DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

 

Figli e Ancelle dell'Amore Misericordioso nel mondo

Sac. Angelo Spilla SDFAM


Collevalenza, Festa di Sant'Alberto Magno, 15 novembre 2006

La vocazione di Figlio dell’Amore Misericordioso per i sacerdoti diocesani FAM

I punti essenziali dell’identità del sacerdote diocesano Figlio dell’Amore Misericordioso.
Verso una vita  di comunità nuova

 

L’augurio che fin dall’inizio ci prefiggiamo nell’individuare le linee direttive che devono essere da guida per la crescita delle nostre comunità FAM e in particolar modo per quelle erigende dei sacerdoti Diocesani FAM vorrei formularlo con quanto San Luca dice della prima comunità di Gerusalemme: "Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della resurrezione del Signore e tutti essi godevano di grande stima" (At 4,33).
La forza di questa testimonianza dipende dall’esistenza stessa della comunità e del suo stile di vita. Propriamente viene detto ancora nei confronti della prima Comunità cristiana che "la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola".
Ecco l’augurio che fin dall’inizio ci facciamo.
Anche le nostre comunità religiose, proprio perché hanno la certezza della presenza del Cristo Risorto che opera con noi e in noi, sono chiamate a rendere credibile questo annuncio: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35).
Come nella Chiesa dei primi tempi, così siamo chiamati nelle nostre comunità, oggi.

 

Quali punti essenziali dell’identità dei SDFAM

Mi piace partire dal Decreto del Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica datato 26 maggio 2005. E in questo contributo faccio riferimento propriamente allo Statuto dei Sacerdoti diocesani FAM; Decreto che ha approvato e confermato "definitivamente il testo dello Statuto come presentato e conservato nell’archivio del medesimo Dicastero ". In questo breve contributo faccio riferimento principalmente a questo Statuto, così come approvato.
Una tale approvazione dalla Santa Sede costituisce certamente per i sacerdoti diocesani Figli dell’Amore Misericordioso una tappa di arrivo. Madre Speranza lo aveva avuto detto da Gesù e per questa approvazione ecclesiastica aveva pregato ed atteso. Una tappa di arrivo che vede oggi nel seno della famiglia dei FAM anche il ramo dei sacerdoti diocesani. Perché partecipi dell’"unica vocazione e di un medesimo dono di grazia, sono chiamati a perseguire le stesse finalità della Congregazione, secondo modalità proprie e in maniera compatibile con gli impegni diocesani". (Statuto, art.2).
Ma non solo momento di arrivo. Viene chiesto adesso a questi chierici diocesani consacrati di vivere secondo questo carisma con la modalità propria, secondo quanto approvato dall’autorità ecclesiastica. Un dono e un impegno quindi che viene a interpellare i chierici diocesani consacrati FAM e l’intera Congregazione alla quale si appartiene.
Un nuovo ramo che si aggrega ai primi tre già riconosciuti e che sperimentano già da tempo -55 anni appena dalla nascita- un cammino di fede e di testimonianza: i sacerdoti religiosi, i fratelli religiosi in abito ecclesiastico e i fratelli religiosi in abito civile.
Non si tratta di considerare adesso in quale grado questi sacerdoti Diocesani FAM appartengono alla Congregazione FAM, se più avanti o più indietro rispetto agli altri, oppure se da considerarli religiosi in senso stretto o meno. A me pare che nella vita della fede, per la sequela di Cristo, c’è una regola sola da tenere presente e che precede ogni formula giuridica ed è l’appello di Gesù: "Una cosa sola ti manca. Va vendi quello che hai. Poi vieni e seguimi". "Vieni e seguimi" è chiesto ad ogni consacrato. Vieni e seguimi, quindi, anche al chierico diocesano consacrato unito all’Istituto Religioso dei Figli dell’Amore Misericordioso.
Diversi rami certamente ma unica Famiglia perché partecipi di un’unica vocazione e di un medesimo dono di grazia. E poi perché chiamati a perseguire le stesse finalità della Congregazione, anche se con modalità proprie e in maniera compatibile –come in questo caso dei SDFAM- con gli impegni diocesani.
Non è superfluo precisare quanto detto anche per gli stessi sacerdoti diocesani FAM al fine di far prendere maggiore coscienza del loro stato di vita, una volta emessi i voti, e vedere anche nella Congregazione FAM la propria famiglia, il grembo del Padre ricco di misericordia che ci ha accolti, l’amore senza limiti di Gesù che ci spinge ad incarnare nel proprio ministero l’amore misericordioso e lo Spirito Santo che ci offre una chiara e tipica testimonianza ecclesiale, conforme alla natura della vita consacrata.
Occorre conoscere, però, questi punti essenziali dell’identità.
I Sacerdoti Diocesani FAM si uniscono alla Congregazione "mediante la professione dei consigli evangelici di castità, povertà ed obbedienza e partecipano alla vita comune" (Statuto, art.1). Pratica dei consigli evangelici e vita comune sono i due requisiti fondamentali che definiscono la modalità di appartenenza.
" Gesù chiamò vicino a sé alcuni che aveva scelto, ed essi andarono da Lui… Li scelse perché stessero con Lui, per mandarli a predicare" (Mc 3,13-14). "Venite con me, vi farò diventare pescatori di uomini… Essi abbandonarono subito le reti e lo seguirono" (Mc 1,17-18). "Gesù lo guardò con amore e gli disse: và, vendi tutto quello che possiedi, e i soldi che ricavi dallo ai poveri. Allora avrai un tesoro in cielo. Poi, vieni e seguimi!" (Mc 10,21). "Gesù riunì i Dodici… poi li mandò ad annunziare il Regno di Dio"(Lc 9,1-2). Sono veramente tanti i riferimenti evangelici che ci richiamano soprattutto questa chiamata e questa appartenenza alla vita religiosa. Così abnegazione, povertà, preghiera, obbedienza e missione diventano stili e forme di vita che come ali ci permettono di entrare nel Vangelo, senza essere considerate per niente delle gabbie.
Giovanni Paolo II in una delle ultime profezie ci ha detto: " No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa infonde in noi: Io sono con voi!" (Novo Millennio ineunte, 29 ). Allora non ci preoccuperà neppure un’altra forma di vita religiosa, a confronto di quelle già collaudate, nè pretendiamo sostituirla a queste. Non pretendiamo sostituire o sopravvalutare ma tutti ci lasciamo precedere e accompagnare dal Signore senza volere dettargli le vie, ma di percorrere realmente la "Via".
Ai sacerdoti diocesani FAM è chiesto propriamente di camminare con questa duplice attenzione: l’osservanza dei consigli evangelici e la pratica della vita comune in maniera compatibile con gli impegni diocesani.
Ci addentriamo adesso a considerare più da vicino questa specifica vocazione.
Da una lettura attenta dello Statuto ci si chiede quale sono i punti comuni con l’intera Congregazione a cui è tenuto anche il sacerdote diocesano FAM e quale, invece, quelli specifici dei chierici diocesani consacrati.
Individuo prima i punti in comune che consistono nelle finalità proprie della Congregazione dei FAM:

