P A S T O R A L E

g  i  o  v  a  n  i  l  e

p a s t o r a l e  g i o v a n i l e

     Sr. Erika di Gesù, eam

Un gioiello a

Natale

Cari ragazzi!

Quando ero piccola, attendevo con sentimenti genuini, il momento in cui avrei "aperto" i regali di Natale. Ricordo ad esempio la volta in cui sbirciai per caso un pacco male incartato: papà lo portava camminando davanti a me ed io ne compresi il contenuto. La roulotte di Barbie e Ken!

Fui attenta però a non perdere la gioia che soltanto una vera sorpresa avrebbe potuto darmi e in effetti proprio in quel momento mi rallegrai: era bellissimo!

Crescendo ho imparato anche a farne, di regali…

Dare alla mia migliore amica uno stereo di famiglia. Il suo pudore e l’emozione di accettare. Un disco che suona nella sua stanza. E una gioia che ci sorpassa entrambe.

Fra il ricevere e il dare, la differenza non è così palpabile come si dice: che gioia proverebbe il donatore se nessuno ricevesse il suo regalo?

Quale riconoscenza nell’animo di chi riceve se non ci fosse colui che dona?

Non siamo egoisti quando ci aspettiamo un regalo, ma quando non apprezziamo abbastanza o rifiutiamo il bene che riceviamo, in qualsiasi forma esso ci venga offerto.

La notte di Natale, Sofia, una bambina della nostra Parrocchia, mi ha regalato un gioiello fatto con le sue mani: due perle lucenti, una blu e l’altra rosa, a forma di stella, tenute insieme da un sottile filo argentato.

Ho indossato il gioiello con gioia, per festeggiare Gesù Bambino.

A voi, bambini del coro, ho offerto anch’io una pietra preziosa: piccole gemme ornamentali che si usa porre sui tavolini della casa.

Ero contenta, perché i vostri accordi rendevano più bella la festa.

Ero contenta perché quasi tutti siete stati presenti ed emozionati e perché alcune canzoni sono state davvero bene eseguite.

Ero contenta perché, come recita un canto spagnolo entrato nella tradizione della nostra famiglia religiosa, "il Bambino sorrideva" al suono dei nostri strumenti.

Eppure, la mia gioia non era piena, non poteva esserlo.

Mancavano dei ragazzi all’appello.

Qualcuno era venuto alle prove, e adesso?

Si privava della gioia di dare e ricevere una "gioia".

Altri non si vedevano: sarebbero andati a Messa? Almeno a Natale?

Con alcuni di voi, qualche giorno fa, ho avuto un incontro nella piazza del Santuario.

Dopo i tentativi, più o meno riusciti, di vederci regolarmente nei locali della Parrocchia, ho accettato la proposta di trovarci alla "spaccata", là dove le due braccia della piazza si incrociano lasciando lo spazio ideale per far riposare i vostri rombanti motorini.

Per me, dal punto di vista "pastorale", è stato un fiasco.

Il foglio della catechesi è rimasto piegato nella mia tasca.

Sono scesa fra di voi e sono stata accolta alla vostra maniera. C’era chi mi parlava con amicizia, chi mi teneva a distanza. Chi lanciava bestemmie senza pensare, chi mi parlava delle ultime lezioni di religione sulla data storica della nascita di Gesù.

Quando vi ho invitato a visitare la stanza dove è vissuta Madre Speranza, non avete accettato.

Non la conoscete. Non sapete chi sia né perché c’è il Santuario a Collevalenza. A volte vi nutrite di notizie imprecise che fomentano pregiudizi.

Avvertivo un disagio sottile e crescente, che non so spiegare: soffrivo per me e per voi.

Un po’ come S. Paolo ad Atene. Nessun ragionamento poteva aiutarvi. La mia proposta non era interessante!

Ma… che cosa vi interessa davvero? Di che cosa avete bisogno?

Le domande provocatorie: quali desideri e paure portavano dentro?

Siete sicuri che non sia Dio che state cercando?

Un giorno, dopo aver invitato una di voi ragazze all’incontro di gruppo, quando è arrivata mi ha detto che lo aveva fatto per me, perché io le faccio pena.

Mi sono divertita tanto a riflettere su questo paradosso: spendo la vita per annunciare che Dio è Amore Misericordioso, anche se a volte con i denti stretti, e tutto quello che ottengo è un po’ di commiserazione da parte vostra; se qualche ragazzo viene agli incontri è perché io gli faccio pena!

In realtà non intendo convincere nessuno, né sono contenta quando ragazzi come voi partecipano ai Gruppi giovanili dell’Amore Misericordioso solo per compiacere noi animatori…

Vorrei piuttosto che vi accorgeste del "dono di Dio": un Bambino.

Un Bambino che sorride.

Se solo fermaste il motorino di fronte al "segno" della sua mangiatoia!

E se anche io non riuscissi a dire nulla, se la mia catechesi rimanesse ancora nella tasca, vi parlerebbe Lui!

Lo so che per voi non sempre risplendono le ragioni della fede, e i sentimenti che muovono il vostro cuore conducono verso mete distanti da quel segno così povero e assurdo…

Lo vedo che le emozioni che scorrono nelle vostre vene non si accordano con i valori cristiani, ma reclamano vita propria, esaltando il piacere ad ogni costo…

Ma questo può solo convincermi che dobbiamo, che devo correre il rischio.

Questa convinzione mi fa andare avanti.

Ecco che cosa "mi fa fare" tutto quello che faccio, con le mie Sorelle e Fratelli dell’Amore Misericordioso.

Dobbiamo regalare Dio a tutti voi. Amarvi. Volere il vostro bene.

Aprite il pacco, anche se credete di conoscerne il contenuto e non perderete la gioia della sorpresa.

La Messa, ad esempio, è meno "pizzosa" di quello che sembra! Soprattutto a Natale!

Vale la pena accendere il motorino, far cantare il motore e "impennare" incontro a Gesù!

Lasciarsi sorprendere di fronte alla mangiatoia.

Gustare il silenzio. E tanta musica.

Perché Dio si è incarnato. È venuto alla "spaccata".

Sopporta i vostri scherzi molto meglio di me. E vi ama tanto, tanto.

Anch’io vi voglio bene!

Buon Natale!

Sr. Erika di Gesù Bambino

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ultimo aggiornamento 18 gennaio, 2008