Celebrazione del 20° anniversario della morte di Madre Speranza
Vivere nello spirito della Madre Speranza

Collevalenza 9 febbraio 2003
Padre Mario Gialletti fam
Conferenza presso l'Auditorium in Collevalenza

Ho riproposto questo spezzone di filmato, non tanto per voi che già lo conoscete, ma per farmi coraggio e sentirmi in famiglia, in casa, con Ennio e con AnnaMaria che hanno creduto alle cose che tentiamo di dire e che le hanno vissute in modo generoso; vivere per gli altri.
Di quanti siamo presenti in questa sala, pochi potranno dire di non essere stati accolti e aiutati da Ennio, anche concretamente, in mille problemi e situazioni. Anna Maria ha pensato la sua vita solo come offerta totale: era solita dire che le cose di cui dobbiamo ringraziare Iddio e gli altri, sono sempre molte di più delle cose di cui potremmo lamentarci. E’ morta ringraziando.
Mai come questa volta avverto una notevole difficoltà a parlare, perché le altre volte mi dovevo limitare a raccontare cose della Madre; questa volta il tema è molto più impegnativo: come si vive nello spirito della Madre: dobbiamo parlare di noi.
Noi tutti conosciamo la fatica che facciamo a vivere, a tutti i livelli. La nostra vita è piena di problemi e di sofferenza, non solo per le malattie ma soprattutto per la fatica che facciamo a stare insieme, a capirci, comprenderci, scusarci, aiutarci.
Madre Speranza usa moltissimo un termine: abnegazione; non ne dà una spiegazione ma lo identifica in mille atteggiamenti: preferire quello che piace all’altro più che a me, rinunciare a una cosa alla quale avrei anche diritto per far piacere a un altro, essere pronto a qualunque sacrificio per far felice un altro.
Emerge dagli scritti della Madre quello che emerge alla scuola di Gesù, contemplando la Sua passione e morte non solo per conoscere le Sue sofferenze ma – soprattutto – per conoscere ed imitare i sentimenti che Gesù ha vissuto durante la Sua Passione.

Tento di dire qualche cosa su un tema tanto grande e spero di riuscire a rilevare due aspetti.

Il primo:
sicuramente non sarà una riflessione che esaurisce il tema; neanche sono sicuro di riuscire a rilevare l’aspetto più importante del tema stesso; dirò una mia riflessione dalla quale mi sento particolarmente coinvolto e convinto; ma cercherò di offrirvi molti testi degli scritti della Madre e alcuni suoi gesti di comportamento sui quali Voi stessi potrete fare le vostre riflessioni e deduzioni.

Il secondo:
non sta a me dire se questo modo di vivere ripresentato dalla Madre sia un’utopia o un modo possibile di vivere la propria esistenza, se sia facile o difficile, se è più bello o più brutto di un altro modo. Vorrei solo riuscire a far sentire che questo modo di vivere è un DONO che il buon Gesù offre anche a noi: Lui vorrebbe darci la possibilità di vivere la nostra vita in questo modo.

Premetto anche un’altra considerazione nel sottolineare un modo di vivere nello spirito di Madre Speranza:
il sottolineare un particolare dono di Dio nel modo di vivere la propria fede cristiana non significa che un modo di vivere sia più grande o più bello o più prezioso di un altro; significa solo affermare che è un modo di vivere diverso da un altro, ma sempre un dono da accogliere perché nella ricchezza di tanti doni si evidenzi sempre più la ricchezza e la bontà di Dio.
Anche nella Chiesa ci sono molti Istituti religiosi, molto diversi uno dall’altro per il modo di vestire, per le attività che svolgono, per il modo di organizzare la loro giornata, per la spiritualità che li anima e solo nella fedeltà e coerenza a questo qualche cosa di “particolare” del proprio Istituto fanno emergere la ricchezza dei doni di Dio.

Fare un confronto tra i diversi modi di vivere non sarebbe giusto;
apprezzare uno più di un altro sarebbe indelicato verso Dio, ma sarebbe anche ingiusto perché ad ognuno si può chiedere solo quello che per natura o per grazia può dare;
appiattire la propria vita in un fare “quello che fanno tutti” senza essere o fare quello che ognuno è chiamato ad essere o a fare è la soluzione più triste che uno può dare alla propria vita; equivale ad una vita ridotta a “schiavitù”, condizionata da quello che gli altri vogliono fare in bene o in male della nostra vita, equivale a rinunciare a vivere come persone per vivere come rimorchiati, trascinati, condizionati.