 

1. Partecipazione ad un’unica vocazione e ad un medesimo dono di grazia

Si tratta del dono della chiamata che accomuna in questo caso anche tutta l’intera Famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso: Ancelle e Figli dell’Amore Misericordioso. Ma ci riferiamo particolarmente ai FAM . È la chiamata di Gesù Amore Misericordioso che va in cerca dell’ultimo, di chi non ha da rivendicare niente, di chi immeritatamente si sente chiamato, amato e inviato.
È la chiamata in questa Congregazione religiosa a saper cogliere il respiro di Dio Padre che ama tutti i suoi figli e li vuole rendere felici. Lo scorso giovedì santo, il Santo Padre Benedetto XVI nell’omelia della messa crismale ha proposto una riflessione spirituale molto intensa sulla grazia del sacerdozio ed ha invitato tutti sacerdoti a non dimenticarlo, magari troppo presi dagli impegni pastorali o dalle cose pratiche da fare e dall’attimo che rischia di svuotarne il significato.
Che cosa ci ha ricordato il Papa? Ci ha ricordato che il sacerdote in forza del sacramento parla e agisce con l’io di Cristo, "in persona Christi". Facendo riferimento propriamente al gesto antichissimo dell’imposizione delle mani il Signore è come se ci avesse detto: "Tu mi appartieni… Tu stai sotto la protezione delle mie mani. Tu stai sotto la protezione del mio cuore. Tu sei custodito nel cavo delle mie mani e proprio così ti trovi nella vastità del mio amore. Rimani nello spazio delle mie mani e dammi le tue" (Benedetto XVI, Lettera ai sacerdoti per il giovedì santo del 2006).
Anche nelle Costituzioni FAM ribadiamo questa scelta ed appartenenza: "Nell’Eucarestia si attua la reale comunione con l’Amore crocifisso e risorto. Al momento della nostra professione religiosa siamo stati offerti a Dio dalla Chiesa, in intima unione al sacrificio eucaristico. L’offerta di noi stessi deve divenire una realtà concretamente e continuamente rinnovata" (Art. 4). E poi, ancora più specificatamente riguardo alla nostra vocazione le stesse Costituzioni ci richiamano: "Al seguito di Cristo, misericordia incarnata, siamo chiamati ad accogliere, facendone profonda e personale esperienza, l’Amore Misericordioso di Dio e a testimoniarne il primato nella nostra vita. E’ necessario che ci impegniamo il più possibile affinché l’uomo conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e veda in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti. Questa ispirazione centrale del nostro carisma illumina tutto il nostro essere e operare, e risponde alle attese più profonde del cuore umano, che quando si chiude al cuore di Dio vive l’amara esperienza della solitudine e della disperazione" (Art. 8).
Anche ai sacerdoti diocesani con voti valgono questi stessi richiami che costituiscono la propria vocazione specifica oltre a quanto ricevuto con il sacramento dell’ordine sacro. È la chiamata alla perfezione dell’amore che si esprime nella misericordia, cuore della nostra missione.
Il Signore anche con la chiamata alla vita religiosa ha reso i sacerdoti diocesani Figli dell’Amore Misericordioso partecipi di questa vocazione e di questa grazia.

