La lettera

 

Laici in contemplazione

Carissimo,

    c’è nel Vangelo un grido profondo. È il cieco di Gerico: “Rabbunì, che io ci veda!” (Lc 18,41). Uscire dall’abitudine, ridare le ali alla speranza, riappropriarci del sogno, reinventare la nostra vita nello stupore di Dio. Vedere l’Invisibile, nel quale vedere noi stessi, la storia, il futuro.
    È in questo contemplare il volto del Signore, in questo essere con Lui, in questo “cadere in alto”, la condizione, il significato, il fine del nostro annunziare, del nostro “fare”.
    Potremmo ricordare la lettera a Diogneto. Cittadini, abitanti di questo luogo, di questa storia, di questa terra. E, però, nello stesso tempo, spaesati. Lo spaesamento – è stato detto – chiama alla “capacità-necessità di essere profughi della terra, come mestiere permanente dell’essere”.
    Diventare, allora, estranei, stranieri della città, ma per “rientrare” nella città con il volto del Signore.
    Con il volto di gente salvata. Con il cuore di gente che salva.
    Ritrovarci, tutti, come monaci di contemplazione dentro le strade del mondo. Responsabili certamente, nella concretezza, nel sangue, nella temporalità, nella vertenza della storia.
    Laici nella ferita di questo tempo, storicamente impegnati. E però uomini di contemplazione, profeti di mistero, testimoni delle cose future, che credono, che annunciano l’impossibile.
    Nell’attesa di quel giorno, che è già iniziato, quando “al nostro risveglio – come dice il Salmo – ci sazieremo della sua presenza”.
    Quando, tremando di paura e di felicità, potremo dirti, o Signore, con le parole di Giobbe: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma adesso i miei occhi ti vedono” (Gb 42, 5).
    Maria, sorella nostra, laica e contemplativa, ci assicuri questo giorno!

Nino Barraco

 

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ultimo aggionamento 02 agosto, 2003