PROFILI DI MADRE SPERANZA – 6

P. Mario Gialletti fam

La sua famiglia e il primo impatto con la vita religiosa

Edizioni Amore Misericordioso

MADRE SPERANZA

dalla nascita (30.9.1893) al suo ingresso in religione (15.10.1915);

la sua esperienza di vita religiosa tra "Las Hijas del Calvario"  (15.10.1915 - 21.11.1921)

La sua famiglia e il primo impatto con la vita religiosa

Nel ripresentare la vita della nostra Madre dalla Sua nascita 1893 fino al 1921, si possono tener presenti questi aspetti:

A) L'ambiente geografico e sociale dove la Madre è nata e dove è vissuta fino ai suoi 22 anni; quindi Murcia, Santomera, il Siscar, il Santuario de la Virgen de la Fuensanta, il Parroco de Santomera presso il quale visse ecc...

B) La famiglia della Madre; quello che sappiamo della sua infanzia e della sua giovinezza fino all'ottobre 1915 quando abbandonò Santomera per farsi religiosa.

C) Il suo ingresso in religione tra las Hijas del Calvario in Villena fino all'emissione dei Voti Perpetui come clarettiana il 21 novembre 1921.

La Madre é stata religiosa:

― dal 15 ottobre 1915 al 21 novembre 1921 tra las Hijas del Calvario (6 anni)

― dal 21 novembre 1921 al 6 dicembre 1930 tra le Clarettiane( 9 anni)

― dal 24 dicembre 1930 all' 8 febbraio 1983 come Ancella dell'Amore Misericordioso (53 anni).

Madre Speranza è nata in Spagna, a Santomera di Murcia.

Santomera è a meno di 20 Km. da Murcia. Il fiume Segura che attraversa Murcia passa vicinissimo a Santomera ed è la vita, la fonte di ricchezza agricola per tutta quella zona.

Dove arriva l'acqua del Segura, debitamente incanalata, sorge la zona fertile, la Huerta (orto); dove non arriva l'acqua del Segura il terreno è paurosamente arido e bruciato.

Attualmente la zona produce molti limoni, pochi aranci, molto cotone, vaste zone di palme.

Santomera è denominata oggi "El limonar de Europa".

E' ancora funzionante ed è "monumento di Murcia" una grande NORIA: una ruota di circa 10 metri di diametro che è mossa e fatta girare dalla stessa acqua del fiume Segura; nel suo moto raccoglie in apposite vaschette l'acqua che solleva e fa ricadere in diversi canali, i quali poi la distribuiscono nei vari campi per irrigare il terreno.

Molti pellegrini forse ricordano di aver visto all'ingresso della saletta della Madre un tempietto che raffigurava il Santuario de la Virgen de la Fuensanta, Nella immediata periferia di Murcia. Sicuramente più volte la Madre da giovane da sola o con i suoi, deve essere salita a pregare a questo santuario che sovrasta Murcia e dal quale si scopre tutta la grande e vasta zona de la Huerta de Murcia.

Al tempo della Madre la Diocesi di Murcia era una sola con quella di Cartagena. La Madre deve essere stata molto ben conosciuta da S. E. il Vescovo di Murcia e Cartagena, dato che per 16 o 17 anni (fino al 1915) è vissuta in casa del parroco di Santomera Don Manuel Aliaga Hernández; forse con lui decise la sua vocazione e fu Lui a trovarla a Villena per incoraggiarla nel suo primo impatto con la vita religiosa nel Convento de las Hijas del Calvario.

Santomera

Santomera si trova sulla strada che porta da Murcia ad Alicante ed é attraversata da questa strada. Tra Murcia e Santomera si trova il caratteristico paese di monteagudo con il grande Cristo sul monte.

Oggi Santomera - dal 1978 - è sede municipale; il Comune ha circa 16.000 abitanti. La Chiesa parrocchiale attuale si terminò di costruirla nel 1876 (sette anni prima che nascesse la Madre) per merito e donazione di Don Francisco González Melgar; un illustre Sacerdote, nativo di Santomera. Nel 1921 fu consacrata con solenni celebrazioni che durarono dal 28 aprile al 1 maggio. Nel 1926 fu elevata alla dignità di Basilica dall'Ecc.mo Vescovo di Cartagena, Mons. Vincente Alonso y Salgado. Dal 29 novembre 1874 (19 anni prima che nascesse la Madre) era stata istituita in Santomera la asociación de la caridad, per iniziativa del Maestro Nacional di Santomera Don José Puig Valera. L'Associazione è tuttora fiorente. Dal 1738 fu istituita in Santomera la Confraternita del Rosario e nel 1851 (42 anni prima che nascesse la Madre) furono modificati e codificati gli Statuti. Anche la Comunità Parrocchiale di Santomera dal 26 gennaio 1921 usufruì della concessone data dalla S. Congregazione dei Riti a tutte le Diocesi di Spagna di poter celebrare il 31 maggio, con Ufficio e Messa propria, la festa della SS.Vergine, Medianera de todas las gracias.

La Chiesa parrocchiale di Santomera durante la guerra civile del 1936-39 è stata saccheggiata; all'interno è stato tutto distrutto e bruciato; è stata salvata solo l'immagine della Madonna del Rosario (Patrona di Santomera), quella che attualmente si venera nell'abside sopra l'altare maggiore: fu salvata da Don Manuel Campillo González, zio di Don Manuel Campillo Laorden. All'interno, la chiesa subì gravi distruzioni (altari, immagini, quadri, ecc) e fu destinata prima a magazzino di pezzi di aeroplani e dopo a magazzino di limoni. L'esterno della chiesa non fu toccato.

Il Fonte Battesimale sembra che sia quello del tempo della Madre e presso il quale forse fu battezzata la Madre stessa. Probabilmente è stato spostato di luogo all'interno della chiesa.

I registri parrocchiali di battesimo e di matrimonio sono stati salvati sia dalle inondazioni sia dalla guerra: li abbiamo potuti vedere e fotocopiare.

Il parroco di Santomera si chiamava Don Manuel Aliaga; le due sorelle che vivevano con lui, Inés e María, dopo la morte del fratello andarono ad abitare in Santomera nella calle Cuatro Esquinas. Don Manuel è morto il 4 maggio 1922.

Quando nel 1933/34 Madre Speranza tornò in Santomera fu ospitata in questa casa di Cuatro Esquinas dalle due sorelle Aliaga, come ricorda anche la mamma di Suor Margherita. Quando Don Manuel morì aveva 84 anni di età.

Il Siscar attualmente (da appena due o tre anni) fa parrocchia e ha la Chiesa parrocchiale nella "Ermita" che esisteva anche al tempo della Madre; ma fino al 1980 circa faceva parte della Parrocchia di Santomera. Oggi dipende ancora dal Municipio di Santomera.

La Ermita (piccola cappella) e il relativo terreno, non appartenevano alla parrocchia di Santomera. Erano stati comprati dalla famiglia di Murcia da una proprietà ecclesiastica; erano quindi terreno e proprietà privata. Ci si venera la Virgen de los Angeles, prima con qualche Messa ogni 2/3 anni, poi ogni 15 giorni e con una certa solennità la festa annuale.

Quando cominciò a crescere il culto, la famiglia Murcia segregò dal terreno questa Ermita e ne fece dono alla Parrocchia di Santomera (cf. Don Manuel Campillo Laorden, 12 ottobre 1982).

Il monte più alto che circonda Santomera è il Pico de Aguila, della sierra di orihuela, alto 517m.; lo segue il monte bermejo alto 310 m. Il clima è molto buono, molto mite d'inverno e molto caldo d'estate. Fu una eccezione più unica che rara quando l'inverno del 1967 registrò una temperatura mai conosciuta: 10°C.

Oggi i terreni e le abitazioni di Santomera sono protette dal lago artificiale e dalla diga che è stata costruita in questo ultimo decennio. Il bacino del lago ha una capacità di 28.386.240 m3 e la presa principale di acqua è alta 51,50 m. Ma in passato la zona fu molto compromessa da Riadas e Rambladas.

Il 26 settembre 1906 una catastrofica ramblada, dovuta ad abbondanti piogge, costò la vita a 31 persone e la distruzione di quasi la metà di tutte le abitazioni del paese.

Il 28 settembre 1947 un'altra ramblada registrò 13 affogati e più di 300 case distrutte en el barrio de la Mota. In una di queste riadas o rambladas morì affogato anche un fratellino della nostra Madre. Tutti in Santomera ricordano la riada detta di S. Teresa perché avvenne un 15 ottobre forse tra il 1900 e il 1910.

