STUDI
 

    P. Aurelio Pérez Garcia fam

 

L’eucaristia memoriale sacrificale

Estratto dalla Tesina di Baccalaureato presso
l’Istituto teologico di Fermo 31-5-1976

 

(seguito)

CAP. II

Il Memoriale nel N.T.

La parola anàmnesis è utilizzata tre volte nel N.T. per designare il memoriale dell’eucaristia: Lc 22, 19; 1Cor 11, 24-25
Per designare un memoriale che non è l’eucaristia ma che si colloca nella tradizione dell’A.T., ritroviamo anàmnesis in Eb 10, 3 e mnemòsynon in At 10, 4; Mt 26,13; Mc 14, 9.
Senza fare l’esame particolareggiato di questi testi si cercherà di evidenziarne lo spirito di fondo, facendo risaltare il senso del memoriale in genere e della eucaristia-memoriale in particolare1.

 

La Lettera agli Ebrei

L’esame di alcuni punti centrali di questa lettera, che pure non parla mai dell’eucaristia cristiana, è forse un passo obbligato per la penetrazione nella luce del memoriale eucaristico.
Esaminiamo, anzitutto il testo della lettera in cui si incontra la parola anàmnesis: “per mezzo di quei sacrifici si rinnova, di anno in anno, il ricordo dei peccati” (Eb 10, 3). Nel capitolo IX l’autore ha dimostrato la superiorità del sacerdozio di Cristo “mediatore di una nuova alleanza” (Eb 9, 15), ed ora i sacrifici antichi appaiono nella loro inefficacia, “ombra dei beni futuri”, a paragone dell’unico sacrificio di Cristo, il solo efficace per la remissione dei peccati.
La ripetizione dei sacrifici è la riprova della loro inefficacia (Eb 10, 2-3). In fondo i sacrifici giudaici possono solo ricordare a Dio i peccati, non rimetterli: è il “memoriale del peccato”, che in una specie di evocazione viene reso presente davanti a Dio perchè Egli lo giudichi2.
Secondo C. Spicq il memoriale del peccato nei sacrifici, per l’ autore della lettera agli ebrei ha esattamente questo significato: “attirare l’attenzione di YHWH sulla colpa del peccatore perchè non dimentichi di castigarlo”3. Forse è una visione troppo drammatica e pessimistica del culto ebraico in cui agiva già la misericordia di Dio che si sarebbe manifestata pienamente nella persona di Cristo.
Comunque il calcare le tinte su un aspetto serve, spesso, a mettere maggiormente in risalto la realtà contrapposta: quello che interessa all’autore della lettera agli ebrei è dimostrare che nell’unico e definitivo sacrificio di Cristo si attua la parola dei profeti: “Io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger 31, 34 citato due volte in Eb 8,12 e 10,17). Nella croce di Cristo il Padre non tiene in conto, dimentica e perdona, ricordando solamente la sua misericordia.
Ministro di questa misericordia è il Sommo, il Vero e l’Unico Sacerdote della Nuova Alleanza, Gesù il Cristo.
Questa realtà della nostra fede è essenziale per comprendere il memoriale eucaristico. Ma quando tentiamo il rapporto Sacerdozio-Croce di Cristo-Eucaristia sorgono due interrogativi4:
1- Può Cristo essere considerato attualmente come sacerdote?
2- Può l’Eucaristia essere considerata come sacrificio?

 

1. “Tu sei sacerdote in eterno”

