DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE
P. Mario Gialletti fam

Madre Speranza, strumento di un progetto di Misericordia

 
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L’Anno di Grazia del Giubileo che stiamo vivendo ci sorprende con momenti ed eventi; 12 marzo, 13 maggio, 20 agosto, ecc. sono date che segnano la storia del mondo e della Chiesa. E sono date che segnano un cammino nuovo per l’umanità. Io ho vissuto con particolare commozione ed intensità la data del 13 maggio, nella quale mi pare di aver trovato una conferma e una speranza per la vocazione nell’Amore Misericordioso, secondo il carisma di Madre Speranza.
Nel passaggio dal secondo al terzo millennio il Papa Giovanni Paolo II ha deciso di rendere pubblico il testo della terza parte del “segreto di Fatima”. Fatima è senza dubbio la più profetica delle apparizioni moderne.
Apparizioni e segni soprannaturali punteggiano la storia, entrano nel vivo delle vicende umane e accompagnano il cammino del mondo, sorprendendo credenti e non credenti.
Queste manifestazioni, che non possono contraddire il contenuto della fede, devono convergere verso l’oggetto centrale dell’annuncio di Cristo: l’amore del Padre che esprime la sua “passione” per gli uomini, che suscita negli uomini la conversione, che dona la grazia per abbandonarsi a Lui con devozione filiale.
Tale è anche il messaggio di Fatima con l’accorato appello alla conversione e alla penitenza. Io l’ho sentito come una ulteriore “rivelazione”, “manifestazione” di un progetto di Dio che è dall’eternità ma che si rende a noi attuale e manifesto nel tempo, coinvolgendo persone generose, come i pastorelli, come Madre Speranza, come il Papa che ha incontrato i Giovani il 20 agosto, che si lasciano “usare” dalla Grazia, diventando “strumenti” di un più grande progetto che ha radici lontane.

Ho ricordato e voglio sottolineare tre date. 1894, 1917, 1930.

 

Il 26 aprile 1894,
il padre Giuseppe Tissot, Superiore generale dei Missionari di San Francesco di Sales, pubblicava in Francia, ad Annecy, con i tipi della Editorial Beauchesne et Fils di Parigi, un libro dal titolo “la vie intérieure”, precisando: “Le pagine che compongono questo prezioso libro non sono mie. Il loro autore me le ha date manoscritte, dandomi tutta la libertà per farne l’uso che avessi voluto”.
In Spagna il libro fu tradotto da Domingo Sagüés y Muguiro, Dottore in Diritto Civile e Canonico, con il titolo “la vida interior simplificada y reducida a su fundamento”; nell’anno 1941 la Librería Herder di Barcellona, pubblicava già la ottava edizione.
In Italia il libro fu diffuso dal Padre Francesco Pollien, Certosino, con il titolo “la vita interiore semplificata e ricondotta al suo fondamento”; la Marietti nel 1955 portava a termine la XI ristampa per incarico di Dino Marranci.
Un volume che ha incontrato una diffusione enorme, molto di più di quanto oggi ne possa avere il Catechismo della Chiesa Cattolica o, un tempo, il Catechismo di Pio X°.
Anche Madre Speranza ha conosciuto e apprezzato gli scritti di questo Anonimo, perché vi ha trovato un fondamento solido per la sua fede. In uno dei suoi quaderni, quello da noi catalogato con il num. 20, Madre Speranza ha trascritto a penna una ottantina di pagine di questo libro, riproponendole, leggermente adattate e modificate, alla lettura delle sue Figlie. Corrispondono ai numeri 1-281 del Volume El Pan 8, Lecturas ecc.

Fin dal 1894, queste le certezze, sottolineate da questo libro, sulle quali la Madre ha fondato il suo cammino.

  1. Quello di Dio è un progetto gratuito di amore:
    Dio, figlie mie, poteva anche non averci create. Nulla della essenza delle cose richiedeva la nostra esistenza. Dio ci ha create liberamente, per una decisione puramente gratuita della sua bontà divina. Ma dal medesimo istante in cui ci creò, l’essenza assoluta della sua natura e la nostra stessa natura richiesero che esistessimo per la sua gloria. Dato che aveva deciso di crearci, che cosa obbligava Dio a scegliere per la sua glorificazione il modo supremo dell’unione soprannaturale nella quale giungiamo ad essere partecipi della sua stessa vita divina? (El Pan 8, 9

  2. Dunque, ci rende partecipi della sua stessa vita, ci assimila a Lui:
    Liberamente Dio ha voluto elevarci fino all’onore di essere partecipi della sua felicità e ha dato alle nostre facoltà la speciale attitudine ad unirsi al loro oggetto, a nutrirsene, ad assimilarlo a sé; o meglio, ad assimilarsi ad esso e a viverne. (El Pan 8, 10)

