ESPERIENZE

 

 

    Marina Berardi   

Roma-Trabzon, 22 gennaio 2006

Carissimi,
[…] è giusto lodare Dio quando c’è il sereno e non soltanto invocare il sole quando c’è la pioggia. Inoltre è giusto vedere il filo d’erba verde anche quando stiamo attraversando una steppa.
[…] Ringrazio Dio di quanti hanno aperto il loro cuore. Ma sia ancora più aperto e ancora più coraggioso. La mente sia aperta a capire, l’anima ad amare, la volontà a dire "sì" alla chiamata.
Aperti anche quando il Signore ci guida su strade di dolore e ci fa assaporare più la steppa che i fili d’erba. Il dolore vissuto con abbandono e la steppa attraversata con amore diventa cattedra di sapienza, fonte di ricchezza, grembo di fecondità.
Ci sentiremo ancora. Uniti nella preghiera vi saluto con affetto. […] Insieme si serve meglio il Signore.
don Andrea

Il Martire della presenza

 

Don Andrea Santoro, nato a Priverno (LT), il 7 settembre 1945 ed ordinato, a Roma, il 18 ottobre 1970, nell’anno del Grande Giubileo del 2000, venne inviato in Turchia come sacerdote fidei donum della Chiesa di Roma. Il suo eloquente ed umile servizio di presenza cristiana in quella minuscola comunità di Trabzon, domenica 5 febbraio, è stato drammaticamente stroncato da dei colpi di pistola, sparati alle spalle, per mano di un sedicenne mussulmano.
Al termine della Messa domenicale, era seduto lì, in quell’ultimo banco della sua chiesa di Santa Maria, alla presenza dell’Eucaristia, fonte e forza unificante di ogni vincolo di fratellanza; Don Andrea era lì, come ogni giorno, silenziosa e discreta esistenza davanti all’Eterno presente.
Come ha detto il Card. Camillo Ruini nella Messa esequiale, era lì «per essere una presenza credente e amica e per favorire uno scambio di doni, anzitutto spirituali, fra l’Oriente e Roma, fra cristiani, ebrei e musulmani».
Era lì anche il giovane che lo colpì a morte. Al di là delle sue reali motivazioni, ancora da accertare – pubblicazioni delle famose vignette, legame con chi gestisce il traffico della prostituzione, istigazione di un maestro mussulmano, turbe psichiche -, quel gesto di disprezzo alla vita, propria ed altrui, è destinato a divenire un fecondo seme di speranza.
Ce lo ricordano le parole di S.Ecc.za Luigi Moretti, Vescovo Ausiliare di Roma, pronunciate nell’omelia del 9 febbraio nella Chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio: «Don Andrea ha vissuto la vita nel dono di sé, sapendo che solo offrendo se stesso al Signore avrebbe portato un frutto. La sua memoria diventi per noi benedizione, dono e impegno, responsabilità».
Il Mistero dell’Amore non finisce mai di sorprenderci e di stupirci: ancora una volta, vuole essere celebrato, esaltato e risplendere nella logica evangelica del chicco di grano, nella logica del dolore e della morte. In un mondo che ritiene assurda tale logica, scegliere di vivere e di morire da "chicco di grano" è la risposta più eloquente sul senso profondo ed ultimo dell’esistenza umana.
Per quanto tempo ancora si può stare a guardare la dilagante violenza che attanaglia il pianeta, come se appartenesse ad altri? Dobbiamo forse aspettare di essere molti per impegnarci? No. Don Andrea, e con lui tanti altri fratelli e sorelle, ci insegnano che basta anche un solo chicco di grano che, disposto a lasciarsi sotterrare nel grembo di questa terra, rinnova il miracolo dell’amore.
Siamo, dunque, chiamati a lasciarci interpellare in modo personale, a credere che l’umanità ha bisogno anche di me, di te, esseri unici ed insostituibili, e che senza il nostro chicco non ci sarebbe la messe tanto attesa: «Così tu - diceva il Signore a Madre Speranza - devi passare attraverso [l’elaborazione del chicco di grano] per arrivare ad essere quello che io desidero, cioè, servirmi di te per alimentare molte anime».
Il cuore della nostra fede cristiana è nell’incarnazione, in una Parola che si fa Carne, in un Dio che si fa Uomo, che si fa Pane, che spezza concretamente la sua esistenza per svelare all’uomo la sua alta dignità e la sua grande vocazione. Don Andrea, quale «silenzioso e coraggioso servitore del Vangelo», ha saputo incarnarsi e rimanere in quella difficile ed amata realtà, fino al punto di lasciarsi spezzare…

