DAGLI SCRITTI DI MADRE SPERANZA
 
“Il Tuo Spirito Madre”
a cura di Madre Gemma eam

Martedì Santo
Roma 20 aprile 1943

 

 

 

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Madre Speranza di Gesù Alhama Valera nata il 30 settembre 1893 a Santomera morta in Collevalenza l’8 febbraio 1983
Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso
Fondatrice del Santuario di Collevalenza
È in corso il Processo canonico per la sua canonizzazione.
Riproponiamo in questo e nei prossimi numeri della Rivista delle Riflessioni sulla Passione di Nostro Signore, scritte dalla Madre Speranza per la Settimana Santa del 1943. (N.d.R.)

Care figlie, consideriamo oggi il nostro buon Gesù davanti ai tribunali e ciò che ha sofferto nelle prime quattro stazioni della sua Passione.

La prima stazione: va dall’Orto degli Ulivi alla casa di Anna.

In questa prima stazione Gesù soffre perché condotto di furia, correndo, tirato con la corda che gli hanno posta al collo, a spintoni, e ingiuriato a gran voce come malfattore e sobillatore del popolo. Nella casa di Anna soffre per l’odio dei farisei e degli scribi che lo scherniscono, e per la superbia di chi lo interroga riguardo ai discepoli e alla sua dottrina. Egli con prudenza difende il proprio insegnamento, non fatto di nascosto, ma in pubblico nel tempio, nelle sinagoghe e davanti agli stessi giudici. Lo schiaffo di Malco è ingiusto perché interpreta con malizia la risposta di Gesù al Pontefice; crudele e ingiurioso perché dato con ira e davanti a molta gente; basso e vile perché ha lo scopo di adulare il Pontefice. La risposta di Gesù, che non viene presa in considerazione e quindi disprezzata, è mite perché ci vuole insegnare ad essere tali con i nostri nemici; è dignitosa per darci un esempio di come nel difenderci si può conciliare la nostra dignità con il rispetto dovuto all’autorità.

Seconda stazione: Gesù in casa di Caifa. S. Pietro rinnega Gesù. Vediamo, figlie mie, le cause di queste negazioni di Pietro che, a mio giudizio, non sono altro che un castigo per la presunzione da lui mostrata durante la cena; per la sua negligenza nell’evitare il pericolo di cadere; la sua curiosità, dato che non entra nell’atrio per andare a morire con Gesù, ma per vedere come andrà a finire; per la sua temerità nell’esporsi al pericolo e nel rimanervi anche dopo essere stato avvertito; per la sua paura della morte e il rispetto umano che lo porta ad insistere con giuramento e imprecazioni davanti ad una donnicciola.
S. Pietro, figlie mie, viene atterrato da una donnicciola, come lo fu Adamo nel paradiso.
La penitenza di S. Pietro è provocata dallo sguardo di Gesù che libera l’Apostolo dagli artigli del lupo infernale. Lo sguardo di Gesù è efficace perché fa uscire immediatamente S. Pietro da quel luogo, e pieno di amarezza e di grande compassione, tanto che spinge l’Apostolo a piangere il suo peccato.
Le accuse che fanno a Gesù sono false ed il reo è lo stesso Dio Onnipotente, con le mani legate; l’Innocenza stessa contro la quale non si trovano capi d’accusa; la Mansuetudine che non si difende. E’ il Dio amoroso, che li chiama a riconoscerlo. Infatti, a Caifa che gli chiede se è il Figlio di Dio benedetto, risponde di sì e che verrà a giudicare il mondo. Questo dice Gesù per farli intimorire e ritrarre dal loro peccato.
Trasgredendo l’ordinamento giudiziario, i falsi testimoni sono giudici presi da quella stessa assemblea; essi come calunniatori sono vergognosamente smentiti dalle loro stesse accuse che non coincidono. Caifa si trasforma da giudice in accusatore, mentre i circostanti si trasformano in giudici quando alla domanda del Pontefice “Che ve ne pare?” esclamano: “E’ reo di morte”.
Le sofferenze di Gesù in casa di Caifa, durante la notte dopo la sentenza, figlie mie, sono causate dagli sputi con cui i giudici e i carnefici gli coprono il volto; dallo straccio sporco con cui gli bendano gli occhi perché non si veda l’aspetto del suo Volto divino, che suscita turbamento nei carnefici; dai colpi e dalle ferite prodotte con le mani e con i piedi in tutto il corpo; dai capelli che gli vengono strappati con incredibile crudeltà; dalle ingiurie con cui viene chiamato samaritano, beone, indemoniato; dalle beffe di chi gli dice: “Profeta, chi ti colpisce?”; dall’alternarsi degli aguzzini durante tutta la notte, con il fine di continuare a tormentarlo e non lasciarlo dormire.

