STUDI
S.E. Mons. Elio Sgreccia

 

Dio ci ha amato, Dio ci ama

 

 
Mons. Sgreccia

 


Riportiamo, come abbiamo potuto riprenderlo, il testo della Omelia che S.E. Mons. Elio Sgreccia ha tenuto in Basilica il giorno 24 settembre Festa del Santuario (N.d.R.)

Ringrazio di tutto cuore il Padre Generale e tutta la Comunità e i Figli dell’Amore Misericordioso per avermi dato questa opportunità, di fare con voi il Giubileo, di chiedere perdono, di godere del perdono del Signore in questa giornata dedicata al Santuario e alla vita che in esso si svolge in onore all’Amore Misericordioso.
Saluto tutti voi che siete convenuti, così, come in un abbraccio, a questo altare, questo luogo dove tante volte, forse, avete attinto forza, coraggio e serenità.
Saluto i Sacerdoti e voi tutti fedeli; saluto in modo speciale tutti voi giovani che oggi siete qui convenuti per rivivere insieme la memoria della Giornata mondiale della Gioventù che avete così fresca e presente nel vostro cuore.

C’è una legge nel nostro animo, una legge che anche gli psicologi hanno messo in evidenza: ognuno di noi è incapace di aprirsi affettivamente, di amare se prima non è ben convinto e non ha fatto esperienza di essere amato; soltanto quando fa esperienza e riflessione profonda sull’amore che riceve, ognuno di noi avverte che la sua vita è importante, che conta e si apre a sua volta all’amore e al dono di sé.
La parola di Dio, che abbiamo ascoltato questa sera nella Liturgia, in modo speciale insiste su questo fatto: Dio ci ha amato, Dio ci ama.

Le parole del Profeta Osea, rivolte al popolo di Israele, prendono in prestito le immagini della vita affettiva più seria e più profonda che c’è, quella del padre, della madre che tiene per mano il bambino e gli insegna a camminare, che porta il bambino in braccio e l’accosta alla guancia, che gli da il cibo, per dire che Dio ha fatto altrettanto con questo popolo, portandolo dall’Egitto nella Sua terra, dandogli l’alimento della Sua Parola e dei frutti della terra promessa.
C’è una venatura di rammarico, in quelle parole, la dove Dio dice che questo popolo ha fatto fatica a capire. Ecco perché la Chiesa, oggi, in questa circostanza ci offre la pagina meravigliosa, una delle più alte del Nuovo Testamento, il brano della Lettera ai Corinti di Paolo con l’inno alla carità.
Paolo ha sentito il bisogno di inventare una parola nuova nel vocabolario. Per noi questa parola carità ormai è un po’ consumata e anche appannata da un certo senso di compassionevole atteggiamento sentimentale, ma per Paolo aveva un senso forte, fortissimo, al punto che nessuna delle parole che egli conosceva era capace di esprimerla. Non é più soltanto il sentimento che lega i genitori ai figli e viceversa, i fratelli alle sorelle, l’amore parentale, che in greco aveva un suo vocabolo, che non è quello che usa San Paolo, non è neppure l’amore sponsale, è qualche cosa di più; non è neppure l’amore di amicizia, che pure aveva un suo vocabolo; inventa una parola nuova, l’agape, che noi abbiamo tradotto dal latino all’italiano con la parola caritas – carità, ma intende San Paolo un torrente di amore che parte da Dio, dalla Santissima Trinità, che viene portato nel mondo da Cristo, e che Cristo rivela e incarna con il dono di Sé sulla Croce e che dona ai fedeli con quel dono che è persona e che è lo Spirito Santo, che è amore di Dio, amore che unisce, costruisce la Chiesa. Paolo dice che questo è un tesoro insostituibile, impareggiabile.
Non può essere paragonato né al dono della profezia, che nella religiosità ebraica era stata la forza che alimentava questo popolo continuamente, lo richiamava, lo ricostruiva, lo purificava, lo invitava al pentimento, lo riportava sulla retta strada; l’amore di Dio dato agli uomini é più.
Non può essere paragonato neppure alla capacità di fare miracoli, prodigi, neppure al dono delle proprie ricchezze, allo spogliamento di sé, l’amore di Dio è più, è un tesoro più. E’ quello che si può paragonare solo a Dio, e si può paragonare solo al dono che Cristo ha fatto di Sé all’umanità redenta. L’amore che viene dall’alto e si cala nell’umanità, nel Verbo incarnato, e nei fedeli e nell’umanità bisognosa di questo amore.
Questo è un tesoro, che vale più di tutto.
Noi abbiamo bisogno di sapere dove sta questa fortuna.
Quante volte ci tormentiamo: “Ma che vale la mia vita? Ma dove vado, ma che senso ha? ma se non trovo modo di realizzarla ne qui ne là?”.
Ma chi ci può impedire di attingere a questo tesoro e di farne l’energia e la forza dirompente dentro di noi e attorno a noi; non per le nostre energie, perché noi stessi abbiamo bisogno di essere trasformati da questo amore.
San Paolo lo dice: costruisce dentro di noi la pazienza, ci aiuta a portare tutto e sopportare tutto, a tutto perdonare, ci aiuta a donare ben più che la profezia, ben più che il miracolo, esso stesso è il miracolo, perché viene da Dio e si espande in mezzo a noi.
E che cosa è stata la Chiesa in questi 2000 anni?
La Chiesa, quella che rimane, quella che non passa, quella che sarà trasferita in cielo tutta intera: è la Chiesa che è stata fatta dalla carità e dall’amore di Dio portato da Cristo e seminato nei nostri cuori dallo Spirito Santo.
Beati coloro che l’hanno accolto, come ha fatto la Fondatrice di questo Santuario e tanti altri Santi. Che bello, che quasi ogni domenica, quest’anno in Piazza San Pietro, là sulla loggia compaiono a schiere figure di Santi: oggi, 120 martiri cinesi e altri santi. Li ricordi, naturalmente la Chiesa non li sa contare tutti, ce ne sono tanti altri, invisibili, ma questo ha fatto la Chiesa, quel tutto che è venuto dal Tutto, da tutto ciò che Dio ha dato attraverso il Suo amore, e ha fatto tutto quel che rimane non può essere, lo dico a voi, cancellato né frustrato. Amici miei e carissimi giovani specialmente, non ci può impedire nessuno di dare alla nostra vita un senso, se lo immergiamo in questo amore, il tesoro che Dio ha portato, il vero. Lo chiama carisma San Paolo ma in italiano non si trova una parola, è un tesoro di origine divina ma che cala dentro all’uomo e lo trasforma, lo apre alle pagine del Vangelo molto concretamente non più a parole ma a gesti che preludono altri gesti. Anche la Lavanda dei piedi che Gesù ha fatto nel Cenacolo allude a una lavanda che è fatta con il Suo Sangue sulla Croce, per tutta l’umanità non solo per i dodici e fu il grande servizio fatto da Cristo all’umanità tutta.

