ESPERIENZE
 

    Paolo Risso   

 

 

“La pedagogia del dolore innocente”: Don Carlo Gnocchi

 

 

 

 

Non c’è persona al mondo che prima o poi non si trovi a dover fare i conti con il problema del dolore… Alla fine della 2a guerra mondiale, un uomo di singolare cultura, sensibilità e delicatezza, si è trovato in modo impellente a dover fare questa risposta, in maniera più piena possibile.

 

Un grande educatore

Si chiamava Carlo Gnocchi ed era nato il 25 ottobre 1902 a S. Colombano al Lambro (Milano), da umile famiglia. Presto il dolore lo visitò con la morte del padre in giovane età, del fratello Mario, ancora ragazzo, e dell’altro fratello, Andrea, a soli 20 anni.
Con notevoli sacrifici la mamma sostenne Carlo nella sua ascesa al sacerdozio, fino alla sua ordinazione il 6 giugno 1925. A soli 23 anni, celebrata la 1a Messa, don Carlo è una figura esile, ma entro il suo velo di carne vibra un’anima ardente, un vero innamorato di Gesù e, per suo amore, traboccante di carità per i ragazzi, i giovani e i poveri.
Ha la passione che tutti vivano di Gesù, fino alla sua pienezza, nella vita divina della Grazia santificante.
Per i primi anni, svolge il suo ministero a Cernusco sul Naviglio, poi a S. Pietro in Sala, a Milano, seguendo soprattutto i ragazzi nella loro crescita. È confessore, “padre spirituale” appassionato della salvezza delle anime, predicatore e conferenziere, già scrittore, per arrivare a molti, il più possibile, con la luce del Vangelo.
Nel 1935, è chiamato, a 33 anni, a diventare direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga di Milano, per la formazione della gioventù. Studia, legge, prega molto, affidandosi soprattutto alla Madonna, perché sa che soltanto un vero alter Christus potrà far crescere Gesù nella anime.
Affida ogni ragazzo alla Madonna, affinché sia Lei a modellarlo a immagine di Gesù. I suoi ragazzi sono affascinati da lui, dalla sua opera.
Li guida e li dirige in confessionale, nei colloqui singoli, in incontri e dibattiti, nelle numerose lettere che scrive, mediante gli articoli e i libri che pubblica e diffonde. È trasparenza di Dio.

 

Nello strazio della guerra

Il 10 giugno 1940, l’Italia entra in guerra. Don Carlo vede i suoi giovani partire per i diversi fronti d’Europa, dove le follie dei potenti li scaraventavano con mani omicide. Chiede di essere arruolato come cappellano militare per essere vicino ai suoi “ragazzi”.
Con il suo altarino da campo, su cui offre ogni giorno il Sacrificio di Gesù nella S. Messa, con il suo cuore sacerdotale, sarà presente accanto ai suoi alpini in Albania, in Grecia, in Croazia. Un’esperienza lacerante: ma perché tutto quel dolore, perché la morte di tanti innocenti? Solo lui, sacerdote di Cristo, alla luce della Fede, sa rispondere, consolare, incoraggiare.
Nel 1942, viene la terribile campagna di Russia: don Carlo è ancora là, con i suoi soldati, a condividere tanto strazio, la tragedia immane. A lui, prima di chiudere gli occhi, dilaniati dalle armi, i soldati morenti affidano gli ultimi ricordi per le loro madri, le spose, i figli.
Quando don Carlo ritorna in Italia, riprende il cammino per adempiere le “commissioni” lasciategli dai suoi alpini caduti sui fronti di guerra. Si rende conto con i suoi occhi che anche i bambini “hanno fatto” la guerra, soffrendo l’indicibile: feriti, affamati, ammalati, non curati, orfani.
Sì, certamente non l’ha voluto Iddio, sono stati i prepotenti della terra a causare la tragedia, ma perché tanto dolore, perché il dolore degli innocenti?
Don Carlo ha una lunga lista di indirizzi con cu risale le valli del Tagliamento, la Val d’Intelvi, la Valtellina… presso le famiglie dei suoi caduti; incontra e consola le mamme, spose rimaste vedove, bambini orfani. Ma che cosa può fare per i piccoli?