  3. L’unica felicità è vivere uniti al nostro Dio e dargli gloria:
    Solo una cosa è totalmente essenziale, figlie mie: la gloria di Dio in qualsiasi modo procurata. Possiamo e quindi dobbiamo onorare il nostro Creatore con quella gloria suprema che gli deriva dalla nostra unione con Lui. A questo modo di glorificare Dio va unita la nostra felicità. Abusando del nostro libero arbitrio possiamo anche ricusare la gloria al nostro Dio e Signore. In tal caso però la sua giustizia vendicherà su di noi la violazione dell’ordine stabilito e otterrà così, in modo diverso, la sua gloria. Noi invece non otterremo da Lui la nostra felicità. (El Pan 8, 14)

  4. Gloria di Dio e felicità dell’uomo, due pagine di uno stesso foglio.
    La gloria di Dio e la felicità dell’uomo sono come le due facciate di una stessa pagina di libro; l’una è continuazione dell’altra. Per questo è necessario non separarle, né capovolgerle, se non si vuole far perdere il suo significato al libro della creazione. Pertanto, figlie mie, l’interesse umano va subordinato e coordinato all’interesse divino: prima Dio, in secondo luogo io. Viene prima di tutto la gloria di Dio, segue la nostra soddisfazione, sottomessa e conforme alla prima. Questa, figlie mie, è la prima parte del piano divino. (El Pan 8, 20).

Anni più tardi Madre Speranza condenserà tali certezze in queste convinzioni:

  1. Al di sopra di tutto vi sia la carità:
    Figlie mie, vi devo dire che dove non c’è carità verso il prossimo non c’è ombra di perfezione, né di santità. La santità infatti consiste essenzialmente nell’amare Gesù e questo amore ha come parte sostanziale il riferimento ai nostri simili. Ne deriva che, per sapere se veramente amiamo Gesù, basta che verifichiamo se nel nostro cuore arde in concreto la carità verso il prossimo; la grandezza di questa sarà la misura del nostro vero amore. Figlie mie, la carità deve essere il nostro distintivo e deve portarci ad amare i poveri come noi stesse. (El Pan 2, 60).

  2. Guidati dalla fede:
    Ricordate, figlie mie, che il disordine proviene sempre da un’unica causa: il piacere creato. Siamo state create per essere felici; in tutte le nostre facoltà è presente un’ansia intensa di felicità e durante il nostro passaggio in questo mondo lontano da Dio, che non vediamo perché camminiamo guidate dalla fede e non da una visione chiara, in mezzo alle creature che vediamo e il cui piacere ci attira, ci lasciamo ingannare da ciò che vediamo e dimentichiamo quello che non vediamo. (El Pan 7, 29)

  3. Oggi 5 novembre 1927
    mi sono “distratta”, ossia, ho passato parte della notte fuori di me e molto unita al Buon Gesù ed Egli mi ha detto che io devo arrivare a far sì che gli uomini lo conoscano, non come un padre offeso per le ingratitudini dei suoi figli, ma come un padre buono che cerca con tutti mezzi di confortare, aiutare e far felici i suoi figli e che li segue e li cerca con un amore instancabile, come se Lui non potesse essere felice senza di loro. Quanto mi ha fatto impressione questo Padre mio! (El Pan 18,Hoy)

 

Ecco dunque il “progetto” che la Madre è stata chiamata a riconfermare:

 