Terza stazione: Gesù passando dalla casa di Caifa a quella di Pilato soffre orribilmente per lo stato in cui si trova e per il modo come lo conducono. Gesù soffre vedendo l’ansia con cui gli scribi e i farisei attendono che si faccia presto giorno per poter uccidere il Redentore del mondo; e soffre nel vedere che l’autorità sacerdotale cede la causa a quella secolare. Soffre per lo schiamazzo infernale dei soldati e del popolo quando passa per le strade di Gerusalemme, dove molta gente accorre a vederlo; per il giudizio negativo che Pilato formula di Lui; per essere accusato da gente di rango come un malfattore. Gesù è accusato di essersi dichiarato Figlio di Dio; di andare contro Cesare, negandogli il tributo e di proclamarsi Re sobillando il popolo. Soffre per la disperazione e il suicidio di Giuda, che si è impiccato quando ha compreso la gravità infinita del suo delitto e non ha saputo riconoscere la Misericordia e l’Amore di Dio; soffre per l’ostinazione dei sacerdoti nella loro malvagità, pur avendo sentito Giuda proclamare l’innocenza e la divinità di Gesù.
Il motivo che fa tacere Gesù davanti a Pilato, figlie mie, è la dignità della sua persona, per cui Egli parla soltanto quando sono in causa il suo regno e la sua divinità, mentre ritiene non conforme alla propria dignità parlare di tutto il resto. Gesù ci insegna così a non presentare mai scuse vane, e a riflettere che Egli, pur potendo presentare giustissime ragioni, ha preferito tacere.
Grande è la meraviglia di Pilato, sia nel vedere che Gesù tace pur trattandosi di una questione di vita o di morte per Lui che viene presentato come reo, sia nel rilevare il contrasto tra il silenzio, la dignità e la mansuetudine di Gesù e le grida tumultuose dei Principi dei Sacerdoti.

Quarta stazione: Gesù è portato dalla casa di Pilato a quella di Erode. Qui soffre perché, man mano che si fa giorno, aumenta la folla per le strade; maggiore è la rabbia dei giudei che sia differita la sentenza, e più numerose le ingiurie, le bestemmie, gli urli e lo strepito dei soldati, degli aguzzini e del popolaccio.
Il silenzio di Gesù davanti a Erode, al quale neppure volge lo sguardo, è un castigo per la scomunica che pesa sul tiranno a motivo dell’uccisione del Battista e dello scandalo che dà al popolo per il suo concubinato con Erodiade, la moglie di suo fratello; per la sua frivola curiosità di vedere Gesù compiere qualche miracolo al fine di divertirsi e burlarsi di Lui; per la superbia con cui si reputa saggio, mentre giudica Gesù pazzo o idiota; e per il suo odio contro gli abitanti di Gerusalemme. Egli infatti disprezzando Gesù, crede di disprezzare i giudei che gli hanno presentato a giudizio come un uomo temibile Colui che egli considera un re demente.
Erode rimette Gesù a Pilato, dopo averlo fatto ricoprire di un vestito bianco e avergli posto in mano una canna come scettro, in segno di re pazzo di cui burlarsi. Nel Pretorio si rinnovano gli affronti, gli scherni e le ingiurie.
I tribunali ingiusti che perseguitano Gesù rappresentano, figlie mie, la malvagità che perseguita l’innocenza; cioè il Giusto perseguitato dall’ingiusto per altissimi fini della Provvidenza.
Rappresentano la Passione del nostro Redentore le virtù cardinali della prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.

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ultimo aggionamento 13 giugno, 2009