 

2. Chiamata a perseguire le stesse finalità della Congregazione secondo modalità proprie e in maniera compatibile con gli impegni diocesani

Qui vediamo adesso ancora gli aspetti comuni che toccano però le finalità. Nella Chiesa siamo chiamati ad essere sacramento dell’Amore Misericordioso.: "Nel momento in cui diveniamo religiosi, siamo costituiti apostoli dell’Amore Misericordioso con tutta la nostra vita" (Costituzioni, art.16). Questo annunzio e questa testimonianza si esplicano nei confronti dei due amori: i poveri e i sacerdoti. Sempre dalle Costituzioni leggiamo: "I Figli dell’Amore Misericordioso aiuteranno e conforteranno molte famiglie bisognose ed afflitte; porteranno consolazione ai malati; presso di loro gli orfani e i bisognosi troveranno la propria famiglia, i giovani la guida, i deboli il sostegno e i caduti la forza per rialzarsi… Ogni bisognoso –povero, malato o peccatore– deve trovarci sensibili e pronti nell’intervenire affinché ritrovi la sua dignità di figlio di Dio, libero e responsabile per accogliere il suo amore" (Art.17). E poi riguardo all’attenzione specifica dei sacerdoti viene detto: "Consapevoli che Cristo è il Sommo Sacerdote misericordioso perché ha offerto se stesso a Dio per noi condividendo le nostre infermità, noi Figli dell’Amore Misericordioso vediamo nei sacerdoti i primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini. Per questo motivo abbiamo una priorità ben chiara nella nostra missione: l’unione del clero secolare. Il fine principale di questa Congregazione è l’unione del clero diocesano con i religiosi, i quali devono porre tutto l’impegno e la cura nell’unirsi ai sacerdoti, essendo per loro veri fratelli, aiutandoli in tutto, più con i fatti che con le parole" (Art. 18).
Anche nello Statuto dei sacerdoti diocesani FAM vengono richiamate queste finalità comuni: " Essi sono chiamati, innanzitutto, ad annunciare la pienezza di bontà di Dio Padre, il quale ama tutti i suoi figli e li vuole rendere felici: per questo in Gesù Cristo si è rivelato particolarmente ricco di amore e di misericordia, affinché l’uomo, anche il più malvagio e peccatore, non temesse di tornare pentito alla casa del Padre, per esservi di nuovo accolto in qualità di figlio" (Art. 3). Una finalità, quindi, che ci coinvolge con la vita e la parola ad annunciare la bontà di Dio, nella rivelazione dataci da Gesù Amore Misericordioso.

 