Partiamo da questa premessa.
Lasciata da parte la possibilità e la libertà di poter spendere la propria vita anche nelle sciocchezze o nel male, resta certo che nel mondo esistono tante diverse possibilità di organizzare e programmare la propria vita nel perseguire il bene e tutte le diverse forme hanno qualche cosa e tanto di bene.
Anche a me è successo tante volte di avvicinare chi era alla ricerca nel decidere la sua adesione a qualche gruppo: Neocatecumeni, Rinnovamento dello Spirito, Comunione e Liberazione, Focolarini, Opus Dei, Gruppi di preghiera, ecc.; ho sempre incoraggiato ad accogliere l’invito, convinto che ognuno di questi Movimenti o Gruppi è portatore di un’infinità di bene.
Ho conosciuto anche io tanta gente che va a Mediugorje e che lì ha ritrovato la fede e cambiato vita.
Nell’ambito non ecclesiale ma sociale, anche io conosco come l’Italia vive la sua democrazia e come il Parlamento affronta i problemi e tenta di risolvere i conflitti: maggioranza, opposizione, girotondini, scioperi … e tanta rabbia.
Anche io so dei rapporti tra Bush e Saddam e su che linea si giocano.

In questi ultimi 20-30 anni anche io ho letto qualche cosa e ho partecipato a lezioni e corsi d’antropologia, psicologia, sociologia e, nel mio piccolo, ho scoperto e apprezzato cose meravigliose che queste scienze ci hanno dato modo di conoscere; ho provato una certa invidia per chi ha potuto dedicarci anni della propria vita nello studio e nell’approfondimento; lo studio dà sempre la possibilità della conquista di un pó di verità. Per questo quando ne sento parlare, ascolto volentieri e non mi permetto di obiettare: c’è sempre una parte di verità che le diverse scienze raggiungono.

Eppure quando rifletto sul modo di vivere nello spirito di Madre Speranza ho l’impressione che si tratti di una forma di vivere che ha esigenze diverse da quelle che trovo in tutte queste altre forme che pure apprezzo e stimo. Non è un modo più perfetto o più grande, ma è diverso; non è l’unico modo per essere buoni cristiani, ma è specifico, proprio.
Non mi convince quando qualcuno di questi movimenti o studi pretende dire: “Anche la Madre Speranza faceva così e pensava così”, magari estrapolando una frase o un gesto che sarebbe bene leggere in un suo contesto. La Madre ha parlato anche di inferno e di giudizio universale, … ma il suo messaggio è ben altro.
Non sono stato mai a Mediugorje, pur apprezzando commosso il tanto bene spirituale che lì si realizza; sono convinto che un invito costante alla preghiera e alla penitenza e al digiuno sia una cosa sacrosanta e molto bello che sia rivolto a tutti, alla massa. A un FAM, una EAM o un LAM ho l’impressione che il Signore offra un dono e una possibilità diversa e un progetto diverso: per esempio un tipo di penitenza che, senza escludere un giorno di digiuno, pretenda un impegno forte nell’ambito di una carità offerta sempre a tutti, fino all’eroismo.
Questo – ripeto – non significa essere più o meno santi, più o meno bravi, ma significa essere chiamati a sottolineare aspetti diversi del nostro vivere da cristiani. Se io fossi molto devoto ed entusiasta di Mediugorje e non fossi più impegnato ed entusiasta nel carisma di Madre Speranza, probabilmente non sarei coerente con la possibilità e con il desiderio che il Signore aveva su di me e non riuscirei a vivere in intensità la “appartenenza” alla mia Famiglia religiosa e non mi sentirei felice e sereno.

Propongo alla vostra attenzione alcuni pensieri che sono rivolti dalla Madre direttamente a noi Figli e Ancelle dell’Amore Misericordioso ma che – evidentemente – passano a quanti, come Voi, vogliono accogliere la Novità dell’Amore Misericordioso.

