pastorale familiare

Marina Berardi

Famiglia dove abiti?

L’apertura di questa nuova rubrica di Pastorale familiare, che ha coinciso con il tempo forte e significativo dell’Avvento, è stata all’insegna di un annuncio lieto e gratuito: la Parola che si fa Uomo, l’Amore Misericordioso, cerca casa (novembre 2008, n. 11).
Ci sono state famiglie che tra le tante parole e suoni delle feste natalizie hanno ascoltato ed accolto questo invito e, scoprendosi abitate da Dio, hanno voluto dare "un posto ben visibile" all’Amore Misericordioso nella loro casa, per aver presente l’impegno assunto di un rinnovato cammino di conversione (dicembre 2008, n. 11).
È così che l’Amore Misericordioso trova casa e che la famiglia si accorge, con stupore e gratitudine, di abitare una casa fondata sulla roccia della Parola, sulla pietra angolare che è Cristo, dove ogni membro è una "pietra viva" che rende unica ed irrepetibile la costruzione.

Da qualche tempo, però, mi scopro a condividere tratti di strada con famiglie che, in un modo o in un altro, "faticano a vivere", a "trovare casa", non sanno "dove abitano": famiglie ferite nella dignità, minate nell’unità degli affetti, famiglie che dubitano del loro futuro, che sperimentano tutta la loro fragilità ed inadeguatezza di fronte alla grandezza della propria vocazione e missione.
Spesso i vari membri sentono di abitare tra "le pareti" di una casa, magari bella ed elegante, che li protegge da intemperie esterne, ma di non riuscire ad abitare "nel cuore" di essa… Solo "abitando il cuore" è possibile affrontare le inevitabili asprezze della vita, la paura, la solitudine; è lì, "nel cuore" della casa, che ciascuno desidererebbe rimanere, recuperare le forze, sentirsi accolto ed accogliere, è lì che si ha nostalgia di ritornare…
La casa è la stessa, è quella di sempre, messa su con tanti sogni che, impercettibilmente, nel tempo sembrano sfumare. Allora, questa stessa casa la si sperimenta come una "prigione", tanto da convertirsi in luogo di lotta, di indifferenza, di solitudini, di sofferenza, di fughe… e da apparire a chi la visita, come è, "disabitata", "mal abitata".

Quale speranze per queste famiglie di tornare ad abitare l’interiorità, il luogo dove si incontrano sentimenti, valori, principi, progetti, ideali? Come aiutarle a "ri-edificasi" nella diversità, fra gli inevitabili problemi, nella concretezza della quotidianità?

 

1. Ripartendo dalla Parola divina, dalla parola umana

Ripartire dalla Parola è ripartire da una Persona, da Cristo, colui che si è compromesso a fare dei due, una cosa sola, "una sola carne" (Mc 10, 8). Ripartire dalla Parola è assicurarsi il pane quotidiano, l’essenziale per vivere. Ripartire dalla Parola è mettersi alla scuola dell’Amore.

Nella sua attenzione alla concretezza della vita, la Chiesa offre ad ogni famiglia e all’intera comunità cristiana un luogo privilegiato per nutrirsi gratuitamente di questo inestimabile dono: la liturgia e, in particolare, la liturgia domenicale. È un appuntamento che Dio stesso ci dà per renderci capaci di guardare agli eventi della vita, siano essi di gioia o di dolore, di salute o di malattia, con i Suoi stessi occhi, alla luce della sua Parola.

È la scuola che ha frequentato la SS. Vergine quando non riusciva a comprendere ciò che stava accadendo in Lei ed attorno a Lei: meditava la Parola conservandola nel suo cuore.

