pastorale familiare

Marina Berardi

Famiglia dove abiti?

È una domanda rivolta a quelle famiglie che "faticano a vivere", a "trovare casa"; rivolta a quanti sperimentano la propria casa come una "prigione", come luogo di lotta, di indifferenza, di solitudine, di sofferenza, di fughe… perché nel «coraggio di raccogliere ogni cosa di sé»1, di riconoscere che il momento di crisi appartiene loro e che è parte della loro storia, riscoprano la loro identità e ritrovino la gioia e la felicità autentiche.

Per queste famiglie, c’è ancora speranza di tornare ad abitare l’interiorità, il "cuore della casa", il luogo dove si incontrano sentimenti, valori, principi, progetti, ideali…; di riconoscere quella casa di un tempo, messa su con tanti sogni, come la "propria casa", nel desiderio di tornare ad "abitare il cuore". Ma, come aiutarle a "ri-edificasi" nella concretezza e, molto spesso, nella durezza della quotidianità?

Il primo invito è stato quello di "ripartire" da Cristo, Parola incarnata, perché anche le parole umane possano ritrovare terra, senso, umanità, e aprirsi a un dialogo che "edifichi" l’amore, nel rispetto, nella stima, nel perdono…, riscoprendo di essere un reciproco "dono-per"… sempre.

(continuazione)

2. Ripartendo dalla coppia.


Ripartire dalla coppia vuol dire "edificare" la coppia, mettendo in questo un impegno maggiore di quello speso nel metter su casa.

L’originario termine latino ædificare è composto da ædes, che significa "tempio" e da ficare, che indica il "fare". Mi torna in mente la già citata frase di Paolo che, pronunciata da una coppia, suonerebbe così: "siamo noi la dimora, il tempio santo di Dio" (cfr. 1Cor 3, 17), siamo noi che, con il suo aiuto, ci siamo impegnati a costruire il "tempio"!

L’erigere, il fabbricare è uno dei significati che questo termine ha anche nella lingua italiana. Ma il solo "fare" non basta.

Illuminante per la nostra riflessione è, invece, l’altra accezione che nella nostra lingua ha il termine "edificare", con il quale si indica l’educare, l’indurre al bene con il buon esempio.

È da qui che vorrei partire.

Oggi l’ "educare" sembra un pianeta per molti sconosciuto. Assistiamo, infatti, a una vera e propria latitanza ed "emergenza educativa" (più volte denunciata da Benedetto XVI), non solo nei confronti delle nuove generazioni, ma ancor più nei confronti degli adulti! Eppure, fino al termine della vita, tutti abbiamo da imparare!

Infatti, ogni fase, ogni ciclo di vita personale e familiare è un "talento" da far fruttare, che ci sprona al raggiungimento di una sempre più piena maturità, ci stimola e ci sfida a uscire da noi per dirigerci verso la pienezza, la perfezione, l’integrità dell’esistenza, fino al suo compimento.

Educare è formare, nel senso di "dare forma", è porre l’uomo nelle condizioni di divenire ciò che è chiamato ad essere, di scoprire o stimolare quegli elementi che possiede in embrione, di risvegliare e liberare «forze imbrigliate e sopite», di portare a compimento l’unicità del suo progetto. Attraverso il processo di individuazione, ogni persona è chiamata ad acquisire una identità quanto più chiara e stabile possibile, condizione essenziale per aprirsi all’alterità e alla comunione.

Formare, difatti, è anche porre insieme realtà diverse per farne una (com = cum, insieme e pònere, porre): questo è il fondamentale e prioritario compito di ogni coppia!

I partner, in forza della natura dialogica inscritta in loro e di quella diversità-somiglianza che li spinge a riconoscersi e ad avvicinarsi, sono chiamati a essere l’uno per l’altro «un singolo "IO" di fronte ad un singolo "TU"»2, fino a sperimentare lo stupore e la meraviglia dell’"essere-per" l’altro:

"…all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto" (Mt 19, 6-9).