  1. Quando sono arrivato a Collevalenza ero già prete e avevo fatto teologia; da allora, a contatto con la Madre, ho cambiato tanti modi di fare e di sentire. La Madre scherzosamente ci diceva: Vi hanno insegnato tante cose di Dio, ma non vi hanno insegnato ad amare come ama Dio.
  1. La teologia dell’A.M. cambia la mentalità e i criteri di giustizia; da qui per coerenza ne vengono anche nuovi criteri di comportamento e di vita; nuovi modi di pensare, di giudicare, di valutare, di comportarsi, di vivere il rapporto con gli altri, di vivere anche eventuali conflitti con gli altri.
  1. Fin dal lontano 1927 la Madre scriveva nel suo diario: Mi sono distratta, ossia ho passato parte della notte fuori di me e molto unita al buon Gesù e Lui mi ha detto che devo arrivare a far sì
  • Che gli uomini conoscano il buon Gesù non come padre sdegnato per le ingratitudini dei figli, ma come padre pietoso
  • che cerca con ogni mezzo
    1. di confortare
    2. di aiutare
    3. di far felici i propri figli;
    4. che li segue da vicino, li cerca incessantemente con amore,
    5. come se Lui non potesse essere felice senza di loro… (El Pan 18, 2)

Condensava in questo pensiero l’idea che si era fatta di Dio: un padre buono che cerca solo di confortare, aiutare, far felici, ecc.

  1. Per Lei è diventato programma di vita, cercato con tutte le forze. Quando chiedeva preghiere per essere aiutata in questo suo proposito, era solita ripetere questo invito: Chiedete tutti che questa vostra madre (sull’esempio di Gesù)

- ami sempre il dolore
- giunga ad essere contenta nella persecuzione
- cerchi sempre l’abnegazione
(la capacità di preferire quello che piace agli altri, rinunciando a quello che piace o sarebbe giusto per me)
- possa dare al buon Gesù quanto Egli chiede, a qualunque costo
. (El Pan 9,18)

  1. Con il mio venire a Collevalenza io ho inteso rispondere a una vocazione, accogliere una possibilità in più che il Signore voleva offrire al mio sacerdozio: viverlo da religioso fam. Non sono diventato “più sacerdote” da quel momento, ma da quel momento qualche cosa doveva e poteva cambiare nella mia vita.
  1. Anche dentro la stessa vita religiosa, ogni Istituto ha una vocazione speciale; e anche dentro ogni singolo Istituto, ogni membro ha una vocazione particolare da portare avanti con altri.
  1. Quando il Signore ha fatto nascere una nuova Famiglia religiosa (fam-eam) non ha “clonato” un Istituto religioso esistente, ma ha fatto qualche cosa di nuovo.
  1. Madre Speranza vedeva noi, suoi figli, religiosi come tutti gli altri religiosi, sotto un certo aspetto giuridico; ma una realtà totalmente diversa per il nostro modo di vivere il rapporto con gli altri.
  1. Non significa che saremo più bravi ed efficienti degli altri religiosi, ma semplicemente dei religiosi con un compito speciale, che non potranno fare le grandi opere che altri Istituti fanno da secoli, ma che saranno veri religiosi solo in misura di quanto avranno fatto e vissuto quello per cui sono stati fondati. (Carabinieri del nas, del ris: non sono più bravi degli altri e non fanno più cose degli altri, ma devono saper fare certe cose).
  1. Nel febbraio del 1955 così scriveva:
    Lo stato religioso è una forma di vita in comunità. In esso le anime chiamate ad una maggiore perfezione, oltre i precetti della Santa Chiesa nostra Madre, s’impegnano a praticare per sempre i consigli evangelici mediante l’osservanza dei voti di obbedienza, castità e povertà. Questo è lo stato religioso.
    Ma il nostro stato di Figli e Ancelle dell’Amore Misericordioso
    • deve essere stato di olocausto offerto a Dio e alla sua gloria.
    • Dobbiamo essere fedeli imitatori del buon Gesù, il quale, per amore dell’uomo miserabile, non badò ad alcuna sofferenza fino a morire nudo su una croce.
    • Dobbiamo sforzarci di copiare e far risplendere in noi l’esempio del nostro divino Maestro,
    • esempio di amore al prossimo
    • esempio di amore alla carità,
    • esempio di amore all’abnegazione
    • esempio di amore al sacrificio. (El Pan 15,8)

Carità che vuol dire comprensione, premura, essere capaci di perdonare, essere capaci di vedere negli altri più il bene che potrebbero fare se aiutati che il male che hanno fatto. L’occhio di Dio è fatto così e grida: perché cerchi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo?

