STUDI

 

P. Sante Pessot fam 

 

Il perdono e il suo valore educativo

Estratto dalla Tesi di Laurea presso la UNIVERSITA’ PONTIFICIA SALESIANA

Facoltà di Teologia - Dipartimento di Pastorale Giovanile e Catechetica

Roma 2002

 

(seguito)

Dopo aver dato la definizione del perdono e gli elementi costitutivi di esso, l’elaborato procede in una lunga riflessione riguardante l’evoluzione del modo di intendere e di vivere il perdono, lungo l’arco della vita umana. Si mette in luce, per esempio, la diversità del modo di perdonare di un bambino rispetto ad un adulto, di un pre-adolescente rispetto a un adolescente. Successivamente vengono analizzati alcuni modelli psicologici, che cercano di ritrarre la natura processuale del perdono: evidenziando le determinanti che concorrono nel processo stesso.
In questa sede, proponiamo una sintesi di tutta questa riflessione, che dia al lettore gli elementi per affrontare le parti successive dell’elaborato che riprende a pag. 11:

A partire dai primi anni Novanta, cominciano a essere condotte delle ricerche in campo clinico che, contrariamente ai sondaggi d’opinione e agli studi di casi singoli, si fissavano sull’analisi del perdono. Studi condotti su soggetti che denotano difficoltà nel perdonare eventi specifici, (per esempio, uomini le cui compagne hanno deciso di abortire, genitori di adolescenti che si sono suicidati, ragazzi che avvertono di non essere amati dai propri genitori ...) dimostrano che i protocolli finalizzati a incoraggiare la concessione del perdono sono, per tali soggetti, efficaci e salutari(1). Anche a mesi di distanza dalla conclusione del trattamento, coloro che sono stati sottoposti a un intervento focalizzato sul perdono tendono, infatti, non solo a perdonare se stessi e gli altri più di quanto non facessero in precedenza, ma parallelamente manifestano una riduzione dei disturbi psichici (depressione, ansietà, rabbia, bassa autostima) originariamente connessi all’assenza di perdono. Poiché questi miglioramenti non risultano, tuttavia, differire in modo significativo, da quelli esibiti dai soggetti che non hanno ricevuto un trattamento specifico, sembra che i progressi osservati in coloro che hanno preso parte a interventi centrati sul perdono non possano in realtà essere ascritti ai peculiari contenuti di tali interventi.
Un interesse che appare in forte crescita nel panorama dell’ultimo decennio è quello relativo alle determinanti psico-sociali sul perdono(2). Tra i modelli che analizzano tali determinanti ricordiamo quello di McCullough. Esso è stato recentemente elaborato allo scopo di schematizzare ciò che, su un piano psicosociale, determina e raggiunge il perdono concesso, all’interno di relazioni intime. Il modello si fonda, non solo su alcune evidenze che la ricerca psico-sociale degli anni Ottanta e Novanta è andata producendo, in tema di perdono, ma anche su un vasto corpo di studi teorici ed empirici sviluppatosi, nel corso dell’ultimo ventennio.
Il modello prevede che il perdono venga accordato all’interno di quattro classi di fattori psico-sociali:

Gli autori del modello, in base alle ricerche empiriche svolte, cercarono di mettere in relazione i vari fattori, che incidevano nel perdono, evidenziandone la maggiore o minore influenza nel processo. Il modello prevede che le determinanti socio-cognitive e, in misura minore, quelle legate all’atto offensivo, esercitano sul perdono un’influenza diretta e immediata, mentre quelle relazionali e quelle connesse a disposizioni stabili agiscono in modo prevalentemente indiretto.
L’empatia può essere considerata una delle più importanti componenti prossimali alla capacità di perdonare gli altri. Inoltre che la vicinanza tra la due persone prima dell’evento offensivo, le scuse che l’offensore dà alla persona offesa e l’empatia sono strettamente correlate nel perdono. Due meccanismi sono, a detta degli autori, parzialmente responsabili del motivo per cui le persone sono più favorite a perdonare in relazioni che prima dell’evento erano molto strette, impegnate e soddisfacenti: primo l’offensore è più disponibile a chiedere scusa per la sua azione, secondo la vittima è più disposta a essere empatica con il suo offensore.
Oltre a definire i fattori che condizionano il perdono e il tipo di impatto, diretto o indiretto, che esercitano su di esso, il modello psico-sociale di McCullough si preoccupa anche di specificare quali effetti la concessione o la negazione del perdono abbia sul rapporto vittima e offensore. Il perdono viene considerato indice della volontà della vittima di salvaguardare il proprio rapporto con chi l’ha offesa, il modello suppone che, nella misura in cui venga concesso, esso contribuisca a restaurare una maggiore vicinanza emotiva e scambi interattivi di valenza più positiva tra i due.
La ricerca condotta, di cui abbiamo portato una parziale sintesi, ci porta ad alcune conclusioni.
In generale, possiamo dire che il perdono è un atto psico-sociale complesso di cui cominciamo a conoscere sia le principali determinanti a livello cognitivo, affettivo e relazionale, sia anche gli aspetti processuali che lo caratterizzano. Spesso è l’unica possibilità per ricostruire un rapporto distrutto. Probabilmente l’elemento forza del perdono è la sua capacità trasformativa: il perdono trasforma, dà un nuovo legame alle persone coinvolte, in cui si trasforma l’immagine di chi ha perdonato e di chi perdona.
Il perdono si trasmette e si acquisisce, infatti, secondo modalità circolari, a partire dalle esperienze di perdono vissute. È dalla consapevolezza di essere stati a propria volta oggetto di clemenza e di perdono, per i propri torti, che nasce il proposito e la capacità di trattare con uguale indulgenza chi ci ha offeso. Sembra quindi che si possa parlare di una circolarità che ha due fuochi: se stessi e gli altri. Sembra che per perdonare gli altri sia indispensabile fare prima un lavoro su se stessi, perdonare se stessi, o meglio essere consapevoli di essere stati oggetto di perdono. Solo da questo punto, nasce il perdono dell’altro che mi ha offeso. La letteratura a questo riguardo risulta, invece, poco coerente e spesso ha seguito una prospettiva che separa nettamente il responsabile di un’offesa da chi la subisce.
A fronte dei risultati e delle riflessioni teoriche presentati, emergono altresì evidenti lacune e ambiti ancora inesplorati: sappiamo poco delle determinanti sociali e culturali che presiedono al perdono o che, in ogni caso, influenzano la sua possibilità. L’attenzione riservata alle dinamiche interpersonali ha, di fatto, precluso lo sguardo dalla comprensione del contesto sociale e culturale nel quale il perdono si attua. Sappiamo anche poco del perdono che si verifica all’interno delle famiglie, che non hanno particolari problemi o che, in ogni caso, non sono segnate nella loro storia da sofferenze specifiche. Ciò che conosciamo del perdono deriva in gran parte dallo studio di famiglie problematiche o di individui, per lo più appartenenti a una specifica fascia di età e di collocazione culturale, come gli studenti universitari.
Il perdono che si verifica all’interno delle relazioni coniugali o nel rapporto tra genitori e figli è finora stato indagato in maniera estremamente marginale.
Forse si chiede un approccio diverso al concetto di perdono. Abbiamo visto che esso è quasi sempre stato considerato in rapporto a un’offesa manifesta particolarmente evidente. C’è da chiedersi, tuttavia, se nella vita di una famiglia sia questa, in realtà, la strada più adeguata per indagare il perdono: l’offesa percepita non sempre è riconducibile a un evento puntuale “clamoroso”, ma spesso è, invece, l’esito finale di una serie di atti e atteggiamenti non necessariamente gravi, di cui magari non sempre la persona è consapevole, atti e atteggiamenti che a un certo punto finiscono per assumere connotati di gravità e di intollerabilità. In quest’ottica il perdono non è solo una reazione riparatoria a un’offesa subita, ma anche un passaggio critico che accompagna la relazione profonda con l’altro familiare. Salvo evidenti e peraltro non così frequenti episodi di offesa manifesta, il perdono accordato nelle situazioni familiari non ha caratteristiche eclatanti: esso si esprime più concretamente nella capacità di rilanciare il rapporto e la relazione con l’altro, al di là dell’immagine che di lui si è costruita nel corso del tempo.

