STUDI
 

Prof. Ing. Calogero Benedetti     

 

Il pensiero mistico

 

Ho compilato questo scritto seduto accanto a mia moglie durante le Sue ultime settimane di vita terrena, tenendole la mano nelle mie e conversando con Lei dell’immensa Luce della Fede in Cristo.

Cos’è, Le dicevo, che fa di questa Fede qualcosa di assolutamente diverso da un mito, da una fabulazione, da una fantasia illusiva ed illudente? Perchè "Cristo"?

E la risposta, che ci trovava d’accordo, era sempre la stessa: l’amore come dono di sè, di Lui e di ognuno di noi; e (non meno essenziale) il rigore dell’intelletto, che appoggiandosi in subordine a quest’amore, depenna e sforbicia via ciò che è personale, fantastico ed irreale, e si attiene a Lui solo, Cristo, affidandoGlisi per amore, null’altro volendo che Lui ed a Lui donarsi.

Sebbene non possa risalirsi dall’Intelletto alla Fede, perchè l’Intelletto è in suo subordine ed il sentiero che li riunisce è a senso unico non invertibile, comincerò dall’Intelletto e precisamente da una famosa asserzione di S.Tommaso nella sua Summa Theologica , ove, con il rigore del logico, è espressa la base del comportamento quotidiano di ogni uomo, nel bene e nel male, nel giusto e nell’ingiusto.

 

S.Tommaso annotò la seguente asserzione:

«Synderesis non est potentia sed habitus primorum principiorum moralium».

Nel linguaggio della filosofia medioevale «Synderesis» indica saper distinguere il bene dal male in modo immediato ed evidente.(1)
Il termine proviene, attraverso la pronuncia bizantina, dal greco "sinterèo" (
sunthrev) che ha il significato originario di "osservare".(2)
Il testo dell’Aquinate si traduce dunque nell’asserzione che la distinguibilità del bene dal male è una modalità immediata ed evidente che non è una facoltà (= potentia) dell’essere umano in se stesso, ma è "l’abito" (leggi: la veste operativa) conferitagli dai princìpi morali fondamentali. In loro assenza la persona umana è sempre la stessa ma non è in grado di distinguere il bene dal male.

Incentrata sull’immediatezza ed evidenza questa modalità forma argomento di una "conoscenza intuitiva" e non discorsiva, nè sillogica o deduttiva, ma coinvolge assieme "la mente" (= l’intelletto, nous, Vernuft in tedesco) ed il "cuore".

Gli antichi indicavano con il termine "cuore" il locus simbolico (se non addirittura fisico) del "sentimento intellettualizzato", nonchè la sede dell’ispirazione del genio e dell’artista, e persino del logico e del sapiente, il locus della creazione delle loro opere e quello dell’amore. Vi si richiama anche il concetto stesso di "coraggio" (da cor = cuore ed ago = agire).

Si tratta di un "livello" che appartiene all’<<essere>> e non all’<<avere>> (quest’ultimo è il livello del Mondo esteriore e della convenienza).

Con la sola "ragione" non siamo infatti capaci di afferrare e di comprendere tutto l’essere misterioso che vive in ognuno di noi (e nell’ "esistente" in generale), poiché accanto alla conoscenza "discorsiva" esiste in noi, altrettanto profonda, una forma di conoscenza "intuitiva" che si rivela appunto in modo immediato ed evidente.

Pascal diceva che i princìpi sono "sentiti dal cuore", e richiedono quel ch’Egli chiamava "lo Spirito di finezza" (l’esprit de finesse) che, solo, ci fa riconoscere la verità.
Esso unito alla forza dell’intelletto ci dà le direttive per il nostro comportamento. (Si parla infatti di una perversione del "cuore" quando tutto ciò viene disatteso precipitandoci nell’<<aridità e nell’incomunicabilità>>).

Prima di Lui S. Bonaventura, parafrasando il pensiero di Matteo d’Acquasparta (vicino Collevalenza!) asseriva addirittura il primato del "cuore" sull’<<intelletto>>: "mira est coecitas intellectus, quia non considerat illud quod prius videt et sine quo nihil potes cognoscere". (È incredibile la cecità dell’intelletto, perchè non considera ciò che vede prima e senza di cui non può (tuttavia) conoscere nulla).

Il "cuore" pone gli individui "in simmetria" con altrui, così da poterne condividere i pensieri, le gioie, e principalmente la sofferenza e le modalità dell’esistenza.(3)

Questo pensiero si trova mirabilmente espresso in S.Paolo, là dove dice: "siete voi nella gioia? anch’io lo sono. Siete voi nelle tribolazioni? in catene? in captività? Anch’io lo sono, anzi molto di più per lo zelo che nutro per voi".

Il pensiero intuitivo diviene con ciò anche unitivo, e, come tale, esso è alla base del pensiero mistico che si riconnette immediatamente all’amore, senza di cui non vi è Carità, e, come espressamente dice S. Giovanni, "dove non c’è Carità non c’è Dio".

Si tratta perciò di una specifica "forma mentis", anzi di una "forma dell’esistenza eminente ed essenziale", e non di una semplice "modalità".

Storicamente si costituirono così due Scuole di pensiero:

–  la Scuola "cherubica", incentrata nella "Scolastica", ed in questa rappresentata principalmente da S.Tommaso e dai Domenicani. Essa è fondata sulla logica, sull’obiettività erga omnes, discorsiva e rigorosa.