Il Vangelo incide alcune immagini: l’occhio, l’albero.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello.
Perché guardi, perché osservi, perché ti perdi a cercare pagliuzze, e guardi l’ombra anziché la luce di quell’occhio?
Da dove viene questo gusto maligno di scovare e declamare i difetti altrui, di godere delle debolezze dell’altro?
Questo non è lo sguardo di Dio e si isterilisce nella ricerca di linee d’ombra invece che di frutti buoni.
Gesù invece sapeva guardare:
egli intuisce in Simone la roccia,
in Nicodemo intuisce il coraggioso;
perdona la donna adultera perché in lei vede il bene possibile domani e questo conta più del male presente ora.
Perché non ti accorgi, mi domanda il Signore, della trave che è nel tuo occhio?
Nel giudizio (Mt 25) il dramma non sono le mani sporche, ma le mani vuote, una vita sterile. A partire da me, ma non per me.
Il frutto buono è sempre per l’altro: l’albero non produce per sé, è al servizio della creazione. Se un albero producesse solo ciò che serve alla sua sopravvivenza, basterebbe un seme solo, una sola volta. Invece ad ogni estate c’è uno scialo, un eccesso, uno spreco di frutti, per gli uccelli del cielo, per gli insetti della terra, per i figli dell’uomo. Legge del cosmo non è la grettezza della sopravvivenza. Legge di vita è solo fecondità, per altri. (Commento a Lc 6,39-45)