3. Professione dei consigli evangelici di castità, povertà ed obbedienza.

La scelta dei consigli evangelici va vista come servizio alla pienezza della vita. E vanno abbracciati con gioia poiché non si tratta di semplice e pura rinuncia e sottomissione ma di radicalità dell’amore e di servizio alla vita.
È lo Spirito Santo che guida i consacrati a una comprensione vitale dei consigli evangelici per una maggiore conformità con la vita di Cristo.
La pratica dei voti, poi, va fatta con un atteggiamento di fondo: la libertà di mettersi al servizio del regno di Dio. La povertà, l’obbedienza e la castità celibataria sono propriamente questa forma di consacrazione al Dio della vita e dell’amore.
Nelle Costituzioni leggiamo infatti: "La professione è l’atto con cui ci doniamo totalmente all’Amore Misericordioso come figli e servi suoi, impegnando tutta la nostra vita nel perseguire le finalità della Congregazione, secondo il suo spirito. È l’alleanza nella quale si celebra l’incontro più profondo tra l’Amore del Signore che chiama e l’amore del discepolo che risponde con una scelta unica ed irrevocabile. È l’impegno reciproco del religioso che entra a pieno titolo a far parte della Congregazione, e di questa che l’accoglie con gioia per condurlo verso la pienezza della carità, secondo le Costituzioni. È il segno di una consacrazione pubblica e permanente per quel servizio specifico nella Chiesa per il quale la Congregazione è stata riconosciuta ed approvata" (Art.30).
Questo è proprio il significato per cui anche i sacerdoti diocesani con voti fanno la professione religiosa. Si tratta di una particolare chiamata che rafforza e perfeziona ancor più quella ricevuta con il sacramento dell’ordine sacro. Infatti nello stesso Statuto si legge: " Attraverso l’effettiva prassi dei consigli evangelici assunti in maniera istituzionalizzata, essi, si danno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa e si pongono alla sequela del Divino Maestro al di là della stretta misura del precetto, per seguirne più da vicino gli esempi e gli intendimenti, sotto l’azione dello Spirito Santo" (Art. 8).
Questa alleanza stretta tra il Signore che chiama e noi che rispondiamo, questo inserimento nella Congregazione mediante la consacrazione pubblica e permanente producono degli impegni.

E trattiamo così, adesso, ciò che è specifico ad ogni sacerdote Diocesano FAM. A farci da guida è sempre lo stesso Satuto per i sacerdoti diocesani dove richiama quattro punti:
"Tendere con rinnovato impegno alla propria santificazione, così da conseguire una maggiore armonia tra vita interiore e ed azione apostolica" (art. 4).
"Perseguire con particolare interesse il fine primario della Congregazione, a norma delle Costituzioni, operando per l’unità del clero diocesano e la sua santificazione, in spirito di concreto servizio fraterno" (art. 5).
"Incarnare nel proprio ministero la particolare sollecitudine dell’Amore Misericordioso del Signore per quanti sono maggiormente colpiti dal male morale, fisico o materiale, ponendo di preferenza la propria carità pastorale al loro servizio" (art. 6).
"Offrire una chiara e tipica testimonianza ecclesiale, conforme alla natura della vita consacrata" (art. 7).

Si tratta di compiti assai specifici ed impegnativi che già nella loro enunciazione parlano da sé e ci interpellano. Ma preferisco sottolinearne alcuni aspetti che sono di richiamo a questo compito specifico dei sacerdoti diocesani con voti. Mi riferisco a tre aspetti che toccano più da vicino i sacerdoti diocesani con voti FAM: la professione dei consigli evangelici, il rapporto tra sacerdoti diocesani e sacerdoti religiosi, e la vita comunitaria.

 