Quelli della Parola, sono gli unici banchi di scuola su cui si è seduta anche Madre Speranza, per seminare, o meglio, coltivare "con diligente cura la divina Parola nel proprio cuore", perché avesse prodotto "frutti abbondanti di virtù". In una circolare alla sua Famiglia religiosa, scrive:

"Forse ignorate il valore della Parola di Dio? Non conoscete forse la fecondità di questa Parola divina? Come mai non cercate ardentemente questa Parola di valore inestimabile? Vi supplico, per il Signore, riponete tutta la vostra fiducia e delizia nelle parole di quel Agnello che è tutto Verità, amore, carità, sapienza e santità" (El Pan 20, 571-572 – dicembre 1955).

Molto spesso la vita ci mette inaspettatamente di fronte a situazioni che non sempre dipendono da noi o che, comunque, pur volendo, non possiamo cambiare. L’atteggiamento veramente evangelico è quello di Maria che Madre Speranza ha imitato: custodire nel cuore, ricercare il senso di quanto sta avvenendo per lasciarsi trasformare da esso, considerarlo un "talento" destinato a produrre un frutto che rimanga. L’autentica libertà non sta nel "dirigere" gli eventi o contrapporsi ostinatamente ad essi, ma nello scegliere come viverli, rimanendo vigilanti, illuminati dalla lampada della Parola.

Per far sì che la vita non sia uno scorrere banale del tempo, è necessario imparare a dare il giusto posto alla Parola lasciandosi guardare, interrogare, plasmare da essa, come singoli, come coppia e come famiglia.

Allora "la giornata del credente, e dunque la sua vita, la sua persona, i suoi affetti, le sue relazioni persino i suoi fallimenti e delusioni, tutto, insomma, diventa come un grembo, come il grembo di Maria, che ogni giorno partorisce una parola sempre nuova di Dio"1.

Purtroppo, però, in una famiglia "ferita" si vive l’esperienza di parole stantie, dure, ingoiate, rinfacciate.., parole "abortite", che non producono quella linfa vitale che avrebbero dovuto generare.

Oltre alla sua Parola, Gesù stesso ci dà un modello di comunicazione; entra nella comunicazione piena con noi con cose molto semplici: un po’ di pane e un po’ di vino, dell’acqua… che ricordano la quotidianità di ogni famiglia intorno ad una mensa. Si comunica davvero attraverso gesti semplici!

Il Dio cristiano è un Dio com-unione, c’è comunicazione d’amore tra le tre Persone; il Dio rivelato da Gesù è Tre Persone che si amano così tanto da vivere un’unica vita; è Tre Persone che dialogano così profondamente da essere «Uno»; è Tre Persone che si comunicano a vicenda così tanto da essere Comunione totale e infinita. Questo Dio dialogante ha creato l’uomo e la donna simili a sé: esseri dialoganti.

Un autore, Ebner, forte della sua personale esperienza, ci invita:

«Alziamo lo sguardo... cerchiamo sempre Dio...

Perché siamo esseri SENSIBILI, legati alla terra, egli ha mandato Gesù...

la PAROLA è diventata CARNE, la Parola di Dio è entrata nel linguaggio umano...»2.

Molto spesso la vita di coppia e di famiglia si avvia verso la perdita di senso, verso la "morte" a causa di parole non dette al momento opportuno o di parole gridate, sbattute in faccia, che finiscono per diventare coltelli che uccidono, a causa di parole "dis-umane"!

Usare in modo costruttivo la parola è un’abilità da imparare. Nella nostra cultura non siamo educati a parlare dei nostri sentimenti, della vita affettiva e, contemporaneamente, non siamo abituati ad ascoltare chi ci parla del suo mondo affettivo.

È estremamente importante sviluppare il "terzo orecchio" per captare, al di là delle parole, il tono, l’emozione, i sentimenti, perché sono questi a dire la qualità della comunicazione.

L’empatia è la dote di intuizione, di comprensione, di introspezione nei sentimenti dell’altro ed è tanto maggiore quanto più ci si scopre capaci di essere in sintonia con se stessi, con i propri sentimenti, di saperli riconoscere, chiamare per nome, sapendo che sentire è diverso da acconsentire: oggi, una delle "emergenze educative"!