Il cap. VII della stessa lettera agli Ebrei applica a Cristo il Sal 110, 4: “Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech” (Eb 7, 17-21). Cristo “poiché resta per sempre possiede un sacerdozio che non tramonta” (7, 24).
E la lettera prosegue: “Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore” (7, 25). Cristo è entrato nel cielo “per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore” (9, 24). La specificazione avverbiale di quest’ ultimo passo (nunc), insieme al tempo presente del precedente (può salvare, si accostano, è vivo), sottolinea molto chiaramente l’attualità e l’efficacia perenne dell’ intercessione sacerdotale di Cristo a nostro favore (uper emòn). Sembra quasi che, per l’autore della lettera, l’entrata di Cristo nella gloria sia in funzione della sua intercessione per noi.
I passi citati caratterizzano senza ambiguità il sacerdozio perpetuo di Cristo e ci riconducono, soprattutto l’ultimo (9, 24), alla realtà del memoriale. Cristo è sacerdote in eterno perché presenta perennemente al Padre il memoriale del suo sacrificio unico e perfetto: il suo sacerdozio attuale non è che il prolungamento del sacerdozio sacrificale della croce. Egli è l’agnello “come immolato” che Giovanni vide nell’Apocalisse, “ritto in mezzo al trono”: con i segni del supplizio ma in piedi, vivo.
Spicq cita in proposito questo commento di Hervè de Bourgdieu: “Egli appare al cospetto di Dio, cioè alla presenza del Padre pieno di benevolenza; egli intercede per noi presso di lui mostrando le cicatrici delle piaghe che ha portato per la nostra redenzione e presentando perpetuamente ciò che ha sofferto per la nostra salvezza”5.
M. Thurian sviluppa meravigliosamente la realtà di questo memoriale celeste in un excursus sulla teologia del segno-memoriale che prende lo spunto da Es 13, 3: “(Questo rito) sia per te come un segno sopra la tua mano e come un memoriale fra i tuoi occhi... poiché con mano forte il Signore ti trasse dall’Egitto”6. Il contesto è quello della festa degli azzimi, la quale diventa così, essa stessa, una specie di tatuaggio-memoriale che richiama all’ ebreo la fedeltà di Dio all’alleanza e il suo dovere di ringraziarlo.
Proseguendo nel suo commento M. Thurian aggiunge:
“Come non evocare qui la presenza del Cristo intercessore nel cielo, presente nella gloria con i segni della sua passione per noi, le cicatrici che i chiodi hanno impresso in quelle mani alzate in atto d’intercessione?”7.
Non credo si possa tacciare questa visione di spiritualista e tanto meno poetica: essa è essenzialmente e profondamente biblica; basta pensare alle apparizioni del Risorto e alla insistenza con cui Luca e soprattutto Giovanni fanno notare i segni della passione nelle mani, nei piedi e nel costato di Gesù (Lc 24, 39s; Gv 20, 20.25-27).
“...I segni che Dio porta su di sé ricordano il suo amore che non è mai sazio di offrirsi e di darsi per noi, amore che è l’unico motivo della nostra salvezza”8.
Il Cristo celeste ricorda eternamente al Padre il suo amore e la sua fedeltà. Le sue ferite sono il memoriale perenne della misericordia di Dio. Ma la croce è anche la realtà in cui noi siamo segnati per Dio e per gli uomini. L’eucaristia, mistero dell’ amore crocifisso, imprime in noi questo segno:
“I segni della passione sono portati sia da Cristo che intercede in cielo per noi, sia da noi servitori di Dio e testimoni dei suoi benefici; nell’ eucaristia, mentre da lui siamo segnati per il mondo, ci si rivelano le stimmate di Cristo che intercedono per noi”9.

 

2. L’eucaristia come sacrificio

Il secondo problema che scaturisce dall’esame della lettera agli ebrei è di sapere se l’affermazione del sacrificio unico di Cristo escluda la designazione dell’eucaristia come sacrificio.
Penso che troppe polemiche tra cattolici e protestanti abbiano oscurato il senso genuino del memoriale eucaristico da questo punto di vista. Il P. Chenu afferma che lo sviluppo teologico postridentino, sotto 1’incubo dell’opposizione protestante e per la decadenza della scolastica, ha portato ad una tale accentuazione dell’immolazionismo da perdere il rapporto tra mistero pasquale di Cristo e messa, e far di questa quasi un nuovo sacrificio, un sacrificio ripetuto10.
D’altra parte la reazione protestante svuotava di contenuto, nella maggior parte dei casi, il memoriale del Signore.
Oggi è evidentissima e consolante la meravigliosa e approfondita riscoperta che i fratelli della Riforma stanno facendo dell’eucaristia come sacrificio.
Oltre il testo di M. Thurian da cui attingono spesso queste pagine ho letto con molto interesse “Le sacrifice dans les textes eucharistiques des premiers siécles” del pastore Jean de Watteville; è bello vedere che la necessaria purificazione dei nostri concetti va fatta ritornando alle fonti genuine del vangelo, della liturgia e della tradizione della giovane chiesa11.
E sarebbe un peccato che, come forse sta succedendo, alcuni cattolici, credendo di venire incontro ai fratelli separati, mettessero in dubbio la realtà sacrificale dell’eucaristia. L. Bouyer cita quest’opinione di un ecumenista protestante: “Il più grande ostacolo attuale per il riavvicinamento tra di noi potrebbe trovarsi in quei cattolici che credono che l’ecumenismo, secondo essi, dovrebbe consistere nell’ abbandonare tutto quello che noi stiamo ricuperando e nell’adottare tutto quello di cui ci stiamo liberando”12.
Ma torniamo alla lettera agli ebrei.
La parola “ephapax” (una volta per tutte) che ritorna tre volte nella lettera (7,27; 9,12; 10,10), sottolinea il carattere unico e definitivo del sacrificio di Cristo sulla croce, del suo ingresso nel santuario celeste e della santificazione del popolo di Dio.
L’aggettivo “unico”, inoltre, qualifica due volte il sacrificio di Cristo nel cap. X (mìa thusia, mìa prosforà). È uno dei temi portanti di tutta la lettera: per un unico sacrificio offerto sulla croce (7,17), portato in cielo in intercessione (9,12), Cristo ha compiuto la remissione dei peccati e la santificazione del popolo (10, 10.12).
Per noi è importante il fatto che questo unico sacrificio che va dalla croce al cielo, ha un carattere perpetuo in virtù della perenne intercessione sacerdotale di Cristo che è “ora al cospetto di Dio in nostro favore” (9,24).
Questo “una volta per tutte” non deve dunque essere interpretato in un senso finito e statico. L’espressione indica piuttosto il carattere assoluto, definitivo e perpetuo del sacrificio di Cristo.
Bisogna notare anche che nella lettera agli ebrei la santificazione è ormai compiuta nella croce di Cristo: “noi siamo stati santificati (passato) per mezzo dell’ offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre” (10, 10). Ma l’applicazione personale agli uomini della santificazione si compie nell’oggi di ognuno: “Con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati (presente)” (10,14).
Il carattere compiuto del sacrificio di Cristo non esclude un’ operazione progressiva nell’ applicazione agli uomini dei frutti di quel sacrificio unico e perfetto: questa applicazione condotta dalla chiesa attraverso la predicazione, i sacramenti, la preghiera, è sostenuta e condotta al cospetto di Dio dal nostro Sommo Sacerdote Gesù Cristo. Il suo sacrificio “è la sorgente, il senso e l’unità di tutti gli atti della chiesa… di tutti i battesimi, di tutte le eucaristie, di tutte le predicazioni, di tutte la preghiere...”13.