Negli anni della sua permanenza in Turchia, ed ancor prima con i suoi numerosi viaggi in quelle terre, è andato preparando in sé quel «grembo di fecondità», capace di accogliere e di far spazio all’altro, chiunque esso fosse: «senza fare distinzione tra buoni e cattivi, parenti ed estranei, amici e nemici», senza sentirsi mai sazio nella ricerca della felicità altrui (M. Speranza).
Così lo ricorda Paolo Masini, che lo conobbe durante il suo ministero sacerdotale a Roma: «Cortese e determinato, credo siano questi gli aggettivi più adatti per Don Andrea. Profondamente determinato nelle sue cose, una determinazione profonda, che si evince in tutte le sue scelte: quella di andare in una periferia, senza una chiesa; di proseguire la sua missione in un freddo garage della parte sud di Roma; fino alla scelta estrema di predicare il cristianesimo in un paese musulmano, cercando sempre il dialogo, aprendo sempre una finestra».

Per Don Andrea, l’altro era uno che gli apparteneva, tanto da lasciare tutto per condividere le sue gioie e le sue sofferenze, prendersi cura dei suoi bisogni. Ha creduto profondamente in quella verità che Madre Speranza ci ripete nei suoi scritti: «siamo stati fatti gli uni per gli altri e viviamo gli uni negli altri, dato che in noi c’è qualcosa degli altri e negli altri qualcosa di nostro; […] le nostre esistenze si compenetrano mutuamente e si identificano più o meno secondo quello che si riceve e si dà... Dio mio! Ti ringraziamo perché ci hai uniti così per l’eternità e perché fin d’ora ci fai vivere gli uni negli altri e tutti uniti a Te».
Il rapporto con l’altro, dunque, è generato e si alimenta nella consapevolezza di una mancanza da colmare, di una diversità da integrare, di una unità da ricomporre.

Quando, nonostante essere stati oggetto di disprezzo e di violenza, si esprimono comunque per l’altro sentimenti di amore e compassione, si spezza quella catena d’inaudita sofferenza e di vendetta che l’odio avrebbe innescato. Quando, sentendosi dell’altro, si inizia per primi a cambiare il proprio cuore… anche la rinuncia di sé e la morte acquistano un senso!
Il senso è nella riconsegna all’altro, attraverso il "per-dono", di una nuova possibilità di vita, della sua dignità, della fratellanza.
Il senso ce lo svela l’Amore Misericordioso sulla croce quando, con gli occhi rivolti verso l’alto, dice: "Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno». Quanto detto dal Card. Ruini il giorno del funerale, risuona come un’eco di queste parole e della paradossale logica evangelica: «La mamma di Don Andrea perdona con tutto il cuore la persona che si è armata per uccidere il figlio e prova una grande pena per lui essendo anche lui un figlio dell’unico Dio che è amore».

Madre e figlio, uniti da uno stesso coraggio, «che ha la sua radice nell’unione con Gesù Cristo, nella forza che viene da lui, in maniera tanto misteriosa quanto vera e concreta», e che li porta ad affrontare l’una il martirio del cuore, l’altro il martirio fisico, il martirio della presenza.
"Di un coraggio analogo
– prosegue il Card. Ruini – ciascuno ha bisogno, se vuole affrontare da cristiano il cammino della vita. E ne abbiamo bisogno tutti insieme, se vogliamo, nell’attuale situazione storica, affermare il diritto alla libertà di religione, madre di ogni libertà, come valido in concreto ovunque nel mondo, davvero senza discriminazioni».

La pace nasce dall’accoglienza, dal dialogo, dal reciproco rispetto e dal perdono. Lo sa bene Papa Benedetto XVI che, alla fine di novembre, ha scelto di essere in Turchia, rispondendo ad un invito profetico rivoltogli dallo stesso Don Andrea, a nome di tre donne della sua parrocchia.
Il segreto sogno e la fede audace di un così «piccolo gregge» (tre donne di Trabzon), si fa realtà: si fa «sale, lievito e luce» non solo per la terra turca – come auspicato da don Don Andrea nella lettera inviata al S. Padre – ma, per ogni uomo.
Papa Ratzinger, con il suo viaggio, mostrerà che è possibile vincere il male con il bene; che, nell’amore di Cristo, si può superare ogni divisione ed abbattere i muri dell’odio; che il dialogo interreligioso, intesto come «scambio di doni», è possibile sempre.