Huerta de Santomera è denominata così tutta la zona di terreni che sono al di sotto dei canali di irrigazione, praticamente al di sotto della Acequia de Zaraiche, dove quindi i campi potevano essere irrigati con "agua rodada"; mentre dove i campi venivano irrigati con "agua elevada" ( con la noria o a motore oggi) si chiamava campo o secano.

Oggi di fatto è huerta tutto, anche a Nord di Santomera, perché è tutto abbondantemente irrigato.

E' zona che vive principalmente della sua agricoltura: limoni, cotone, ortaggi, ecc. Per la raccolta e la trasformazione primaria del cotone nel 1962 si é costruita una "Cooperativa agrícola del Sureste" che ha sede legale e una buona parte delle sue installazioni proprio in Santomera. Oltre questa Cooperativa ci sono in Satomera attualmente altre installazioni per il trattamento dei peperoni, delle conserve vegetali, magazzini per la esportazione di citricos e vari stabilimenti di confezioni e abbigliamento.

Senza dubbio al tempo che la Madre Speranza nacque e visse nel suo paese natale la vita di Santomera era solo di stile rurale e con raccolti molto scarsi, data la permanente siccità del clima e la mancanza di laghi che dessero la possibilità di irrigare.

Questo problema oggi è in gran parte risolto con le dighe che sono state costruite sulla "Cuenca" e con il collegamento (trasvase) tra il fiume Segura e il Tajo.

Questa estrema miseria per quella buona gente non fu ostacolo a un profondo senso religioso che anzi si manifestò soprattutto in una filiale devozione alla Vergine santissima; devozione che anche oggi è molto viva tra la gente di Santomera.

Sotto l'oppressione di questa triste situazione economica molte famiglie si videro obbligate ad emigrare, dirigendosi con preferenza verso Barcellona. Appare molto raro e inspiegabile come della famiglia della Madre nessuno abbia emigrato per lavoro. I pochi che restarono vivevano nella povertà più estrema; i più senza una casa propria e senza un lavoro fisso.

Questi poterono sopravvivere - altro fatto singolare - per la squisita bontà cristiana di alcune famiglie, più o meno benestanti, che trattavano e consideravano i poveri come della propria famiglia: a loro procuravano lavoro, vitto e, soprattutto, affetto, sostegno, protezione, fino ad ammetterli a condividere con loro i pasti in casa propria. Tra questi benefattori si distinsero le famiglie Campillo-Murcia, Campillo-Laorden e Fernández-Serna. Anche la nostra Madre è restata molto grata per es. alla Sig.ra Dña. Maravillas Fernández Serna, sposa di Don Antonio Meseguer, la quale insieme con sua sorella Carmen (religiosa) e insieme alle Sig.ne Inés e María Aliaga Hernández (sorelle del parroco), insegnarono alla nostra Madre bambina a leggere, a scrivere e ad apprendere le faccende domestiche. Questa sig.ra Dña. Maravillas, nel 1954, con suo figlio, il francescano Padre Juan Meseguer Fernández, ebbe la gioia di rivedere la Madre Speranza in Collevalenza.

Ugualmente, tanto la Madre Speranza come sua sorella la Madre Ascensión, hanno manifestato sempre grande affetto e riconoscenza a Dña. Antonia Laorden, sposa di Don José Manuel Campillo, perché fu proprio questa famiglia ad accogliere per molti anni nella propria casa la sorella minore di Madre Speranza, la Sig.ra Carmen che tuttora vive in Santomera. Dña. Antonia Laorden dette anche lavoro e sistemazione al fratello più piccolo di Madre Speranza, il Sig. Antonio, e infine, fu sempre questa famiglia che attese alla mamma della Madre Speranza, la Sig.ra Carmen Valera Buitrago, alla quale procurò e assegnò un "cuartico" (mini-appartamento) della Fondazione del fratello del suo sposo il Sig. Don Manuel Campillo Gongáles, dato che due figlie erano partite religiose e gli altri non avevano mezzi di sussistenza. Nel 1954 la mamma della Madre morì proprio al "cuartico" n.7.

 

LA FAMIGLIA DELLA MADRE

Il Padre della Madre si chiamava José Antonio Alhama Palma era nato il 15 gennaio 1862; fu battezzato il 16 gennaio 1862; si sposò il 28 luglio 1892 (a 30 anni); é morto il 5 novembre 1932 al Siscar di Santomera (a 70 anni).

La Mamma si chiamava Maria del Carmen Valera Buitrago era nata il 9 ottobre 1873; fu battezzata il 9 ottobre 1873; si sposò il 28 luglio 1892 (a 19 anni); è morta il 24 luglio 1954 nel cuartico n. 7 a Santomera. A 81 anni e non a 79 come dice il ricordino.

La famiglia Buitrago da cui è venuta la sig.ra Mª Carmen, mamma della Madre, abitava in un caserio nelle vicinanze di Santomera, nella località "Matanza de Alicante" e, come risulta dall'Albo dei matrimoni, erano semplici lavoratori anche se certamente discendenti - non so in che grado - dalla famiglia nobile Buitrago.

Dal matrimonio ebbero 9 figli e la primogenita di questi fu la nostra Madre.

Relación de hijos habidos del Matrimonio de José Antonio Alhama Palma y María Carmen Valera Buitrago, padres, entre otros, de María Josefa Alhama Valera (hoy Madre Esperanza de Jesús Alhama Valera, Fundadora de la Congregación del Amor Misericordioso, en sus dos ramas: masculina y femenina).

Nombre y apellidos Lugar de nacimiento fecha

1) María Josefa Santomera (Murcia) 29.09.1893

2) Juan idem 14.02.1896

3) Antonio idem 02.07.1898

4) María Remedios idem 23.05.1901

5) Francisco idem 26.06.1903

6) María idem 30.03.1906

7) Jesús María idem 30.03.1906

8) María del Carmen idem 28.11.1908

9) Manuel idem 22.05.1917.

La data di nascita della Madre Speranza nel registro di battesimo della parrocchia di Santomera è posta al 29 settembre 1893, anche se noi l'abbiamo sempre celebrata il 30 settembre. Alcuni del paese di Santomera dicono che potrebbe essere più attendibile quanto la tradizione ha tramandato, più ancora del registro.

Il padre era operaio agricolo avventizio; in quel tempo c'erano pochissime possibilità di lavoro, perché tutta la zona era molto povera; c'era molto terreno ma poca possibilità di irrigare, per cui per la maggior parte dell'anno non c'era lavoro.

Questa famiglia non aveva mezzi neanche per avere una casetta propria o almeno una baracca. Vissero nella località chiamata "Paraje de la Acequia de Zaraiche". Questo canale li divideva dal gruppetto di case del Siscar. Tra questo canale, la vereda del Molino e una presa di acqua chiamata il Merancho (per muovere il mulino di grano e cereali), c'era un triangolino di terra di non più di 15m. di lato. Questa era la proprietà del Sig. Manuel Campillo González e di sua moglie Dña. María Murcia Rebagliato e l'aveva in affitto un certo Sig. Antón El Morga.

Questo triangolo di terra confinava con "el puente de la losa" che non era altro che una lastra di grossa pietra posta sopra un "partidor" o "tablacho" per distribuire l'acqua del suddetto canale di irrigazione.

Questa pietra faceva da ponte per attraversare il canale e permetteva di raggiungere il Siscar dove era possibile trovare qualche rudimentale servizio di negozio e simili. Su questo triangolo di terra c'era una baracca nella quale era vissuto per qualche tempo il Sig. Antón El Morga (e che ora si era costruito una piccola casetta in un terreno proprio). Questa baracca (come tante altre), era fatta con blocchi di terra e paglia, solo ammassati e non cotti che, quando li raggiungeva l'acqua delle inondazioni, facilmente si disfacevano e crollavano. Il buon Antón El Morga cedette questa baracca al Sig. José Antonio Alhama e qui nacque la nostra Madre. Alla prima inondazione del Segura, la baracca crollò e l'acqua si portò via tutto, anche il fratellino della nostra Madre.

La famiglia della Madre restò senza casa e senza la possibilità economica di costruirsene un'altra.

Un altro buon signore, certo Manuel Sevilla, donò alla famiglia una modestissima casetta in località Siscar dove ripararono il babbo di nostra Madre con la sua sposa e i suoi figli. E lì visse fino alla morte nel 1932.