1. La professione dei consigli evangelici

Le persone consacrate vengono consacrate a Dio mediante il ministero della Chiesa.
Cosa significa in concreto, secondo lo Statuto, l’osservanza dei consigli evangelici ce lo dice lo stesso testo approvato dalla Santa Sede. Già nella definizione iniziale si legge: "I sacerdoti diocesani Figli dell’Amore Misericordioso, sono chierici diocesani consacrati i quali, senza mutare la propria condizione canonica, si uniscono in quanto singoli, all’Istituto religioso dei Figli dell’Amore Misericordioso mediante la professione dei consigli evangelici di castità, povertà ed obbedienza …"(art.1). Ma poi ancora più specificatamente viene detto: "Poiché con questa consacrazione i sacerdoti diocesani perfezionano impegni già precedentemente assunti e ne contraggono di nuovi verso la Congregazione, essi emettono i voti di obbedienza, castità e povertà nelle mani del Superiore generale o, in forza del presente Statuto, nelle mani del proprio Ordinario diocesano, secondo la formula prescritta" (art.17).
Nel fare la professione dei consigli evangeli il sacerdote diocesano sa come la "sequela Christi" è il punto determinante per interpretare e comprendere i consigli e la loro pratica. E proprio perché ormai appartenenti a questa Congregazione ci si impegna a vivere la santità evangelica secondo il carisma dell’Amore Misericordioso e a testimoniarne il primato nella nostra vita. E’ seguendo Cristo casto, povero e obbediente che il consacrato realizza questa specifica vocazione. Lo Statuto, poi, oltre a delineare il carisma determina, anche, in concreto come va attualizzato mediante i voti. Esso quindi comprende la finalità, la natura e lo spirito che sono l’espressione dell’intendimento e del progetto della fondatrice, Madre Speranza.
Vivere la castità significa avere un cuore puro, che ha sì rinunciato all’affetto umano, ma per essere ripieno di Dio e testimoniarlo così nel mondo. Per il sacerdote diocesano con voti significa in questo caso di un rinnovo degli impegni del celibato ecclesiastico. Lo stesso Statuto infatti lo precisa quando afferma: " con il voto di castità assumono di nuovo e con rinnovato slancio gli impegni del celibato ecclesiastico, per aderire con cuore indiviso a Cristo Signore, nella piena donazione ministeriale alla Chiesa e nella testimonianza gioiosa della condizione futura" (art.39). E Madre Speranza diceva con fermezza: " I Figli dell’Amore Misericordioso faranno risplendere la virtù della castità in tutta la loro persona ed in tutto il loro comportamento"( El pan 14,57).
Povertà vorrà dire, nel concreto, non attaccarsi ad alcunché, per avere un cuore libero di amare Dio. Povertà, poi, ci richiama anche la comunione dei beni che è un impegno al quale tutti siamo tenuti. Ma non ci dimentichiamo che c’è anche la comunione dei beni spirituali. Non dobbiamo tenerli per noi solamente ma siamo chiamati a farne dono agli altri. Quando, così, doniamo le idee, le ispirazioni, le esperienze pastorali positive o negative, i frutti della preghiera, viviamo la propria vita nella povertà di Cristo. Madre Speranza ci ricordava che la povertà non va vista tanto dal punto di vista negativo, cioè sotto l’aspetto della rinuncia, quanto nell’aspetto positivo, e cioè avere un cuore libero da tutto per potere amare Dio e i fratelli. Lei diceva: " E’ diritto di Gesù che il nostro cuore, libero da ogni legame, si slanci verso di Lui come al sommo Bene" (El pan, 5,182).
L’obbedienza, infine, è intesa prima di tutto come obbedienza a Dio e alla sua volontà. Chi obbedisce a Dio vive come Cristo, che si è fatto obbediente fino alla morte di croce. Vivere l’obbedienza, anche per il sacerdote diocesano FAM, significa quindi offrire a Dio la propria volontà. È una dipendenza filiale, che si esprime anche nel sottomettersi con umiltà e amore ai propri superiori, oltre che al proprio vescovo diocesano. In tal proposito, nello Statuto si legge: "I sacerdoti diocesani FAM, con il voto di obbedienza confermano la promessa di sottomissione gerarchica al proprio Ordinario diocesano, in tutto quello che riguarda l’appartenenza e il servizio ministeriale alla propria Chiesa particolare, in unione devota e filiale verso di lui"(art.18). Ma nello stesso tempo aggiunge: " In forza del medesimo voto essi sono anche tenuti ad obbedire, con senso di fede e docile sottomissione, ai Superiori religiosi in tutto ciò che si riferisce alla pratica della vita consacrata, secondo le Costituzioni e il presente Statuto" (art.19). Il richiamo alle Costituzioni è di grande importanza poiché lo Statuto segue le Costituzioni e ne deriva da queste.

 

