La lettera

 

La chiesa quando ama

 

Carissimo,

ho pensato anch’io, recentemente, all’amore di un Papa straordinario, Paolo VI, di cui è stato celebrato il 30° anniversario della morte.

Un Papa che rinunzia alla tiara, che riforma la Chiesa, che difende la libertà, che sfida con la “Populorum progressio” le ingiustizie della terra, che va in Terra Santa, che parla all’ONU, che inventa i pellegrinaggi apostolici. Un Papa che vive il Concilio, con “sovrabbondante ampiezza di vedute”, che, con Atenagora I, patriarca di Costantinopoli, riesce a cancellare le millenarie, scandalose scomuniche.

Amante dell’uomo, della cultura, della storia, della laicità, che dell’uomo si ritrova ad apprezzare le profondità radicali, con acutezza, con sofferenza, con una tormentata, eppure sicura propensione di amore, con una finezza culturale, spirituale, ineguagliabile: “Quelli che sanno ciò che sia la bellezza e quelli che sanno ciò che sia il dolore: tolti questi, nessuno mi interessa”.

Paolo VI, al centro delle grandi questioni dell’uomo, sul crinale di una scristianizzazione, tra le spinte prevaricatrici e le testarde chiusure, tra apertura e identità, tra fedeltà e disagio. La sua è passione per il futuro, simpatia per il mondo, dovere di essere e di incontrare. Inesausta tensione a capire: “Noi ignoriamo questo mondo che ci circonda perché non lo amiamo”.

Fedeltà all’uomo, che lo fa inginocchiare dinanzi alle Brigate Rosse: “Io scrivo a voi, uomini... vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Aldo Moro, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità... aspetto pregando, pur sempre amandovi”.

Umiltà che condivide con gli uomini il deserto della fede. Pregherà in ginocchio: “Tu, o Signore, non hai esaudito...”.

Sì, davvero, se riuscissimo a rendere il mondo più affettuoso!

Nino Barraco

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ultimo aggiornamento 02 febbraio, 2009