La natura stessa dell’essere umano (maschio e femmina) lo dovrebbe portare ad avvertire in sé il profondo e autentico bisogno di relazione, di amicizia, un sano senso di interdipendenza, l’esigenza di educarsi ad una identità personale per poter vivere in pienezza una identità comunionale o, nel nostro caso, coniugale.

Mi viene in mente di parafrasare quanto scriveva Madre Speranza, riferendolo alla coppia: Siamo stati creati l’uno per l’altra e viviamo l’uno nell’altra perché in me c’è qualcosa di te e in te qualcosa di me. Questo qualcosa di te che c’è in me è la tua vita, e quel qualcosa di me che c’è in te è la mia vita. Le nostre esistenze si compenetrano scambievolmente e si identificano più o meno secondo quello che riceviamo e diamo.... Dio mio! ti ringraziamo perché ci hai uniti così per l’eternità e perché fin d’ora ci fai vivere l’uno nell’altra e tutti e due uniti a Te3.

Mi accade, invece, di incontrare "coppie" che non si accorgono di avere questa "unicità" da donare e da ricevere dall’altro, e magari vanno dall’esasperato individualismo alla passiva dipendenza; sia pure in modo inconsapevole, rischiano di "usarsi"… Questi stili relazionali, prima o poi, portano la coppia a fare i conti con una profonda insoddisfazione, sofferenza, con la inesorabile "sterilità" del rapporto.

Per questo è necessario ancorarsi a dei valori stabili che aiutino a formare la propria identità e ad uscire dal proprio mondo individuale per essere attenti al bene e ai bisogni dell’altro; solo dalla coscienza di sé, della fratellanza, della reciproca appartenenza, della sponsalità scaturiscono il rispetto della dignità per ciò che l’altro è, che è chiamato ad essere e la solidarietà coniugale e familiare.

Il giorno del matrimonio si è dato intenzionalmente vita alla coppia, al noi, chiamato a divenire "luogo" di incontro dell’umana avventura di un "Tu", un "Io" e della relazione: solo da qui può avere origine e scaturire il cambiamento, la crescita e la maturazione, il superamento della crisi.

Educarsi a questa relazione richiede un lavoro paziente, tempo e dedizione; implica un impegno personale, innanzitutto con l’attenzione verso la propria crescita così che questa possa parlare all’altro: «Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna che cambi prima la vita di colui che lo esprime. Che cambi in esempio»4.

La relazione è un viaggio nel mondo interiore, nel tabernacolo del cuore umano, proprio ed altrui; uno scandagliare che implica una serie di atteggiamenti interiori riassumibili nella parola «rispetto». Etimologicamente, «vuol dire guardare una cosa "sguardandone" un’altra, tenendola presente con la coda dell’occhio»5. È, dunque, un invito a vivere contemporaneamente una presenza all’io e al tu, quale espressione concreta del riconoscimento del valore universale di ogni persona, in particolare di quella che ho scelto di avere accanto.

Per incamminarsi verso una meta è necessario sentirne tutta l’attrattiva, avere uno scopo, "crederci": questo è particolarmente vero per la vita di coppia. Quanto sarebbe bello se fossero molti coloro disposti a scommetterci, ad accettare che tutto ciò richiede tempo, pazienza, ritorni costanti, insuccessi, progettualità a lungo termine, rinuncia a se stessi… Quale grande gioia nascerebbe nello scoprire che, paradossalmente, proprio questa "morte" può diventare condizione privilegiata per risvegliare la profonda domanda esistenziale ed anche per intraprendere percorsi creativi ed innovativi.

Ciascun partner, tu per l’altro, dovrebbe vedere questi come un «appello vivente» che lo invita a portare a pienezza la sua stessa umanità6 e che, al tempo stesso, lo apre al mistero e alla meraviglia per qualcosa che lo supera.

Credo che sia questa una delle "emergenze educative" di questo nostro tempo, in cui la cultura dominante – come spiega Benedetto XVI - "scoraggia ogni scelta davvero impegnativa e in particolare le scelte definitive, per privilegiare, invece, nei diversi ambiti della vita, l’affermazione di se stessi e le soddisfazioni immediate" (Assemblea generale dell’Episcopato Italiano, 29.5.2008).