 

Capitolo II:
La novità radicale del perdono nella persona di Cristo

2. Il perdono nella Sacra Scrittura

 

2.1 Il perdono nell’Antico Testamento

Già il Dio dell’Antico Testamento è essenzialmente un Dio che perdona. L’uomo cade continuamente nel peccato, calpesta i comandamenti di Dio e si perde nelle sue passioni. Il termine greco corrispondente a “peccare”, hamartanein, significa in realtà “mancare l’obiettivo”. Chi pecca non solo manca l’obiettivo, che Dio gli ha assegnato, ma manca anche se stesso. Si estrania da se stesso. Con le proprie forze non riesce a uscire dalla situazione di colpa-estraniamento, che si è creato da solo, così proietta la colpa su altri, oppure si tormenta autoaccusandosi. Ha bisogno del perdono di Dio per liberarsi di nuovo dalla colpa, che lo paralizza e lo blocca, per superare l’allontanamento da se stesso e dal suo essere originario e poter rientrare in contatto con se stesso e con il fondamento, che lo sorregge. Il perdono significa che Dio toglie l’ostacolo, che separa Dio dall’umanità(3).
In tedesco per diverse espressioni ebraiche si usano i due verbi vegeben e verzeihen. Il termine vergeben può essere interpretato in due modi diversi. In primo luogo significa “dare via, condonare”, ma anche “distribuire, donare, dividere non correttamente, dare in modo sbagliato”. Dietro il verbo vergeben si cela l’idea secondo la quale si perdona all’altro qualcosa che ci si dovrebbe in realtà aspettare da lui. Il verbo verzeihen deriva da zeihen, che significa “accusare, incolpare, denunciare”. Quindi verzeihen significa “non tenere conto di un debito, rinunciare a un diritto”. Pertanto la lingua tedesca ha tratto dalla Bibbia due aspetti importanti: innanzitutto la dimensione del perdono, come regalo gratuito. Nel perdono Dio ci regala la sua attenzione, colma di misericordia e di amore, che noi, in realtà, avevamo perso, in seguito al nostro allontanamento. E poi c’è l’aspetto della colpa, di cui non si tiene conto, che non viene considerata, ma condonata(4).
Nell’Antico Testamento il perdono ha, quindi, una dimensione orizzontale, sociale e una dimensione verticale. Sospende il risentimento e l’ostilità, libera la parte offesa e ricostruisce una relazione possibile. Il perdono divino toglie le offese, che separano l’umanità da Dio e rinnova la relazione con Lui (Sal 51,10-12).
Gli scrittori dell’Antico Testamento parlano del perdono usando metafore: il perdono è inteso come nascondere un’offesa, coprirla (Sal 32,1). In effetti i salmi usano le parole ebraiche ksh e kpr. La prima può essere tradotta con il termine coprire, la seconda probabilmente rende l’idea di un coprire, che rende l’oggetto coperto impermeabile, come del catrame che copre la carlinga di una nave e la rende impermeabile all’acqua(5). Ciò viene a significare, per estensione, il concetto di espiazione, attraverso la quale il Signore tiene lontano il peccato di una persona e non lo imputa più (Lv 16,30).
Il peccato però chiede di essere allontanato del trasgressore. I termini alzare, sollevare presenti più di sei mila volte, per azioni fisiche come “alzare la mano” o “la testa”, o slh cioè “allontanare”, e anche per estensione, “perdonare” (Es 34,9; Lv 4,20-26; Sal 86,5; 103,3), esprimono questa sfumatura. Tutti questi termini si riferiscono alla rimozione dei peccati (Gn 50,17; Is 2,9; Os 1,6).
Infine come il peccato può essere nascosto o allontanato, può essere anche cancellato, pulito. I verbi ebraici mhh e thr, quest’ultimo usato con una accezione più cerimoniale e cultica, indicano che il Signore può cancellare tutte le colpe (Is 43,25; 44,22; Lv 11,32; 13,6, 16,30)(6).