È in questa luce che dobbiamo vedere l’Eucaristia come sacrificio: essa è l’attualizzazione por noi, oggi, della liberazione dal peccato, della santificazione e della comunione con Dio ottenuta da Cristo una volta per sempre sulla Croce.
L’Eucaristia non è sacrificio indipendente, efficace di per se stesso, né “ripetizione” del “sacrificium crucis”. Essa è sacrificio in quanto è la presenza di Cristo crocifisso, glorioso e intercessore che attualmente presenta per noi il suo unico sacrificio al cospetto del Padre.
C’è dunque una sola oblazione del corpo di Gesù Cristo, ma sotto un triplice aspetto:
1. Il sacrificio unico e perfetto di Cristo sulla croce, atto storico, fondamento della salvezza.
2. Il sacrificio celeste e perpetuo di Cristo nell’ intercessione, atto eterno.
3. Il sacrificio memoriale di Cristo nell’ Eucaristia della chiesa, sacramento della salvezza14.

Non è difficile concludere che l’ultimo non ha senso se staccato dai primi due.
In fondo l’autentica teologia non ha mai perduto di vista questa realtà. Lo stesso Caietano, dopo Trento, affermava con chiarezza:
“Non ti stupire del fatto che ogni giorno si offra il sacrificio dell’altare nella chiesa di Cristo; non si tratta infatti di un nuovo sacrificio, ma è lo stesso sacrificio che Cristo ha offerto e di cui si fa memoriale secondo il suo stesso comando: fate questo in memoria di me. Ugualmente tutti i sacramenti non sono nient’ altro che applicazioni della passione di Cristo a coloro che li ricevono. Una cosa è, infatti, ripetere la passione di Cristo, un’ altra il ripetere il memoriale e l’applicazione della passione di Cristo”15.

(segue)


1 Cf GLNT, gli articoli di BEHM, anàmnesis, e di MICHEL, menemòsynon.

2 Cf l’oblazione di gelosia, Nm 5, 15.

3 C. SPICQ, L’epître aux Hébreux, Paris 1953, p. 103.

4 Cf M. THURIAN, o.c., p. 155.

5 C. SPICQ, o.c., p. 268.

6 Prendendo alla lettera quest’espressione, gli ebrei porteranno per la preghiera le filatterie, una specie di scatoline dentro le quali erano racchiuse strisce di pergamena con su scritti questi passi della Scrittura: Es 13, 1-10; 1-16; Dt 6, 4-9; 11, 13-21.

7 M. THURIAN, o.c., p. 50.

8 M. THURIAN, o.c., p. 50.

9 Ib. Alla luce di tutto ciò si può attribuire un “nuovo” significato teologico alla conservazione del pane eucaristico. Il senso di questa prassi non è un vuoto trionfalismo pietistico ma è in rapporto con la perenne intercessione celeste di Cristo. Nel pane “eucaristizzato” è presente il memoriale della morte e risurrezione del Signore che è presentato perennemente al Padre nel cielo perchè si ricordi del suo Amore per noi.

10 Cf D. CHENU, La messe et sa catéchèse, Paris 1947, p. 133.

11 J. DE WATTEVILLE, Le sacrifice dans les textes eucharistiques des premiers siécles, Neuchâtel 1966.

12 L. BOUYER, o. c. p. 20.

13 M. THURIAN, o. c., p. 160.

14 Cf Ib., p. 163s.

15 Citato da SPICQ, o. c., p. 312: “Nec propterea, novitie, mireris quotidie offerri sacrificium altaris in Christi ecclesia; quoniam non est novum sacriticium, sed illudmet quod Christus obtulit commemoratur; praecipiante ipso: Hoc facite in mei commemorationem. Sacramenta quoque omnia nihil aliud sunt quam applicationes Passionis Christi ad suscipientes. Aliud autem est iterare passionem Christi, et aliud iterare commemorationem et applicationem passionis Christi”.

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ultimo aggiornamento 11 maggio, 2005