Gesù l’ha voluto insegnare questo amore, che stava per salire sulla Croce chinandosi a lavare i piedi, e sapete bene che era uno degli schiavi addetti, che quando il padrone tornava dai viaggi, doveva portare la bacinella dell’acqua e l’asciugatoio per lavare i piedi del suo padrone; e Gesù fa Lui questo lavoro, Lui che si era fatto chiamare il servo, lo schiavo di Dio dal Profeta Isaia, è Lui che si china e lava i piedi e poi dice fate come ho fatto io.
A chi volesse capire, in termini semplici, quale tipo di amore è quello che Cristo ci chiede e con il quale noi possiamo ricambiare il Suo infinito amore, questo lo troviamo espresso, oltre che nella lavanda dei piedi, che era allusiva, in ciò che Egli ha espresso sulla Croce con la quale ha lavato i peccati dell’umanità.
Non dobbiamo inventare proprio niente: è un amore di servizio e per questo non ci può sconfiggere nessuno. Vi dico la sincera verità, ma anche voi lo avrete provato, un senso di povertà, di frustrazione, di inferiorità di fronte alle sfide del mondo attuale, alle barbarie che si perpetrano e di cui la nostra televisione spesso è piena. Ci sentiamo quasi schiacciati. Ma chi può cambiare le cose? Ecco la forza, che vince il mondo, quella che Cristo esprime ai Suoi discepoli ed ha espresso in tutta la Sua vita e che sfocia nella Resurrezione: è tanto forte da essere capace di resuscitare, di dar valore anche a chi aveva perso valore di fronte agli uomini.

Chiediamo a Gesù di non passare sopra a queste parole, come se fossero consumate dai 2000 anni che sono passati. Chiediamo al Suo Amore Misericordioso di trasformare la nostra vita in ricettacolo di questa forza e di questo tesoro, di questo carisma che è il più grande di tutti, per poter essere capaci di capire dove sta il nostro servizio. Allora avremo scoperto anche quanto vale la vita.

Pensavo poco fa: voi giovani che partecipate a questa Liturgia sarete circa trecento. Trecento giovani, solo di questa Diocesi, neanche di tutta l’Umbria, forse sono anche troppi per cambiare tutta l’Umbria! Se ci apriamo a questa forza, se scopriamo questo tesoro, se indoviniamo il modo come ognuno di noi possa mettersi a servizio: con l’umiltà, con la dedizione, con l’oblatività che Gesù ha impresso nelle Sue parole e nella Sua vita.

Chiediamo a Maria, che si è definita serva, ancella, mettendo a servizio tutta la Sua vita, anche corporea, al mistero dell’amore di Dio fatto Uomo, che ci liberi gli occhi, che ci schiarisca la coscienza, che ci aiuti a guardare a vedere, e non ci faccia più venire in mente che la nostra vita vale poco, che possiamo far poco, che tanto noi non possiamo far niente, che tanto il mondo va così, che nessuno lo può cambiare, ecc. Non è vero. Se siamo convinti di quello che abbiamo ricevuto, di quello che Dio ci da, il carisma della carità destinato a tutti, vale più del miracolo, vale più della profezia, è capace di cambiare la vita, è capace di cambiare il mondo, soprattutto è capace di buttare giù i nostri egoismi, i nostri piccoli comodi di ogni giorno, che ci impediscono di dare senso pieno ad una vita destinata alla pienezza.

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ultimo aggionamento 13 giugno, 2009