– e la Scuola "serafica", incentrata sull’amore, sulla donazione di sè, sull’umiltà, sull’abnegazione, ed è rappresentata principalmente dai Francescani (all’origine S. Francesco di Assisi e, in campo femminile, S. Chiara).

S.Bernardo da Chiaravalle, che vi appartenne, diceva: "Deus diligendus est. Causa diligendi Deum Deus est; modus, sine modo diligere". (Dio va amato. Causa dell’amare Dio è Dio; ed il modo è di amarLo di là d’ogni modo).

In quest’ottica il vertice (vertex) della mente è dato dalla "synderesis scintilla" la quale è costituita dall’unità dell’amore e dell’intelletto rivolti al bene supremo che è Dio.

Sant’Agostino scriveva che l’anima ha un accesso segreto alla Natura di Dio, e per mezzo di tale accesso tutte le altre cose diventano un nulla. Analogamente S.Teresa D’Avila parlava delle "stanze segrete" dell’anima, il cui accesso è consentito solo all’Amato.

Da qui la necessità e la nobiltà del dolore, che è il mezzo avente per scopo di non profanare l’amore riducendolo al solo piacere, ma "costituendolo" sull’offerta di sè.

Questa veduta profonda fu rilevata per primo da Meister Eckartd e venne sviluppata da S.Giovanni della Croce ma si riscontra anche in Shopenhauer ed in Buddha.
Essa è il fondamento granitico del "principio ascetico", il "principio" dell’homo religiosus e dell’homo sacrificalis, e quello dell’Offerta in se stessa (= sacrificio); e come tale è patrimonio comune ad ogni forma di spiritualità e di Religione (anche quelle ancestrali e pagane) e non solamente di quella Cristiana ove però l’Offerta è fondata sull’amore e non sull’idea rozza e primitiva della "propiziazione" che ne è solo un abbozzo grezzo ed informe.

S. Giovanni della Croce, che morì nel 1591, cantava:

Non voler inviarmi più messaggeri

quando non sanno essi dir

quel che dimando: "Ah! dove Ti celasti?"

e raccomandava una cosa sola: "trovare il Deus absconditus nella nostra anima la quale si strugge d’amore per Lui finchè non Lo trova ed in Lui riposa.

È questa la radice del misticismo, il rapporto d’amore "Io - Tu" fra Dio e l’uomo e fra l’uomo e Dio, in una sorta di simmetria per la quale la creatura, come dice Dante, "più che mirar si indìa".

Nel 1944 G.M. Bertin pubblicò sui tipi della Garzanti Editrice l’elenco di dodici "tipologie" della Mistica medioevale. Eccole:

1) La mistica dell’umiltà benedettina.
Nei Vittorini vi è accordo perfetto tra Scienza e Mistica, e S. Ildegarde parla dell’anima "synphonizans":

Unum agnosce, Unum dìlige,

Unum sequère, Unum apprehende,

Unum posside.(4)

 2) La mistica della letizia, che è impersonata da S.Francesco d’Assisi (il Giullare di Dio) ed al femminile da S. Chiara Sua discepola.

 3) La mistica dell’ira, rappresentata dal Beato Jacopone da Todi.

 4) La mistica passionale, rappresentata dalla Beata Angela da Foligno e con Lei da un vasto stuolo di mistici e di mistiche medioevali.

 5) La mistica teoretica e speculativa, di S. Bonaventura, il Dottor serafico, mentre cherubico è S.Tommaso. Vi appartengono S.Anselmo, S.Bernardo, ed in forma eccelsa Duns Scoto, il Dottor sottile.

 6) La mistica poetica di Dante che aduna insieme l’intellettualismo ed il volontarismo in forma artistica.

 7) La mistica dell’annientamento di Eckardt.

 8) La mistica dell’abbandono di sè (Gelassenheit, in tedesco) del Beato Enrico da Susa.

 9) La mistica del silenzio, che si trova in Giovanni Taulero.

10) La mistica dell’abisso di perfezione, del Beato Giovanni Ruysbroeck (Scuola Fiamminga).

11) La mistica del sacrificio e dell’Apostolato, che è rappresentata da S.Caterina da Siena, Dottore della Chiesa.

12) Infine la mistica devota di Tommaso da Kempis, che con il suo capolavoro "De Imitatione Cristi", chiude il Medioevo.

Il catalogo delle forme mistiche non si concentra però sul solo Medioevo, ma si estende in forma sovrabbondante fino ai n/s giorni.
Fondamentalmente mistiche sono per esempio tutta la religiosità successiva al Concilio di Trento, in particolare quella del sei e del settecento, catalogabili quali "mistiche della mortificazione" e la scelta di vita di S.Teresa di Lisieux.

Madre Teresa di Calcutta e Madre Speranza, ambedue collocate ai n/s giorni, connotano la mistica della misericordia.

Ma l’elenco è infinito, continua a dilatarsi e si dilaterà fino alla fine dei tempi.


1 Cfr. Garzanti-Dizionario della lingua Italiana-pag.1641

2 Cfr. Gemol - Vocab.Greco-Italiano-Ed.Sandron (Firenze)1908/1961

3 Gesù dice: "misereor super tubam" (S.Matteo 15-32).

4 Uno solo è degno di esser conosciuto, uno solo di essere amato, uno solo seguito, uno appreso, uno solo posseduto.

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ultimo aggiornamento 18 dicembre, 2006