STUDI

 

   Prof. Ing. Calogero Benedetti

 

Una bellezza accecante

 

Anni or sono, quando ero studente al Liceo (allora si denominavano così i tre anni fra il quinquennio del Ginnasio e l’Università) il mio Professore di "Italiano" era solito, seguendo il costume dell’epoca, assegnarci come compito in classe quel che all’epoca si chiamava "Analisi critico/estetica" di un dato soggetto letterario. (Egli lo presceglieva ogni volta lì per lì, a sorpresa, per evitare plagi e cose del genere).

Noi avevamo facoltà di portarci in Aula e di consultare ogni sorta di libri che volessimo, lessici, manuali; ma in capo a cinque ore dovevamo consegnare completa la n/s Analisi, compendiandola in sole quattro facciate di carta uso protocollo.

Non era facile. Proprio non era facile.

Infatti occorrevano al contempo Cultura e Memoria, capacità di Analisi e di Sintesi; occorrevano Idee ed Associazione di idee.

Ma, compito in classe dopo compito in classe, io finii col prenderci gusto. Era ogni volta una specie di gioco ed insieme una sfida creativa.

Già all’epoca studiavo i primi rudimenti di Logica matematica, ed avvertivo dentro di me, sia pur confusamente, che un’ "Analisi critica" di un Testo era una sorta di Logica ove confluivano concetti e legami ed interdipendenze ed estensioni, coinvolgendo assieme una "sostanza" ed una "forma".

Senza quest’ultima la sostanza appariva sorda e grezza, quasi senza anima. E senza la sostanza la forma si riduceva ad un vano "flatus vocis" privo di forza trainante, incapace di coinvolgere altrui.

In quegli anni il "messaggio", ogni "messaggio", cominciò così ad apparirmi sempre più qualcosa che deve anzitutto essere condiviso fra colui che lo formula e colui che lo ascolta, arricchendo entrambi di una conoscenza nuova, piena, ed in comune. Deve essere uno scambio reciproco di un "Assoluto". (L’Uomo ha fame di Assoluto, vuole l’Assoluto, e vuole parteciparlo ed esserne partecipato).

Comprendevo che era tutto questo che rendeva "credibile" un messaggio. Esso, mi dicevo, doveva avere una sua propria "struttura" che doveva "rivelarsi" attraverso la trasparenza del "segno" attraverso ... (cosa hai detto? Ma perbacco, sì, certo) attraverso la Bellezza del messaggio in se stesso. Ah! ecco la chiave!: Bellezza e Verità del messaggio (leggi: Forma e Sostanza) erano (sono) due aspetti di una medesima "esistenza": la Bellezza è il segno della Verità e per converso la Verità si esprime per mezzo della Bellezza.

 

 

ESEMPIO DI UN TEMA IN CLASSE

"Ponete a confronto il crepuscolo della narrazione evangelica dei Discepoli di Emmaus: "Mane nobiscum Domine quoniam advesperascit (Lc. 24-29)1 e quello celebre di Dante:" era già l’ora che volge al desìo e ai naviganti intenerisce il còre".

SVOLGIMENTO

I) Il Testo Evangelico si compone di solo cinque parole.

– La prima è "un invito - offerta". È al tempo stesso un dare ed un chiedere: mane, rimani.

– La seconda è un "riferimento comunitario": nobiscum, con noi, a che non sopravvenga la solitudine, ma si resti uniti in gruppo sì che ci si possa aiutare e confortare l’un l’altro.

– La terza è un "indirizzo ed un titolo": Domine, Signore (declinato al vocativo) che Gli spetta di diritto e fa di Lui il riferimento e dei profferenti, (noi al plurale!) i Suoi servi fedeli.

– La quarta è "la relazione causale": quoniam, perchè invero. Essa è il fulcro dell’invito, lo giustifica e consente l’ardire della profferta.

– La quinta è l’apice dell’ "accadimento", l’evento incontestabile: advesperascit, si fa sera. Esso è il motore, qualcosa di obbiettivo, qualcosa che tutti possono constatare, e, constatandolo, concordarvi.

Tutta la frase è "circolare":

si invita e si offre;

si dona protezione e si spera il contraccambio di essere protetti, di non restare soli.

In appena cinque parole c’è l’accoglienza, la speranza, l’attesa, l’amore.

L’ombra della notte che incombe non è rimpianto nè solitudine.

Al suo centro v’è Cristo e con Lui la conferma del miracolo stupendo della Resurrezione: "non ci ardeva forse il cuore in petto mentre per strada ci parlava e ci spiegava le Scritture?" (loc.cit.32), e tornarono in fretta a Gerusalemme, dagli Undici: "Il Signore è veramente risorto" (ibid, 33).

Il passo lucano (la sostanza) è con ciò un Racconto di Conferma che si rivela (=forma) nella Luce di un Crepuscolo che subito si muta nell’ansia di un tornare in fretta sui propri passi per comunicare l’Annuncio dell’Incredibile e pur Testimoniabile: un’esperienza vissuta in prima persona.

 

II) Il testo di Dante

Là dove il "crepuscolo" di Emmaus è tutto incentrato sull’esperienza della Resurrezione, sull’evidenza dell’Incontro e dell’Ascolto, il distico di Dante è invece "laico".

Non contiene nè preghiera nè accoglienza.

Non contiene nè speranza nè conforto.

La sua "marca" è la melanconia, il senso della solitudine e quello dell’irrevocabilità.

Gli elementi presenti sono quattro:

– l’incombere del crepuscolo (il fatto).

– il desìo dell’animo (un groppo di pianto alla gola).

– la condizione umana (l’irreversibilità dell’essere naviganti su mari lontani)

– l’impotenza (il cuore che si piega su se stesso e spinge al pianto).

Il Grande Assente è Lui, Cristo, che non siede come ad Emmaus a spezzare il pane eucaristico, insieme strumento e pegno di Resurrezione, e con Lui è assente il conforto (manca l’ardere del cuore nel petto, manca il recuperare in fretta il cammino già fatto per comunicare agli altri: è risorto! ).

Oh lettore di queste righe! dove vorresti essere? seduto inerte assieme ai naviganti astretto dal pianto sconsolato del ricordo o percorrendo affannato di notte il cammino all’inverso, per recuperarlo assieme ai discepoli di Emmaus ed annunciare con loro Cristo Risorto?

 

È questa la Bellezza accecante. La Sua Resurrezione e con essa la Resurrezione che il Risorto ci ha promesso, ha promesso a tutti gli uomini che oseranno riconoscere Lui, Cristo, davanti agli altri uomini, perchè "Io, dice Cristo, li riconoscerò a mia volta davanti al Padre mio Celeste".

Sì, è questa la Bellezza accecante. Essa sola: la Sua Resurrezione e la nostra in Lui.

 


1 Rimani con noi Signore perchè diventa sera.

 

 

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ultimo aggiornamento 04 settembre, 2007