8 febbraio - anniversario nascita al cielo di Madre Speranza
   
   
RELAZIONE:

P. Aurelio Pérez fam, Superiore Gen. dei Figli dell’Amore Misericordiso

 

Un Dio che perdona, dimentica, non tiene in conto

Il perdono in Madre Speranza

«Un Dio che perdona, dimentica, non tiene in conto». Queste parole appartengono a un detto «tipico» di Madre Speranza. Una di quelle frasi brevi che condensano la profondità e l’essenzialità di un messaggio. In questo caso si tratta del messaggio centrale del vangelo, che ci rivela il volto di Dio.

Negli scritti di Madre Speranza e anche nella testimonianza viva di chi l’ha conosciuta, la profonda convinzione che Dio è un Padre misericordioso, è il leit motiv della sua vita, e costituisce l’intuizione semplice e immediata con cui lei ha colto, attraverso un’esperienza molto peculiare, il volto evangelico di Dio che Gesù ci ha manifestato.

Questo studio é un tentativo di cogliere nella vita e negli scritti di Madre Speranza, qualche barlume della sua testimonianza luminosa, che, riflettendo la buona notizia evangelica, getta a sua volta una profonda luce sulla situazione esistenziale umana. La base dello studio é costituita fondamentalmente da testi scritti o registrati dalla viva voce di M. Speranza.

 

Alla scuola della misericordia divina

Faticheremmo invano se cercassimo negli scritti di M. Speranza l’elaborazione di un pensiero teologico-spirituale a proposito del perdono o della misericordia divina. In lei si é data, fondamentalmente, un’esperienza. Leggiamo nella prima pagina del diario che lei scrive per ordine di P. Antonio Naval, suo padre spirituale:

Oggi, giorno 5 novembre del 1927. Mi sono distratta, cioè, ho trascorso parte della notte fuori di me e molto unita al Buon Gesù e Lui mi diceva che io devo darmi da fare perché gli uomini lo conoscano non come un Padre offeso dall’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con ogni mezzo, il modo di poter confortare, aiutare e far felici i suoi figli, e che li segue e li cerca con amore instancabile, quasi che Lui non potesse essere felice senza di loro.

Quanto mi ha impressionato questo fatto, Padre mio! 1.

Sicuramente M. Speranza, già religiosa quando scrive queste parole, non sentiva parlare per la prima volta della paternità e bontà di Dio. La novità, ora, é l’impressione profonda del suo spirito, come un marchio a fuoco che le fa cogliere quella verità con una intensità assolutamente nuova.

Il testo citato precedentemente é del 5 novembre del 1927. Parecchi anni più tardi, nel 1965, troviamo in una sua esortazione, quanto stia a cuore a M. Speranza che la gente comprenda che il vero volto di Dio é quello di «un Padre che non tiene in conto, perdona e dimentica. Che é un Padre, non un giudice severo, che è un Padre santo, saggio e bello, che sta aspettando il figlio prodigo per abbracciarlo»2.

Tra queste due pagine, abbastanza distanti nel tempo, si colloca il periodo centrale della sua vita, durante il quale la luminosa esperienza iniziale ha dovuto subire l’impatto duro della prova, della incomprensione, della calunnia, in una parola della «persecuzione», come lei stessa la definisce più volte. In mezzo a queste vicende il messaggio che lei sentiva di dover comunicare, é diventato non solo un annuncio, ma un’esperienza vitale, provata, e proprio per questo convincente. Alla scuola di quell’amore misericordioso di Dio che le si era rivelato in modo sorprendente, anche lei ha imparato la misericordia e il perdono dalle cose sofferte.

 

Questo difficile perdono

Quando parliamo di perdono, e molto di più quando siamo chiamati a darlo o a riceverlo, sperimentiamo quasi sempre una sorta di imbarazzo, un blocco interiore della nostra logica e, prima ancora, della nostra sensibilità. Di fatto, noi reagiamo alle circostanze negative della vita con un primo moto di difesa che é il meccanismo istintivo della nostra auto preservazione. Un organismo vivente quando riceve un colpo o una ferita reagisce immediatamente e si difende. È una legge naturale, scritta nel livello primario del nostro essere, quello delle azioni e reazioni istintive. Alla sensibilità e all’istinto si aggiunge, a un livello superiore, la razionalità, che in questo caso non fa che giustificare la condotta di quel livello primario. La ragione e la logica ci dicono che si deve resistere a ogni azione che costituisce una invasione e un pericolo per la persona o per la società. E si deve punire chi attenta in questo modo. Questa é la base razionale della giustizia organizzata che regola la convivenza umana.

Parlare di perdono e giustificare il perdono, significa, da una parte andare oltre l’istinto naturale, e dall’altra, superare anche la logica della pura razionalità che sostiene una determinata concezione della giustizia.

 A volte si dice che il perdono non si giustifica né umanamente né giuridicamente

A volte si dice che il perdono non si giustifica né umanamente né giuridicamente. Quest’affermazione suppone la difficoltà accennata che il perdono trova nella sensibilità e nella razionalità umana. Tale difficoltà è di tutti. Cito, in proposito, una pagina della vita di M. Speranza, con sapore a "fioretti" di francescana memoria, dove lei stessa ammette questa difficoltà nel capire e vivere il perdono come lo intende e vive Dio stesso.