Quando nel 1933/34 la Madre tornò a Santomera (forse l'unica volta in vita) il Parroco Don Manuel Aliaga era già morto (4 maggio 1922) e la Madre fu ospite ancora delle sorelle del Parroco, Inés e María non più presso la casa parrocchiale, ma in Vía Cuatro Esquinas, sempre a Santomera.

Quando il fratello maggiore Juan si sposò, non avendo il padre la possibilità di dargli una casa, lo tenne con sé nella casetta del Siscar, alla quale per l'occasione avevano addossato anche un altro piccolo vano.

In questa casetta del Siscar è morto il babbo della Madre nel 1932. Mentre la mamma della Madre, nel 1954, non è morta qui in casa propria, ma in un "cuartico", al n. 7. Dopo la morte del marito, quando i figli cominciarono a sistemarsi, forse nell'anno 1933/34, alla mamma della Madre fu offerta la possibilità di occupare uno dei "cuarticos" creati per i poveri e i bisognosi in Santomera.

L'origine di questa fondazione è la seguente:

Un certo Manuel Campillo González, di famiglia umile, si era sposato con Doña María Murcia Reballato, di famiglia benestante e ricca. Nel 1931 restò vedovo e volle destinare tutte le richezze che gli erano venute dalla moglie ai poveri. Anche il Vescovo di Madrid, Mons. Leopoldo Eijo Garay, cedette per solo un milione un terreno che valeva almeno 15 milioni perché potesse costruirsi in Madrid un Collegio di S. Paolo.

In Santomera volle costruire 12 mini-appartamenti. Questi "cuarticos" si presentano, uno di seguito all'altro, con al centro una cappellina dedicata «a la memoria de Doña María Murcia» dove ogni giorno si ritrovano tutti per la recita del rosario in comune. Ognuno di questi mini-appartamenti ha l'ingresso individuale sulla strada. entrando c'è una piccola stanza che serve da cucina e per mangiare; da questa si accede alla camera da letto; dalla stessa stanza di ingresso c'é un'uscita anche sulla parte opposta della strada, dietro, dove ognuno aveva un pezzetto di terreno per l'orto, per il giardino, per qualche coniglio o gallina.

Le famiglie che abitavano dall'altra parte della strada, di fronte ai "cuarticos" avevano l'impegno morale di dare una mano a questi anziani qualora ne avessero avuto bisogno. Questi dodici mini-appartamenti erano destinati alle persone anziane bisognose di Santomera ed anche a poveri di passaggio "transeuntes".

Questi poveri vivevano e vivono tuttora per la carità dei buoni.

Sulla morte della mamma della Madre abbiamo raccolto una testimonianza commovente. Nel 1954 quando è morta, era sola nel cuartico. La figlia Carmen, sposata in Santomera, andava tutti i giorni a visitarla. Quel giorno quando è morta essa era al fiume, a lavare la biancheria. Nostra Madre deve aver conosciuto la morte della mamma dal Signore stesso: soffrì e sentì tanto la morte della mamma e la pena di non aver potuto far niente per lei.

A Santomera, in casa di Carmen, era restata solo la figlia Lola (Rosario), figlia di Carmen e quindi nipote della nostra Madre. Lola racconta che a un certo momento vide in casa una suora che le chiese dove erano i vestiti della nonna; glieli indicò; la suora li prese, ringraziò e partì. Quando più tardi Carmen tornò dal fiume, la figlia le raccontò di questa suora; andò a trovare la mamma (come tutti i giorni) convinta di trovarla come sempre e invece la trovò morta, già vestita e custodita. Il signore aveva concesso alla Madre il conforto di poter fare questo ultimo servizio alla sua mamma.

Nell'ottobre 1984 il Comune di Santomera ha voluto dedicare alla Madre una strada della cittadina. E' una strada molto piccola, non più lunga di 80/90 metri. E' la strada dove si trova la casetta dove è morta la mamma della Madre. E' la zona dove i poveri sia di Santomera che di passaggio sono stati sempre accolti e assistiti. E' tuttora la zona più povera di Santomera.

Gli abitanti di Santomera accoglierebbero volentieri in paese le Ancelle dell'Amore Misericordioso e i Figli dell'Amore Misericordioso per testimoniare con la loro presenza l'amore che portano verso la Madre.

 

L'infanzia della Madre

Quando la Madre era sui 5/6 o 7 anni, fu portata a servizio presso il Sig. Parroco. Sembra che le cose siano andate così: vicino alla baracca dove viveva la Madre, aveva terreno e casa un certo "el tio Pepe Ireno", uomo buono, di grande fede e religiosità che aveva un figlio sacerdote e una figlia religiosa. Questo signore deve essere stato impressionato da questa bambina sveglia, ordinata, che aiutava a fare le faccende, simpatica, molto viva, ecc... e dovette pensare che era una pena lasciarla in tanta povertà e abbandono e miseria... e pensò che la cosa migliore da farsi per lei, era portarla a servire presso il Sig. Parroco che sicuramente era il luogo più indicato per trovare rispetto, aiuto, un orientamento cristiano e morale; e anche perché le due sorelle del Parroco (Inés e María) insieme alla Sig.ra de Las Maravillas si sarebbero incaricate di darle una certa istruzione e cultura, oltre che insegnarle lavori e come accudire la casa.

Fu così che nostra Madre ancora bambina si ritrovò in casa del Signor Parroco del quale poi la Madre ne ha parlato sempre con un gratissimo ricordo e vi rimase fino al 15 ottobre 1915 quando partì per farsi religiosa, cioè fino ai 22 anni.

In tutto questo periodo non ci risulta che la Madre abbia potuto frequentare scuole o abbia avuto altre possibilità di istruzione oltre quanto poterono darle le due sorelle del Parroco e la Sig.ra Maria de Las Maravillas. In questi anni avvennero questi due episodi:

Nel 1901, la Madre non aveva ancora fatto la sua prima Comunione perché a quel tempo i bambini vi venivano ammessi quando avevano almeno 12/13 anni e la Madre ne aveva solo 8. Essa racconta che un giorno aveva già fatto colazione con caffelatte; venne a celebrare in Parrocchia un Sacerdote che non la conosceva, mentre Don Manuel Aliaga (parroco) era fuori; al momento della Comunione anche essa si presentò alla balaustra e ricevette la Santa Comunione, poi si ritirò alla Cappella della Madonna per stare in raccoglimento con il Signore.

Alcune signore anziane che la notarono, lo riferirono e la rimproverarono molto, dicendo che essa era il disonore della sua famiglia. La Madre racconta che essa si preoccupava solo di far compagnia al suo Gesù e di supplicarLo che non se ne andasse dal suo cuore perché temeva che ora per tanto tempo non le avrebbero più permesso di rifare la Comunione. Racconta anche che da quel giorno cambiarono molte cose per lei; non giocava più con la corda per non molestare Gesù che stava dentro di Lei con i suoi salti; aveva preoccupazione di farGli costantemente compagnia e di non lasciarLo mai solo e di non dimenticarLo mai durante la giornata.

Il secondo episodio si riferisce a quando la Madre si ritrovò in casa del Sig. Parroco con Santa Teresa di Gesù Bambino. La Madre raccontò diverse volte questo episodio. Riportiamo la testimonianza attendibile di Padre Arsenio Ambrogi: «Hanno portato dalla Francia perché stesse lì nel Santuario dell'Amore Misericordioso, la statua lignea di santa Teresa del Bambino Gesù; l'hanno calata sul camioncino, là sul cortile interno della nostra Comunità. Io mi trovo nel pomeriggio proprio assieme alla Madre, (eravamo noi due soli) ed Essa era lì, vicino alla piccola statua e la accarezzava come si accarezza una bambina e dolcemente le disse: «Figlia mia, qui devi lavorare, perché ci troviamo nel Santuario dell'Amore Misericordioso».