Don Andrea è stato un testimone autorevole di queste verità; un testimone credibile della fraternità che unisce i figli dell’unico Padre, incarnandola in una situazione che non consentiva grandi margini d’azione e non favoriva una ricchezza di relazioni; ha realizzato questo progetto facendo della sua vita un dono, attraverso il suo impegno di fratellanza e di dialogo, con la sua presenza e la sua preghiera.
«Nel 2003, - scrive il Consigliere comunale, Paolo Masini - un episodio ci riavvicinò di nuovo dopo tanti anni. Da tempo con il XVI Municipio lavoravamo nel campo del dialogo interreligioso e pensammo di creare un calendario con le festività delle varie religioni. Concordammo con una collaboratrice di Don Andrea di ampliare il calendario che lui aveva realizzato con le festività delle religioni abramitiche…
Da un malinteso, nacque uno scambio di e-mail chiarificatrici. Alla fine, don Andrea mi disse che era felice perché "dopo tanti anni eravamo sempre impegnati dalla stessa parte, seppur con ruoli e postazioni diverse; anche se è più facile lavorare sul dialogo interreligioso in un Municipio di Roma che qui in Turchia, auguro buon lavoro a entrambi"».
Ora il suo "lavoro" è un altro e, come ha detto il Papa nell’Udienza di mercoledì 8 febbraio, ci auspichiamo che «il Signore faccia sì che il sacrificio della sua vita contribuisca alla causa del dialogo fra le religioni e della pace fra i popoli».

Amore, dialogo, dono di sé, perdono, pace... Questi ed altri valori, per poter divenire un patrimonio universale, hanno bisogno di trovare un’accoglienza feconda in seno a quel piccolo grembo, a quella palestra di relazioni, a quella scuola di umanità che, per vocazione, è la famiglia. É questa il luogo privilegiato per sperimentare la gioia di essere parte di un tutto più grande, di essere attesi, di essere stati pensati, di poter essere protagonisti della propria vita. É qui che le prime domande di "senso" vengono rielaborate, trovano risposte coraggiose; che la mente si apre a capire, l’anima ad amare, la volontà a dire "sì"alla chiamata.
Paolo Masini, che conobbe Don Andrea negli anni ’70, ricorda: «anni splendidi, postconciliari, in cui si respirava sempre un’aria di primavera. In quell’ambiente sono cresciute (nel vero senso del termine) intere generazioni del quartiere "Monteverde". Insieme a lui, c’erano Don Lauro Viscardo il parroco, Don Franco, Don Giuseppe, Don Antonio, Guglielmo. Da loro, oltre che dalla mia famiglia, ho appreso il valore sociale che può avere una vita spesa bene».

Ritornano alla mente le parole di Giovanni Paolo II, quando non si stancava di ripetere che la famiglia è il luogo dove si giocano il destino dell’uomo e dell’umanità.
Vorrei proporvi il frammento di un’altra storia legata alla precedente, quella di Loredana Masini; ci facciamo raccontare da lei come si siano intessute la sua storia personale e quella della sua famiglia con la vita di Don Andrea, incontrato sul suo cammino nel periodo adolescenziale.
È una storia di vita, è solo un chicco di grano… che, fra sofferenze, interrogativi, timori… ha portato e continua a portare frutto. A volte si può avere la sensazione di andare "contromano" rispetto al mondo, ma vogliamo continuare a credere che «il dolore vissuto con abbandono e la steppa attraversata con amore diventa cattedra di sapienza, fonte di ricchezza, grembo di fecondità» (Don Andrea Santoro).
Non resta che essere presenti a quel "qui ed ora" che la quotidianità ci offre e lasciar triturare il nostro piccolo "chicco" con quello di tanti fratelli e sorelle, ricordando che «insieme si serve meglio il Signore»!

 

Un ponte tra Oriente ed Occidente, un ponte tra cielo e terra

"Avevo circa 16 anni quando ho avuto la fortuna di conoscere Don Andrea, nella parrocchia della Trasfigurazione. Avevo quindi la stessa età del ragazzo che pochi giorni fa l’ha ucciso alle spalle. Ringrazio Dio che mi ha dato la possibilità di conoscerlo, apprezzarlo ed ascoltarlo e mi dispiace tanto per quel ragazzo che non ha saputo apprezzare, capire, ascoltare.
Era veramente una bella figura che ha guidato e protetto la mia adolescenza come un angelo custode insieme ad altri due sacerdoti della Trasfigurazione.
Ricordo il suo arrivo, era un bellissimo prete, giovane, pieno di entusiasmo e altissimo (soprattutto per me che ero ancora piccola). L’immagine che ho di lui è proprio il suo portamento elegante, alto come una giraffa con il suo collo lungo. Di solito le persone alte sono un po’ curve, sono un po’ dinoccolate, ma lui aveva un portamento così fiero, sicuro, posato ed elegante che non poteva che rimanere impresso. Era come un’antenna con i piedi per terra, ma in continuo contatto con il cielo. Si è detto di lui che era un ponte tra oriente ed occidente e sicuramente è vero, ma è vero pure che era un ponte tra la terra ed il cielo.
Era qui su questa terra ma pregava sempre, era sempre in contatto con l’Altissimo. Si vedeva dai suoi gesti calmi e pacati e soprattutto dalla sua voce (quello che più vorrei riavere di lui è risentire la sua voce). Era calma e profonda, consapevole, tutto di lui aveva un certo spessore. Si sentiva in ogni istante la sua consapevolezza del "qui ed ora", del vivere l’attimo presente, di ascoltarti con tutto se stesso.

