ESPERIENZE
 

Paolo Risso

Guida per le vette della santità:

Dom Chautard

 

Aveva cinque anni e andava all’asilo dalle venerande Suore Trinitarie. Qualcuno gli disse che le suore non avevano i capelli. Si domandò: “Ma sarà vero?”. Annodò uno spillo a un filo, poi ficcò lo spillo nel velo di una suora e ...diede una strattone. Grida, risate, scandalo, ma lui aveva visto che anche le Suore avevano i capelli.
La malcapitata Suora lo mandò subito a confessare “il grosso peccato”. Lui, già pentito, lo fece pubblicamente al parroco che faceva scuola di canto all’harmonium. Il buon prete non si tenne dal ridere di gusto, ma gli raccomandò di non farlo più, perchè “Gesù non ne sarebbe stato contento”. Era l’argomento più forte per “domarlo”, perchè lui di Gesù era già molto amico.

 

“Dio solo”

Il monello si chiamava Gustave Chautard ed era nato a Briançon il 12 marzo 1858: intelligente e birichino, sostanzialmente buono, non dà alcun segno di vocazione monastica. È un ragazzo terribile e un chierichetto modello, uno studente volenteroso ma sempre alla ricerca di burle a spese di qualcuno. La sua mamma è piissima, il padre è senza fede.
A Marsiglia, dove prosegue gli studi, ormai adolescente, la sua fede che si è un pò oscurata, si risveglia nel momento in cui si trova nell’alternativa di difenderla o di rinnegarla. Riscopre Gesù e comprende che Lui solo merita tutto. Si dedica a opere di apostolato: catechista irresistibile tra i saltimbanchi della fiera, dedica molto del suo tempo libero a far visita a vecchi e malati... E un giorno, si accorge che Dio lo chiama per nome e lo vuole per Sè.
Resiste finchè può – 15 giorni – poi si arrende. Che cosa avrebbe fatto, dove sarebbe andato? Benedettino, gesuita, certosino? Un giorno legge un vecchio libro sulla Trappa e ne vede uscire una luce forte e dolce. Decide: “Sarò trappista! Sarò nella milizia di S. Bernardo”.
L’abbazia di Aiguebelle lo riceve a 19 anni e lo inizia alla vita monastica con i mezzi dell’Ufficio divino, di sante letture, del lavoro manuale, in silenzio. Il 6 maggio 1877, veste il bianco abito di Citeaux e prende il nome di Jean-Baptiste. Il suo primo comandamento è “Adora e cerca Dio solo” e “Cerca il Regno di Dio”. Di Dio si innamora alla lettera: ci sarà solo Lui – e Gesù Cristo, il Figlio di Dio nella sua vita.
È appena professo e già è chiamato a tentare il salvataggio del suo monastero dalla rovina economica. Mandato a Parigi, non ottiene nulla, ma a “S. Maria delle Vottorie”, mentre espone la sconfitta alla Madonna, uno sconosciuto lo ferma: “Un Trappista a Parigi? Che ci fate qui?”. Jean-Baptiste gli espone il suo problema e ne trova la soluzione.
A 25 anni, è ordinato sacerdote e tocca il cielo con il dito. È felice da esplodere di gioia. Prima di salire all’altare, si è riconciliato con suo padre, che ora comincia ad avvicinarsi a Dio. Vorrebbe solo pregare e contemplare Dio, ma tutte le cariche più attive gli cadono sulle spalle.

 

Padre e madre e uomo d’azione

È amministratore di Aiguebelle e delle Suore Trappiste di Maibec. Fonda un nuovo noviziato, sistema meglio la clausura, amplia le dispense e la fabbrica del cioccolato, per poter dare lavoro ai monaci. Nel 1897 è mandato Abate a Chambarand e si occupa della risurrezione di Citeaux, la culla dell’ordine, la casa di S. Bernardo. Finalmente, nel 1899, Dio lo mette al suo posto definitivo: Abate di Sept-Fons.
Ma lui non ne vuole sapere e si ostina in un rifiuto senza sbocco. Cede solo quando Papa Leone XIII, interpellato dai superiori dell’Ordine, gli fa sapere che “il Santo Padre desidera che accetti”. Pone la lettera sul suo scrittorio, a ricordargli che è lì per purissima obbedienza e che pertanto Dio è obbligato ad aiutarlo.
Passerà alla storia come “l’Abate di Sept-Fons”, la grandiosa abbazia sulle rive della Besbre, fondata con la benedizione di S. Bernardo in persona nel 1132, e che alla fine del secolo XIX ospita una numerosa comunità e ha molte case filiali disseminate nel mondo. Della sua grande famiglia l’Abate Chauvard avrà una cura di padre e di madre insieme, raggiungendo tutto senza trascurare niente. Avrà una cura speciale per i malati e per i più fragili, ripetendo come norma ai suoi monaci:
“Un religioso malato – e chiunque si consacri a Dio in monastero – non deve aver mai motivo di rimpiangere sua madre”.
Quando di notte, sente un “fratello” tossire, si alza e va a vedere di che cosa ha bisogno, smentendo l’affermazione di Voltaire che “i religiosi convivono senza amarsi e muoiono senza compiangersi”. Istruisce e trascina con un infinito rispetto per le anime, che ama una per una, nell’amore vero – l’amore vero – di Gesù che ha: amato fino a immolare la vita per i suoi.
Nell’estate del 1898, è riuscito a riscattare l’abbazia di Citeaux dalle mani del governo francese per farvi rinascere la vita consacrata. Ora, nel 1901, mentre i massoni Waldeck-Rousseau e Combes gettano nel panico le comunità religiose in Francia, Dom Chautard è incaricato di assumere la difesa dell’Ordine. Si presenta ai persecutori cercando di illuminarli e di risvegliare la loro coscienza.
Eccolo davanti al grande nemico, il ministro Clemenceau, detto “Le Tigre”: quel monaco biancovestito che difende a fronte alta, senza paura, il diritto di esistenza per sè e per i suoi, parla così ardente che il terribile uomo di stato deve dirgli: “Ho capito l’ideale di un monaco e capisco anche come, quando lo si vive, se ne possa essere fieri... Consideratemi vostro amico”. Ed è di parola. Gesù, il Vincitore del peccato e della morte, è infinitamente più forte di tutti i poveri Clemenceau della storia.
Intanto, nell’imminenza dell’uragano, non attende con le mani in mano. Vivendo il periodo più eroico della sua vita gira l’Europa e l’America per trovare e assicurare rifugio ai suoi figli nel caso del bisogno. Aveva voluto vivere solo con Dio, in monastero, ed è sballottato per le vie del mondo, per servire i fratelli. Non perde mai l’unione con Dio, vivendo su un treno o su una nave, come nella cella del suo cenobio. Durante la prima guerra mondiale si reca al fronte a far visita ai suoi monaci richiamati alle armi. Terminata la guerra, è di nuovo in viaggio, fino in Cina, in Giappone, negli U.S.A., per visitare le comunità filiali, per aprirne di nuove, affinchè l’adorazione a Dio, in unione a Gesù Crocifisso ed eucaristico, non abbia mai a mancare dovunque e Lui sia sempre il primo e l’unico.

