STUDI
 

     Prof. Ing. Calogero Benedetti

 

 

Analisi di un saluto

 

 

Ave, seconda persona singolare dell’imperativo del verbo latino arcaico avére = star bene, ha il significato primitivo di "prescrivere" (è un imperativo) una buona salute (da salus-utis = usufruire della salute) a colui cui l’ave è rivolto.
Come tale la sua struttura è "transitiva" dal profferente al profferito, ed è "augurale" cioè finalizzata al conseguimento (od al mantenimento) di tale buona salute. Che se poi ciò non dovesse verificarsi il residuo dell’asserzione è solo di essere stata un vano "flatus vocis", ma non coinvolge altrimenti chi l’ha profferita.

Analoga struttura e significato sono quelli di "salve" (derivato da salus = salute) e di "vale" (dal latino "vàleo=star bene), essi pure "augurali" nei riguardi della salute della persona in indirizzo e con il residuo del solito "flatus-vocis" se l’augurio non dovesse verificarsi.

Queste forme di "saluto" sono tipiche della cultura "occidentale" (essenzialmente romana, da cui linguisticamente derivano), e non coinvolgono colui che le profferisce, ma sono intese a favorire la realizzazione del loro contenuto in base alla supposizione (credenza) che l’affermare qualcosa ne implica il suo verificarsi in forza del suo semplice essere asserito (è in ciò che consiste l’augurio).
Forme siffatte hanno pertanto una radice "magica" (anche se oggi è divenuta inconscia).

Figure "moderne", quali "buon giorno", "buona sera", ecc., si riconducono alla medesima struttura augurale-transitiva, e così pure quelle implicanti la sottomissione del profferente, per esempio il diffusissimo "ciao" [dal veneziano "chiavo"= (suo) schiavo] che appunto implica la sottomissione; e così pure il "saluto militare" che è una gestualità di obbedienza incondizionata nei riguardi della prevalenza (da pre - vàleo) del Superiore; lo stesso si ha nel salutare togliendosi il cappello (gesto di sottomissione), ecc.

È peraltro da osservare che la rimozione al di fuori dell’ambito della coscienza dell’originale intenzionalità magica del saluto "occidentale" lo trasforma nell’espressione di un desiderio (= che Tu stia bene).
Con ciò la forma augurale "precettiva" (= forma verbale all’imperativo 2a persona) si traduce in un atto di "rispetto" nei riguardi dell’Altro.

Sotto al velo della parola antica alberga cioè l’ossequio nei confronti dell’Altro.

Assai differenti sono invece la forma, il contenuto e la struttura del saluto "orientale", che, al contrario di quello occidentale, ha la figura e l’intenzionalità di un dono concreto offerto al soggetto in indirizzo.

Esso consta nell’offerta della pace, della serenità dell’anima, e della gioia.

La caratteristica è quella transitivo - riflessiva, nel senso che il dono se non è accetto ritorna all’offerente, sicché non è mai vano; inoltre non riguarda la salute di colui che riceve il saluto, e principalmente non ha radice "magica" perchè il dono, essendo un atto concreto, è "attuale" e non "augurale" e non è mai un flatus -vocis.

Eccone la formulazione che p.es se ne legge in S.Luca (Lc.10 - 11/13): Entrando in una casa rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi.

Nel saluto "orientale" non si tratta dunque di un "augurio" che concerne la "salute in futuro" della persona che viene salutata ma è un’offerta gioiosa di un dono interiore che viene "partecipato" ad altrui a che l’abbia anche Lui e lo condivida con colui che glielo offre.

Le due figure "dominanti" del saluto occidentale e del saluto orientale sono dunque: il rispetto e l’ossequio nel caso del saluto occidentale; la condivisione della pace e della gioia interiore nel caso del saluto orientale.

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Ritengo che il "saluto" più celebre in assoluto sia quello rivolto alla Vergine dall’Angelo inviatoLe da Dio.