Prima di dire le parole e comunicare gli affetti ci sono in noi degli atteggiamenti che mettiamo in atto e con i quali trasmettiamo accettazione, accoglienza, fiducia oppure tutto il contrario, rifiuto. Non poche volte, infatti, la comunicazione è improntata all’aggressività e all’accusa. "Sei sempre il solito!". "Non mi capisci", ecc. In altre, ci può essere una calma apparente che nasconde aggressività, ironia, dove la comunicazione non verbale dice il contrario di quello si comunica a parole.

Abbiamo mai pensato di cercare il tempo e la situazione più adeguata per poter parlare di certe cose? Molto utile per la coppia è prendersi, per esempio, un’ora alla settimana e comunicare con sincerità, scriversi anche una lettera, usare il linguaggio dei gesti (il dono, il contatto fisico, ecc.).

Nel momento della discordia che nasce dalla diversità... bisogna ricordare, o magari imparare, l’arte di "saper litigare": senza offendersi, senza scavare nel passato, senza pretendere di vincere o di convertire l’altro, senza subire, senza brontolare.

Anche la Parola di Dio indica una strada per non lasciar sedimentare la polvere sotto il tappeto o lasciare che si accumulino le macerie della discordia, per ricostruire l’unità perduta:

"Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri. Nell’ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira… Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano... (Ef 4, 23-26.29).

Anche per Madre Speranza, oltre che un dono da chiedere, questa è una virtù da imparare, a partire dal silenzio. Ci sediamo per un momento alla sua scuola:

"Il silenzio… è molto utile per imparare a parlare convenientemente con le persone, perché fa dimenticare il linguaggio volgare del mondo e ci dà tempo di riflettere sul corretto modo di parlare. E’ utile per imparare a parlare con Dio nella preghiera, dato che il rumore delle parole e delle conversazioni ci impedisce di elevarci a santi pensieri e di ascoltare le ispirazioni divine. Inoltre ci impedisce di svuotare attraverso la bocca il cuore, l’anima e il fuoco della devozione…

I modi per osservare il silenzio sono: parlare quando è giusto, perché la virtù del silenzio non consiste nel tacere sempre, ma nel parlare quando è doveroso e conveniente, considerando prima ciò che si deve dire, l’intenzione che ci spinge a parlare, a chi, di che cosa, davanti a chi e il tempo in cui si parla, stando attenti a non interrompere nessuno, come le persone maleducate; ad usare modi corretti e un giusto tono di voce; a non fare smorfie con la bocca o con le labbra, evitando espressioni che causino sorpresa e meraviglia" (El Pan 1, 88.93-94).

Pensando a quali possono essere gli atteggiamenti interiori capaci di mettere l’altro a proprio agio, capaci di favorire il dialogo, e di ridare terra, senso, "umanità" alla parola, vi ripropongo:

• stima che è sempre possibile per l’amabilità oggettiva dell’altro;

• sim-patia considerando l’altro degno di essere ascoltato;

• empatia che ci rende capaci di metterci nei panni dell’altro;

• complementarietà nella consapevolezza di dare e ricevere;

• flessibilità: è un modo generale di essere, di chi si sente ricercatore piuttosto che detentore della verità e nasce dalla scoperta della verità: è solo l’intuizione del vero che permette di stabilire ciò che è essenziale da ciò che non lo è;

• responsabilità per un ascolto vero dell’altro: in fondo lui parla come io ascolto!, responsabilità perché lui giunga ad essere ciò che è chiamato ad essere.

• "per-dono" che si fonda sulla consapevolezza del proprio limite personale e su quello dell’altro che, comunque, rimane un "dono-per"… sempre!

(segue)


1 CENCINI A., La vita al ritmo della Parola, Ed. San Paolo 2008, pg. 39.

2 ebner, PeA: Aforismi 31: la parola pg. 147.

 

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ultimo aggiornamento 02 marzo, 2009