  1. Una vita data tutta per gli altri. La intuizione della Madre fa eco a un bel pensiero di San Basilio Magno: “La terra produce frutti però non può goderseli e li produce a tuo beneficio”. Una pianta di mele produce frutti non per la sua sopravvivenza, ma per donarli e metterli a disposizione tua; per la sua sopravvivenza basterebbe produrre un solo seme.
  1. Creato dal fango ... e Dives in misericordia n. 14
    Dives in misericordia n. 14: “Esso consiste nella costante scoperta e nella perseverante attuazione dell’amore come forza unificante ed insieme elevante, nonostante tutte le difficoltà di natura psicologica e sociale; si tratta infatti di un amore misericordioso che, per sua essenza, è amore creatore”.
    Riflettendo su esencia inteligible e esencia real (cfr. El pan 8), si ha la meravigliosa scoperta che nel momento che l’uomo vive nella misericordia un qualunque danno o torto ricevuto, Dio gli concede di poter tirare fuori dal fango di una cattiveria un bene maggiore, perché Dio permette il male solo perché da questo ne può ricavare un bene.
    Genesi cap. 2, 4-7: Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata - perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo -; allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
    Dio crea l’uomo plasmandolo dal fango. Il fango è qualche cosa di scomodo, di sporco, che rende brutta una cosa o una persona; da questa miseria Dio ha creato l’uomo fatto a Sua immagine.
    Un potere simile Dio lo da a qualunque uomo sulla terra quando permette il male solo per poterne ricavare un bene. Il male fisico e il male morale: la malattia e la ingiustizia, la denigrazione, lo sfruttamento, la incomprensione, l’isolamento, la corruzione, la invidia.
    Nel momento che un uomo, un figlio di Dio, riceve un danno dal terremoto o dalla cattiveria del vicino di casa, da una malattia inguaribile o dalla incomprensione del vicino di casa.
    Non esiste cosa esterna al cuore dell’uomo che possa nuocergli o fargli del male: solo ciò che esce dal cuore dell’uomo, inquina l’uomo, ripete Gesù (Mt 15, 18-20): Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l’uomo. Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l’uomo.
    “Per quelli che credono, tutte le cose cooperano al bene” - Paolo nella Lettera ai Romani (Rom 8, 28): Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno). Credere in Dio e credere nel Suo amore misericordioso significa commuoversi continuamente per la certezza che questo Dio cerca con tutti i mezzi di far felice l’uomo, come se Lui non potesse essere felice senza d loro.
    Guarire uno storpio o rimettere i peccati, o cambiare a Cana l’acqua in vino, o risuscitare il figlio della vedova di Naim, o trasformare il pane nel Corpo e Sangue di Cristo, non è più facile che creare qualche cosa di buono e di meraviglioso dal fango di un terremoto, di un cancro, di una leucemia, di una ingiustizia, di una violenza imposta a un innocente, di una invidia o gelosia che corrode il cuore. Ma forse è più facile credere nel mistero dell’Eucaristia, nel mistero della santissima Trinità, nella immacolata concezione di Maria santissima o nella comunione dei Santi. Questi Misteri ci fanno meno difficoltà solo perché - in ultima analisi - non impegnano molto la nostra vita concreta di tutti i giorni.
  1. In una Circolare del 10.10.1940 la Madre spiega che cosa comporti vivere questa vocazione e che cosa deve cambiare nei nostri rapporti con gli altri.
    “Mi dà molto conforto vedere nelle lettere di quasi tutte voi le buone disposizioni nelle quali vi trovate, ossia vi vedo disposte a farvi sante e ad aiutare i vostri fratelli esercitando verso di essi una carità senza limiti, fosse anche a costo dei più grandi sacrifici e che per questo fate affidamento sulla grazia e l’aiuto del buon Gesù. Io mi congratulo con voi e sono felice di avere delle figlie che vivano con ardore simili buoni desideri e che siano di uno stampo così eroico.
    Comunque non so se proprio tutte vi siete rese conto fino in fondo della importanza e del lavoro che presuppone una impresa simile a quella che - mi dite - avete incominciato e cioè quella di volervi santificare per mezzo di una carità senza limiti e senza altre ricerche di nessun genere.
    Questa magnifico lavoro presuppone un lavoro improbo e - molte volte - scoraggiante.
    State attente:
  • non vi illudete pensando che quelli che ne avranno beneficio da questo vostro impegno possano saper apprezzare questo vostro lavoro o che vi possano essere riconoscenti;
  • macché, al contrario, essi si riterranno di aver diritto a tutto quello che voi potreste loro offrire e saranno convinti di aver diritto ancora a molto di più;
  • da questo ne verrà che - invece di trovare in loro parole di gratitudine - potrete trovare in essi rimproveri, fastidio e forse anche odio o peggio ancora;
  • i nostri tempi sono portatori di molte sofferenze (calamitosos).

La cosa più difficile in questa impresa che avete cominciato, a mio parere, consiste nel saper resistere a se stessi; poiché un camminare sempre contro corrente è cosa tremenda e saranno tanto poche le volte che potrete concedere ai vostri gusti quello che per natura desiderate; vi vedrete il più delle volte nella necessità di doverci rinunciare.
Per cui fate tanta attenzione, in ogni momento, a scegliere di voler dare a Gesù qualunque cosa Lui vi chieda, senza dimenticare che Gesù va in cerca di anime pronte al sacrificio.
E’ cosa dura per la nostra natura anche il dover sopportare tutte le occasioni che dobbiamo cercare per conseguire di essere umili:

  • far tacere il nostro amor proprio e il nostro io,
  • far tacere il desiderio di star bene,
  • far tacere il desiderio delle cose comode,
  • far tacere il desiderio di apparire,
  • far tacere il desiderio che gli altri pensino bene di noi,
  • che ci vogliano bene,
  • che ci abbiano tutti i riguardi dovuti.

Vincere e superare tutti questi ostacoli può diventare un lavoro difficilissimo se nel nostro cuore non arde un sincero amore per Gesù; quando, invece, nel nostro cuore è molto vivo il fuoco dell’amore a Gesù, tutto diventa più facile, più leggero e più soave”.(El pan cart 10.10.1940)

  1. La trasformazione della vita è il criterio che identifica la vera orazione e la vita si trasforma solo nella orazione.

A. Come discernere e valutare una orazione? La mia orazione è autentica, o solo fantasia, o solo sentimento, o solo emotività, o solo fedeltà esterna?