Ho l’impressione che alla radice di tante difficoltà ci sia la paura e l’incapacità di vivere la dimensione adulta dell’amore, con tutto quello che esso comporta.

Secondo Scott Peck7, per essere persone capaci da amare occorre essere persone capaci di lavoro e persone capaci di coraggio, di rischio, di esporsi, di soffrire, dove il coraggio non è mancanza di paura, ma sentire la paura e superarla, è capacità di sottomettersi ad una disciplina o autodisciplina:

Imparando a rinviare la gratificazione, in una cultura che esalta il piacere, dove si tende ad affrontare prima le gioie e poi le sofferenze, con l’illusione che queste ultime scompaiano. Sarebbe meglio agire in modo inverso!

Crescendo nel senso di responsabilità nel modo di affrontare i problemi. Questi verrebbero correttamente impostati se dicessimo: "Questo problema è mio e sono chiamato a risolverlo"; o, nel caso non lo fosse direttamente, se ci chiedessimo: "Posso fare qualcosa per aiutare a risolvere questo problema?".
I problemi vanno riconosciuti come propri, senza aspettare che siano altri a risolverceli!

Ricercando e consacrandosi alla verità, per una lettura sempre più obiettiva e realista della realtà, di se stessi, degli altri, di Dio.
Quante volte dovremmo mettere su occhiali trasparenti o, quanto meno, più sfumati!

Favorendo l’autocontrollo, come capacità di conoscere i propri sentimenti e bisogni, il fine che l’altra persona è; come capacità di rinuncia e di espressione matura, ecc.

Nella vita di relazione, nulla nasce o cresce spontaneamente: coppia/famiglia lo si diventa. Essere famiglia, "fare famiglia" richiede fiducia, passione, fortezza, coraggio, intenzionalità.

Manenti8 propone il "triangolo dell’amore" come ambito in cui, grazie a tre forze interagenti fra loro, trascendenza, identità, comunione, l’amore può maturare.

Identità Û Comunione: più una persona è se stessa e scopre la propria identità, e più può mettersi in relazione, entrare in comunione offrendo l’unicità della propria ricchezza. L’incontro con l’altro ha, di conseguenza, l’effetto non ricercato di arricchire il proprio io, la propria identità.

Comunione Û Trascendenza: più la comunione è profonda più si avverte il bisogno di aprirsi a qualcosa che è al di sopra e al di fuori di essa, nella necessità di parteciparla e di donarla.

Trascendenza Û Identità: essere se stessi significa uscire da sé per realizzare dei valori e questo non comporta l’alienazione del proprio io, ma ne favorisce il recupero a un livello più profondo, capace di costruire la comunione e di aprirsi all’altro da sé.

Purtroppo oggi si sente parlare spesso di un altro tipo di "triangolo": quello che si crea con l’inserimento all’interno della coppia dell’interesse per una terza persona!

Sono solita porre un interrogativo alle coppie giovani che si preparavano al matrimonio: "Se, una volta sposati, vi capitasse di innamorarvi di un’altra persona, cosa fareste?". Ricordo una volta in cui alla domanda seguirono un silenzio imbarazzato, incredulo, sguardi interrogativi, disappunto… fino a quando, prima un ragazzo e poi una ragazza, esordirono: "A noi non capiterà mai!"; "Io me ne andrei da casa o lo manderei via. Non perdonerei!".

"A noi non capiterà mai!". Un’espressione che indica passione, amore, ma anche un pizzico di presunzione e poco realismo. Infatti, il "triangolo" di cui stiamo parlando oggi appare fin troppo frequente e mina la stabilità di tante coppie (giovani e non) e di famiglie, dando origine a molteplici "figure geometriche" generate dai nuovi assetti familiari. Eppure non ci si dovrebbe "scandalizzare" davanti ad un sentire umano, ma accoglierlo nella verità, chiamandolo per nome e trasformalo in occasione per riconfermare il proprio "sì".