 

Per gli orfani e i mutilati

Con l’aiuto della Provvidenza di Dio, a Arosio (Colo), presso la Casa dei grandi Invalidi, offre ospitalità a un certo numero di orfani.
Presto avrebbe dato vita a una casa tutta per loro. Pubblica un libro: “Restaurazione della persona umana” (La scuola, Brescia), il cui titolo dice tutto. Lui d’ora in poi sarebbe vissuto per restaurare nei piccoli, tanto più se sofferenti, la dignità della persona umana, “alla statura di Cristo” (Ef. 4,13).
Una sera di luglio, una mamma gli porta il suo bambino, privo di una gamba. Non sapendo più come provvedere, lo pone per terra e gli dice: “Don Carlo, lo affido a lei”. E se ne va via di corsa. Don Carlo si avvicina al bambino, s’inginoccia accanto a lui e lo guarda con sconfinato amore, come quando guarda Gesù sulla croce durante la S. Messa. I due si guardano e si comprendono. Durante la notte, dopo aver aiutato il bambino ad addormentarsi, tenendogli la mano, scende in cappella a chiedere a Gesù Eucaristico, l’Amico di sempre, l’Amico che non manca mai: “Che fare? Tu devi aiutarmi. Tu ci devi pensare”.
In quell’istante, si vede circondato da una folla di bambini, senza mani, senza gambe, ciechi, sordi, sfigurati, bisognosi di tutto, soprattutto di amore… e lui avrebbe provveduto come un padre e una madre insieme. Quanto sangue innocente!
In giro per l’Italia, don Carlo stende la mano… Nel 1948, fonda la “Pro infanzia mutilata”, cioè la Federazione dei piccoli mutilati, per assistere le innocenti vittime della guerra, con una prima modesta sede a Milano, e l’altra a Roma, poi in altre città.
In quei suoi istituti, i mutilatini non devono essere commiserati, perché “essi sono l’aristocrazia del dolore, sono dei privilegiati: Dio ha scelto loro, come già ha scelto il Figlio suo Gesù per la redenzione dell’umanità”.
L’Italia si mobilita per la sua opera. L’11 febbraio 1953, nasce l’opera grandiosa “Pro Juventute” con otto efficienti Istituti tra cui quello di Parma per le cure la riabilitazione dei mutilati. Don Carlo è segnato dentro da quel mondo di sofferenza: quanto dolore innocente!

 

Lacrime come perle

Tutta quella sofferenza vissuta senza senso – don Carlo lo sa – è un tesoro preziosissimo che va perduto. Tocca a lui dare senso e letizia a quell’umano dolore innocente. Per questo, insegna ai suoi mutilatini a soffrire e a offrire in unione con Gesù che soffre sulla croce e ripresenta il suo Sacrifico nella S. Messa, ogni giorno, in espiazione dei peccati degli uomini e per la salvezza del mondo.
Un giorno, lo spiega a chiare lettere ai suoi bambini che piangono:
- Queste vostre lacrime devono ora diventare perle, angeli miei!
- Ma com’è possibile?
- Prepareremo una cassettina e in essa lasceremo cadere delle perle vere, preziose. Quando uno di voi deve, per il suo bene, subire nella clinica di Parma, un’operazione chirurgica, lasciarsi ingessare un arto, farselo tirare in trazione, soffre. Ebbene questa sofferenza fisica non deve andare perduta: bisogna offrirla al Signore, senza piangere, senza gridare. Quando uno di voi sarà riuscito con coraggio, pensando a Gesù Crocifisso, che ha sofferto più di qualsiasi altro sulla terra, a sopportare senza lamenti la sua operazione, avrà diritto di mettere nella cassettina una perla vera”.
- E poi, e poi?
- Tra un anno, conteremo le perle: ce ne saranno tante e le porteremo a un orefice che le userà per formare il nostro distintivo, poi lo doneremo al Papa come segno della nostra sofferenza accolta con amore, insieme a Gesù Crocifisso.
I piccoli gli promettono che l’avrebbero fatto. Un giorno, d’estate del 1950, tutti i mutilatini di don Gnocchi si recano in udienza dal Santo Padre Pio XII. Il dono più bello che gli portano è la spilla preziosa che rappresenta il monogramma di Cristo, il “Chi-Ro” (), in cui la “X” è fatta da due stampelline incrociate e allacciate da una corona nobiliare, a indicare che “la sofferenza innestata su Cristo forma una cosa sola con Lui, il Cristo mistico, e soltanto in questo modo può ricevere la corona del merito e del premio”.
Il simbolo era stato fatto interamente con le perle della sofferenza, del coraggio e dell’offerta dimostrati dai bambini.
Don Carlo spiega al santo Pontefice il significato del gioiello, come è nato, e conclude: “I miei piccoli hanno offerto il loro dolore per lei, Santo Padre, per la Chiesa, per la salvezza di tutte le anime”.
Pio XII si commuove e, nei suoi occhi brillano grosse lacrime di tenerezza e di riconoscenza, che tutti vedono. Nella sala delle udienze si sente singhiozzare: la sala ora è come un altare.

