ESPERIENZE

Dott. Andrea Fedeli

La 43a settimana Sociale dei cattolici italiani

1. INTRODUZIONE

Il Gruppo Culturale Parrocchiale ha vissuto la 43a Settimana Sociale dei Cattolici italiani come un importante momento di dibattito e di riflessione collettiva. Sulla base del Documento preparatorio, proposto dal Comitato scientifico organizatore della Settimana Sociale, abbiamo sviluppato nei mesi scorsi un’intensa discussione, che ha analizato i principali problemi del nostro Paese, tentando di mettere a fuoco le nuove prospettive dell’impegno civile e sociale dei cattolici italiani.
Senza la pretesa di essere esaustivo, questo documento riprende gli aspetti centrali del nostro dibattito, sottoponendoli all’attenzione delle altre realtà ecclesiali, dei soggetti associativi impegnati nel sociale, del volontariato.

 

2. L’EUROPA

L’orizzonte europeo costituisce una priorità strategica nella costruzione di una democrazia compiuta. Abbiamo piena coscienza che l’Unione Europea sia la nuova sede in cui affrontare e risolvere i problemi dello sviluppo, della disoccupazione, della crescita civile e democratica delle nostre società.
Per tale ragione salutiamo la nascita di un Europa, che non sia solamente un mercato comune ed un’unione doganale, ma che affermi nella propria “Carta” il rispetto dei diritti dell’uomo, i principi della democrazia e dello stato di diritto, la sussidiarietà.
L’Europa dei popoli e delle democrazie non può ripiegare su se stessa, ma deve contribuire a realizare l’obiettivo del governo mondiale dell’umanità, sostenendo ogni sforzo di cooperazione internazionale.
In particolare, I’Unione Europea può svolgere un ruolo importantissimo nella difesa dei diritti umani anche fuori dei propri confini. Le tragedie della ex Jugoslavia, del Rwanda, di Timor Est richiamano il senso di responsabilità e di impegno delle istituzioni dell’Unione Europea e dei suoi popoli.
In questo contesto, far funzionare efficacemente la Corte Penale Internazionale, istituita di recente per sanzionare di ogni violazione dei diritti umani, è una delle sfide più grandi, cui sono attesi i popoli europei e le loro istituzioni.
Per realizare tali obiettivi, è necessario che l’Unione Europea parli sempre più con una sola voce nelle sedi internazionali, dall’ONU all’Organizzazione mondiale del commercio, dalla NATO agli organismi specializati delle Nazioni Unite.
Se molto è già stato fatto con le novità introdotte di recente dal Trattato di Maastricht e dal Trattato di Amsterdam, bisogna impegnarsi congiuntamente in una riforma dell’ONU, che preveda un seggio europeo unico nel Consiglio di Sicurezza.
Vogliamo sottolineare, in secondo luogo, come il quadro istituzionale dell’Unione Europea presenti importanti potenzialità di partecipazione civile e democratica.

La valorizazione dei poteri del Parlamento Europeo e del Comitato Economico e Sociale, I’istituzione del Comitato delle Regioni consentono molteplici occasioni di responsabilizazione e di partecipazione dei cittadini nelle vicende comunitarie, grazie all’intervento dei partiti e movimenti politici, delle forze sociali, degli enti locali.
La democrazia europea richiede, perciò, la presenza di una società civile viva, articolata in una molteplicità solidale di reti associative. Il pluralismo sociale è la risorsa della moderna democrazia europea, che intende rispondere alla crisi delle istituzioni politiche nazionali, contrastando forme di gestione tecnocratica del potere e ricordando come al centro di ogni sistema politico ci sia sempre la persona umana e la sua volontà di costruire una prospettiva di solidarietà e di crescita collettive.

