogna continuamente mantenere con la Congregazione. Ai sacerdoti diocesani viene adesso chiesto di passare a delle proposte concrete per potere attualizzare quanto chiesto dal Capitolo generale: inventare qualcosa e farlo a livello congregazionale. Non si tratta forse di inventare in senso stretto quanto di ordinare, di risistemare, di programmare in maniera comunitaria, di fare esperienze concrete di vita comunitaria per esempio secondo le modalità e le possibilità che ogni gruppo sacerdotale di una stessa zona pastorale può attuare, di condividere in modo comunitario qualche progetto di microrealizzazione in favore delle missioni tenute dalla Famiglia religiosa stessa, di vivere uno stile di vita sacerdotale secondo gli obblighi della consacrazione. Ogni gruppo sacerdotale, per esempio di ogni diocesi, deve impegnarsi a fare vita di comunità, tenendo conto certamente degli impegni pastorali, ma nell’ottica comunque di quanto detto prima, una forma di vita comunitaria che punti a degli appuntamenti di vita fraterna infrasettimanali con condivisione delle esperienze pastorali, pasto in comune, preghiera e formazione permanente. Si dovrà tendere, poi, se possibile a costituire una comunità di soli sacerdoti diocesani con voti che già di fatto risiedono in uno stesso luogo, e strutturarla a norma delle costituzioni (Cfr. Statuto, art. 26). Ma fin d’ora comunque si rende necessario stabilire la comunità di appartenenza di ognuno con un responsabile guida nella conduzione della vita fraterna.

Tutta la Congregazione, insomma, deve sapere che "l’unione alla Congregazione pone in grado i SDFAM di offrire una chiara testimonianza ecclesiale, conforme alla natura della vita consacrata" (Statuto, 7) e che "entrando a far parte della famiglia dei consacrati, essi debbono tendere con rinnovato impegno alla propria santificazione, così da conseguire una maggiore armonia tra vita interiore ed azione apostolica, al fine di operare più efficacemente per il bene delle persone loro affidate e per l’edificazione della Chiesa" (Statuto, 4).

Concludendo, va fatto intanto un sincero augurio per primo ai sacerdoti con voti che vengono accolti e riconosciuti all’interno della Congregazione FAM; l’augurio poi si estende all’intera Congregazione che si vede crescere nel proprio interno con questa realtà di fratelli che operano più direttamente inseriti nei propri presbiteri diocesani al fine di testimoniare e comunicare il medesimo carisma dell’Amore Misericordioso. La Madre di certo di questa approvazione ne è contenta. Necessita, adesso, sollecitare il passo per un più prezioso contributo di ognuno in modo da formare un coro, una sintonia meglio, per cantare nella Chiesa la misericordia di Dio mostrata da Cristo Gesù. Con la stessa sollecitudine di Maria, donna del primo passo.

È importante, allora, riconoscere questo momento storico dell’approvazione dello Statuto come "storia di salvezza", itinerario che ci apre strade nuove, attraverso cui il Signore servendosi di ciascuno di noi fa raggiungere ad ogni fratello, sacerdote o povero, l’amore misericordioso di Dio.