STUDI

L. S.

Occorre fortezza di risoluzioni per vivere in libertà e dignità

 

Ogni Uomo con l’esercizio interiore della libertà diviene artefice di se stesso, riesce a crearsi, a conquistare quel tanto di personalità neccessaria per insignorire di umana dignità la sua vita. Certe cose si intendono pienamente quando si è acquistata una certa coscienza della propria dignità. Così si ricerca il controllo di ogni istinto se ci si rende conto quanto vale la propria anima quanta sia giovevole raggiungere la maturità interiore unendo cuore e volontà in un unico sforzo.
È san Paolo che dice a me e a te: sei stato comprato “pretio magno”, a gran prezzo; e inoltre: “Glorifica Dio e portalo nel tuo corpo”, San Leone papa esclamava: “Cristiano, riconosci la tua nobiltà e vivi di conseguenza. La certezza di avere un corpo creato da Dio e santificato con la presenza e con l’azione dello Spirito Santo dentro di sé, conduce ad un rispetto religioso di tutta la propria persona.
Per cui non limitiamoci a bilanciare l’entità dei nostri peccati impegniamoci ad incarnare valori diretti alla costruzione di noi steassi, a radicare nella vita presente le forze della vita avvenire. Soprattutto stabilizziamoci nel quotidiano e pacato colloquio con Dio: quest’incontro ci fortifica dentro, virilizza il carattere per le future lotte, largisce il senso della vita eterna.
Quindi bisogna “allenarsi a obbedire a sani principi e ideali, con quella autodisciplina che è espressione di quanto vi è di più nobile in se stesso. Il famoso storico Arnold Tojnbee osservava che, di ventun civiltà scomparse, sedici erano state distrutte dalla decadenza interiore. Difficilmente le nazioni vengono uccise; più spesso si uccidono. Gli stessi effetti devastanti può produrre nell’individuo la sua disposizione al piacere, il suo puerile rifiuto a disciplinarsi.
L’uomo non può conservare la libertà interiore se non combatte senza tregua contro le potenze dell’istinto. L’”Imitazione di Criato” raccomanda: “Non desiderare ciò che non ti è lecito avere, privandoti della libertà interiore (libro III, cap.27). Se vuoi fare qualche progresso, tieni saldamente a freno i tuoi sensi (libro I, cap.21). Se non farai violenza a te stesso, non vincerai i tuoi vizi: tanto è fragile la natura umana che essa pende sempre verso il vizio (libro I,cap.22). E poi a che giova vivere a lungo, se correggiamo così poco noi stessi? (libro I, cap.23).
La propria dignità umana e cristiana impone di controllare gli impulsi naturali e di rendersi conto che il rispetto dei valori tradizionali è l’elemento fondamentale per la tutela della libertà e dignità personale. Oggi – diceva Pio XII – “l’uomo ha perduto il rispetto della donna, e la donna ha perduto il rispetto di se stessa”.
Per vivere in serenità interiore bisogna
troncare ogni libertinaggio, smettendo una volta per sempre, con fortezza di risoluzioni. E a spingere l’uomo alle risoluzioni più ferme è soprattutto la coscienza del ridicolo.
Un proposito fiacco concede alle tante cariche istintive, che esistono in noi allo stato potenziale, la licenza di sfrenarsi, di nuocere a se stesso e agli altri.
Il calmante più efficace per l’immaginazione e per i sensi è la “risoluzione assoluta” di escludere qualsiasi concessione ai sentimenti e alle emozioni: sono queste delle forze anarchiche, che spetta a noi regolare, incanalare, sfrondare di ciò che hanno di eccessivo, soprattutto col non operare alcun cambiamento nelle risoluzioni suggerite da loro. Spesso si comicia con piccoli legami o cedimenti, non ci si bada, e infine ci si trova presi nella rete dell’abitudine. E le abitudini sono i ceppi dell’uomo libero: dapprima sono fili di ragno, poi diventano cavi di acciaio.
Scriveva Anatole France che “tutte le nostre vere miserie sono intime, e noi stessi ne siamo la causa”. E Sant’Agostino osservava: “È la volontà perversa che fa la libido, è l’asservimento alla libido che fa la consuetudine, ed è la non resistenza alla consuetudine che fa la necessità”.
Per cui spetta alla ferrea volontà di liberazione dalla febbre dei sensi. L’imporre a se stesso di spegnere le prime scintille della passione senza lasciare che diventino fuoco. Questo richiede di “reagire” sin dall’inizio delle tentazioni: portando altrove l’attenzione, rinunziando a lasciar vagabondare i propri sguardi, interdicendosi ogni familiarità e contatto sensibile. A tal proposito c’è da precisare che la familiarità non è dovuta, come l’amore per tutti, e spesso è stimolo a indecorose intraprendenze.
Tutti siamo deboli; ma l’essenziale è che non ci si abbandoni alla propria debolezza e non si permetta alla passione di diventare una dittatura. Perciò chi si propone di non cedere più all’istinto, deve non soltanto desiderarlo ma volerlo: cioè non fare come Pilato, che desiderava salvare Nostro Signore, ma non voleva salvarlo.
In conclusione diciamo che all’esterno di noi possiamo continuare la resistenza sin quando non siamo vinti all’ interno di noi: solo con la caduta della difesa interiore siamo aperti agli attacchi e ai tormenti del desiderio. Per cui bisogna sempre irrobustire la volontà con motivazioni o idee-forza, che evitano di arrivare alla capitolazione interiore e allo sfaldamento della difesa personale. E allora facciamo nostra l’invocazione di Beethoven: “O Dio! Dammi la forza di vincere me stesso”.

Articolo precedente

Articolo successivo

[Home page | Sommario Rivista]


realizzazione nuovacedis@edisons.it
ultimo aggionamento 15 luglio, 2002