2. Rapporto tra sacerdoti diocesani e sacerdoti religiosi

Un problema particolare che tocca i sacerdoti diocesani FAM riguarda il loro stretto rapporto tra l’essere diocesani e contemporaneamente religiosi. L’articolo 20 delle Costituzioni – anch’esso integralmente approvato dalla Santa Sede assieme allo Statuto, come il precedente art. 10 delle Costituzioni, così recita: " I sacerdoti uniti a norma dell’art. 10, senza nulla togliere alla loro natura di diocesani, debbono essere considerati come membri dell’Istituto". E’ un’affermazione, a mio dire, di una straordinaria attualità e conquista.
Nei documenti conciliari del Vaticano II si ha la distinzione di queste due figure. La diocesanità è il parametro costante con cui il Concilio specifica l’ambito della vocazione nell’esercizio del ministero di quei presbiteri che con il proprio vescovo costituiscono il presbiterio. La condizione del presbiterio diocesano è caratterizzato da una donazione totale e incondizionata al servizio della Chiesa particolare e da una speciale relazione con cui si vincolano al vescovo diocesano. Sono due gli elementi caratterizzanti la vita e la missione dei presbiteri che costituiscono il presbiterio: il particolare vincolo di obbedienza che li lega al vescovo diocesano e la disponibilità piena al servizio pastorale di tutta la diocesi.
I testi conciliari a cui faccio particolarmente riferimento sono: Lumen Gentium,28, Christus Dominus, 28 e 34, Presbyterorum ordinis, 8 e Ad Gentes, 20.
Mentre nella L.G. emerge la preoccupazione di sottolineare la relazione di tutti i presbiteri, religiosi e diocesani, con l’unico sacerdozio e con il comune ministero derivato da Cristo, nell’altro documento conciliare Christus Dominus si sottolinea, invece, che il presbiterio è una realtà distinta dall’"ordo presbyterorum". L’ordine dei presbiteri è costituito da tutti i sacerdoti sia diocesani che religiosi in forza dell’ordinazione che, in unione con il vescovo, li rende partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo. Il presbiterio diocesano, invece, è costituito soltanto dai sacerdoti diocesani. I diocesani si qualificano in quanto "costituiti provvidenziali cooperatori dell’ordine episcopale", "incardinati o addetti a una Chiesa particolare", "si consacrano totalmente al servizio della Chiesa particolare per la cura spirituale di una porzione del gregge del Signore".
Ne deriva che il servizio reso alla Chiesa particolare non è uguale per i diocesani e i religiosi. Questi ultimi, infatti, non costituiscono il presbiterio perché non possono realizzare nella loro vita tutti gli elementi che qualificano la condizione dei sacerdoti diocesani.
Riguardo ai presbiteri religiosi il decreto conciliare Christus Dominus afferma che in forza dell’ordinazione presbiterale questi sono "provvidenziali collaboratori dell’ordine episcopale"(34). Ma ciò non modifica la loro condizione in rapporto al presbiterio e alla dimensione non diocesana della loro vocazione e dell’esercizio del loro sacerdozio. Nel decreto non si afferma mai che i sacerdoti religiosi costituiscono il presbiterio. Di essi si dice soltanto che – nel caso abbiano parte della cura delle anime e alle opere di apostolato – "essi sono da considerarsi in certo qual vero modo come appartenenti al clero della diocesi".
La delineata identità diocesana esclude la possibilità che anche i presbiteri religiosi possono essere considerati membri costitutivi del presbiterio diocesano. La loro condizione, sia per la vocazione specifica sia per lo stato giuridico, non permette la realizzazione della dimensione diocesana. Ne consegue che il presbitero religioso rimarrà fedele alla propria vocazione impegnato in una modalità specifica di esercizio del ministero che, anche con l’eventuale servizio a favore della diocesi, non potrà modificare sostanzialmente la sua condizione e non lo potrà rendere membro costitutivo del presbiterio diocesano.
Se questa è però la distinzione che caratterizza i sacerdoti diocesani dai sacerdoti religiosi, nel caso dei sacerdoti diocesani FAM, questo scoglio è stato superato, nel senso che l’essere diocesani coincide nello stesso tempo con l’essere religiosi. Con l’approvazione dello Statuto i due ruoli possono coesistere. Il Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica nel Decreto di approvazione dello Statuto dei sacerdoti diocesani FAM, in data 26/05/2005, infatti scrive: "L’Istituto religioso dei Figli dell’Amore Misericordioso, oltre ai membri che emettono i voti religiosi, osservando gli articoli 10 e 20 delle Costituzioni, può ammettere anche i Sacerdoti Diocesani, che assumono i Consigli evangelici con voti pur conservando la loro incardinazione nella propria Chiesa particolare". E poi all’articolo 1 dello Statuto si dice ancora: " senza mutare la propria condizione canonica, si uniscono in quanto singoli, all’Istituto religioso dei Figli dell’Amore Misericordioso". E nelle Costituzioni viene detto: "La Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso si compone di Religiosi: Sacerdoti, Fratelli che esercitano mansioni interne, Fratelli in abito civile impegnati in attività secolari, e di Sacerdoti Diocesani con voti. Questi Sacerdoti, poiché non mutano la proria condizione canonica, hanno un modo proprio di appartenere alla Congregazione. Anche dopo l’unione perpetua con l’Istituto tramite l’assunzione dei consigli evangelici con voti, conservano l’incardinazione nella propria Chiesa particolare con tutti i diritti e doveri" (art.10).
La novità quindi consiste non solo che rimane immutata la loro condizione canonica di sacerdoti diocesani ma che fanno parte, "si uniscono in quanto singoli", all’Istituto religioso dei Figli dell’Amore Misericordioso. E se prima si diceva che i religiosi non facevano parte del presbiterio diocesano ma solamente dell’ordine presbiterale, ora con questa novità apportata dallo Statuto, anche questi sacerdoti, cioè i sacerdoti diocesani FAM modificano la loro condizione in ordine alla dimensione diocesana della loro vocazione e dell’esercizio del loro sacerdozio.

