STUDI

Vittorino Andreoli

 

 

Ma al non credente mancano i santi

 

 


«Tutta la letteratura cosiddetta “laica” è una negazione della santità, pur nel tentativo di comprenderne le motivazioni legandole ai termini della psicologia»

Nell’affrontare il problema del rapporto tra follia e santità bisognerà porsi una questione previa. È possibile che ad occuparsi del santo e della santità vi sia anche chi non crede in Dio e, di conseguenza, non può neppure credere ad un fenomeno che ne è diretta espressione? Dinanzi ad un siffatto tema è inevitabile che uno si chieda se è disposto a credere in un mondo al di fuori delle comuni leggi della natura cioè, in sostanza, in un Dio che non potrà essere se non quello dei cristiani, essendo la figura del santo caratteristica di questa religione? E qualora la risposta fosse “io non credo”, è per questo necessario astenersi dall’analizzare il tema della santità, in quanto si arriverebbe necessariamente a negarla o a riportarla nei termini di una identificazione santo-folle? Si tratta cioè di un argomento di esclusiva competenza dei cristiani-cattolici per cui, in assenza di una professione di fede, diverrebbe giocoforza rinunciare?
È questa appunto la questione di principio che va affrontata subito per evitare che la successiva riflessione ne risulti irrimediabilmente viziata.
Inevitabile cioè, come fin qui è accaduto, affidare il racconto delle storie di santi esclusivamente a religiosi o a uomini di fede, quasi fosse dato solo a loro di capire, e “leggere” un santo?
In effetti, sono ben pochi gli esempi di non credenti che si siano occupati di santità, forse perché può sembrare un percorso inutile, destinato a confermare la convinzione già presente in partenza che si tratta di superstizione o, nel migliore dei casi, di un bisogno antropologico di sacralità, che può essere indicato in diversi modi, come irrazionalità o paura dell’ignoto.

Tutta la letteratura cosiddetta laica è una negazione della santità, pur nel tentativo - qua e là - di comprenderne le motivazioni spesso legandole ai termini più elementari della psicologia, di una condizione umana che sente il bisogno di una forza superiore, imperativa: sarebbe l’uomo in somma a creare gli dei e, di conseguenza, a inventare anche i santi. Quando poi l’interrogativo viene a calarsi nel rapporto tra santità e follia, l’implicazione di una premessa in termini laici si fa ancora più forte, più pregnante, perché sembrerebbe scontato riportare il santo al folle e quindi connotare la santità secondo i paradigmi culturali storicamente dominanti. Se tale connotazione della follia è negativa, come qualche cosa di “rotto”, assume aspetti negativi anche la concezione della santità; così il miracolo diventa una sorta di ingenuità per far credere come extranaturale ciò che invece è dentro la natura: una natura letta non da una scienza esatta, non dalla fisica né dalla matematica, ma dalla suggestione, dalle psicologie che sottolineano vissuti carichi di paura; e la paura, com’è noto, modifica la percezione di se stessi e della realtà esterna, inducendo a vedere ciò che non c’è. Si può fare riferimento alla superstizione e sorridere di fronte ad una credenza popolare che, negli ultimi tempi, si è materializzata anche in statuine che piangono o in vari eventi successivamente svelati come frodi.

Va sottolineato come di fronte al miracolo venga mantenuta una prudenza straordinaria da parte della Chiesa - in quanto organo che ne decide e quindi definisce l’accettabilità - spesso in contrasto con le pressioni più insistenti di una parte dell’opinione pubblica. Anche nel fenomeno religioso va quindi nettamente distinta quella tendenza popolare che facilmente lambisce la superstizione e tende ad appropriarsi di oggetti capaci di poteri straordinari, da una religione ufficiale, ben consapevole dei rischi, e che attua procedimenti molto rigorosi per giungere alla definizione di un evento non spiegabile nei termini di una scienza attuale. Nella posizione della Chiesa è, senza dubbio, ben presente la differenza che esiste tra il non-spiegato, il non-spiegabile scientificamente e il “miracolo”. Miracolo viene considerato un evento che non solo non è spiegabile dalla scienza attuale, ma appare, per sua natura, inspiegabile dall’umano sapere: un “ignorabimus” senza condizioni. Posizione naturalmente contrapposta al fideismo scientifico, sempre aperto sulle prospettive future dell’“ignoramus sed non ignorabimus”.