Esso ci è stato tramandato dal solo S.Luca. Gli altri tre Evangelisti non lo riferiscono.
Qual’è la configurazione di questo "saluto"?.

Secondo la tradizione e secondo molta autorevole critica storica, S.Luca ha probabilmente scritto il proprio Vangelo (catà lòjcan = secondo Luca) direttamente in greco, utilizzandovi le terminologie dell’epoca.

Naturalmente ne sono state fate innumerevoli traduzioni, nelle lingue di tutto il mondo.

Ho qui sul tavolo le due traduzioni italiane, quella della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) del 1972 e quella integrale detta "la Bibbia di Gerusalemme (B.J.)" del 1973.

Nella versione della CEI si legge: (Lc.11-26/28):

«Nel sesto mese l’Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, ad una vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da Lei disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con Te"».

La versione della CEI è connotata dal termine "Ti saluto" nell’ordinaria accezione.

Ora nel greco di S.Luca il termine "saluto" è reso con cai¢re (chaìre) che nel suo significato originale proviene da cai¢rw = rallegrarsi, (od essere nella gioia) (cfr. Gemoll. Ed. Sgudron 1908-Firenze).
Perciò (B.J.) anzicché il termine "Ti saluto" preferisce, nel tradurre, la dizione: "Rallegrati, o piena di grazia".

Come si vede subito la locuzione adottata dalla CEI è dunque prossima al significato "occidentale", cioè all’Ave, che da tempo immemorabile ha ispirato la preghiera mariana per eccellenza, l’Ave Maria. La locuzione di (B.J.) è invece quella "orientale" dell’invito alla gioia, così come è riflesso nel medioevale "Regina Coeli, laetare" che sostituisce ancor oggi l’Angelus nella liturgia del Tempo pasquale.

 

L’Ave, naturalmente disancorato da ogni significazione lessicale concernente precettivamente la salute, trasferisce, come ho mostrato prima, un’indicazione di rispetto, e si affida all’inespressa trepida speranza, che la Vergine voglia, donandosi, accettare il compito che Le viene offerto (così come in effetti è poi riferito, subito dopo, che Ella fa, pronunciando il proprio "fiat mihi secondum verbum tuum").

Il "rallegrati" greco-orientale di (B.J.) prelude invece alla gioia della Redenzione, la qual ultima si verifica in quanto mediata dalla libera accettazione di Maria.

Nell’Ave si è quindi più propriamente nell’ambito della preghiera, il cui esito è tutto affidato alla personale autonomia della Vergine.
L’Ave è insomma affidamento alla Sua libera scelta, e come tale Ella è oggetto di rispetto ed ossequio.

Nel "rallegrati" di (BJ) c’è invece lo splendore solare e dorato della designazione divina attorno alla Vergine e che attraverso Lei si estende fino alle isole remote, poste ai confini del Mondo, si estende cioè all’umanità intera, ed a tutti i secoli.

Ossequio e gioia sono, con ciò, i due cardini dell’Annunciazione della Vergine Maria, i due cardini della Redenzione operata da Cristo per mezzo di Lei, secondo la Promessa e l’Annuncio profetico che La riguarda.

Non è fuor di luogo ricordare invero che nella versione in greco dell’Antico Testamento fatta dai Settanta più di un secolo prima di Cristo, la <<stirpe (al femminile) di donna, che prevarrà sul "serpente antico" (Gen. 3-15)>> è resa al singolare maschile.1

Questo fatto, lungi dall’essere considerato un errore redazionale, è stato costantemente inteso da tutta la Patristica quale annuncio profetico (protovangelo) del Messia (il "questo" al maschile singolare), e quindi del ruolo della Vergine (poichè il Messia vi è annunciato "nato da donna"), posti alla radice stessa (Genesi) della storia della Salvezza e del riscatto dell’intera umanità.


1 Cioè non ...."questa" (= la stirpe, al femminile) ma "questo" (singolare e maschile) ti schiaccerà il capo (Genesi loc.cit.).

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ultimo aggiornamento 25 aprile, 2006