Poi si volse di scatto verso di me e mi disse: «Vede Padre: questa qui io l'ho conosciuta che avevo dodici anni». Io feci subito un calcolo: la Madre è nata il 30 settembre 1893, Teresa del Bambino Gesù è morta il 30 settembre 1897 dico: Madre, come ha fatto a conoscerla era già morta da otto anni? Lei sorrise e proseguì dicendo: «Stavo in casa dello zio sacerdote, sentii suonare il campanello, scesi giù e vidi una Suora tanto bella che mai avevo visto. Mi meravigliai che non portasse le bisacce per raccogliere l'elemosina, pensavo infatti che fosse una suora questuante e le dissi subito: "Suora, dove mette la roba che le do se non ha neanche le bisacce?" E lei mi rispose: Bambina, io non sono venuta per questo! - "Ma sarà stanca del viaggio? Prenda una sedia!" - Non sono affatto stanca. "Con questo caldo avrà sete!" - Non ho sete - "Allora che vuole da me? E lei mi disse: «Vedi, bambina, io sono venuta a dirti da parte del buon Dio che tu dovrai cominciare dove ho finito io». E mi parlò a lungo della devozione all'Amore Misericordioso che avrei dovuto diffondere in tutto il mondo. A un certo punto mi voltai e la suora non c'era più. Era proprio Lei, sa! Era proprio Lei. E dicendo questo additava la statua di santa Teresa del bambino Gesù che era lì in mezzo a noi.

Mi colpì quell'espressione «son venuta a dirti da parte del buon Dio», le Bon Dieu dei Francesi; gli spagnoli non avrebbero detto il Buon Dio, ma el Buen Jesús.

Anche questo particolare mi ha fatto sempre pensare alla genuinità della notizia e parlando della devozione all'Amore Misericordioso aggiunse anche il particolare: «Dio non vuol essere più sentito come un giudice di tremenda maestà, ma come un Padre buono. E' questa la missione che io ho ricevuto da diffondere per il mondo intero».

 

La Madre Religiosa tra le Figlie del Calvario

Il 15 ottobre 1915, all'età di 22 anni, la Madre lascia Santomera per entrare come religiosa a Villena con las Hijas del Calvario.

«Partii dalla casa paterna - racconta essa stessa (Exh. 15 ottobre 1965) - con la grande illusione di arrivare a farmi santa, di poter assomigliare un po' a S. Teresa che era stata forte (varonile), che non si spaventava di niente, che affrontava qualunque rischio». Racconta ancora Ella stessa: «Io volevo essere come Lei e per questo partii da casa, lasciando mia madre nel letto della sua sofferenza senza speranza di poterla rivedere. «Figlia, perché non aspetti?» - mi disse - «Mamma, domani è S. Teresa e io vorrei arrivare ad essere grande santa come Lei e che essa mi aiutasse a seguire il Signore come Lo ha seguito Lei». E mia madre, che era molto buona, mi disse: «Figlia, il Signore ti benedica, e se io muoio, tu prega per me». Così con grande dolore per vedere mia madre che soffriva, ma con grande desiderio di farmi santa partii da casa accompagnata da mio padre e dal fratello maggiore Juan».

Prima di decidersi per Villena e las Hijas del Calvario, la Madre aveva fatto ricerche ed esperienze anche altrove. Anche in una Comunità a servizio di malati, in un Ospedale. E l'aveva abbandonata. Così Essa stessa racconta: «Passando con la Suora incaricata per una corsia, avevo notato un povero uomo in fin di vita, ormai quasi con il rantolo e che soffriva tanto… lo indicai alla Suora pensando che ella non se ne fosse accorta... La Suora si avvicinò al letto del moribondo e con il lenzuolo gli coprì la faccia... e partì. Io ne restai tanto scossa e provavo tanta pena per quell'uomo che soffriva; la Suora se ne accorse e mi disse: «Vedrai che anche a te con il tempo ti si farà il cuore duro!» E la Madre: «Mi basta questo: prima che mi si faccia il cuore duro, io me ne vado». E abbandonò quell'Istituto.

La scelta che la Madre ha fatto per questo Istituto de las Hijas del Calvario é profondamente significativo in misura di quanto possiamo conoscere dalle poche notizie raccolte su questo Istituto.

L'istituto de las Hijas del Calvario era stato fondato nel 1863 a Seo de Urgel (Lérida) da una giovane di straordinaria pietà, Esperanza Pujol, nata a Teres di Lérida nell'anno 1820. Questa giovane di straordinaria pietà passava ore intere nella contemplazione dei dolori di Gesù; perché fossero in molti a riparare, sentì l'ispirazione a fondare un Istituto che fosse straordinariamente austero nella regola di vita e contemporaneamente si dedicasse a grande attività per salvare bambine per mezzo dell'educazione cristiana.

Nel timore di essere ingannata dal demonio, chiese consiglio e parere al Santo Vescovo di Trajanopolis, Don Antonio María Claret, al quale sottopose anche il progetto della Regola. Egli in data 4 maggio 1863 così le rispose: «Abbiamo letto le Regole e Costituzioni delle Hijas del Calvario e ci sembra, che se saranno osservate con fedeltà, Dio nostro Signore sarà servito, las Hijas del Calvario si santificheranno e faranno sì che si salvino tante anime...».

Incoraggiata da queste parole, Esperanza Pujol, all'età di 43 anni, nel 1863, fondò in Urgel (Lérida) la prima Casa del nuovo Istituto con l'approvazione del Vescovo della Diocesi Don José Caixal.

Dopo la morte del Vescovo, las Hijas del Calvario dovettero abbandonare Urgel, ed emigrare verso il Levante perché la vita di sacrificio e di penitenza che facevano spaventava le giovani che desideravano entrare.

Nel giro di 30 anni si spostarono a Tortosa, Alicante, Elche, Játiva, Murcia, per finire nell'anno 1900 a Villena, ritrovandosi tutto l'istituto con una sola Casa.

Nel novembre 1900 la Fondatrice Esperanza Pujol scrisse un opuscolo di 120 pagine intitolato: «Martirios de Jesucristo».

Morì a Villena il 27 febbraio 1902.

Questo convento di clausura di Villena era chiamato "Calvario" e "Le tre Croci", perché dove sorgeva il monastero, forse dal 1700 c'era una piccola Ermita (cappellina) che era chiamata "il Calvario" e "Le tre Croci".

Quando la Madre entrò a Villena, tutto l'Istituto e Comunità de las Hijas del Calvario era ridotta a 7 membri.

Quando la nostra Madre vi entrò nel 1915 con i suoi 22 anni, con questa Comunità doveva portare avanti una scuola per bambini! L'impatto della Madre con la vita religiosa deve essere stato molto duro. Essa ci racconta (15 agosto 1966: 15 ottobre 1965 Exh.): «Sento dentro di me una voce che mi dice: "qui non ti puoi santificare". E non é che mi spaventi la povertà, quanto la poca unione dei membri della Comunità».

Essa racconta ancora (Exh. 15 ottobre 1965):

«Dopo tre anni venne a farmi visita il Vescovo di Murcia e a Lui potei dire: "Io sono venuta per farmi santa, ma vendendo che qui non è possibile, mi pare giusto che io non faccia i voti perpetui". E il buon Vescovo mi rispose con un esempio significativo: "Tu devi essere come una scopa che non si lamenta, che non protesta e che, in silenzio, lascia che ognuno se ne serva come vuole, per una cosa o per l'altra».

Dopo altri due anni, nel 1920 la Comunità de las Hijas del Calvario di Villena andò maturando una proposta per risolvere il problema della propria sopravvivenza: nel 1915 e qualche altro anno il Clarettiano P. Juan Oteo aveva loro predicato gli Esercizi Spirituali e le aveva informate dei tentativi che si stavano facendo di aggregare alle "Misioneras Claretianas" anche altri Istituti allora piccoli e di poco personale come las Misioneras Agustinas, Las Hijas del Corazón de Maria... Questa proposta era portata avanti dal P. Maroto del quale la Madre Generale delle Misioneras Claretianas aveva molta stima per essere questo Padre di grande esperienza nel campo del Diritto.

Perché non tentare questa fusione, considerato anche il fatto che lo stesso P. Claret aveva così esplicitamente elogiato le Regole del las Hijas del Calvario e così incoraggiato la Fondazione?

La Comunità di Villena decise per il sì e ottenne il benestare dal Vescovo di Cartagena-Murcia. Las Hijas del Calvario incoraggiate e sostenute dal P. Oteo, incaricarono per le trattative: Madre Mercedes Vilar Prat e la nostra Madre Esperanza Alhama Valera.

Queste il 2 novembre 1920, con il P. Oteo, si recarono dal Vescovo D. Vicente Alonso Salgado per iniziare le trattative della fusione con le Clarettiane. Il Vescovo pose l'unica condizione che non fosse soppressa la Casa di Villena.

Il P. Maroto trasmise rapidamente la pratica alla S. Congregazione dei Religiosi che in data 30 luglio 1921 concedeva il corrispondente Decreto di annessione, lasciato comunque alla discrezione del Vescovo di Cartagena-Murcia, precisando che las Hijas del Calvario avrebbero dovuto emettere di nuovo la Professione Perpetua e Temporanea e che avrebbero comunque conservato l'ordine di precedenza come le corrispondeva in base alla prima professione.