 

3. GLI ANZIANI NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA

Riteniamo che gli anziani siano una risorsa insostituibile ed intendiamo riscoprirne il protagonismo civile e sociale, non considerandoli semplicemente come destinatari di politiche di assistenza.
Per questo non ne parliamo nel paragrafo dedicato al Welfare State. Non vogliamo farne un soggetto passivo, considerato solo come voce di spesa di enti previdenziali.
Soprattutto nel nostro paese, da poco giunto alla democrazia, gli anziani possono essere la memoria storica di un popolo, l’antidoto contro la tentazione di vivere in un eterno presente.
La nostra democrazia, le nostre libertà politiche e civili, il benessere raggiunto da grande parte del nostro popolo sono il frutto di lunghi anni di impegno, di lavoro e di sacrificio spesi da intere generazioni.

 

4. IL LAVORO NELLA SOCIETÀ POSTINDUSTRIALE

Negli ultimi anni, diagnosi sociologiche e programmi politici hanno liquidato con eccessiva rapidità di giudizio la centralità del lavoro nelle società postindustriali.
In realtà, ad essere posto in discussione dalle nuove tecnologie non è il lavoro in quanto tale, ma sono i caratteri specifici dell’organizzazione tradizionale dell’impresa: l’estrema parcellizazione della prestazione lavorativa, il suo carattere esasperatamente eterodiretto, la sua artificiosa separazione con le sedi del sapere.
Il ritmo incessante dell’innovazione tecnologica evidenzia la necessità crescente di un lavoro intelligente, polivalente, capace di ricomporre ed integrare i diversi momenti della esecuzione, della progettazione, della direzione.
Sugli scenari della rivoluzione informatica, si determina la possibilità concreta di ridefinire la tradizionale ripartizione di ruoli e di compiti fra maestranze, sempre più professionalizate, quadri intermedi e management.
In questo contesto, la contrattazione collettiva può legittimamente invocare il traguardo della codeterminazione della prestazione lavorativa e del suo oggetto, conquistando ampi spazi di autogoverno del lavoro.
Per tali ragioni, il movimento sindacale è oggi chiamato ad una coraggiosa revisione delle proprie strategie rivendicative. La flessibilità degli impieghi appare si un portato obbligato delle nuove tecnologie e della mondializazione delle economie, ma non contrasta necessariamente con le opportunità di riconquistare quella espropriazione di sé e del proprio lavoro, subita nella società industriale.
Nei nuovi contesti produttivi, diviene straordinariamente attuale l’insegnamento della Laborem Exercens, che chiama il sindacato a realizzare l’essere del lavoratore, prima ancora che il suo avere.
Di fronte alle ristrutturazioni industriali in corso, la liberazione del potenziale creativo del lavoro subordinato diviene un passaggio cruciale della democrazia contemporanea, nello sforzo di definire nuovi diritti di cittadinanza.

 

5. NUOVO WELFARE E CONCERTAZIONE SOCIALE

Le parti sociali si rivelano essenziali non solo nella regolamentazione del sistema di relazioni industriali e dei rapporti di lavoro. Senza la concertazione sociale, l’opera di risanamento economico e finanziario del nostro Paese e di molti altri paesi europei non sarebbe stata possibile.
Il collasso fiscale dello Stato sociale richiede al sindacato ed alle altre organizazioni degli interessi di rappresentare la complessità sociale, prevenendo derive corporative.
Nell’opera di riforma del Welfare State e di rilancio delle politiche per l’occupazione, il sindacato diviene lo strumento con cui costruire forme vive di solidarietà e rilanciare un protagonismo responsabile della società civile, che rigetti sia le vecchie ricette dell’assistenzialismo, sia la “legge della giungla” imposta da un mercato senza regole.
Ciò vale soprattutto di fronte ai drammi della disoccupazione, della povertà, dell’esclusione, che rischiano di gettare ampi settori delle società occidentali fuori dai circuiti della moderna cittadinanza.
La disoccupazione, l’emarginazione degli anziani, di molti giovani, dei soggetti più deboli producono un’esclusione intollerabile e permanente, che offende lo spirito di civiltà ed indebolisce lo stesso sistema democratico dei paesi europei.
L’esclusione di interi strati della società dalla dignità e dal lavoro ha già innescato pericolosi processi di disgregazione sociale e può scatenare una guerra fra poveri, che trasformerebbe le nostre società in un terreno di scontro, fatto di emarginazione, di privilegi, di ingiustizie.
Per questo, accanto al ruolo delle parti sociali, non deve mai venire meno l’intervento in via sussidiaria dello Stato, chiamato a riassorbire gli squilibri del mercato e a fornire risorse appropriate laddove le parti sociali non riescono a trovare soluzioni.