Nuove forme di vita in comunione

Si sa bene che la fraternità è qualcosa di ben diverso da un semplice agglomerato di individui, da una collettività. Lo stesso vale anche per una fraternità religiosa, che non è mai semplicemente una "comunità di persone". Il termine stesso "fraternità" fa riferimento a una particolare relazione, anche familiare, fra i suoi membri. E’ a partire proprio dalla famiglia di origine che si cresce nella fiducia, nel dialogo, nella stima, nella comunione e nell’amore. Si è nel luogo della sicurezza, della protezione e della fiducia. Ecco il primo luogo dove si vive la fraternità.
Nel caso poi di una comunità religiosa, ciò che ci spinge a considerarci fratelli sarà dettato da una motivazione forte, equilibrata e validamente verificata, quella della vocazione vera e propria. La chiamata alla fraternità non può rispondere a un desiderio di avventura, a una curiosità, a un gioco di compensazione, dal momento che comporta un radicale capovolgimento di situazioni e una inevitabile e forte tensione. Questa fraternità, poi, sarà determinata dal desiderio di crescere veramente nella donazione e nello spogliamento di sé, per poter autenticamente incontrare l’altro e permettere all’altro di raggiungermi, familiarmente. Questa vita di fraternità coinvolge, poi, tutta la vita, fino alla morte e anche oltre, nella fede. Non ha niente a che fare con la convivenza.
Il modello di ogni vita fraterna è propriamente Gesù con i suoi apostoli. Questi seguivano il Maestro perché da lui affascinati a portare la buona novella in tutto il mondo. La sequela era data dallo stare insieme con Gesù. Dopo di questo anche le prime comunità cristiane si caratterizzavano per il loro "fare comunità" attraverso l’osservanza assidua delle quattro caratteristiche: ascolto di ciò che gli apostoli tramandavano, condivisione dei beni, preghiera comune e spezzare il pane eucaristico. Erano fratelli con un cuor solo ed un’anima sola. Realizzavano così la "koinonìa" che fu la fonte d’ispirazione per le future comunità cristiane.
Nella storia della Chiesa diverse sono state, poi, le forme di vita comunitaria e religiosa, di quanti cioè hanno voluto scegliere di seguire Cristo mediante la professione dei consigli evangelici mediante i voti. Si parte dalla vocazione di Antonio che inizia il monachesimo vivendo in una solitudine radicale , quale espressione del "Dio mi basta". Sequela di Cristo in quel momento voleva dire distaccarsi dalla terra per avvicinarsi a Dio. E qui c’è la testimonianza di Simone lo stilita. In seguito nasce la vita cenobitica con Pacomio e successivamente la vita comune con Basilio, denominata fraternità. Sant’Agostino poi scrive nella Regola:"Il motivo per cui siete insieme riuniti è che viviate unanimi nella casa e che abbiate un‘anima sola e un cuor solo in Dio". Per San Benedetto, invece, la comunità benedettina si caratterizza come una società cenobitica intesa quale luogo di formazione al cammino verso Dio piuttosto che come una comunità di vita fraterna avente valore in se stessa e per se stessa. Con San Francesco D’Assisi c’è un mutamento, i membri non si chiamano più monaci ma fratelli e il monastero convento. Qui la comunità è data dal convergere delle persone più che dal luogo. Il riferimento qui non è la comunità di Gerusalemme ma la vita degli apostoli, non è quello di costituirsi ma di una comunità particolare che vuole estendere a tutti l’ideale evangelico della fraternità. Ci sarà poi Sant’Ignazio che muta il modello monastico e conventuale con quello missionario. La comunità è funzionale al progetto della comune missione in risposta al mandato di Gesù di diffondere il vangelo. I componenti infatti non sono né monaci né fratelli ma compagni di Gesù e tra di loro. Dopo il 1500 fino ad arrivare al 1700 si hanno nuove forme originali su come impostare la fraternità. Così per Sant’Angela Merici la vita religiosa e la fraternità si realizzerà nell’essere unite e concordi "di volere come si legge degli apostoli e di altri cristiani della Chiesa primitiva", senza vivere sotto lo stesso tetto. San Vincenzo de Paoli con Santa Luisa de Marillac diranno che le Figlie della carità non potranno essere mai religiose, perché le religiose richiamano la clausura mentre loro dovranno andare ovunque. Dopo questo periodo, però, tra il 700 e il 900, sorgono tantissime congregazioni nuove su sollecitazioni di bisogni sociali del tempo che ricalcano modelli di impronta gesuitica frammisti a schemi comunitari di tipo monastico. Qui predominano un rigido ascetismo, l’uniformità, le pratiche spirituali, l’osservanza regolare. E questo perdura fino a poco prima del Concilio Vaticano II, quando si registra un fioritura di nuovi tipi di comunità con caratteristiche diverse rispetto alle precedenti. Qui i laici, spinti dal