 

2.1.1 Una disperata necessità di essere perdonati

Aver messo in luce il concetto di perdono e le immagini metaforiche usate per descriverlo, ha rivelato l’importanza di comprendere il concetto di peccato nell’Antico Testamento e per conseguenza la disperata necessità del perdono. Il peccato, la colpa emerge quando l’uomo si rende conto che, con i suoi atti, ha sfidato la sua origine. Come il perdono, una notevole varietà di termini sono usati per definire la colpa: tutti però girano attorno al concetto che la colpa è un’azione contraria alla divina volontà. Durante la storia del popolo di Israele il concetto di peccato passa, da un atto conscio e responsabile, alla vita interiore, dove non è facilmente sradicabile(7).
La storia della caduta nel peccato di Adamo ed Eva in Gn 3, riecheggiata in Ez 28,12-19, disegna la prima alienazione da Dio e dalla sua volontà. Da quel momento in avanti l’Antico Testamento sottolinea che tutte le persone dimostrano una solidarietà nel peccato (Ger 10.23; 13,23; Sal 130,3;143,2; Pr 20,9). L’uomo biblico, poi, è una persona che ha delle relazioni con la sua comunità, tali relazioni sono talmente forti che il peccato di uno può ricadere su tutta la comunità, si tratta di una sorta di “psychic community (8).
Il peccato quindi ha due effetti: rendere tutta l’umanità colpevole davanti a Dio, infatti esso crea una barriera tra Dio e l’uomo, in secondo luogo il peccato chiede una sorta di punizione o di conseguenza, come via per ristabilire l’equilibrio rotto dal peccato stesso. Nell’Antico Testamento si raggiunge questa armonia con la legge del taglione, una sorta di corrispondenza interna tra l’offesa e le sue conseguenze. La pena corrisponde alla serietà dell’offesa e riflette, anche qui, una inesorabile solidarietà tra l’individuo, la famiglia e la comunità. Il danno e le sue conseguenze formano le parti di uno stesso tutto (Pr 26,24-28).
Solo Dio, al di sopra di tutto e quindi del peccato, incapace di indurire il proprio cuore (Lv 20,7; Dt 7,6), è l’unico capace di ricreare le condizioni per una vita armonica. Lontano da Lui, l’umanità non può sperimentare pace e pienezza di senso. Il peccato dell’uomo lo ha tolto dalla sorgente della vita, dalla sua origine, solo il perdono di Dio lo può reintrodurre in tale sorgente della vita. Il perdono è un atto libero di Dio(9).
Nei salmi la storia di Israele viene descritta come una storia di permanente distacco e infedeltà. Non appena Dio ha provveduto al popolo nel deserto, quest’ultimo si ribella come un bambino testardo, che vuole ancora di più e si allontana da Dio. Mosè riconosce che il popolo è caparbio e testardo, tuttavia continua a rivolgere fiducioso la sua preghiera a Dio, che gli si è rivelato come il Dio che perdona: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato” (Es 34,6-7).

