STUDI

Luigi Scaramuzza

 

 

Il benessere interiore è proporzionale alla qualità del nostro amore

 

 

In ciascuno di noi c’è un’esigenza struggente di amore. Creati ad immagine e somiglianza di Dio, che è l’Amore, tutti siamo contrassegnati dall’amore, e interiormente vibriamo come un’arpa birmana al minimo tocco dell’amore.
La vocazione dell’uomo incamminato verso il Cielo è l’amore: ed è questo che dà senso ad ogni pensiero e azione. Se il corpo ha bisogno del pane, l’anima ha bisogno dell’amore, per riposare nella pace ed accendere l’arcobaleno dei sogni nel cielo grigio dei fatti. Per cui a qualsiasi età ci s’invaghisce ad inanellare sfilacciati desideri dietro canzonette d’amore e ammiccamenti.
L’amore è moltiplicazione di energie e sviluppo dell’interiorità facendoci conquistare una umanità superiore. Chi poi ama la musica silenziosa del creato si imperla di un lampeggiar d’occhi e di un balenio d’anima, che lasciano intravedere quanto lui sia arrivato a scoprire e a godere della unicità di ogni singola creatura, per riempirsene il cuore e innalzarsi più agevolmente a Dio.
Quello scrittore di punta ch’era Giovanni Papini diceva: “Amare significa gioire profondamente di quanto l’occhio può raggiungere, dalla stella che percorre l’interminabile arco della notte alla viola che versa il suo odore tra le foglie dentellate della siepe. Il vero innamorato (della natura) ama ed ammira il sole, e tutti i contrasti di splendore e di tenebra che nascono da lui. E quella gioia che si prova nel contemplare i giochi e i doni del gran padre della nostra luce non è altro che amore”.
Purtroppo nella natura tutto è incompleto; ed ogni creatura esprime nel profondo mistero della sua esistenza fame e sete d’amore. Noi tutti partecipiamo alla vita di questo universo creato con lo stesso ritmo di gravità universale. Ma noi siamo stati pure chiamati a partecipare alla vita dell’universo increato, alla vita divina: siamo le uniche creature che possiamo amare, avvertire la nostra insufficienza, e riconoscere la Completezza Divina. Fulton Sheen scriveva: “Tutto il tumulto dell’amore umano non è che una segreta ricerca del Divino”.
In questo nostro microcosmo, dalla nascita al tramonto, si sviluppano in modo progressivo tutti i gradi dell’amore creato. Ma essi non ci saziano definitivamente: in noi è stabilita da Dio stesso una tensione o disponibilità verso un amore trascendente. Per cui noi, nati per vivere sulla terra, cerchiamo il Cielo. Così diciamo con sant’Agostino che “il nostro cuore rimane inquieto fin tanto che non riposerà in Dio”. Ed è questo Amante lontano e pur già vicino a trovarsi al capolinea delle nostre aspirazioni: Dio è la sazietà, l’amore che appaga l’infinitezza del nostro spirito. Ed è la persona ricca di interiorità ad aver capito dove sta la pienezza del vero amore.
Ma ora, da queste altezze, planiamo verso una maggiore concretezza. Sì, noi siamo un’invenzione dell’amore divino, e siamo stati creati per amare e trapassare da cuore a cuore le nostre vibrazioni d’amore. Però noi, che siamo i fili conduttori della corrente ad alta tensione dell’amore, spesso funzioniamo col nostro amor proprio da isolatori dell’amore! Dovremmo far “circolare” e trasmettere amore; ma per la nostra sclerosi spirituale non ne favoriamo lo scorrimento.
Infatti, se tante volte arriviamo a sperimentare che nell’amore oblativo c’è bellezza, bontà e gioia, altre volte constatiamo che la carne e l’egoismo non ci stanno: essi fanno il loro mestiere di provocatori e di frenatori a rispondere con l’amore all’amore. Così si attualizza l’efficace esemplificazione fatta tempo addietro da Carlo Carretto: “Quando un uomo dice ad una donna: ti amo, ha l’impressione a prima vista di voler veramente il bene di quella creatura. Ma non tarderà ad accorgersi che in realtà ama se stesso in lei e che l’egoismo avvelena troppo spesso il rapporto e lo riduce ad un atto di possesso più che ad un dono di sé”.
Per cui è bene riflettere che, se è bello amare ed “è dolce naufragare in questo mare”, il problema sta nel saper amare. Non tutto ciò che sembra amore lo è realmente: il più delle volte si idealizza quanto non è che semplice ricerca di sensazioni piacevoli. E spesso si agisce in modo puerile fantasticando sulle “confidenze” degli altri. C’è gente che ha conosciuto solo sensazioni, e che dopo essersi stordita è caduta in una tristezza profonda: ebbene, quando fa le sue “rivelazioni”, mentendo soprattutto a se stessa, lascia intravedere esperienze paradisiache.
Il vero amore aiuta la persona a superare se stessa, a rinnovarsi, a trascendere le sue limitazioni. E ciò è possibile solo tra persone che si rispettano con tenerezza, e non si comportano come oggetti da usare, godere e mettere da parte.
C’è da tener presente che nel terreno della nostra umanità sono annidati, oltre ai semi delle virtù, anche i semi dei sette vizi capitali, e che è più facile la fioritura di questi vizi. Per cui l’amore va sempre difeso dalle qualità negative che possono nascere in noi e farci precipitare in quelle forme di egoismo che sono la morte dell’amore. E allora occorre attenzione ad amare l’altra persona per quello che è in sé, e non per il vantaggio che otteniamo da lei.
C’è poi un’altra frequente “esagerazione” in campo affettivo. Come ben diceva una scrittrice dei miei tempi giovanili, Maria Sticco, “l’amore ha la presunzione di trovare ogni bene ed ogni perfezione nella creatura amata. Solo con lo smorzarsi della passione, la persona si spoglia della veste di sogno che le avevamo prestata, e ci appare nella sua pochezza umana”. Avvicinando sempre più la persona amata, si sfalda l’ideale che credevamo realizzato in essa, e ci accorgiamo che la personalizzazione dell’amore fa zampillare sentimenti guizzanti e fugaci come fiamme.
E allora bisogna argomentare che, contrariamente a quanto viene spumeggiato nelle canzonette, è irragionevole amare “senza misura” una persona che è relativa, che è limitata, che è imperfetta. Una creatura apportatrice, col tempo, di una certa misura di delusione – non può esaurire il desiderio dell’infinito che tormenta l’anima umana. L’amore ordinato delle creature può essere una scala, non il termine dell’avventura amorosa. Per cui dobbiamo anzitutto andare alla ricerca di quell’amore che si può amare senza misura, e che è in grado di soddisfare le aspirazioni del cuore umano.
Ecco quindi che nella vita è cosa lodevole educarsi a proiettare se stessi al di là di ogni orizzonte visibile, e più che con le creature entrare in comunione con Dio, cioè con Chi ci ha pensati, amati e creati, e che sarà uno con noi nel mondo futuro. San Giovanni della Croce ci ricorda che “alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”. Ebbene, al fastigo della nostra esistenza poniamo l’amore verso Dio; e noi con questo faro spirituale amiamo rettamente le creature animate ed inanimate, ci assicuriamo un gioioso benessere interiore, ed entriamo nell’aria della più ricca esperienza umana.