progetto di vita discepolare mediante la consacrazione tendono alla koinonìa con l’impronta della comunità di Gerusalemme dove per comunità si intende una esperienza spirituale vissuta insieme. E oggi assistiamo a molte forme di consacrazione laicali. Le nuove forme di vita consacrata, a cui ha fatto riferimento anche il papa Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica "Vita consecrata" ai nn.12 e 62, costituiscono senza dubbio uno dei temi di grande interesse anche nella nostra presente riflessione. Se, poi, il Codice di Diritto Canonico non ha voluto trattare queste forme di consacrazione di vita nelle associazioni sarà stato perché le ha ritenute esperienze ancora in una fase sperimentale, e perciò difficilmente normabili a livello universale.
La questione fin’ora affrontata è di grande importanza per i sacerdoti diocesani con voti riguardo propriamente alla vita comunitaria. Si tratta di comprendere come si possa coniugare l’indole propriamente diocesana con l’appartenenza all’Istituto religioso dei Figli dell’Amore Misericordioso in merito alla vita comunitaria. E’ chiaro che sorgono delle notevoli difficoltà a volere costituire delle vere comunità religiose in senso stretto, come vissute dalle comunità religiose oggi, considerando gli impegni pastorali e la distanza che spesso separa i singoli sacerdoti diocesani gli uni dagli altri. Pur trovandosi vicino, cioè ad esempio in una stessa diocesi, come il caso di quanto si sta tentando di sperimentare, sorgono delle notevoli difficoltà quando si vuole seguire gli standard delle altre comunità propriamente dette. Questo perché se questi sacerdoti diocesani con voti "possono far parte della Congregazione …qualunque sia l’incarico da essi assunto in Diocesi" (Statuto, art. 11), a volte gli stessi incarichi pastorali come le stesse distanze creano delle notevoli difficoltà oggettive in merito alla conduzione della vita comunitaria. E di questo bisogna tener conto.
Voglio dunque dire che molteplici possono essere le espressioni dell’unica comunione e nessuna di queste può essere assolutizzata, così come non lo è stato nel passato poiché ricondotta a manifestazioni tipiche di tempi diversi, ecclesiologie diverse e diverse e differenti teologie della vita consacrata.
Ai sacerdoti diocesani con voti, che seguono la vita comunitaria, va ricordato quanto afferma il documento "La vita fraterna in comunità" quando dice che "la storia della Vita Consacrata testimonia modalità differenti di vivere l’unica missione". Ma anche lo stesso papa Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica "Vita consecrata", sopra citata, aveva detto: "Si potrà avere storicamente una ulteriore varietà di forme"(n.3). In ultimo, anche il documento "Ripartire da Cristo" al n. 12 afferma che le persone consacrate sono obbligate a cercare nuove forme.
Si vede già come i Figli dell’Amore Misericordioso ci sono arrivati. E i sacerdoti diocesani con voti si impegnano fortemente in questa scelta di "vita in comunione", anche con momenti fissi di incontri infrasettimanali, di preghiera e di pasti in comune, di condivisione di beni e di forti momenti di spiritualità. Soprattutto anche in comunione con le altre comunità e con i propri rispettivi superiori. E di queste nuove forme di comunità di vita religiosa noi ci auguriamo che ce ne possano essere ancora tante. In questo nostro caso "per offrire una chiara e tipica testimonianza ecclesiale, conforme alla natura della vita consacrata" "operando per l’unità del clero diocesano e la sua santificazione, in spirito di servizio fraterno", come testimonianza dell’Amore Misericordioso del Signore.

 

Concludendo,

avendo dato uno sguardo su quelli che sono i punti essenziali dell’identità dei sacerdoti diocesani FAM, vorrei fare osservare che la vita religiosa comunque è una realtà che non è mai compiuta, e non solo in riferimento all’approvazione del ramo dei sacerdoti diocesani FAM. La vita religiosa si svuota e cessa di essere se consideriamo terminato il processo di coloro che ci hanno preceduto, se lasciamo cadere l’entusiasmo del carisma per il quale siamo stati chiamati a testimoniare. Senza passione non c’è convinzione. Ed è questa convinzione che ci spinge ad abbracciare e a vivere il carisma dell’Amore Misericordioso secondo la specifica modalità in cui ognuno è stato chiamato; e diventerà certamente passione condivisa. Per tutto questo occorre un cuore semplice e disponibile, che si lasci formare dal Signore mediante il suo Spirito, secondo quanto ha chiesto Madre Speranza: "Chiediamo a Gesù la grazia di perseverare in un servizio fedele; sforziamoci di corrispondere alla vocazione religiosa e che ci dia di vivere molto intimamente uniti a Lui".

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ultimo aggiornamento 18 dicembre, 2006