B. Il criterio che manifesta quanto sia valida ed efficace la orazione è dato dalla constatazione della trasformazione che di fatto opera nella vita di chi prega. “Figlie mie, devo dirvi che senza la carità verso il prossimo non c’è neanche l’ombra della santità e della perfezione. La santità nella sua essenza consiste nell’amare Gesù ma questo amore ha come sua parte sostanziale tutto ciò che si riferisce ai nostri simili. Da qui si deduce che, per sapere se veramente amiamo Dio, non c’è da fare altra cosa che esaminare la nostra carità e vedere se in realtà questa è viva nel nostro cuore: quanto sappiamo amare gli altri, tanto amiamo Dio. (EL PAN 2, 60).

C. Questo è l’unico criterio; le forme di preghiera possono essere tante e tutte possono essere identicamente buone.

D. Le diverse forme di orazione sono valide solo se aiutano a crescere nell’amore a Dio e nell’amore al prossimo. “Come potremo dire di amare Gesù se non ci impegniamo con ogni sforzo a fare in modo che questo amore nasca anche in tutti quelli che incontriamo?” (EL PAN 5,20).

E. Le opere di per sé manifestano e rivelano la nostra natura, le nostre tendenze, i nostri gusti, il nostro egoismo; se MODELLATE da Dio nella orazione, esprimono Dio.

F. Nella densità e intensità di una vita interiore si rivela la profondità e la verità della orazione. Se non c’è “cambio di vita”, la orazione è solo formalità, è solo apparenza, è solo sensibilità. “Non vorrei che tra di voi ci fosse qualcuna che, trascurando la carità, pretendesse fissare la sua santità nell’andare a testa bassa, con il volto compunto o sospirando a voce alta per l’Amato, e che poi non fosse capace di accettare che una consorella l’abbia contraddetta nella più piccola cosa o che le abbia detto di fare più in fretta il proprio lavoro o di impegnarsi seriamente per i poveri” (CIRC. 12.12.1934).

G. Uno degli aspetti della vita che può darci una misura della nostra unione con Dio è: amore al prossimo. “Il frutto che dobbiamo ricavare dalla orazione è quello di infiammare il nostro cuore nel fuoco dell’amore a Dio e al prossimo” (COST. cap.1, c.VIII). L’ardore della carità misericordiosa verso la quale ci orienta la orazione si evidenzia in una capacità di:

H. L’accento della orazione autentica non cade sulle forme, sui metodi, sulle classificazioni, ecc. della orazione, ma nella vita. Non ha importanza il “come si prega” o “con quali mezzi si prega”. Ciò che conta è la vita, ciò che la orazione cambia nella vita.

I. Prima conclusione. La orazione-unione delinea la vita di una persona: si è come si prega. L’orazione fa la persona, la cambia, la modella , la costruisce.

J. Seconda conclusione. Non c’è una vita ricca, senza una orazione ricca. Una vita ricca è una orazione ricca, intendendola anche qui come forma di essere e di vivere, non come prassi e esercizio della medesima. E’ impensabile una vita di amore senza un incontro totalitario con l’Amore e questo è orazione.

K. Quando era, oltre che Fondatrice, anche Madre generale, in una qualunque riunione del Consiglio generale avrebbe potuto presentare le sue scelte e le sue decisioni alle altre Madri del Consiglio, che erano tutte sue Figlie, che Essa stessa aveva cresciuto e formato alla vita religiosa e sulle quali poteva vantare tanta maggiore esperienza. Quante volte ha rinunciato volentieri al suo parere, pur di salvare la comunione del Consiglio e perché le decisioni fossero espressione di comunione. Il 4 settembre 1942, non potendo partecipare a una di queste riunioni, così scrive alla Vicaria generale: “Ti supplico e con te supplico tutte quelle del Consiglio generale che non vogliate tenere in conto quanto in passato io ho detto in favore di alcune figlie. In un momento di tanta responsabilità per voi e di tanta trascendenza per la nostra amata Congregazione comportatevi ognuna secondo coscienza e con lo sguardo fisso in Gesù: Lui vi darà luce e consiglio ”. (El pan 19 cart 1344-1345).

