STUDI
 

    Card. Dionigi Tettamanzi - Arcivescovo di Milano

La vita spirituale del prete

Card. Dionigi Tettamanzi

Una riflessione profonda e circostanziata su una delle questioni più urgenti della Chiesa di oggi: la vita interiore e spirituale del presbitero.
Risucchiato dal vortice degli impegni pastorali e delle attività pratiche, il prete del terzo millennio lamenta il poco tempo a disposizione per la preghiera, la meditazione prolungata della Bibbia, il raccoglimento. Ma senza un profondo legame con Cristo, il sacerdote rischia di esercitare una testimonianza debole e inefficace.
Attraverso pagine ricche di umanità e di condivisione il Cardinal Tettamanzi invita i confratelli preti a proporre con convinzione una “misura alta” della vita cristiana ordinaria e a tornare con gioia e disciplina ai fondamenti della spiritualità presbiterale: la speciale chiamata alla santità, il dono totale di sé, l’annuncio e la testimonianza della Parola evangelica.
Una lettura illuminante per tutti i sacerdoti che desiderano rimotivare la loro scelta vocazionale, ma anche per tutti i fedeli laici che collaborano al loro fianco.

Carissimi confratelli nel sacerdozio,
pregando e riflettendo mi sono sempre più convinto dell’urgenza, rispetto a tanti altri problemi sia pure importanti, di trattare con voi una questione fondamentale del nostro essere preti, della nostra vita personale e della nostra azione pastorale: la questione della santità.
Faccio mia e rivolgo a ciascuno di voi la parola dell'apostolo Paolo:
“Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo.
Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui...
E sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria” (1 Tessalonicesi 1,2-4; 2,11-12).

 

Un bisogno del cuore

1. Mentre mi accingo a scrivervi, mi trovo a riassaporare l'esperienza spirituale che il Signore mi ha donato di vivere durante il Sinodo dei Vescovi nell'ottobre 2001: un'esperienza tutta centrata sull'appello dello Spirito che mi sollecitava fortiter et suaviter a riprendere con decisione rinnovata il mio cammino verso la santità episcopale. Proprio questa, in realtà, è stata l'atmosfera più affascinante e coinvolgente nella quale i Padri sinodali hanno svolto i loro lavori su “Il Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo”.
Penso di poter dire che tutti gli interventi in aula sinodale, pur nella varietà dei temi affrontati e discussi, sono stati un'ininterrotta testimonianza di una convinzione condivisa e proclamata con grande vigore: sempre nella storia, ma oggi forse in un modo più urgente, la Chiesa e il mondo hanno assoluto bisogno di vescovi santi!
Lo confesso apertamente: in mezzo ai confratelli Vescovi mi sono sentito come l'ultimo “discepolo”, del tutto bisognoso ma insieme desideroso di imparare i contenuti, la strada, le tappe, le forme, i metodi di quel cammino di santità che lo Spirito del Signore richiede a chi ha “unto” come Vescovo nella Chiesa.
Mi trovavo sfidato da una questione personalissima, alla quale mi era impossibile sottrarmi per caricarla sulle spalle di altri. Ma mi sentivo, nello stesso tempo, intimamente “collegato” con la Chiesa di Genova che il Signore affida al mio ministero, e in modo particolare con tutti voi, che mi siete confratelli nell'unico sacerdozio di Gesù e membri dello stesso presbiterio.
Mi chiedevo, allora: quanto si sta ora sviluppando dentro il mio cuore di Vescovo, lo devo tenere tutto e solo per me, oppure lo devo in qualche modo comunicare anche ai presbiteri della mia Chiesa? Non devo forse, con schiettezza d'animo e con coraggio coinvolgere in modo diretto ed esplicito ciascuno di voi, carissimi presbiteri, in questa faticosa e meravigliosa impresa di santità alla quale il Signore tutti ci chiama?
Eccomi, dunque, a voi per condividere riflessioni, prospettive e propositi sul cammino quotidiano della nostra santità di presbiteri diocesani. Desidero parlarvi con lo spirito del Vescovo sant'Ignazio di Antiochia, che così scriveva: “Non vi do ordini, come se fossi un personaggio importante... non sono ancora perfetto in Gesù Cristo. Appena ora incomincio ad essere suo discepolo e parlo a voi come a miei condiscepoli” (Lettera agli Efesini,2,2).

2. Nei giorni passati poi un altro motivo mi ha dato ragione dell’ opportunità di scrivervi questa mia lettera sulla santità presbiterale. Mi riferisco al periodo di forzata sospensione dell'attività pastorale diocesana per motivo di salute. È stato per me un periodo provvidenziale, che mi ha convinto, se pure fosse stato necessario, che il vero “protagonista” della vita e della missione della Chiesa è lo Spirito di Cristo e che a ciascuno di noi nella propria vita è chiesto di assicurare sempre il primato assoluto della grazia di Dio e di impegnarsi, nelle più diverse circostanze, in quell'unum necessarium che è il senso più vero e decisivo del nostro essere discepoli di Gesù. Dunque, un rinnovato appello dello Spirito alla vita spirituale e alla santità: del Vescovo, prima, e del Vescovo con tutti i suoi confratelli nel sacerdozio.
Ma la mia è l'esperienza di tutti: a ciascuno di noi, infatti, la vita riserva prove impreviste, momenti difficili, situazioni di grande fatica: quasi un bivio di fronte al quale la domanda sull'unum necessarium, su ciò che veramente conta nella nostra vita non può affatto essere elusa. Non ci si può, dunque, sottrarre alla risposta: potrebbe essere - magari ancora una volta - quella della viltà rinunciataria, oppure - finalmente - quella dell'audacia fiduciosa e intraprendente.

