STUDI
 

    Mons. Francesco Lambiasi

Omelia di Sua Ecc.za Mons. Francesco Lambiasi, Assistente Generale dell’Azione Cattolica, ai sacerdoti convenuti a Collevalenza il 2 giugno 2005 per la Giornata di spiritualità presbiterale.

O Sacrum Convivium, in quo Christus sumitur! L’Anno dell’Eucaristia nasce dallo stupore con cui la Chiesa si pone di fronte a questo grande Mistero. È uno stupore che non finisce di pervadere il mio animo. (MND 29)

 

La MESSA
è la ripresentazione reale del sacrificio della Croce.

 

Fratelli, l’Eucaristia e la Croce non sono una sorta di operazione a due, condotta esclusivamente tra Gesù e il Padre. Il Padre chiede al Figlio di donarsi totalmente per amore, perdonando, anzi scusando, i suoi crocefissori. Gesù obbedisce al Padre, impara l’obbedienza dalle cose che patì.
E lo Spirito Santo?
Più che il grande assente, purtroppo è il grande dimenticato e da questa dimenticanza vengono tanti guai. Non solo alla celebrazione dell’Eucaristia, ma alla vita della Chiesa. Quasi venti anni fa, Giovanni Paolo II, ci ha aiutato con la sua Enciclica, “Dominum et vivificantem”, a rifocalizzare la presenza dello Spirito Santo nel mistero della croce e di conseguenza nell’Eucaristia, che è la trasparenza, il Sacramento che rende presente il sacrificio della Croce.
Riprendiamo il brano della IIª Lettura che noi abbiamo ascoltato (cf Eb 9, 11-15). Come sappiamo, l’autore di questa Lettera sta conducendo un confronto spietato tra la liturgia dell’Antico Testamento e la liturgia cristiana, il sacrificio redentore di Cristo, e sembra che proceda quasi a colpi d’accetta al punto da demolire completamente il significato, l’efficacia dei riti dell’Antico Testamento, come fa appunto nel brano che abbiamo ascoltato.
Se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, (cioè sui peccatori presenti alla liturgia della riconciliazione nel giorno del perdono al Tempio), li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente?” (Eb 9, 13-14).
Da una parte ci sono questi riti dell’Antico Testamento, con tutta quella sorta, mi si passi il termine, di “macelleria” che era stata organizzata attorno al Tempio per provvedere ai sacrifici che si dovevano compiere, riti che fanno riferimento al sangue di capri, vitelli, alla cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, dall’altra semplicemente il Sangue di Cristo.
Da una parte il sangue di animali, dall’altra il Sangue di Cristo.
Cosa fa la differenza?
Quello che fa la differenza è lo Spirito Eterno, che non era presente nei riti dell’Antico Testamento, e diventa il protagonista, potremo dire il regista invisibile, nell’atto della croce.
La domanda che noi ci poniamo è perché qui la lettera agli Ebrei lo chiama Spirito Eterno e non semplicemente con la dizione più abituale Spirito Santo?
Giovanni Paolo II in quell’Enciclica ci ha aiutato a capire questo perché.
Perché nell’Antico Testamento quello che rendeva sacro il sacrificio degli animali era il fuoco. Per questo nel Tempio, dal giorno in cui venne consacrato da Salomone in poi, doveva ardere un fuoco perenne. Si prendeva la vittima e la si metteva su quel grande braciere, poi si poneva anche l’incenso, e così il fuoco faceva sì che il fumo del sangue della vittima salisse in alto. Ciò voleva dire che Dio gradiva il sacrificio. Se non ci fosse stato il fuoco, questo non sarebbe stato possibile. Dunque il fuoco era l’elemento che rendeva sacro il sacrificio.
Il Papa, Giovanni Paiolo II, a questo punto fa un secondo passaggio. Come il fuoco perenne nell’Antico Testamento rendeva sacro il rito d’offerta degli animali, così lo Spirito ha reso gradito al Padre il sacrificio che Gesù ha fatto di Sé Stesso. Gesù offrì Sé Stesso con uno Spirito eterno.
Perché eterno?
A questo punto mi pare abbastanza comprensibile la spiegazione. Perché come il fuoco doveva essere continuo, così lo Spirito con cui si è offerto Gesù al Padre è il fuoco dell’Amore che arde perennemente nel Suo Cuore; per questo lo chiama Spirito Eterno.
Ma gli studi più recenti ci hanno aiutato a recuperare una interpretazione già presente nei Padri della Chiesa, che tiene conto di un dettaglio.
Quando Gerusalemme venne saccheggiata dalle truppe di Nabucodonosor e tutta la popolazione fu deportata in esilio, i sacerdoti prima che il Tempio venisse distrutto, presero il fuoco che ancora ardeva nel Tempio e per conservarlo lo misero in una cisterna asciutta; poi la ricoprirono di terra. Quando gli ebrei tornarono dall’esilio, andarono a piangere sulle macerie di Gerusalemme. Ricordando poi che una cinquantina, o una settantina di anni prima, gli antenati avevano nascosto quel fuoco, incominciarono a fare degli scavi, nella cisterna non trovarono naturalmente il fuoco, ma dell’acqua bituminosa. Allora all’atto della riconsacrazione del Tempio presero delle vittime animali, le misero su un braciere ardente, presero quell’acqua bituminosa e la cosparsero sopra. Si sviluppò subito una fiamma che incenerì quelle vittime e tutti i presenti furono presi da quel terrore sacro che per ogni ebreo era segno chiaro del passaggio di Dio. Dio tornava a farsi presente in quel modo.
Nella Croce di Gesù noi non abbiamo un fuoco materiale, abbiamo lo Spirito Santo. Il Padre, dice Tommaso d’Aquino, sarebbe stato crudele se avesse imposto al Figlio il sacrificio della Croce. Allora il Padre ha messo nel cuore del Figlio tutto il Suo Amore, appunto lo Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore e così il Figlio si è lasciato come infiammare totalmente, consumare da questo Amore ed ha potuto, come dice la Lettera agli Ebrei, offrire Sé Stesso con uno Spirito eterno, con il fuoco eterno dell’Amore che è lo Spirito Santo.

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ultimo aggiornamento 31 luglio, 2005