"Io me ne andrei da casa o lo manderei via. Non perdonerei!". Qui sembrerebbe che l’amore sia inteso come un sentire, dimenticando che l‘amore vero ha a che fare, piuttosto, con la libera scelta, l’impegno, il dono incondizionato, lo sforzo, il perdono, la capacità di rimanere nell’amore…

Secondo l’autore appena citato, la capacità di restare nell’amore è un atto di volontà, indipendentemente da ciò che si riceve, un atto all’insegna della gratuità. Una meta allo stesso tempo ardua e appassionante, che richiede la cura e lo sviluppo di alcuni atteggiamenti, tra i quali:

– la capacità di un amore totale, accogliendo e amando tutto dell’altro;

– una sollecitudine per gli interessi e gli affetti del partner, che dovrebbero avere la stessa importanza dei propri;

– una capacità di autonomia, che porta a stare in piedi da soli, a donarsi all’altro senza dipendenza, nella libertà, senza lotte o mutua dominazione;

– un saper tollerare l’ambivalenza dell’amore e odio, gioia e tristezza, presenza e assenza, gratificazione e frustrazione insite in ogni relazione umana;

– l’anticipazione della rinuncia a terzi, attraverso una fedeltà creativa, che aiuti a crescere;

– l’adesione ed apertura ai valori che non va considerata un optional, in quanto fondamentale nella vita di coppia, perché ciò che tiene unita la coppia è la dimensione del progetto comune.

Per "fare famiglia", come abbiamo visto, sono necessari l’impegno personale e di coppia, ma, aggiungerei, è indispensabile un modello di riferimento, un progetto, un "disegno" secondo cui muoversi! Calzano qui, le parole che Dio ha rivolto a Mosé che si accingeva a costruire la Tenda: Guarda di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.

Tutti abbiamo un "modello" di coppia, di famiglia, interiorizzato nella nostra esperienza infantile, nella nostra famiglia di origine: quale è il vostro?

Per una coppia cristiana, il modello è la S. Famiglia di Nazaret… Una Famiglia che si è lasciata condurre dalla logica dell’amore fin sotto il monte Calvario. I membri di questa Famiglia sembrano ripetersi scambievolmente con la vita quello che ognuno di noi amerebbe sentirsi dire dalle persone più care: ti amo perché ci sei, con la tua unicità; ti amo per sempre e temo di perderti; ti amo per te, perché tu sia felice, perché tu porti a compimento il Progetto pensato da Dio per te!

Oggi, l’imperante relativismo, sembra invece esaltare la logica del "contingente" che rende i rapporti strumentali, autoreferenziali: vali per ciò che hai, per ciò che fai; vali finché mi sento; vali se anche tu mi dai…; come pure esalta la logica del "fai da te": scegli te il progetto, crea il modello che vuoi, che ritieni faccia per te ora.

Eppure, credo che ogni progetto di coppia cristiana sia sgorgato e si fondi sull’esperienza del Tabor quando, soli, "sul monte", alla presenza dell’Amore, i due partner hanno deciso di iniziare l’avventura a "tre", coinvolgendo Cristo.

È stato il momento della decisione, dell’impegno di sposarsi, della realizzazione di una vita di coppia, dove ci si distaccava delle famiglie di origine per impegnarsi a creare, nella concretezza del passo dopo passo, una complicità e un’alleanza per sempre, ora messa in discussione da false aspettative deluse, da altri interessi.

Quando non ci si prepara e ci si educa ad assolvere i compiti delle varie fasi evolutive, dopo qualche tempo, la coppia finisce col fare esperienza di un vero e proprio "calvario" umano. È il momento della crisi che, se affrontata con l’equipaggiamento giusto, può aprire nuovi orizzonti di vita e di significato.