Ricordo, figlie mie, che stando a Roma, nei primi tempi della fondazione, c’era una suora che mi dava un po’ di grattacapi... la vedevo come una farfalla girando di qua e di là e pregavo il Signore per lei. Pregavo sì, ma a volte mi veniva meno la pazienza - non avevo capito che dovevo usare nei suoi confronti più pazienza che rigore . Un giorno, ci trovammo nella casa vecchia, le suore stavano nell’orto dove sorge attualmente la casa generalizia. Quel giorno ero nera, perché quella figlia me l’aveva combinata grossa. Stando in casa mi affacciai a una finestra che dava sull’orto e, vedendo quella suora mi dicevo: "Se potessi stare lì... ma appena viene le do una penitenza che non se la scorda finché campa!". Ero immersa in questi pensieri, quando passò un uomo con un carro carico di frutta, tirato da un cavallo. Mentre passava davanti alla finestra dove io mi trovavo, il cavallo inciampò e cadde, spargendo per terra tutta quella frutta. Quell’uomo senza badare alla frutta perduta, si apprestò a liberare il cavallo, lo aiutò ad alzarsi da terra e, con gran delicatezza lo accarezzava e gli puliva le ferite perché la polvere non provocasse un’infezione.

Io contemplavo la scena mentre aspettavo quella figlia per darle una bella penitenza; ero talmente assorta in quest’idea che non pensavo alla lezione di quella caduta del cavallo. In quel momento ebbi una distrazione e dissi: "Signore, perché debbo vedere la scena di questo cavallo?". Dice: "Non ti rendi conto?" – "No, perché? Cosa c’entro io con questo cavallo?". "Sì che c’entri con questo cavallo, perché tu stai aspettando una figlia per farle questo e quello, dato che sta facendo delle cose che non ti sembrano giuste; ed é una creatura, un’anima a me consacrata, e tu, appena viene, gliene dirai tante e le darai una penitenza, che non scorderà facilmente... Che ha fatto quell’uomo con il suo cavallo? Avrai notato come si é preoccupato di aiutarlo ad alzarsi e gli ha pulito bene le ferite perché la polvere non le infettasse, senza badare alla perdita economica provocata dalla caduta".

... Quando arrivò quella figlia l’abbracciai perché, francamente, la lezione fu così grande che non ero capace di dirle niente 3.

 La confusione tra il bene e il male, è il peggior servizio che possiamo rendere alla misericordia di Dio

In questo racconto così semplice, appare chiarissima la difficoltà che potremmo definire strutturale del nostro modo di essere e di reagire di fronte alle situazioni. M. Speranza, come ognuno di noi, ha provato questa difficoltà, e ha dovuto imparare progressivamente quanto distano le reazioni del cuore di Dio dalle reazioni del cuore umano. Solo la misericordia divina, con una pedagogia unica e incredibilmente paziente, é capace di ricostruire il tessuto interiore del "cuore" umano, profondamente segnato ed estremamente condizionato da tante ferite.

Parlo di cuore nell’accezione biblica, intendendolo come la sede delle nostre facoltà superiori: l’intelligenza, gli affetti, la libera volontà. Un cuore il nostro che, nel migliore dei casi, si avvale della "legge del taglione" per ristabilire l’equilibrio tra carnefice e vittima, e si esprime poi socialmente in una giustizia codificata, secondo la quale ogni colpa deve avere una pena corrispondente e proporzionata. Fa pensare sicuramente il fatto che, ancora oggi, in varie nazioni, si giustifichi l’uccisione di un individuo da parte dello stato (= pena di morte) per dire alla società che non bisogna uccidere, o addirittura che non bisogna avere un comportamento moralmente disdicevole.

Con questo non intendo dire che il messaggio di M. Speranza riduca il perdono di Dio a una specie di condono buonista, che lascia tutto come sta e cancella la responsabilità morale dei nostri atti. La confusione tra il bene e il male, quasi che fossero un fatto soggettivamente relativo, è il peggior servizio che possiamo rendere alla misericordia di Dio ed è, sicuramente, tra le cause che hanno gettato un’ombra di "sospetto" inquietante sulla stessa concezione del perdono misericordioso di Dio. Con estrema chiarezza, il Papa Benedetto XVI sottolinea, nel suo ultimo libro-intervista, che è pericoloso opporre una "Chiesa di diritto" a una "Chiesa dell’amore", facendo spegnere "la consapevolezza che la punizione può essere un atto di amore". E definisce questo "uno strano oscuramento del pensiero".4

Il messaggio di M. Speranza non intende misconoscere la funzione pedagogica della "correzione", ma farci cogliere l’identità di un Dio che è amore, e nel quale ogni dimensione, anche la correzione, fa parte dell’amore:

Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? (Eb 12, 5-7)

Penso che questo equivoco va chiarito, e potrebbe essere oggetto di un approfondimento che non appartiene al tema specifico di cui ci occupiamo.