L. In un’altra lettera dell’8 maggio 1942 scrive ancora: “E’ evidente, figlia mia, che anche voi potrete avere i vostri disgusti e le vostre divergenze, perché è molto difficile che tutte e tre possiate vedere le cose nello stesso modo, ma se sarete umili e piene di carità, sarete capaci di soffrire in silenzio qualche cosa, senza trasmettere a nessuno eventuali discordanze e risentimenti e, soprattutto, impegnate e preoccupate che le figlie non si debbano rendere conto della vostra poca unione, per la quale ho una sofferenza tanto grande. Non resteresti così ferita ma addirittura arriveresti a provarne allegria, solo che tu fossi un poco più umile di fronte a un avviso o a un parere diverso …. Ricordati, figlia mia: tutti i giudizi e i pareri che diamo nel valutare le cose quando siamo sotto la spinta delle nostre passioni non sono altro che ombre e tenebre.”. (El pan 19 cart 1367-1274).

M. Correzione fraterna. La correzione fraterna è un obbligo che si fonda sul Vangelo, ma deve essere fatta anche secondo il vangelo; significa che ogni volta che io vedo l’errore di un fratello non posso restare indifferente (parabola del buon samaritano) e devo sentirmi obbligato a fare qualche cosa per aiutare. L’aiuto non può essere quello di “dire” con le parole al fratello l’errore che ha fatto; questo non lo fa neanche Dio che “dissimula” la mancanza dell’uomo e fa finta di non vedere. Solo in qualche caso particolare, trovato il momento adatto e la parola adatta, posso trovare a dire qualche cosa anche con la parola, se il fratello è in condizione di ascoltare; diversamente peggioro la situazione. Ma sempre, sempre che vedo l’errore del fratello deve fare qualche cosa per aiutarlo: con il mio buon esempio, con l’evitargli possibili occasioni di ricadute, sempre con la preghiera, sempre offrendo qualche sacrificio per ottenere maggiori aiuti. (La Madre aveva conosciuto il cattivo comportamento di un sacerdote, i suoi sacrilegi, i suoi cattivi esempi; non gli ha detto niente, ha pregato per lui sette anni e ha offerto se stessa come vittima; dopo sette anni lo incontra per caso, gli si fa incontro festosa e gli dice: Figlio, sono sette anni che prego per te!).

N. Ancora in un’altra lettera del 7 settembre 1945 scrive a una sua comunità nella quale non regnava la pace, solo per il carattere così diverso e forte delle singole persone:
“Amate figlie: Non vi posso nascondere la pena che mi produce vedere

Per questo, figlie mie,

E allora vi supplico una volta ancora che vogliate

Solo allora sarete capaci di soffrire e lavorare con pace e allegria,

Devo dirvi che per me sarebbe una allegria grande potervi vedere e abbracciare, ma devo dirvi che

Ho fatto il proposito di non ricevere e ascoltare nessuna di voi fino a quando non vi comportiate come vere Ancelle, poiché tutte siete in questo responsabili. Per questo quella di voi che è venuta torna alla vostra casa senza che abbia potuto dirmi una parola.

Ricordatevi, figlie mie, che

Ricevete tutte un forte abbraccio da questa vostra Madre che molto vi ama e che non vi dimentica un momento. (El pan 19 cart 1633-1635)

  1. Il progetto e la proposta di Dio

“Dimmi un po’: Quanto pesa un fiocco di neve? ” domandò la cinciallegra alla colomba.
“Niente di niente!” fu la risposta Allora la cinciallegra le raccontò una storia.
“Mi trovavo sul ramo di un pino, quando cominciò a nevicare. Non proprio una tempesta, ma dolcemente, senza violenza. Come un sogno. Dato che non avevo niente di meglio da fare, cominciai a contare i fiocchi di neve che cadevano sul ramo su cui mi trovavo. Ne caddero 3.751.952. Quando il 3.751.953esimo cadde sul ramo, un niente di niente - come hai detto - il ramo si spezzò.
La colomba, un’autorità in materia di pace dal tempo di un certo Mosè,
pensò un momento e concluse tra sé: “Ecco, forse non manca più che una sola persona perché tutto si capovolga e il mondo viva in pace”.

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ultimo aggionamento 15 marzo, 2003