Il 9 novembre 1921 il Vescovo firmava definitivamente l'esecuzione del menzionato Decreto e il 19 novembre 1921 anche la nostra Madre vestiva l'abito delle Clarettiane, mentre il 21 novembre 1921 emise di nuovo i suoi Voti Perpetui, ormai come Clarettiana.

Il Governo generale delle Clarettiane nominò la nuova Superiora di Villena nella persona di Madre Patrocinio Pérez de Santo Tomás alla quale successe per il triennio 1922-25 la Madre Maria Josefa Marín de San Bernabé.

Il Collegio fu ristrutturato e ampliato fino ad accogliere anche 300 bambine. Fino agli anni 1930-31 il Collegio ebbe vero splendore e si fece un mondo di bene soprattutto alle giovani povere. Con la proclamazione della Repubblica in Spagna (1931) cominciarono anche per Villena grossi problemi.

― Il Municipio voleva impossessarsi dell'edificio;

― tolse il sussidio per l'educazione gratuita delle giovani povere;

― gli stessi vicini cominciarono a dare fastidio alle Suore, a minacciarle di volerle impiccare tutte, di voler bruciare il Convento, ecc... e di fatto il 14 marzo 1936 il Convento fu dato alle fiamme.

Una parte del Collegio più tardi fu demolita per far passare sotto la nuova strada che collega Alicante con Madrid, mentre la Chiesa e una parte del Collegio che ancora resta (come rudere) è attualmente a precipizio sopra le gallerie fatte per detta strada.

«Se ci lasciamo invadere dalla tristezza e dalla sfiducia, facciamo dispiacere al Signore e diamo al demonio la possibilità di toglierci la pace interiore, con il rischio di esporci a un turbamento violento nell'intimo dell'anima.

Questo non significa che non debbano addolorarci le nostre mancanze. Certamente il peccato è orribile perché con esso offendiamo Gesù e perciò dobbiamo detestarlo, ma senza che per questo ci abbandoniamo alla tristezza e allo scoraggiamento: Colui che viene offeso è pur sempre Nostro Padre e il Suo Cuore Misericordioso ci perdona e ci ama.

Siamo, è vero, pieni di miseria, ma bisogna tendere in alto, bisogna portare la nostra anima a Gesù e portargliela così com'è: con colpe o senza colpe, fervorosa o tiepida, rincuorata o scoraggiata, sicuri che se la presenteremo con umiltà e amore, essa tornerà migliore».

Madre Speranza

 

Premessa

Credo sia ancora prematuro cercare di definire in una forma completa l'aspetto morale del messaggio di M. Speranza. Se ci si accosta, però, senza pregiudizi culturali odierni, al materiale - tutto quello che ci è arrivato di Lei - che contiene il Messaggio dell'Amore Misericordioso è possibile trarre alcune conclusioni fondamentali. Queste possono servire di punto di riferimento e di confronto per chi vuole mettere in pratica questo messaggio nella scia di M. Speranza, e anche come contributo a una visione più definitiva dell'aspetto morale del Messaggio.

Vorrei iniziare con una premessa - partendo da un testo di Paolo - che ci aiuti a capire quali sono le componenti essenziali di un discorso morale e cristiano:

"Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter discernere la Volontà di Dio ciò che è buono a Lui gradito e perfetto" (Rom. 12,2).

Questo brano è collocato alla fine della lettera e dà inizio ad una lunga serie di esortazioni morali che Paolo rivolge ai Romani e mette in risalto come la dimensione etica della vita cristiana è composta fondamentalmente da due aspetti:

1) Un aspetto soggettivo: L'agire morale cristiano, che qui è espresso nelle azioni di discernere, trasformarsi e compiere ciò che a Lui è gradito.

2) Un aspetto oggettivo: La volontà di Dio, ciò che è buono e perfetto. Questa non è creata dal soggetto ma è dono di Dio che gli sta davanti come punto di riferimento.

Ogni cristiano, quindi, è capace di discernere – riconoscere, distinguere, scegliere - ciò che è buono e perfetto: il volere di Dio. Ma questa capacità sarà presente nel soggetto morale nella misura in cui si rinnova, si trasforma, cioè si rende disponibile.

L'oggetto del discernimento, il suo contenuto, è la ricerca della Volontà di Dio. Questa Volontà di Dio man mano che viene interiorizzata compie in noi un rinnovamento, chiamandoci a realizzare nella vita ciò che è buono e perfetto, "a Lui gradito".

C'é, dunque, un rapporto dialettico e reciproco tra l'aspetto soggettivo e quello oggettivo. Questo tipo di rapporto tra la volontà di Dio e l'agire responsabile dell'uomo è ciò che viene chiamato "esperienza morale". Compito della morale è, quindi, ricercare in che modo si deve modellare la propria vita per meglio decifrare e mettere in atto, attraverso opzioni e atteggiamenti concreti, ciò che è a Lui gradito: il suo volere.

Ho scelto questo brano di Paolo, tra tanti, perché, da una parte sintetizza con le sue parole la dimensione morale della vita del cristiano e le sue componenti essenziali e, inoltre, perché ha una grande affinità con le componenti di base che caratterizzano l'aspetto morale del messaggio di M. Speranza e che formano, perciò, lo schema di questo studio.

Nella cornice dell'esperienza religiosa di M. Speranza e del suo incontro con Dio cercheremo di scoprire il contenuto puramente morale, vale a dire, la ricerca e il discernimento della volontà di Dio nella vita di M. Speranza, la trasformazione continua a cui è chiamata per meglio accoglierla e l'attuazione personale e concreta di ciò che è a Lui gradito e cioè la sua missione.

Prima di avviare il discorso, bisogna dire che non c'é nel materiale lasciatoci da M. Speranza nessuna trattazione direttamente morale e ciò pone subito il problema della scelta metodologica.

E' sempre un tentativo arduo cercare di mettere in luce, dalla vasta ricchezza spirituale del suo messaggio, le componenti di un discorso morale: c'è sempre il pericolo di una lettura soggettivistica, di travisare, di farle dire ciò che non avrebbe voluto dire.

L'unica strada che considero valida è quella di leggere e rileggere, alla luce dell'esperienza religiosa che ha vissuto, il materiale, per trarne ciò che emerge con più forza e consistenza dal suo Messaggio.

L'esperienza religiosa di M. Speranza

Per parlare della realtà morale trasmessa da M. Speranza bisogna partire dalla sua esperienza religiosa da cui emerge.

La dimensione morale non è la cosa più importante nel Messaggio di M. Speranza. L'aspetto morale non è tutto in una esperienza di fede, anzi dipende da questa. All'origine della moralità di un credente c'é il suo particolare incontro con Dio, la sua esperienza religiosa, che decide e condiziona tutto l'aspetto morale.

D'altra parte, è vero anche che sono due cose inscindibili, poiché l'autenticità di una esperienza religiosa si manifesta nella necessaria mediazione morale. E' la realtà morale che verifica l'esperienza religiosa e la incanala nella vita concreta e nella realtà umana.

Tutti abbiamo sentito parlare dell'esperienza religiosa di M. Speranza che è alla sorgente del suo Messaggio: quella particolare manifestazione che Dio le fa di sé, come Amore Misericordioso. Il suo incontro con un "Dio, Padre pieno di bontà che cerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e rendere felici i propri figli, li cerca e li insegue con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro".

Il Dio di cui fa esperienza M. Speranza non è "un Padre offeso", e tanto meno "un giudice severo", ma un Padre che ama "che non tiene in conto, perdona e dimentica". Dio gli si manifesta come Colui "che raddoppia il suo Amore nella misura in cui l'uomo diventa più miserabile". "L'uomo più perverso, il più miserabile e perfino il più perduto è amato con tenerezza immensa da Gesù che è per lui un Padre e una tenera Madre". E' il Dio, infine, che per Amore alle miserie dell'uomo, non rifiutò nessuna sofferenza, fino al punto di morire nudo su una croce".

Il Vangelo la conferma in pieno questa esperienza di Dio, Padre di bontà e ricco di Misericordia. Sì, il Vangelo è una Buona Novella di grazia, di perdono e di salvezza e il "Buon Gesù" è l'Amore Misericordioso incarnato del Padre.