A tutto questo complesso di questioni vorremmo rispondere non certo con un teorema, né con un atto teologico che non ci compete, ma con delle considerazioni sui limiti e sul rischio che, ad occuparsi di santi, siano esclusivamente uomini di fede.
La loro lettura, senza dubbio, è indispensabile, una sorta - tra l’altro - di diritto acquisito, ma sarebbe una grave limitazione se rimanesse esclusiva loro perché esiste una tendenza ad interpretare come eventi straordinari comportamenti e fatti che potrebbero rientrare semplicemente nell’ambito del poco frequente o addirittura del patologico. È sicuramente molto elevato, in questa prospettiva, il rischio dei cosiddetti falsi positivi, ossia di leggere come soprannaturali degli eventi naturali. Un uomo che si identifica in una fede, non potrà mai spogliarsene completamente e analizzare la stessa realtà secondo modalità opposte. E, nonostante tutte le prudenze, nonostante il giudizio non sia mai rimesso ad una persona sola, ma si moltiplichi in una collegialità nel succedersi delle procedure da parte delle autorità ecclesiastiche, nella lettura dei fatti non potrà che dominare una precisa direzionalità, una specie di forma imprescindibile.
Ecco perché riteniamo utile che ad occuparsi della santità siano anche gli uomini di scienza, quelli che si dedicano all’applicazione delle discipline sperimentali con un grande rispetto di tutti i fenomeni che sono chiamati ad analizzare. Scienziati dotati di un senso del limite, che applicano al fenomeno i loro strumenti, senza mai pretendere che la loro lettura sia quella definitiva e inoppugnabile. Chiunque faccia scienza è ben consapevole che ogni strumento metodologico, pur applicato nel modo più rigoroso, da’ dei risultati limitati che possono permettere, nel migliore dei casi, di correggere un errore del passato con una conoscenza attuale; una conoscenza che tuttavia va sempre controllata perché potrebbe rifarsi, a sua volta, ad un’aporia di cui dovrà tenere conto lo sviluppo scientifico successivo. Vale insomma il principio di uno scienziato alla Popper, non fideista e ben consapevole di un limite scientifico sempre superabile e “falsificabile”.

Applicato ad un evento con caratteri “soprannaturali”, un atteggiamento di questo tipo andrebbe riguardato come un apporto prezioso, in quanto, scevro da ogni condizionamento, tiene conto solo di ciò che è comprensibile in base ai limiti posti dal sapere giungendo a definire, in base alle conoscenze del momento, quegli aspetti naturali del fenomeno su cui l’uomo di fede potrà innestare le proprie istanze e convinzioni.
Come sarebbe un errore lasciare il compito solo agli uomini di fede, così sarebbe un errore altrettanto grave limitarlo agli uomini che non credono perché essi potrebbero arrivare a delle conclusioni solo parziali, riducendo il fenomeno a ciò che è leggibile secondo quanto è già noto; oppure, nel peggiore dei casi, camuffarsi di ideologia e quindi, in sostanza, di una fede diversa. Non sarebbe allora più una ricerca, ma una specie di conflitto integrale, poiché le fedi non si dimostrano, si applicano, sono convinzioni esistenziali.
Crediamo insomma che la santità sia un tema che, ancora una volta, riguarda l’uomo e che tutte le discipline siano in grado di apportare dei dati in modo da poter dare della santità letture diverse, a diversi livelli, fino a quella del credente il quale, tenendo conto di quanto è derivato dalle altre discipline, potrà attribuirvi i significati religiosi che sente propri. Una lettura esclusivamente laica sarebbe apportatrice di pregiudizi e di limiti; così, una lettura esclusivamente di fede della santità e del santo, potrebbe essere inficiata da una sorta di ingenuità e da una tendenza ad interpretare come espressione del soprannaturale eventi, o parti di eventi, che possono invece trovare una spiegazione nel naturale così come oggi lo conosciamo. Ecco perché, ribadisco la mia convinzione, che anche lo scienziato debba occuparsi di questo eccezionale fenomeno che noi chiamiamo santità, di questo versante della vita e dell’avventura dell’uomo; e lo debba fare applicando le proprie conoscenze senza presunzioni e, soprattutto, senza falsità.

(A.- Anno XXXV N° 288)

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ultimo aggionamento 01 febbraio, 2003