Fatima 1917
è senza dubbio la più profetica delle apparizioni moderne.
Quando un segreto viene fatto conoscere non è più tale.
Per decenni, a torto o a ragione, ci si è incuriositi intorno al terzo segreto di Fatima. E’ innegabile che, nel passato, esso abbia suscitato reazioni disparate.
In alcuni ha creato una forma di paurosa attesa di eventi apocalittici; in altri, i più scettici nei confronti di ogni evento soprannaturale, ha predisposto l’indifferenza. I credenti, da parte loro, hanno visto nel segreto una forma che li spingeva di più alla preghiera, mentre in altri la curiosità ha avuto la meglio, lasciando spazio alla fantasia.
Nel Nuovo Testamento la profezia non è mai data come un elemento che crea paura e angoscia e, tanto meno, come una forma di condanna. L’analisi spassionata della profezia, al contrario, porta a verificare ben altri elementi. Sia negli Atti degli Apostoli che nelle Lettere di Paolo, i profeti hanno un compito preciso; esso consiste nel “consolare”, “incoraggiare “, e “fortificare” i credenti (cfr. At 15,32; 1Cor 14,3). Ogni forma di profezia, dunque, che si allontanasse da questa prospettiva non potrebbe essere considerata una genuina profezia cristiana.
Dalla prospettiva della fede, il messaggio di Fatima non dice nulla di nuovo. E non poteva essere altrimenti. Uno dei criteri fondamentali che servono alla teologia e alla Chiesa per discernere il valore di una profezia, o di un contenuto dato per visione, consiste proprio nel verificare che non solo nulla viene detto in contraddizione con la rivelazione di Gesù Cristo, ma che neppure nulla vi viene aggiunto.
II Concilio Vaticano II, nel documento Dei Verbum dedicato alla rivelazione, lo afferma chiaramente: “Gesù Cristo, Verbo fatto carne, mandato come uomo tra gli uomini, parla le parole di Dio e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre. Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre, con il fatto della sua presenza e con la manifestazione di se, con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e risurrezione di tra i morti e, infine, con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la rivelazione... L’economia cristiana, dunque, in quanto alleanza nuova e definitiva, non passerà mai e non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo” (DV 4).
Alla luce di questo brano si dovrebbe, forse, applicare il termine di “rivelazione” solo a quanto contenuto nella Parola di Dio, definendo con “manifestazione” tutte le altre forme che storicamente si succedono.
Come parola chiave della prima e della seconda parte del “segreto” appare evidente quella di “salvare le anime”, così la parola chiave di questo terzo “segreto” è il triplice grido: “Penitenza, Penitenza, Penitenza!” che l’angelo con la spada di fuoco ripete per tre volte, e che non è altro che l’invito alla conversione fatto da Gesù: “Convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15).
Insieme al tema classico della penitenza, il messaggio di Fatima parla del martirio.
In fondo anche il Papa ha voluto presentare ai giovani i martiri di questo millennio e, attraverso la stessa voce di ragazze e ragazzi, far conoscere le attuali situazioni di “martirio” della Chiesa cristiana in tante parti del mondo.
Infatti, essere cristiani non è solo pronunciare un nome come troppo spesso oggi succede. Venire alla fede è dono di Dio e richiede docilità per essere condotto dallo Spirito. La vita del discepolo non è diversa da quella del Maestro. Se hanno messo in ridicolo lui, lo faranno anche con noi; se hanno emarginato lui lo faranno anche con noi; se hanno perseguitato e ucciso lui lo faranno anche con noi. Questo non è vittimismo; è, piuttosto, prendere sul serio la vocazione del discepolo.

 

Nel 1930
e negli anni successivi a Madre Speranza è partecipato ancora questo desiderio di Dio che si concretizza in un progetto ben chiaro: Dio, Padre e non Giudice severo, vuole la felicità di tutti gli uomini suoi figli e chiede (come già a Fatima la Madonna) che ci siano persone pronte a impegnarsi per la salvezza degli altri, pronte a praticare la penitenza, pronte a vivere la carità senza limiti, fino ad accettare anche il martirio di una carità vissuta ad ogni costo.

“Signore, io non posso darti grandi cose;
però sì che Ti darò, aiutata da Te, tutte le piccole cose che mi capiteranno.
Noi non dobbiamo andare in cerca di cilizi e discipline;
un tempo si davano certi colpi!…;
no, no; non abbiamo bisogno di queste cose, né di cilizi, né di discipline;
niente di tutto questo;
ma voler fare dalla mattina alla sera la volontà del Signore”. (El Pan 21, Exht 14.07.1967)

“Ma il nostro stato di Figli e Ancelle dell’Amore Misericordioso deve essere stato di olocausto offerto a Dio e alla sua gloria.

Dobbiamo essere fedeli imitatori del buon Gesù,
il quale, per amore dell’uomo miserabile,
non badò ad alcuna sofferenza fino a morire nudo su una croce.
Dobbiamo sforzarci di copiare e far risplendere in noi l’esempio del nostro divino Maestro, esempio di amore al prossimo, carità, abnegazione e sacrificio.

Impegniamoci con la massima sollecitudine a riprodurre in noi le lezioni,
(fino ad oggi da noi poco meditate)
di umiltà, di carità, di mansuetudine, di obbedienza, di pazienza
e di abnegazione del nostro divino Maestro
e, tutti uniti nella carità e nell’amore,
gettiamo nell’abisso dell’oblio i nostri risentimenti, perdonando di cuore,
e ricordandoci bene che il nostro distintivo è la carità.

Ricordiamo con frequenza anche il motivo che spinse il buon Gesù, quando stava per morire, a manifestare all’uomo la sete che lo tormentava, pur sapendo che ciò gli avrebbe procurato nuove sofferenze. La causa fu che il suo cuore anelava soltanto a soffrire perché voleva che la Redenzione superasse la nostra malizia e, bevendo Egli l’amaro aceto dei nostri peccati, voleva donare a noi il vino soavissimo del suo preziosissimo Sangue”. (El Pan 15, 8-10).

Ciascuno di noi, infatti, è inserito, per vocazione, in un progetto più grande, partito da lontano, un progetto di Dio che si va disvelando nel tempo.
Parlando ai Giovani il 20 agosto scorso il Papa diceva:
“Da Roma, dalla Città di Pietro e di Paolo, il Papa vi accompagna con affetto e, parafrasando un’espressione di Santa Caterina da Siena, vi dice: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!””. (cfr Lett. 368).
Tentare di scoprire il progetto di Dio e impegnarsi a entrarci con coerenza, significa trovare la vera felicità anche su questa terra.

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ultimo aggionamento 05 maggio, 2005