I passi del Vangelo, dove Dio è presentato come Padre, dove Gesù incarna la misericordia di Dio con gesti e parole e soprattutto i racconti della Passione dove il "Buon Gesù", offrendo tutto se stesso, arriva alla massima espressione dell'Amore Misericordioso di Dio, diventano motivo frequente di riflessione, fonte di ispirazione e continuo punto di riferimento per le scelte concrete della sua vita.

In modo particolare sono tre le realtà evangeliche che stanno alla base dell'esperienza religiosa della Madre:

1) Dio-Padre, pieno di bontà e ricco di Misericordia.

2) Gesù nella sua missione d'incarnare la misericordia di Dio verso i bisognosi.

3) Cristo-crocifisso, massima espressione dell'Amore Misericordioso di Dio.

Queste diventano le sorgenti dei tre atteggiamenti morali più sottolineati nel messaggio di M. Speranza.

Alla certezza di avere Dio come Padre, fa riscontro in lei una fiducia nella sua volontà; al Gesù evangelico che è venuto per incarnare la misericordia di Dio, corrisponde un amore senza limite verso tutti, che predilige i più bisognosi; al Gesù crocifisso, massima espressone dell'Amore Misericordioso di Dio si confà l'identificazione con Cristo nell'offerta totale di sé.

Un'opzione fondamentale evangelica: essere Amore Misericordioso

Prima di analizzare questi atteggiamenti così come si scoprono dal Messaggio di M. Speranza voglio mettere in risalto due conclusioni generali che emergono dalla sua particolare esperienza religiosa.

a) Morale evangelica. Dal costante riferimento al Vangelo e all'azione di Gesù che, come abbiamo accennato, è presente in tutta l'esperienza di fede di M. Speranza ne consegue una morale fortemente evangelica e cristologica. Ci saranno degli aspetti nei quali M. Speranza sarà debitrice al contesto culturale e religioso del tempo, ma le opzioni, i valori e gli atteggiamenti morali fondanti faranno sempre riferimento al Vangelo e all'unico modello e maestro: il "Buon Gesù" Misericordia Incarnata.

L'aspetto morale del Messaggio della Madre ha, quindi, quel requisito essenziale che - secondo il Concilio Vaticano II - rende una esperienza morale autenticamente cristiana: la sua fondazione Evangelica.

b) Essere Amore Misericordioso come opzione fondamentale. L'incontro-manifestazione con Dio Amore Misericordioso colora di una luce particolare tutto l'orizzonte della vita e del Messaggio di M. Speranza.

Insieme al dono-manifestazione dell'Amore Misericordioso riceve la missione di annunciarlo ed incarnarlo. Essere Amore Misericordioso sarà lo spirito dell'agire morale, il principio animatore e coordinatore su cui si organizza la sua vita e il suo messaggio, dandogli una visione unitaria.

La morale che ne nasce si potrebbe qualificare come Morale della Misericordia, che si contrappone ad ogni moralità basata sulla paura e sull'obbligo e che va più in là di una giustizia fredda.

 

Gli atteggiamenti fondamentali

Sono soprattutto tre, come abbiamo visto prima, gli atteggiamenti morali che scaturiscono con particolare intensità dall'opzione evangelica di essere Amore Misericordioso nel Messaggio di M. Speranza. Essi costituiscono i canali attraverso cui s'incarna quest'opzione fondamentale e si pongono, inoltre, come spinte di ulteriori realizzazioni concrete:

1) Una fiducia assoluta nella Volontà di Dio.

2) L'identificazione con Cristo Crocifisso nel dono totale di sé.

3) Preferenza per i più bisognosi in una carità senza limiti.

Ognuno di questi tre atteggiamenti meriterebbe una lunga trattazione per la ricchezza di sfumature con cui la Madre ce li ha tramandati. Cercherò di far risaltare solo quegli aspetti più caratteristici o direttamente derivati dal suo Messaggio.

1) Fiducia assoluta in Dio e nella sua Volontà

La certezza che "Dio é un Padre pieno di bontà, che cerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e rendere felici i propri figli...", ha il suo corrispondente in un atteggiamento di assoluta fiducia in Lui e nella continua ricerca di fare la Sua Volontà con amore filiale.

E' importante questo atteggiamento presente sia qualitativamente che quantitativamente nel diverso materiale che contiene il Messaggio di M. Speranza. E' impressionante la testimonianza che Lei ci ha lasciato di questo. Come per Gesù - è sempre lui il modello - il cui cibo era fare la Volontà del Padre, così anche per la Madre l'unica cosa che conta assolutamente per lei è fare la Volontà di questo Dio-Amore Misericordioso: ciò viene prima di tutto.

I suoi scritti testimoniano continuamente, quasi ad ogni pagina, questa tensione che sembra una necessità senza la quale niente ha senso.

Un esempio di quantità: nel libro"Reflexiones" che contiene 51 pensieri su temi pratici di vita spirituale, solo 9 non accennano alla realtà della Volontà di Dio; gli altri 42 fanno riferimento a questo tema.

A livello di contenuto tutti i grandi traguardi della vita spirituale - perfezione, santità, vero amore a Dio, la più alta Carità, unione intima con il Signore... consistono essenzialmente, per M. Speranza, nel ricercare e conformarsi al volere del Signore.

Bastano due esempi:

a) "Donarsi a Dio è il Fiat perpetuo in ogni avvenimento; é il desiderio semplice e filiale di compiere in tutto la Volontà del Nostro Dio; è l'abbandono totale alle disposizioni del Buon Gesù lasciandosi portare da Lui come un bimbo nelle braccia di Sua Madre".

b) "Vita religiosa è consacrarsi al servizio del Nostro Dio ed il servizio al Nostro Dio consiste prima di tutto nel compiere la Sua volontà, non con spirito servile ma con spirito filiale, amando quello che ci viene comandato".

M. Speranza sa che la Volontà del Signore non è qualcosa di evanescente o etereo ma il piano d'amore di Dio che si attualizza ogni giorno nei nostri atti e nelle nostre decisioni, perciò diventa motivo costante nelle sue preghiere per lei e per gli altri:

"Al Buon Gesù chiedo mi conceda la grazia che i Figli e le Figlie facciano il fermo proposito e lo compiano fedelmente di non negare al nostro Dio niente di quanto Lui chieda loro. Non mettere ostacoli alla Sua azione e collaborare con Lui con tutte le forze".

Quando chiede la preghiera di qualcuno è soprattutto perché Lei faccia sempre il volere del Signore:

"...Pregate tutti perché questa vostra Madre compia in ogni momento il proposito fatto di non negare mai niente al nostro Dio costi quello che costi".

Il "Buon Gesù" è sempre il modello, il punto di riferimento. Nel testo seguente, M. Speranza fa una riflessione molto caratteristica sul conformarsi alla Volontà di Dio sull'esempio di Cristo:

"Il Buon Gesù mi diceva che la conformità tra due volontà è la forma di comunione più reale, intima e profonda e che per mezzo della conformità alla Volontà di Dio, sottometterò la mia e l'unirò con la Sua, il cui cibo è stato sempre fare la Volontà del Padre suo, cioè, la sua volontà è stata la fusione di due volontà in una sola e che questo è quello che Lui desidera da me... Anch'io lo desidero ma ancora non posso dire con verità: "Non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me".

E un poco più avanti:

"Mi dimenticavo del fatto che conformare la mia volontà con la Sua è secondo Lui, scambiarsi i cuori, accettare il Suo Volere come norma del mio e le Sue prove come regola della mia volontà".

Ma questa fusione non è una cosa facile, anche per Lei ha richiesto un impegno costante. M. Speranza racconta di un colloquio con il Signore dove Questi la rimprovera:

"...che io ho riprodotto ben poco in me i suoi insegnamenti. Lui dice che non è vissuto se non per glorificare Suo Padre ed è morto per compiere la Sua Divina Volontà e dargli interamente compiacimento. Manifestandomi così che la vita e la morte non mi devono importare assolutamente nulla quando si tratta di dare gloria al mio Dio.

Io Gli ho risposto: Quanto mi dispiace il Tuo rimprovero, Gesù mio, non per quello che mi hai detto, ma perché vedo che, nonostante il mio fermo proposito di non negarti nulla, sempre mi trovo con grande difficoltà per compiere la Tua Divina Volontà. Aiutami, Gesù mio, e dà alla mia debole volontà la grazia e la costanza di cui ha bisogno per non vedere né desiderare cosa alcuna al di fuori del compimento della Volontà del mio Dio".