Non mi meraviglia affatto che abbia continuato la sua vita sacerdotale alla ricerca del dialogo tra le religioni, per arrivare al seme originario, alla luce interiore che è uguale in ognuno di noi; non mi meraviglia che abbia cercato di ritornare alle origini della nostra religione, che si sia fatto ultimo, umile e precario.
Quando è andato via dalla parrocchia della Trasfigurazione per andare a "Verde rocca", lasciava un ambiente abbastanza tranquillo ed organizzato per recarsi in un quartiere nuovo dove c’era tutto da fare, compresa la chiesa. Mi colpì molto la precarietà della sua abitazione, della chiesa e della situazione in generale, essendo abituata ad un quartiere già ben strutturato.

Nel corso degli anni l’ ho rincontrato "casualmente", in un altra chiesa in occasione di un funerale, ed ancora quando vendevo oggetti del commercio equo e solidale, o a sostegno di popolazioni africane e dell’america latina.
Una volta entrai in una chiesa (S. Fabiano e Venanzio) perchè avevo un appuntamento lì con mio padre; appena entrata ho sentito la sua voce mentre stava celebrando. Risentire inaspettatamente la sua bellissima voce fu per me un balsamo, uno sciroppo che ti addolcisce la gola e il torace. Non so come spiegarmi, la sua voce potrebbe essere la voce di un angelo custode che ti protegge, ti tranquillizza e soprattutto intercede per te con il Padre.
Si dice che la morte di don Andrea può essere un seme per tante persone, per me e per la mia famiglia (come per tantissimi altri) già lo è stato. Abbiamo avuto la fortuna di frequentarlo per circa 10 anni e crescere alla sua scuola: mio fratello Paolo, collaborando con lui, ha stampato e diffuso calendari e manifesti con i diversi simboli delle varie religioni ("Segni di pace"), da appendere nelle scuole e nei luoghi pubblici.
Mio padre, una volta morta mamma, si è fatto frate francescano ed è stato più di tre anni missionario in Africa, all’età di 73/76 anni, in un villaggio a prevalenza mussulmana.
Nella mia vita anch’io ho cercato di essere aperta verso le altre religioni, verso gli stranieri, verso chi è nel bisogno, ma mi sono resa conto che, quando hanno ucciso don Andrea, ho avuto un atto di rabbia, perchè hanno toccato una cosa troppo vicina a me, un affetto ed un ricordo troppo cari.
Ho ripensato, allora, con forza, che non è giusto morire per essersi punti con l’ago infetto di un malato che si stava assistendo, come è accaduto a mia madre; o andare in Africa a prendersi la salmonella e la malaria per aiutare gli altri, come è stato per mio padre. Mi sono chiesta se sia valsa davvero la pena, per don Andrea, cercare il dialogo con chi poi l’ha ucciso alle spalle... Mi sono detta che ero cresciuta ad una scuola troppo aperta, che bisognerebbe avere un po’ più di sano egoismo e salvarsi la pelle.
Poi…, ho visto la madre di don Andrea che ha perdonato il ragazzo ed ho pensato che l’avrebbe perdonato pure don Andrea ed allora..., ho fatto spazio nel mio cuore, ho perdonato anch’io!
Alla parrocchia Trasfigurazione è stata celebrata una Messa per ricordare don Andrea. In chiesa si sono rivisti volti che da tanti anni non si rincontravano. Rientrando in quella chiesa, sembrava di essere a 30 anni fa; sembrava di rivivere tutto come se fosse passato un giorno solo. Segno tangibile che si era seminato bene, che quegli anni 70 erano stati anni intensi e veri per tutti noi, sacerdoti e laici.
Tutte le belle parole che si sono usate per don Andrea sono meritate, ma vorrei mettere l’accento su tanti altri preti (ed anche religiosi, suore e laici) che veramente tutti i giorni si adoperano per gli altri, anche rischiando la loro vita.
Per il dono di questi fratelli e sorelle un profondo grazie al Signore per averceli posti accanto perché ne seguissimo le orme".

Loredana Masini

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ultimo aggiornamento 20 marzo, 2006