25° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI MADRE SPERANZA

Mons. Giuseppe Chiaretti

Omelia di
S.E. Mons. Giuseppe Chiaretti
Arcivescovo di Perugia, Presidente della Conf. Episcopale Umbra
e Vice Presidente della CEI
10 febbraio 2008

 

La Madre è morta 25 anni fa, ma il suo spirito è ancora vivo tra noi

 

 

 

Ricordiamo in questi giorni il XXV anniversario della morte della venerabile Serva di Dio Madre Speranza di Gesù, avvenuta l’8 febbraio 1983: un martedì. La notte precedente era stata molto male.

Spesso, nel corso della sua esistenza, si era trovata in fin di vita, ma non se ne era mai preoccupata; anzi, qualche volta aveva fatto capire che, per quanto le sue condizioni di salute fossero in quel momento gravissime, ella sapeva che non era giunta la sua ora. Ma quella notte tra il 7 e l’8 febbraio, sì, sapeva che era giunta.

L’esistenza terrena stava per terminare. Al superiore della Comunità che l’assisteva aveva sussurrato qualche giorno prima: «Hijo, yo me voy» (Figlio, io me ne vado!).

Il "buen Jesús" come chiamava con confidenza il Figlio di Dio, venne a prenderla che erano trascorse da poco le otto del mattino, mentre il sole cercava di scavalcare i monti Martani, in quei giorni coperti di neve, e inondare con la sua luce la modesta cameretta. La Madre vide quei raggi che le avvolgevano il volto e illuminavano la stanza spoglia. Poi si addormentò nel Signore: aveva quasi novanta anni. Il corpo venne composto sul letto di morte. Fu vestita con l’abito religioso che ella stessa aveva disegnato per la sua Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso e che, come si racconta, la beata Vergine le aveva mostrato in un’apparizione. Il volto della Madre era sereno. Le mani intrecciate sul petto; avvolto tra le dita il rosario: preghiera di tutta una vita. Il corpo restò per un giorno nella camera, dove era morta, poi fu portato qui, nella cripta del santuario, dove rimase esposto fino alla domenica successiva, 13 febbraio. In quei giorni fu un accorrere continuo di gente, dal paese di Collevalenza, dai paesi vicini, da varie parti d’Italia e dall’estero.

Quell’8 febbraio si è conclusa l’avvincente storia terrena di un’anima che, sin da bambina si era donata completamente al Signore, madre Speranza, al secolo Maria Josefa Alhama Valera, era nata nel 1893, in un piccolo paese della Murcia in Spagna, da una povera famiglia di contadini. Accolta giovanetta in casa del parroco, aveva ricevuto i primi rudimenti del catechismo cattolico. Era così attratta da Gesù, che più volte fece la comunione di nascosto, anche se non era ancora preparata.

All’età di ventuno anni, il 15 ottobre 1914, entrò nel monastero delle Figlie del Calvario, col desiderio di "farsi santa, una grande santa", ad imitazione di Teresa d’Avila (la cui festa cadeva proprio quel giorno), la santa che nella metà del XVI secolo aveva infiammato tutta la Castiglia con il suo moto riformatore dell’ordine Carmelitano. E veramente, possiamo dire, la vita e l’esperienza mistica di Madre Speranza non è stata da meno di quella di Teresa la Grande. Man mano che si ricostruisce la sua biografia e i documenti escono dagli archivi, la vicenda terrena della Madre appare sempre più ricca di sapienza spirituale e di opere di carità, che la inseriscono a pieno titolo tra i grandi testimoni della fede nel secolo appena trascorso. La sua vita, come quella di molti santi, si è annodata alla stria civile e religiosa dei paesi dove è vissuta, specialmente la Spagna del primo Novecento, con la sanguinosa guerra civile durante la quale furono uccisi, in odio alla fede, tredici vescovi, più di 4000 sacerdoti e quasi 2500 religiosi! E poi in Italia della seconda guerra mondiale, con il bombardamento di Roma e la distruzione di molte zone del Paese.

Le anime che vivono in intima comunione con Dio, al contrario di quanto si pensa comunemente, sono anche fortemente partecipi della storia degli uomini del loro tempo, con i problemi sociali e la quotidianità di chi si fa loro prossimo. La santità non è mai astratta dal tempo e dai luoghi, ma sempre ben piantata nei solchi di questa terra.