 

2.1.2 Il processo del perdono nell’Antico Testamento

Colui che si sente colpevole formula una richiesta di perdono, questo è il primo passaggio fondamentale nel processo del perdono. La richiesta è di tipo verbale, ma in genere è accompagnata da una sorta di gestualità. La richiesta verbale si presenta articolata in due parti: la dichiarazione della propria colpa, espressa all’indicativo e l’esplicita richiesta del perdono, espressa generalmente all’imperativo (1Sam 25,24-25; Es 10,16-17; 2Sam 24,10; 2Sam 19,20-21; Sal 41,5; Sal 51,3-4.5-6). Tra confessione della supplica e richiesta di perdono all’imperativo vi è una connessione logica.
Colui che domanda il perdono all’imperativo, emette un ordine, il cui fondamento risiede nell’accusatore stesso. Può sembrare paradossale ma non lo è: proprio perché nella dichiarazione della colpa si rivela la profonda giustizia dell’accusatore, si fa appello alla stessa giustizia nell’ordinare il perdono. Poiché tu accusatore sei giusto, non puoi non concedere il perdono. Nessuno mette in discussione che l’accusa sia giusta, ma la supplica per il perdono rivela: se l’accusatore sia mosso da odio nella sua rivendicazione e se la giustizia sia puramente esterna, senza desiderio di relazione e di vita con l’altro(10).
Vediamo qui come la richiesta del perdono metta in luce le reali motivazioni di chi perdona e la necessità di tre elementi perché sia concesso il perdono: l’accusa, la confessione e la richiesta del perdono. Infatti se l’offeso perdonasse senza accusare, assomiglierebbe a colui che è connivente con il male, se perdonasse senza confessione della colpa, promuoverebbe una relazione senza coscienza della verità; se perdonasse senza richiesta, la comunione sarebbe imperfetta, perché non voluta da entrambe le parti(11) .
La richiesta di perdono è poi accompagnata da tutta una serie di richieste gestuali: la prostrazione, (1Sam 25,23; 2Sam 19,19; Gn 44,14; Dt 9,25; Es 34,8; Nm 22,31; Es 9,5) il pianto (Dt 1,45; 1Sam 24,17; Is 30,19; Ger 14,17); il digiuno (1Sam 31,13; 2Sam 1,12ss); il vestito (2Re 19,1s; Ger 4,8; 36,24); la polvere e la cenere (Ger 3,19; Is 26,19; Sal 7,6; 22,16; 103,14ss).
La richiesta di perdono si fonda su alcune motivazioni. Chi supplica fa intervenire il ricordo della storia passata intercorsa tra i due, che ora si trovano in lite: in riferimento al partner innocente, ciò dimostra che è caratteristico del suo essere il volere la relazione e l’impegnarsi, senza cedimenti, perché essa sussista. Quanto al partner colpevole, narrando la storia della alleanza, dice all’altro giusto, che appartiene alla sua struttura essere fedele a quanto egli stesso ha incominciato. Volgendo poi lo sguardo al futuro, il colpevole prospetta, a causa del perdono accordato, il riconoscimento, a chi perdona, della natura di giusto. Sostanzialmente il perdono fa uscire entrambi da una condizione di morte.
Finalmente, a questa motivata richiesta, risponde colui che è portatore di accusa e di sanzione, facendo intervenire l’atto del perdono, che sospende insieme tutte le manifestazioni punitive in corso.
Come abbiamo visto in precedenza il perdono viene espresso con varie immagini e metafore, ad esse si aggiunga anche il perdono inteso come cessazione della collera di colui che accusa, spesso l’imperativo: “recedi dalla tua collera”, equivale a “perdona”, così come la cessazione della collera corrisponde in modo sinonimico al perdono accordato (Mic 7,18; Sal 85,3s; Os 14,5; Sal 78,38; Is 64,8; Dt 29,19). Tutte queste modalità per esprimere il perdono entrano nel concetto di “misericordia”(12). Clemenza, indulgenza, pietà, misericordia, e così via, sono la rivelazione dell’amore di colui che ha a che fare con il colpevole(13).
In questa ultima parte del paragrafo intendiamo segnalare la modalità con cui si conclude la controversia nell’Antico Testamento. Non è certamente possibile che essa si concluda, senza che sia posto in modo più o meno chiaro un segno di accordo, che impegni entrambi i litiganti. È vero che la controversia era suscitata dalla sola accusa, ma per terminare, si richiede che si giunga ad una qualche intesa comune, così che nessuno abbia più da dire o ridire(14). Le modalità più evidenti, per esprimere il fine di una controversia sono tre: l’accordo, la pace e l’alleanza. L’accordo esprime il rifiuto dell’accusa, da parte della persona offesa, che si ritiene soddisfatta della risposta del colpevole. La pace invece indica la fine dell’ostilità, il ritornare pacificamente. Ci sembra opportuno sottolineare come, per la Bibbia, sia importante la relazione tra giustizia e pace: la pace avviene solo con il ristabilimento di relazioni giuste(Cfr.: Es 18,23; Is 9,5-6; 26,2-3.12; 32,17-18; 48,18; 59,7-8; 60,17; Sal 72,7; 85,11; 122,7-8; ecc.). Il concetto di pace è però tutto sommato, assai generico: esso infatti può semplicemente indicare la fine delle ostilità, senza che sia richiesta una precisa forma di relazione e di amicizia. Tale nuova forma di relazione viene espressa nel concetto di alleanza: quando la controversia finisce, i soggetti devono essere in relazione tra loro, per mezzo di una qualche struttura, che regoli i loro diritti e doveri reciproci; ora quando la controversia finisce, è questo vincolo di relazione che viene precisato, rinsaldato o rinnovato (Gn 21,27; Es 34,10; 1Re 20,34; Ne 10,1ss).