 

La vera felicità è dentro di noi

Andando avanti con gli anni arriviamo a concludere che stare allegri e sereni, vivere nella gioia e nella pace dipende non da quello che abbiamo fuori di noi, ma da quello che siamo dentro di noi. Spesso scopriamo serenità e contentezza più in mezzo ai campagnoli che tra i cittadini benestanti, più nel popolino che nei “pezzi grossi”.
La ricetta della felicità la possiede chi accetta la propria vita così come gli è stata data dalle mani di Dio, e la vive con impegno e gratificazione. Così per dare pienezza alla propria giornata può bastare anche una sola opera o un solo dovere, compiuti con coscienziosità e consapevolezza di motivazioni; può bastare la donazione anche ad una sola persona, veramente amata.
Una durevole e serena felicità non è un dono divino: è qualcosa che ognuno deve fabbricare da sé: “è una conquista a cui si arriva con uno sforzo interiore, imparando a esser soddisfatti di sé per delle buone ragioni” (Erich Fromm). Purtroppo la maggior parte di noi non ha ancora imparato a far funzionare se stesso, a “liberare” la propria capacità di essere felice. Siamo stati creati per la gioia, e non per cercare riposo nel piacere; e ciò che Dio ha creato dovrebbe attirarci a Lui, e non tenerci lontani da Lui. Ma, quando l’egoismo o l’animalità prende il sopravvento in noi, invece di adorare Dio attraverso le creature, finiamo per adorare noi stessi nelle creature.
Tutti dovremmo scegliere solo le cose che ci possono rendere felici. Purtroppo spesso facciamo cose che ci rendono infelici: perché cerchiamo nell’oggetto dei nostri desideri una realtà più grande di quella che essa realmente possegga, e un appagamento che poi ci immiserisce. Godono una felicità duratura quanti hanno smesso di cercarla nei posti sbagliati, hanno acquisito l’esperienza necessaria a giudicare con criterio se stessi e gli avvenimenti, e poi immettono tuttora calore umano nel lavoro, nello svago, nell’amore.
Di sicuro la fede ci aiuta grandemente a trovare pienezza di realizzazione nella nostra vita di ogni giorno, e ci rende presente l’amore di Dio che dona “il nostro pane quotidiano”, cioè tutto ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra crescita. Ma occorre la personale collaborazione, sviluppando i propri talenti nel valorizzare sempre meglio le circostanze della vita, e nel rendere ogni azione un’occasione di rapporti più gratificanti con i nostri vicini.
A questo punto va evidenziato che una costellazione di certezze e di valori personali conferisce alla nostra vita il suggestivo colore luminoso dell’oro. Soprattutto quando siamo arrivati a persuaderci che il Padre di Gesù è il Padre nostro – tanto amorevole da sacrificare suo Figlio per noi e da assicurarci un’eternità di vita – allora l’esistenza individuale possiede un basamento confortante e una pista di lancio che conferiscono nobiltà e bellezza ad ogni avvenimento. Quindi rimembriamola con frequenza questa incommensurabile e misericordiosa Paternità divina; e certamente la nostra quotidianità si illeggiadrisce e si indora di gioiose venature.

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L’oblatività, la gratuità, l’agire semplicemente perché l’altro esiste e ha bisogno di noi e noi stessi abbiamo bisogno di dare quanto per dono, non per merito, abbiamo ricevuto; … questo atteggiamento sembra del tutto estraneo all’orizzonte ideologico che incombe su di noi e ci condiziona.

Mons. Sandro Maggiolini, 1981,
attuale vescovo a Como

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ultimo aggionamento 05 gennaio, 2002