 

“L’anima di ogni apostolato”

Celebra la Messa in un albergo o su un treno, con la guerra o le bestie feroci a pochi passi. Predica con l’ardore di S. Paolo, Gesù solo e Lui Crocifisso. Dovunque, con conferenze, “capitoli”, opuscoli, circolari, alimenta la fiamma dell’amore di Dio. Si dedica alla direzione spirituale dei suoi monaci, ma pure di preti e di Vescovi, di povere anime lontane da Dio, affascinate dalla sua carità teologale, che pure lo rende non solo austero, ma gioioso, amabile, umano come può esserlo solo chi vive con Dio.
In mezzo a tanta attività frenetica, ha una certezza sola: “Quelli che pregano e soffrono, giovano al mondo più di quelli che combattono”. Ma occorrono gli uni e gli altri. Con gli occhi ben aperti sul mondo e sugli uomini di Chiesa, Dom Chautard vede il dilagare di un’enorme stortura: “l’eresia dell’azione” Secondo “l’americanismo” e il modernismo (dilagante ai suoi tempi, ma oggi come mai prima è stato), tutto sarebbe cambiato in meglio dall’azione dell’uomo, senza che Dio debba intervenire, senza che la sua Grazia santificante, meritata dal Sacrificio di Gesù e ottenuta dalla nostra preghiera e dalla vita interiore, abbia a vivificare e fecondare ogni iniziativa.
Dom Chautard, sa che “senza Gesù non si fa nulla” e che solo “chi è unito a Lui porta molto frutto”. Questo si alimenta solo con la preghiera e la abituale unione con Lui, nella immedesimazione in Lui: ciò è vero per tutti, tanto più per i sacerdoti, per i religiosi, per coloro che si dedicano alla salvezza delle anime. Nel 1921, fondendo insieme i suoi scritti e le sue conferenze, egli pubblica il suo capolavoro, L’anima di ogni apostolato”, in forma definitiva. Ma il libro era già uscito più di un decennio prima e rapidamente era diventato un best-sellers, come l’Imitazione di Cristo, o Storia di un’anima di S. Teresa di Gesù Bambino, come lo sarebbe stato “Cristo vita dell’anima” di Dom Marmion.
Ha un successo enorme. S. Pio X lo teneva sul suo tavolo. Benedetto XV lo accoppiava ai libri di Dom Marmiom. Il Card. Sevin lo definisce il “libro d’oro”. Vescovi di intere nazioni lo distribuiscono al loro Clero. Lo studiano gli universitari e i loro docenti, capi di stato cattolici. Lo meditano e lo vivono i membri delle associazioni di Azione Cattolica.
Oggi, molti non sanno neppur più che esiste e al suo posto sono preferiti i testi della falsa teologia del modernismo o i trattatelli di psicologia o sociologia di qualche dottoruccio senza nome. Ma i risultati sono evidenti: la confusione totale e lo sfascio delle anime.
Con questa “anima del suo apostolato” – che è Dio solo – Dom Chautard, si dedica persino alla questione operaia con Leone Harmel e ad ogni altra iniziativa che ha dell’incredibile. Anime smarrite e lontane, grazie a Lui ritrovano Dio. Non gli resta che compiere l’ultimo sacrificio: offrirsi vittima per le anime. Lo fa, nella certezza che Dio lo prenderà in parola: “A me tocca espiare, fare penitenza, a me essere come il Cristo immolato”.
Il 29 settembre 1935, sta per entrare “in capitolo” per dare l’abito a un giovane novizio. Sono venuti i suoi amici scouts a fargli festa. Dom Jean-Baptiste cade a terra, fulminato dall’infarto. Tra le mani ha un foglio con lo schema della meditazione: “Il tempo è breve, figlioli. È giunta l’ultima ora. State preparati”.

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ultimo aggionamento 07 luglio, 2002