 

Duc in altum: sii santo!

3. Ma al di là delle ragioni un poco personali ora ricordate, questa lettera sulla santità dei presbiteri vuole essere, da parte di noi preti, una risposta all'invito del Santo Padre. Come eco fedele della voce di Cristo, egli rivolge a tutta la Chiesa all'alba del terzo millennio l'invito a “prendere il largo”.
Duc in altum: così Gesù a Simone, così il Papa a noi. E 1'altum è da intendere nel senso radicale e affascinante di fare della “santità” la ragione stessa, il destino supremo, la gioia vera e piena dell'essere discepoli del Signore, e insieme il senso originale e risolutivo della missione evangelizzatrice della Chiesa e quindi di ogni sua azione pastorale.
Come sappiamo, questo della santità è il punto centrale dell'intera lettera postgiubilare Novo millennio ineunte: “E in primo luogo - scrive il Papa - non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità. Non era forse questo il senso ultimo dell'indulgenza giubilare, quale grazia speciale offerta da Cristo perché la vita di ciascun battezzato potesse purificarsi e rinnovarsi profondamente?... Finito il Giubileo, ricomincia il cammino ordinario, ma additare la santità resta più che mai una urgenza della pastorale”. E conclude: “Occorre allora riscoprire, in tutto il suo valore programmatico, il capitolo quinto della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, dedicato alla "vocazione universale alla santità"” (n. 30).
Noi presbiteri, per primi, dobbiamo rinnovare la nostra fede - con le sue magnifiche e impegnative implicazioni di vita - nel “mistero” della Chiesa “santa”: “Professare la Chiesa come santa - è sempre Giovanni Paolo II a ricordarcelo - significa additare il suo volto di Sposa di Cristo, per la quale egli si è donato, proprio al fine di santificarla (cfr. Efesini 5, 25-26). Questo dono di santità, per così dire, oggettiva, è offerto a ciascun battezzato. Ma il dono si traduce a sua volta in un compito, che deve governare l'intera esistenza cristiana: "Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione" (1 Tessalonicesi 4, 3). È un impegno che non riguarda solo alcuni cristiani: "Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" (Lumen gentium, 40)” (n. 30).
Così, carissimi sacerdoti, ci sentiamo chiamati in causa già come “cristiani”, e ancor più come “presbiteri”. A noi, dunque, in una maniera particolare è rivolta l'ammonizione del Papa: “È ora di riproporre a tutti con convinzione questa "misura alta" della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione” (n. 31).
Ma come è possibile riproporre questo agli altri, se ciascuno di noi per primo si stanca di accogliere ogni giorno la chiamata del Signore alla santità?

4. Non so se, almeno qualche volta, siamo presi da una specie di nostalgia spirituale, o addirittura da un desiderio intenso di ritornare ad essere il prete novello di una volta. Ma a ben riflettere, è nostalgia, questa? è desiderio, questo? O non piuttosto l'insinuarsi e l'imporsi di un impegno quanto mai serio di coerenza e di fedeltà con quell'essere nuovo che è stato creato in noi col sacramento dell'Ordine? Ritornare ad essere prete novello significa ricuperare in consapevolezza e in libertà, quasi un voler rituffarsi in una novità che tocca l'essere e l'abilitazione ad agire ricevuti, senza che il tempo riesca a scalfirla o a consumarla.
In questo senso il ritornare alle proprie radici, per non correre il rischio di “andare avanti” nella nostra vita sacerdotale semplicemente sull'onda di ciò che - bene o male - si è in qualche modo consolidato, è un preciso impegno morale, costituisce un vero e proprio dovere che scaturisce dall'aver ricevuto il dono di Dio. È questo l'ammonimento di Paolo al discepolo e vescovo Timoteo: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te” (2 Timoteo 1, 6). Su questa strada possiamo “ravvivare”, ossia riaccendere - come si fa per il fuoco sotto la cenere -, quel fervore spirituale, che è forza necessaria nel cammino verso la santità.
La vita spirituale del prete, come ogni realtà cristiana, è segnata da una grande semplicità e insieme da una sorprendente ricchezza di contenuti. Ora, senza alcuna pretesa né di completezza né di analisi approfondita, il nostro fraterno dialogo si snoderà in sei momenti, che considereranno:
1) i fondamenti sacramentali della spiritualità presbiterale,
2) l'inscindibile rapporto tra l'esercizio del ministero del prete e il suo cammino di santità,
3) la spiritualità della comunione nella vita e nel ministero sacerdotale,
4) l'educazione del cuore obbediente, casto e povero,
5) il posto della sofferenza nella vita spirituale del prete,
6) alcuni spunti per una personale “regola di vita”.

(Estratto da Dionigi Tettamanzi, La vita spirituale del prete, Edizioni Piemme)

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ultimo aggionamento 18 luglio, 2004