DAGLI SCRITTI DI MADRE SPERANZA
 
“Il Tuo Spirito Madre”
a cura di Madre Gemma eam

Domenica delle Palme
Roma 18 aprile 1943

 

 

 

Madre Speranze


Madre Speranza di Gesù Alhama Valera nata il 30 settembre 1893 a Santomera morta in Collevalenza l’8 febbraio 1983
Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso
Fondatrice del Santuario di Collevalenza
È in corso il Processo canonico per la sua canonizzazione.
Riproponiamo in questo e nei prossimi numeri della Rivista delle Riflessioni sulla Passione di Nostro Signore, scritte dalla Madre Speranza per la Settimana Santa del 1943. (N.d.R.)

Consideriamo, figlie mie, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e prepariamoci a meditare la Passione del nostro Redentore. Gesù beve il calice della sua Passione sia corporalmente ad opera dei carnefici, sia spiritualmente avendola sempre presente nella sua memoria.
Noi, Ancelle del suo Amore Misericordioso, dobbiamo seguirlo spiritualmente con sentimenti di dolore, compassione e tristezza, e fisicamente facendo alcune volontarie mortificazioni, come il digiuno, le discipline, e impegnandoci con spirito eroico nelle virtù dell’obbedienza, dell’umiltà, dell’amore a Dio e al prossimo.
Per partecipare alla Passione di Gesù ci sono necessarie, figlie mie, l’umiltà del cuore con la quale riconosciamo e confessiamo che le nostre colpe sono la causa di quei tormenti, la fiducia nella misericordia di Dio, la preghiera fervorosa e attenta e la purezza da ogni colpa.
Vari sono i modi di meditare la Passione, ma credo che il più efficace sia quello di considerare le persone che vi partecipano, le loro parole e azioni, imparando da Gesù a desiderare la sofferenza e come soffrire.
La Passione deve suscitare in noi un sentimento di confusione per i nostri peccati pensando Chi è che abbiamo offeso, che cosa ci ha fatto Gesù perché lo trattassimo con così poco affetto, lo offendessimo e osassimo dargli dei dispiaceri; la bontà di Dio e la sua saggezza nel cercare il modo di soddisfare i nostri debiti.

Credo, figlie mie, che un buon modo di meditare la Passione di Gesù e di ricavarne frutto è anche quello di considerare in ogni mistero la Persona che soffre, il suo potere, la sua carità e innocenza, il suo amore; chi è colui che Egli ama e per il quale soffre; la quantità e gravità dei tormenti; chi sono i suoi persecutori: giudei, gentili, nobili, plebei, potenze infernali. Le persone per le quali soffre: amici, nemici passati, presenti e futuri; i sentimenti e le virtù eroiche con le quali soffre, per lasciarcele come testamento: umiltà, obbedienza, carità, amore, mansuetudine, fortezza e pace.

Consideriamo anche le sette stazioni del suo andare e la compagnia dei carnefici e degli aguzzini che, come leoni, erano avidi di bere il suo sangue. Consideriamo il suo dolore nel veder soffrire la sua SS. Madre e il dolore di lei che ama il Figlio suo unigenito più di se stessa.
Ella esercitò allora particolarmente quattro virtù: la rassegnazione, l’umiltà, la fortezza e la carità, estesa fino ai nemici per i quali pregava.

Gesù sale da Efraim a Gerusalemme in compagnia dei suoi discepoli e a passo così affrettato che questi ultimi quasi non possono tenergli dietro. Egli sa che va a morire, infatti i giudei si sono già riuniti nel sinedrio e hanno deciso di condannarlo a morte. Gesù, figlie mie, vuole dimostrarci così che nelle fatiche Egli va sempre avanti a noi, e che cammina lieto perché è suo desiderio obbedire al Padre. Desidera ardentemente soffrire e con il suo fervore cacciare la paura che si è impadronita dei discepoli quando ha detto loro ciò che sarebbe accaduto.
Gesù palesa ai suoi quello che dovrà patire per mostrare che gradisce molto ricordare le sue sofferenze e parlarne, e per prepararli a resistere con coraggio. Ma essi non comprendono il fine delle sue parole, la grandezza e il frutto della sua Passione, come succede a noi se non la meditiamo attentamente.

Gesù entra in Gerusalemme onorato e acclamato con palme festose affinché poi appaia maggiore l’ignominioso affronto della Passione e per mostrarci la sua serenità nelle innumerevoli afflizioni sofferte in Gerusalemme, e in seguito durante la Passione, e per mostrarci che la povertà, la mansuetudine e l’umiltà sono le note che distinguono il Re del Cielo.
Gesù è acclamato dal popolo che, preso da grande entusiasmo e devozione, per ispirazione del cielo lo accoglie agitando palme e rami di ulivo, simboli di vittoria e di pace; molti distendono devotamente i loro mantelli sul suolo e tutti cantano: “Gloria al Figlio di David! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”.
I farisei, accecati dall’invidia e dalla superbia, chiedono a Gesù di far tacere la gente, ma Egli risponde che se quelli tacessero, parlerebbero le pietre.

Gesù anteriormente sul Monte degli Ulivi aveva pianto su Gerusalemme, profetizzando che di essa non sarebbe rimasta pietra su pietra, distrutta a causa del deicidio che avrebbe commesso. Aveva pianto soprattutto per il castigo eterno che attendeva quel popolo nell’altra vita per non aver approfittato del giorno della sua visitazione, e per tante anime che dall’inizio del mondo si erano e si sarebbero perdute a causa del peccato.
I farisei mormorano di Lui e vogliono far tacere i fanciulli, e Gesù, che è rimasto tutto il giorno fra la gente facendo del bene, non trova a causa del timore che incutono i giudei chi gli offra un bicchiere d’acqua e deve recarsi a Betania, distante due miglia, a casa di Lazzaro. Questo fatto dimostra chi è Dio nel suo rapporto con gli uomini e chi sono gli uomini nel loro comportamento con Dio.
Quante volte Gesù, dopo essere stato con noi tutto il giorno aiutandoci e distribuendo le sue grazie, deve andarsene altrove in cerca di carità, amore e sacrificio; in cerca, figlie mie, di ciò che noi gli abbiamo negato: estinguere la sua sete di amore e poter regnare nei nostri cuori.
Piangiamo, figlie mie, le nostre ingratitudini, chiediamone perdono al nostro buon Padre. Con umiltà e fiducia, supplichiamolo di non allontanarsi da noi, di riposare nei nostri cuori e dissetiamolo donandoci totalmente al suo Amore. Impariamo, figlie mie, a non esaltarci quando siamo onorate e a non abbatterci nella sventura, ma a cercare solo in Gesù e nella preghiera la nostra speranza e la nostra pace.

 

 

Dio non vuole né permette alcuna cosa che non sia il nostro bene.
Tutto viene dalla mano di Dio, nostro Padre, che è degno di essere amato sia quando permette il dolore che quando manda la gioia.

...come un padre e come una tenera madre...

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ultimo aggionamento 13 giugno, 2009