Un autore, Erikson, vede nel "conflitto", nella "crisi" una potenzialità, la possibilità, la spinta ad uscire da sé al fine di raggiungere una maggiore maturità. L’assolvimento del compito proprio di ogni stadio porterà il soggetto alla progressiva realizzazione della maturità umana9. Per citare solo gli ultimi tre stadi, l’obiettivo o la pienezza di senso coinciderebbe: nel 6° stadio, con la disponibilità a condividere se stesso, a perdersi e ritrovarsi nell’altro, sviluppando una rinnovata capacità di amare10; nel 7°, con l’interesse affettivo per le nuove generazioni11, delle quali ci si prende cura e per le quali si spende la vita; ed infine, nell’ultimo stadio, con la saggia accoglienza dei fallimenti, dei successi, dei limiti e delle conquiste di una vita che si dirige serenamente verso il suo compimento (integrità dell’io)12. Nelle parole dello stesso autore troviamo una mirabile sintesi di ciò che caratterizza la maturità umana:

«Essa corrisponde all’accresciuta certezza dell’Io di dirigersi verso l’ordine e la significatività; ad un affetto post-narcisistico non per l’Io individuale, ma per quello umano, inteso come esperienza di un ordine universale e di significato spirituale degni di qualsiasi prezzo; […] essa corrisponde infine ad un senso di unisono con i costumi relativi ad epoche lontane ed a finalità diverse dalle proprie, quali si esprimono nei documenti che ne restano»13.

La coppia nasce dunque da una storia, fa storia e "lancia" le nuove generazioni verso una nuova storia… E questa è "storia sacra"!

La crisi non è, dunque, necessariamente la fine, né tanto meno il momento delle decisioni affrettare, istintive, esasperate, non è il tempo delle fughe, ma è quello del rimanere, del rientrare in se stessi, di permanere saldamente ancorati alle scelte fatte.

È faticoso e impegnativo rimanere sotto la croce, rimanervi "in piedi", come ha fatto Maria; è difficile trovare il coraggio di guardare e lasciarsi guardare negli occhi dall’altro, soprattutto quando non ci si riconosce più o si è, perfino, tradito e rinnegato l’amore, ma è la condizione imprescindibile per tornare ad abitare la propria "casa", il proprio "cuore" e quello dell’altro.

(segue)


1 Grün A., Felicità beata. Verso una vita riuscita, Ed. San Paolo, Milano 2008, p. 57.

2 Ebner F., (a cura di Ducci E. – Rossano P.), Parola e amore, Ed. Rusconi, Milano 1998, p. 186.

3 Cfr. Madre Speranza, Collezione El pan 8, n. 167.

4 Camus A., Taccuini, II, p. 139.

5 Giussani L., Il rischio educativo. Come creazione di personalità e di storia, Società Editrice Internazionale, Torino 1995, p. XXIII.

6 Cfr. Nanni C., Il mistero dell’uomo. Uomo, cultura ed educazione nella catechesi, EDB, Bologna 1988, p. 69.

7 Vedi scott peck, Voglia di bene, Ed. Frassinelli, 2004.

8 Vedi MANENTI A., Vivere insieme. Aspetti psicologici, EDB 1998.

9 Cfr. Miller p., Teorie dello sviluppo psicologico, Ed. Il Mulino, Bologna 1987, pp. 147 e ss. Cfr. anche Ravaglioli A.M., Psicologia. Manuale di base, PIEMME, Casale Monferrato (AL) 1992, pp. 163-167.

10 6° stadio: gioventù. Le polarità all’interno delle quali si muove il soggetto sono intimità ed isolamento (cfr. Erikson E.H., Infanzia e società, Ed. Armando, Roma 1982, pp. 247-249).

11 7° stadio: età adulta. Le polarità all’interno delle quali si muove il soggetto sono generatività e stagnazione (cfr. Ibidem, pp. 249-250).

12 8° stadio: maturità o tarda età adulta. Le polarità all’interno delle quali si muove il soggetto sono integrità dell’io e disperazione (cfr. Ibidem, pp. 250-252).

13 Erikson E.H., Infanzia…, op. cit., pp. 250-251.

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ultimo aggiornamento 30 marzo, 2009