Fin dai primi anni di vita religiosa, il 5 novembre 1927, il Signore fece comprendere alla Madre quale dovesse essere lo scopo della sua vita, la sua missione: «Ho passato parte della notte fuori di me – scrive nel suo diario – molto unita al buon Gesù, e Lui mi ha detto che io devo arrivare a fare in modo che gli uomini lo conoscano non come un Padre offeso per le ingratitudini dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca con tutti i mezzi di confortare, di aiutare e di far felici i suoi figli e che li segue e li cerca con un amore instancabile, come se Lui non potesse essere felice senza di loro». Era la rivelazione dell’Amore Misericordioso. La rivelazione del Padre buono che aspetta i figli andati via da casa, che anzi va loro incontro, «come se non potesse essere felice senza di loro». Che grande paradosso! Dio, perfezione assoluta e pienezza totale, si sente "infelice" senza le sue creature.

Quando i superiori del Sant’Uffizio la interrogarono su cosa mai fosse questa novità dell’Amore Misericordioso, la Madre rispose che non si trattava di una nuova devozione, ma di una verità di fede "antica quanto era antico Dio". Infatti come abbiamo ascoltato nelle letture, fin dal passato dei progenitori, Dio non lasciò l’uomo al suo miserando destino, ma gli si fece incontro, preparando per lui il giorno del riscatto, che avrebbe operato nella pienezza dei tempi, con l’incarnazione, morte e risurrezione del suo unico figlio, Gesù Cristo, nostro Signore. «Infatti – ci ha ricordato san Paolo – se per la caduta di uno solo, la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo» (Rm 5,12-19).

Sul modello del peccato di Adamo si esemplano tutti i peccati degli uomini, che sono peccati di superbia, di cupidigia, pretese di voler fare a meno di Dio. La storia dell’umanità, purtroppo, è stata ed è un grande scenario di violenza. Per dare visibilità a questa nuova lettura di Dio, spesso rappresentata nelle raffigurazioni artistiche come il giudice-giustiziere, Madre Speranza volle per il suo santuario, un Cristo sofferente, certamente, ma anche sereno e ad occhi aperti, a guardare con tenerezza la volontà del Padre e la sofferenza degli uomini. Per secoli l’immagine di Dio è stata l’immagine di un re offeso, pieno d’ira verso gli uomini-sudditi. Ma, al di là di questa rappresentazione, il cuore di Dio non è mai mutato, è stato sempre il cuore tenero di un Padre, che va incontro ai figli degeneri. Molti santi e mistici hanno voluto ricordare agli uomini la vera identità di Dio: santa Margherita Maria Alacoque, a metà del Seicento ha propagato la devozione al Sacro Cuore di Gesù, santa Teresa di Gesù Bambino, alla fine dell’Ottocento, ha parlato per prima dell’Amore Misericordioso; santa Faustina Kowalska, all’inizio del Novecento, ha rivelazioni sulla sua Misericordia. Infine la Serva di Dio Madre Speranza di Gesù, ha speso tutta la vita per far comprendere che "Dio non vuol essere più sentito come un giudice di tremenda maestà, ma come un Padre buono". Anche per questo ha fondato la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, il cui scopo è proprio quello di "annunciare e testimoniare al mondo le ricchezze della Sua misericordia" e, per quanto riguarda il ramo maschile, "l’unione con i sacerdoti, essendo per loro veri fratelli, aiutandoli in tutto, più con i fatti che con le parole". Anche quest’ultimo aspetto sembra quanto mai necessario e attuale, in un momento storico in cui i sacerdoti sono sempre meno e non hanno più alle spalle una famiglia di origine che li assista. Noi tutti siamo perciò grati a Madre Speranza e alla Congregazione dell’Amore Misericordioso per quanto hanno fatto, in questa nostra terra, in aiuto alle necessità spirituali e materiali dei sacerdoti, i quali costituiscono il sale di una comunità cristiana: se perdono la loro identità, tutta la comunità la perde. Madre Speranza aveva ben chiare le difficoltà e le fragilità dei sacerdoti: per questo si offrì vittima in riparazione delle offese arrecate al buon Gesù da parte del clero.

Tutta la vita della Madre è stata una continua offerta al Signore per le necessità dei fratelli: sapeva strappare al cuore di Dio, grazie e doni per i sofferenti, i tribolati, gli ammalati, i peccatori. Tutto questo complesso di Collevalenza ne è testimone. Tra queste mura il Signore e la Santa Vergine sono passati più volte, e la Madre lo ha raccontato spesso con tanta semplicità, che non mancava mai di stupirci. Il Signore ha voluto qui per i malati un centro di ristoro e guarigione dalle "malattie che la scienza umana non riesce a curare". Nelle piscine qui accanto, molta gente ha trovato conforto nel corpo e nello spirito. Anche questo è per tutti noi un segno tangibile della divina misericordia.

Ma a chiunque si incammina sulla via di Dio non vengono risparmiate le prove più dure, Madre Speranza, come il buon Gesù, ha attraversato il "deserto" della tentazione, dell’umiliazione, della persecuzione, dell’abbandono, del tradimento, della sofferenza, di tanta sofferenza, che noi a stento possiamo immaginare. Nella discrezione che il Vangelo richiede, si sottopose a severe penitenze. Nel museo che custodisce i suoi cimeli sono presenti, due teche vicine, i cilici e lo spazzolino da denti, segno di due tipi diversi di carità verso il prossimo.