 

Il Crocifisso è il significato

Quando tornano nei loro collegi, qui piccoli si sentono davvero dei privilegiati. Il buon Dio li ha scelti perché portino nelle loro carni, il segno della sofferenza redentrice: come Gesù ha tanto sofferto sulla croce fino a morire affinché gli uomini siano liberi dal peccato e ricchi della vita divina della Grazia, così anch’essi stanno soffrendo affinché la Redenzione di Gesù raggiunga ogni uomo.
È il grande significato del dolore innocente: occorre spiegarlo a tutti. Don Carlo matura l’idea di una Federazione europea della gioventù mutilata di guerra. Il 27 agosto 1953, Pio XII riceve in udienza 120 mutilatini di diversi paesi d’Europa, guidati da don Carlo. Un ragazzo francese offre al papa una targa con lo stemma della Pro Juventute, il monogramma di Cristo, con inciso il motto: “Cum reciditur, coronatur” (“Quando si è immolati, si è incoronati”).
E gli dice: “Questo significa che noi vogliamo unire i nostri sacrifici a quello di Gesù sulla croce, affinché essi possano servire a un mondo migliore e ricevere così la corona che il Vangelo ha promesso a coloro che soffrono per Lui”.
Il Santo Padre gli risponde: “La vostra sofferenza unita a quella di Nostro Signore, vi condurrà al più grande amore per Lui e a una tenera carità per tutti i vostri fratelli”.
Ora don Carlo Gnocchi pensa alle cure e alla rieducazione dei ragazzi colpiti dalla poliomielite. Il 12 settembre 1955, viene posta la prima pietra a Milano del Centro-Pilota per i fanciulli poliomielitici.
Ma ormai, don Carlo è stremato dalla fatica e dal cancro che gli rode lo stomaco. Viene a fargli visita Mons. Montini, Arcivescovo di Milano, il suo Arcivescovo, che a vederlo piange. Don Carlo, morente, commenta: “Piange perché sono uno che muore”.
Il 28 febbraio 1956, va incontro a Dio. Di lui è in corso a Roma il processo di beatificazione e recentemente è stato dichiarato “venerabile”.
Proprio il giorno del funerale, esce un piccolo libro da lui scritto con le sue ultime forze, come il suo testamento che condensa la sua vita e il suo sacerdozio, la sua opera in mezzo alla gioventù delle parrocchie, all’Istituto Gonzaga, di cappellano militare, soprattutto in mezzo al dolore dei piccoli e dei più giovani, per dare a ogni lacrima, a ogni goccia di sangue sparsa, il significato e il valore più alto.
Il libro si intitola “Pedagogia del dolore innocente” (La Scuola, Brescia, 1956), ed è la risposta – in Gesù Crocifisso – al grande perché del dolore, così come don Carlo ha fatto e noi abbiamo narrato.

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ultimo aggionamento 25 settembre, 2004