E' rimasta classica tra noi quella frase che sintetizza questo atteggiamento fondamentale della Madre:

"Si compia, Dio mio, la Tua divina volontà anche se mi deve far soffrire. Si compia la Tua volontà anche se non la comprendo. Si compia la Tua volontà anche quando non riesco a vederla".

Questo desiderio di ricerca e conformità con la Volontà di Dio si fonda nella ferma fiducia "che il Nostro Dio non vuole né permette nessuna cosa che non sia per il bene delle nostre anime" e nella certezza filiale che il volere di Dio è sempre un gesto d'amore:

"Perché ci divenga dolce la conformità con la Volontà del nostro Dio, pensiamo che nessuna pena ci può venire senza passare dalle mani del nostro Dio, valutata da Lui per nostro bene e profitto; e abbiamo grande fiducia nel Buon Gesù, senza mai dubitare dell'infinita Provvidenza del Nostro Dio che da ogni parte ci circonda...".

Credo che ciò basti per sottolineare l'importanza che ha questo atteggiamento nel messaggio di M. Speranza.

Alla luce di questo atteggiamento di abbandono filiale e fiducioso nelle mani di Dio, la gran parte delle virtù cristiane acquistano per Lei un ottica particolare e alcune assumono grande importanza proprio per la caratteristica di essere le attualizzazioni concrete di questo atteggiamento: è il caso dell'obbedienza, canale privilegiato da dove passa il volere d'amore di Dio; è quello della predilezione che M. Speranza ha per un certo tipo di preghiera quella dell'ascolto, della meditazione, del dialogo diretto paterno-filiale; è, inoltre, la stessa vita di comunità, intesa come vita di famiglia, dove il superiore è tale se è un padre il cui compito è soprattutto quello di essere il riflesso della paternità misericordiosa di Dio.

2) Identificazione con Cristo Crocifisso nell'offerta totale di sé

Colpisce fino alla meraviglia la passione che la M. Speranza dimostra per tutto quello che riguarda Gesù Crocifisso. Ma è una predilezione che entra nella logica del Messaggio.

Il Cristo sulla Croce che chiede perdono al Padre e che si offre per la salvezza dei peccatori è la sintesi logica più alta e perfetta dell'Amore Misericordioso. L'immagine del Crocifisso è il cuore del suo Messaggio, è la "Rivelazione radicale della Misericordia".

Questa predilezione si manifesta chiaramente nella sua opera: il Santuario con al centro il Crocifisso, la Via Crucis che si snoda intorno al Santuario, il distintivo che portano i Membri delle sue due Congregazioni, i due commenti fatti alla Passione... e i molti scritti che rimandano continuamente a Gesù Sofferente e Offerente sulla Croce, come fonte principale d'imitazione.

Sacrificio, immolazione, sofferenza, amore alla Croce, vittima di espiazione, offerta totale di sé, olocausto... sono termini sparsi dappertutto che vogliono esprimere l'atteggiamento morale che nasce dalla logica della croce e dell'Amore Misericordioso nel Messaggio della M. Speranza.

E' un atteggiamento un po' duro che riusciamo ad accettare con fatica ma che non possiamo minimizzare senza travisare profondamente l'eredità di M. Speranza sull'Amore Misericordioso.

M. Speranza non dimenticherà mai che ha sposato un "Crocifisso", e la croce è l'immagine più amata perché manifestazione suprema dell'amore. Amore e dolore (croce) sono per M. Speranza, due cose inscindibili:

"La sofferenza, accende l'amore e non si trova amore senza sofferenza, così l'anima che davvero ama il Suo Dio ama anche la Croce e non può vivere senza di essa".

Riporto, anche, un altro testo che richiama le gioie e dolcezze del patire per amore. Questi sentimenti di gioia e dolcezza sono spesso presenti nei testi che parlano di sofferenza per amore:

"Non é vero che è dolce e dilettevole patire con Gesù? Non è vero quello che vi ho detto migliaia di volte che l'amore si alimenta di sacrifici e che amando è dolce patire?

Sì, Gesù è amore e l'amore è fuoco che consuma, è attivo e così come il fuoco se non incendia, se non brucia non è vero fuoco, anche l'amore se non opera se non patisce, se non si sacrifica non è amore".

Abbiamo già detto che il sacrificio della Croce è la massima espressione dell'Amore Misericordioso di Dio: sia dell'Amore del Padre, che ama tanto il mondo da donare Suo Figlio, sia dell'Amore salvifico del Figlio che offre sé stesso al Padre per la salvezza di ogni uomo.

Lo stesso atteggiamento di donazione totale deve essere presente in chi vuole modellare la propria vita secondo l'ideale dell'Amore Misericordioso:

"...Questa è la vita religiosa, ma la nostra vita di Figli e Ancelle dell'Amore Misericordioso deve essere vita di olocausto per il nostro Dio e la sua gloria. Dobbiamo essere imitatori del Buon Gesù, il quale per amore alle miserie dell'uomo non rifiutò sofferenza alcuna fino al punto di morire nudo su una croce".

E' interessante notare come M. Speranza, in questo brano, fa distinzione tra ciò che è la Vita Religiosa in sé e la vita di chi ha come vocazione incarnare l'Amore Misericordioso di Dio a somiglianza del Buon Gesù: e qualifica di vita di olocausto solo la seconda. La differenza tra olocausto e sacrificio è che nell'olocausto nulla è riservato all'offerente ma tutto offerto a Dio.

Non so se M. Speranza sapeva che già S. Tommaso aveva definito il religioso come colui che con la sua vita di consacrazione offre un olocausto: "quasi holocaustum offerens". Ma risulta chiaro che per Lei l'offerta totale di Sé deve essere soprattutto caratteristica di chi vuole vivere il Messaggio dell'Amore Misericordioso. E' così che si attualizza l'estrema Misericordia di Dio.

L'immagine della Croce è un punto di riferimento indispensabile:

"Perché l'amore alla Croce è quello che ci fa più simili a Gesù Amore Misericordioso".

"Dovrebbe bastarci guardare la Croce per capire il linguaggio con cui ci parla Gesù".

"E' nella Croce dove si imparano le lezioni dell'Amore".

"L'immagine della croce ci deve ricordare - per noi che la portiamo - che dobbiamo offrirci vittime e ostie vive di Gesù".

Questo ultimo brano ci rimanda a un'altro aspetto, del nostro atteggiamento: l'offerta di vittima in espiazione per gli altri.

M. Speranza per prima ha dato a noi questo invito e ce lo ha lasciato come eredità inseparabile dalla realtà dell'Amore Misericordioso.

Gesù, Misericordia Incarnata, non solo ha voluto il bene di tutti gli uomini, non solo è venuto incontro ad ogni bisognoso, non solo ha perdonato e dimenticato e non tiene in conto, ma direi che dimostra il suo Amore Misericordioso soprattutto perché Lui, l'Innocente ha pagato di persona per tutti noi.

In questa logica dell'Amore Misericordioso l'offerta di vittima sembra una tappa obbligata per chi vuole concretizzarla nella sua vita. Perciò il Crocifisso "ci deve ricordare che dobbiamo offrirci come vittime e ostie vive per Gesù":

"L'amore porta con se la sete della sofferenza.

Amando il Signore si ama il prossimo e l'anima che ama vuol soffrire per riparare i peccati del prossimo".

E non solo voler soffrire personalmente ma fare in modo che tutti quelli che trattino con Lei abbiano lo stesso desiderio.

M. Speranza ha avuto sempre molto a cuore i sacerdoti con un gran desiderio di soffrire e offrirsi vittima per loro. Credo che questa preferenza prenda corpo e luce proprio dall'immagine di Gesù Crocifisso dove l'Amore Misericordioso, Sacerdote e Vittima s'identificano nel massimo della pienezza.

I confini di questo atteggiamento, nella sua gradualità prima di arrivare alla massima espressione, sono molto ampi. Ho voluto fermarmi a mettere in risalto questi aspetti perché mi sembrano più essenziali e caratteristici del Messaggio.

3) Preferenza per i più bisognosi in una carità senza limiti

M. Speranza nella sua esperienza religiosa insieme al dono della progressiva conoscenza dell'Amore Misericordioso, riceve la Missione di farlo conoscere a quelli che trattano con Lei, al "mondo intero": con la sua vita, le sue parole e soprattutto con la sua opera.

Deve essere "apostola dell'Amore Misericordioso"; la sua vita una testimonianza viva di questo Dio-Padre pieno di Misericordia:

"Perché anche il più perverso, il più abbandonato e miserabile é amato da Dio con tenerezza immensa e Dio é per lui un Padre e una tenera Madre".