Anche questo santuario, ormai Basilica Minore, è costato alla Madre molte lacrime. È stato il prezzo per far accorrere qui tante anime in cerca di Dio.

La Provvidenza, attraverso Madre Speranza, ha voluto scegliere ancora una volta l’Umbria quale centro eletto di spiritualità e di santità. Giganti della cristianità, quali Benedetto, Francesco, Chiara d’Assisi, Rita da Cascia, si sono affacciati su questa terra, per ravvivare una fede che si andava spegnendo. Non finiremo mai di ringraziare Dio per il dono che ci ha fatto attraverso i grandi santi umbri; e non finiremo mai di ringraziare Dio per averci mandato anche Madre Speranza. Nel santuario dedicato al "Suo Amore Misericordioso", è venuto a pregare anche il Servo di Dio papa Giovanni Paolo II, dopo il drammatico attentato in piazza San Pietro. Proprio da questo luogo gridò: «Misericordiae Domini, quia non sumus consumpti!» (Lam 3,22), e cioè «è grazie alla misericordia di Dio se sono ancora vivo!.

A tutti i pellegrini, che qui giungono dall’Italia e dal mondo, vorrei ricordare questa verità: la misericordia del Signore è davvero infinita. "L’uomo, il più perverso, il più miserabile ed infine il più perduto è amato con tenerezza immensa da Gesù, che è per lui un Padre ed una tenera Madre". E’ l’umile certezza che la Serva di Dio ci ha voluto lasciare in eredità spirituale. Una consolante visione dell’Onnipotente "che nulla disprezza di quanto il suo potere ha creato!".

È un messaggio di amore e di speranza forse l’unico che gli uomini del nostro tempo ancora possono, o vogliono ascoltare. E di questo dobbiamo tener conto anche nei nostri più o meno elaborati programmi pastorali per la nuova evangelizzazione. A quanti sono lontani, o hanno abbandonato la fede, che vivono "senza speranza e senza Dio in questo mondo", dobbiamo andare incontro, non con parole e gesti di disprezzo e di condanna, ma con lo stesso atteggiamento che il Padre della Misericordia ci ha insegnato. "… Mentre egli [il figlio scappato da casa] era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione: corse, gli si getto al collo, lo baciò e ribaciò"; poi, "il padre disse ai suoi servi: Presto, portate qui la veste più bella, e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi, portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto, ed è stato ritrovato" (Lc 15, 22-24). E’ una delle pagine più belle e commoventi di tutto il Vangelo: è il paradigma della fede cristiana. Ciò che si credeva perduto per sempre, viene ritrovato; ciò che si credeva irrimediabilmente morto, torna alla vita! E inizia la festa più bella. La Madre arrivava a dire che, se alla sua morte avesse potuto scegliere il proprio giudice; tra suo padre e il buon Gesù avrebbe scelto, senza esitazione il buon Gesù.

Di fronte alla bontà di un tale Padre, anche il cuore più ostinato, si dischiude, anche la risoluta contrarietà alla fede cede il posto alla meraviglia e al ripensamento.

Madre Speranza ha detto più volte: «L’uomo più perverso è vinto dall’amore di Dio».

Cari fratelli, l’eredità che Madre Speranza ci ha lasciato è un tesoro spirituale prezioso, dal quale dobbiamo attingere per il bene della Chiesa dei nostri giorni.

La Madre è morta 25 anni fa. Ma il suo spirito è ancora vivo tra noi. La fama di santità si è estesa dall’Umbria all’Italia, alla Spagna e a tante regioni del mondo dove i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso si sono recati in missione.

Nel 1988 è iniziato il processo di beatificazione, secondo la legge canonica. Dopo la fase diocesana, nel 1990, tutta la documentazione è stata inviata in Vaticano. Il 23 aprile del 2002, il papa Giovanni Paolo II ha dichiarato Madre Speranza "venerabile". Si attende ora l’esito dell’esame sul presunto miracolo, necessario per procedere alla beatificazione. Lo scorso mese di dicembre, a nome mio e dell’intero episcopato umbro, ho inviato una lettera al Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi per sollecitare una veloce ripresa di tale processo. Speriamo che arrivino presto buone notizie. Voglia il buon Dio concederci di vedere realizzato il sogno di una giovane di ventuno anni, che partì da casa con il cuore in gola perché la mamma era a letto malata, per farsi santa, una grande santa!". Iddio ce lo conceda al più presto! Amen.

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ultimo aggiornamento 18 marzo, 2008