 

6. LE AUTONOMIE LOCALI PER UNA DEMOCRAZIA COMPIUTA

Il sistema istituzionale delle autonomie locali costituisce il terreno su cui sperimentare pratiche ed istituti di una democrazia avanzata. La valorizazione delle forme e degli organismi di partecipazione dei cittadini alla vita degli enti locali delinea, infatti, la possibilità di integrare funzionalmente gli istituti della democrazia rappresentativa con le pratiche della democrazia diretta.
Far vivere il decentramento istituzionale ed amministrativo come una realtà organica alle esigenze dei cittadini significa costruire una democrazia della partecipazione e della responsabilità, arginanando i pericolosi processi innescati dall’astensionismo elettorale e dal senso diffuso di rifiuto della politica.
Puntare sulle autonomie locali vuol dire rendere concretamente operante quel principio di sussidiarietà, che è una chiave di volta nell’organizazione istituzionale di una democrazia matura e partecipata, fornendo contributi al dibattito sulla riforma delle istituzioni.
Referendum consultivi, consulte popolari, forme di partecipazione dei cittadini alla vita amministrativa sono strumenti, che facilitano la creazione di un tessuto associativo, contrastando effficacemente i fenomeni della disgregazione e dell’alienazione, indotti da uno sviluppo senza regole delle nostre città.
Si esalta cosi la centralità della persona umana nella dimensione pubblica, che non viene ridotta al momento, pur fondamentale del voto, ma che trova continue occasioni di espressione, di confronto e di controllo della classe politica eletta.

 

7. L’ECONOMIA OLTRE IL CONSUMISMO

La riforma delle economie industrializzate è un appuntamento che non può essere eluso. Il fallimento delle politiche di pianificazione economica, seguite nei paesi del socialismo reale, l’inutilizzabilità di parte delle politiche keynesiane, applicate per anni in Occidente, non fanno venire meno l’esigenza di concepire l’economia in funzione della persona umana e dei suoi bisogni materiali e spirituali e non già degli idoli del denaro e del consumo sregolato.
Le privatizzazioni, avviate di recente in molti paesi europei, ci lanciano una sfida che non possiamo mancare. Bisogna perseguire, infatti, la prospettiva di un’azionariato popolare diffuso, imperniato, soprattutto, sui dipendenti delle imprese e dei complessi produttivi in via di privatizzazione.
Ad un’economia mista degli anni passati, caratterizata, in primo luogo, dalla presenza della mano pubblica e di grandi gruppi privati, deve sostituirsi progressivamente un sistema economico, in cui la proprietà dei complessi produttivi sia diffusa fra i cittadini, le associazioni dei consumatori, le organizzazioni sindacali dei lavoratori.
Il traguardo di una democratizzazione del mercato non appare un’utopia. Importanti sperimentazioni sull’azionariato dei dipendenti sono già state tentate in alcuni grandi complessi produttivi e rappresentano un punto di partenza importante, dal quale muoversi in direzione di una riforma delle economie occidentali.
Si tratta di un impegno da rilanciare, per ribadire come anche nell’epoca della globalizazione dei mercati le attività economiche debbano esprimere la centralità della persona umana, della propria intelligenza, del proprio lavoro.

Articolo precedente

Articolo successivo

[Home page | Sommario Rivista]


realizzazione webmaster@collevalenza.it
ultimo aggionamento 13 giugno, 2009