Lei e tutti quelli che la seguiranno hanno il compito di essere "mediatori" della Misericordia. Scrive alle sue Figlie:

"Fatevi mediatrici dei miei poveri, soprattutto dei deboli, degli afflitti e di quelli che hanno avuto la disgrazia di allontanarsi da me per il peccato".

Mediatori e imitazione di Gesù, Misericordia incarnata che con gesti e parole rivelò e fece presente il volto misericordioso di Dio. E' sempre Lui il punto di riferimento, il Maestro:

"Impariamo dall'Amore Misericordioso a usare misericordia con i nostri fratelli: più un essere è debole, povero e miserabile, più Gesù sente simpatia per lui, cioè la Sua Misericordia è maggiore".

Ma questa missione che prende corpo dall'unico principio animatore della Misericordia ha delle caratteristiche specifiche. Dice ai figli:

"Siete stati chiamati a far conoscere al mondo intero l'Amore e la Misericordia del Buon Gesù, non tanto con parole eloquenti ma con la vostra vita d'amore, sacrificio e carità verso tutti; in modo speciale verso i più peccatori e abbandonati".

La Misericordia di Dio è verso tutti, universale, ma ha una preferenza per i più peccatori, i più abbandonati, i più poveri. Universalità e preferenza per "i più" in senso negativo, a somiglianza di Gesù che è venuto a salvare tutti, ma che da Buon Pastore lascia le novantanove pecore per andare a cercare quella perduta.

Si deve dare di più a chi ha più bisogno perché:

"Egli raddoppia il suo Amore nella misura in cui l'uomo diventa più miserabile".

M. Speranza, per prima, ha dato esempio di universalità: malati, infanzia da educare, orfani, poveri, bambini anormali, famiglie nel bisogno, sacerdoti, pellegrini, peccatori... E' questa l'eredità che lascia a chi vuole incarnare l'Amore Misericordioso.

Ogni forma di povertà deve trovarci sensibili e pronti ad intervenire: la povertà materiale e la povertà morale e spirituale "...senza altro limite che l'impossibilità morale".

E' all'interno di questa carità senza limiti che si deve vivere la presenza dell'Amore Misericordioso. Scrive ai Figli:

"...Oltre ad osservare il precetto della carità con il prossimo si sforzeranno di soccorrere con più amore e abnegazione che si trova in una maggiore indigenza di mezzi e di virtù".

Se si assistono i malati:

"Si darà particolare preferenza ai poveri e a quelli che a causa della loro malattia particolare si trovano più abbandonati".

Se si sta con i bambini:

"Siate madri, tenendo in conto che il cuore della madre s'inchina facilmente verso il figlio più inutile e disgraziato; per lui sono quasi sempre le più grandi dimostrazioni di sincero affetto e sollecitudine".

Se si tratta con i poveri:

"Fare del bene senza distinzione, anzi la nostra preferenza sia per quelli che ci offendono e mortificano e per i più ripugnanti e disgraziati...".

Vorrei far risaltare due caratteristiche che aiutano a capire meglio questo atteggiamento morale nella vita di M. Speranza. Non posso portare citazioni perché non trovano direttamente riscontro nei suoi scritti ma s'impongono con forza nella sua viva testimonianza e formano parte, quindi della sua eredità morale.

Queste due caratteristiche sono: la dinamicità e l'efficacia:

1) Dinamicità. L'aspetto dinamico del servizio ai poveri, che è poi una conseguenza della preferenza per i più bisognosi che emerge da una morale della Misericordia.

Una morale di questo tipo deve essere aperta alla dimensione esistenziale e storica. Deve avere un'attenzione particolare alla "condizione umana". I profondi e rapidi mutamenti della società attuale provocano continui cambi nel costume e nello stile di vita, creando nuovi bisogni, nuovi tipi di povertà.

Con i più bisognosi non sono solo quelli che appaiono tali qualitativamente o quantitativamente, ma anche quelli che proprio perché nuovi non hanno nessuna risposta adeguata nell'ambiente che li circonda, questi sono i più urgenti storicamente.

Essere pronti a dare una risposta a questi nuovi bisogni richiede attenzione, elasticità nell'adeguarsi, dinamicità. Tutto in contrario di un atteggiamento statico che tende ad adattarsi a una situazione.

M. Speranza, dicevo, ci ha dato esempio di ciò: chiudendo case per aprirne in un altro posto dove c'era più bisogno; intuendo e anticipando la risposta a nuove necessità come per esempio per i pellegrini dell'Anno Santo del '50, o creando tempestivamente nuove strutture per situazioni improvvise, è rimasto classico l'esempio della mensa ai poveri durante la guerra.

2) L'altra caratteristica che nasce dalla testimonianza viva di M. Speranza è l'equilibrio che ci deve essere tra intenzione ed efficacia.

Chiama fortemente l'attenzione l'efficacia storica reale dell'opera di M. Speranza, lo spessore oggettivo della sua azione.

E' vero che nel mondo della morale regna il primato dell'intenzionalità ma questa non deve condurre a un atteggiamento della pura intenzione, dietro al quale, peraltro si può nascondere una visione spiritualistica e disincarnata dell'uomo. Al bisogno non si viene incontro con la semplice intenzione.

M. Speranza con il suo senso di praticità e dinamicità ci ha fatto capire che chi vuole incarnare la Misericordia, non si può cullare mai, in un comodo sentirsi a posto mentre ci sono dei poveri, "i prediletti di Gesù".

Conclusioni

Questa lettura del Messaggio di M. Speranza dal punto di vista morale ci ha dato una visione coerente unitaria tra l'esperienza religiosa e l'agire reale, proposti da lei, consentendoci, anche, di scoprire il saldo fondamento evangelico e il nucleo - opzione fondamentale - da cui prende luce ogni altra scelta e realizzazione concreta: incarnare la Misericordia di Dio a imitazione e fino ai limiti del Buon Gesù.

In modo particolare ci ha permesso di scoprire tre atteggiamenti che nascono direttamente dal cuore del Vangelo e che per M. Speranza sono quelli che meglio concretizzano nella vita l'opzione di essere Amore Misericordioso:

1) Fiducia illimitata in Dio e nella sua Volontà

2) Identificazione con Cristo Crocifisso nel dono totale di sé.

3) Preferenza per i più bisognosi in una carità senza limiti.

Sono i tre pilastri che sorreggono l'edificio del Messaggio dell'Amore Misericordioso lasciatoci in eredità da M. Speranza e che saranno sempre punto di verifica per chi vuole modellare la propria vita alla luce di questo Messaggio di Amore e di Misericordia.

 

dagli scritti di madre speranza:

«Poniamo un interesse speciale per far comprendere ai nostri fratelli che Gesù è per tutti un Padre pieno di bontà, che ci ama con un amore infinito senza fare distinzioni. L'uomo più perverso, il più miserabile e perfino il più perduto è amato con tenerezza immensa da Gesù, che è per lui un Padre e una tenera madre. Gesù non fa distinzioni tra le anime, se non per concedere a qualcuna di queste delle grazie straordinarie o più speciali: cioè per prepararla a maggiori sofferenze diventando il parafulmine dei suoi fratelli.

Io paragono l'amore di Gesù al cuore umano, che spinge il sangue fin nelle estremità del corpo, distribuendo la vita anche alle membra più umili. Nello stesso modo agiscono le pulsazioni dell'Amore Misericordioso. Il cuore di Gesù batte con immenso amore per tutti gli uomini. Batte per le anime tiepide, e per i peccatori, batte per le anime sante, per le fervorose, per gli infedeli e per gli eretici; batte per i moribondi e per le anime del purgatorio, batte per le anime beate che glorifica in cielo.

In questo modo deve essere un cuore cristiano e, soprattutto, il cuore di un'Ancella dell'Amore Misericordioso. Esso deve essere grande come il mondo. Il suo amore deve infiammarsi per tutte le anime che abitano sulla terra e per quelle che si trovano nel Purgatorio. Esistono molti motivi per amare le anime, ma a noi, deve bastare questo: «Gesù ha dato la sua vita per me, io debbo sacrificarmi e contribuire alla salvezza di tutte le anime che si trovano ancora in questo mondo ed al conforto di quelle bisognose del Purgatorio».

Dobbiamo offrire per loro il calice della sofferenza e tutte le nostre fatiche (Perf. n. 53. pp. 62-64).