(continua)


1 Per esempio: ENRIGHT R.D. – COYLE C.T., Forgiveness intervention with postabotion men, in “Journal of Consulting and Clinical Psychology” 65 (1997), pp.1042-1046; AL-MABUK R.H. DOWNS W.R., Forgiveness therapy with parents of adolescent suicide victims, in “Journal of Family Psychotherapy” 7 (1997), pp.21-39.

2Cfr.: PALEARI, Il perdono…, 209-211; CAVALIERE, Perdonare, 83-89.

3 Cfr.: HUBAUT, Saper…,.55-58.

4 GRUN, L’arte…, 9-10.

5 HARRIS R.L. – ARCHER G.L. – WALTKE B.K., Theological wordbook of the Old Testament, 2 vol., Chicago, Moody, 1980.

6 Cfr.: GLADSON J.A., Higher than the heavens: Forgiveness in the Old Testament, in “Journal of Psychology and Christianity” 11 (1992), pp. 125-126.

7 Cfr.: Peccato in LEON DUFOUR X., Dizionario di teologia biblica , Torino, Marietti, 1980, col. 880-885.

8 Cfr.: PEDERSEN P., Israel: its life and culture, London, Oxford University, 1926, p.294.

9 Cfr.: GLADSON, Higher…, 127-128.

10 La scrittura, come e stato detto sopra, comprende l’atto del perdono come atto di amore. Si può quindi ragionevolmente pensare che il rifiuto del perdono, quando tutte le necessarie condizioni fossero presenti, costituisca il segno di un animo posseduto dall’odio cioè desideroso della morte dell’altro.

11 BOVATI P., Ristabilire la giustizia, Roma, Editrice Pontificio Istituto Biblico, 1986, pp. 7-113.

12 Ibidem, 136.

13 Il tema della misericordia nell’Antico Testamento verrà affrontato in seguito.

14 Bovati ci tiene a ribadire che questa distinzione schematica delle fasi del perdono non corrisponde sempre alla realtà dei fatti. Spesso i fatti non sono così chiari e tutto il processo del perdono è attraversato sa una serie di compromessi.

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ultimo aggionamento 27 aprile, 2003