Quando, dunque, sentiamo dire che umanamente e giuridicamente il perdono non si giustifica, dovremmo chiederci se la giustificazione non sia da trovarsi nel bene ultimo che ne deriva per ogni persona umana e per la convivenza tra le persone. Tutto dipende dal nostro modo di concepire la persona umana e i rapporti tra le persone.

Non ci meravigliamo, ad esempio, che, data la sua concezione antropologica, F. Nietzsche affermi: «L’impotenza che non può reagire si trasforma in bontà. [...]. Il "non posso vendicarmi" diviene un "non voglio vendicarmi" e si parla addirittura di amare i nemici»5. Secondo questa visione antropologica, il perdono non solo non ha senso, ma é addirittura, individualmente e socialmente pericoloso, perché deformerebbe la dignità dell’essere umano, riducendolo a uno schiavo pauroso.

Ben diversa é la considerazione evangelica della persona umana e ben diversa l’intenzione con cui Gesù, superando la «legge del taglione», afferma perentoriamente: «È stato detto dagli antichi: ‘Occhio per occhio, dente per dente. Ma io vi dico: non resistete al male» (Mt 5,38-39). Di questa visione dell’uomo, si fa eco Giovanni Paolo II nella Dives in Misericordia 6.

 

Un Dio che perdona

Il perdono che scusa l’incoscienza

Se ci fermiamo a considerare le caratteristiche del perdono di Dio, una delle più impressionanti è la sua infinita capacità di scusarci, ammettendo la nostra incoscienza e i tanti fattori che concorrono nel nostro peccato. Scrive M. Speranza:

«Egli [il Signore] addirittura allega in nostro favore la scusa della nostra ignoranza. Quanto è buono! E quanto è vero che la passione ci acceca, l’interesse ci offusca e l’ambizione ci abbaglia per non vedere quando pecchiamo, e che l’amore di noi stessi ci fa dimenticare l’amore che dobbiamo al nostro Dio e la superbia ci fa ergere contro il nostro creatore»7.

M. Speranza imparò il perdono alla scuola della misericordia divina e dalle prove sofferte

La comune esperienza e la più elementare psicologia ci dice che é proprio di chi ama saper trovare attenuanti per l’errore della persona amata, così come il non-amore rinfaccia anche l’ombra di un difetto. E questo nasce dal fatto che l’errore provoca sofferenza in chi ama, non tanto per lo sbaglio in sé, quanto per il male che arreca alla persona amata. Per questo l’amante sempre scuserà la persona amata.

Ho accennato all’inizio che M. Speranza imparò il perdono alla scuola della misericordia divina e dalle prove sofferte. Abbondano nei suoi scritti le testimonianze in proposito. Ne cito solo alcune, che riflettono alcuni dei momenti più critici della sua vita:

«Molte volte vi ho detto che dobbiamo perdonare coloro che sono divenuti nemici della nostra amata congregazione e di questa vostra madre, e oggi vi dico che non solo dobbiamo perdonarli, ma amarli e scusarli, perché i poveretti non si rendono conto di ciò che dicono o fanno. Sono accecati, e tenete presente, figlie mie, che per comportarci in questo modo verso i nostri nemici é necessario che i nostri cuori siano dominati dall’amore, dalla presenza di Gesù e dal desiderio di piacergli in tutto»8.

E c’è anche un messaggio per chi si fosse allontanato, che ci fa ricordare la parabola del Padre misericordioso (Cfr Lc 15):

Se […] si trova tra le mie figlie fedeli qualcuna turbata o accecata, non s’inquieti né pensi che questa madre ha qualcosa contro di lei, il Signore lo ha permesso per sofferenza loro e mia [...] e che Egli mi conceda la gioia di non perdere alcun’altra figlia e quelle che oggi considero perdute per me, abbia la gioia di poterle rivedere e dare a tutte questo abbraccio di madre che tanto desidera questa povera creatura»9.

Sappiamo, per la testimonianza diretta delle persone vissute con lei fin dai primi tempi, che M. Speranza faceva di tutto per nascondere la sofferenza causata da queste prove; e ciò che maggiormente la preoccupava era che si venisse meno alla carità. In mezzo a queste vicende è commovente anche una sua preghiera, dove fa suoi gli stessi sentimenti che attribuisce al cuore di Dio:

"Io ti prego, Padre di Amore e misericordia, dimentica, non tenere in conto e perdona perché sono accecati.

Dimentica, Gesù mio, tutto il male che pretendono farmi e pensa al bene che hanno fatto alla mia povera anima; [...] ti prego, Gesù mio, che li perdoni e abbia compassione di tutti. Me lo concederai, Gesù mio? [...] non desidero altro che il perdono per tutti quelli che ti hanno offeso con questa persecuzione»10.

Il perdono che fa una festa incredibile

In questo atteggiamento viene spontaneo riconoscere il riflesso della preghiera di Gesù sulla croce: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno!» (Lc 23,34). E, insieme alla preghiera, M. Speranza offre il proprio dolore: «Ti supplico, anche, Gesù mio, che perdoni tutti quelli che ci hanno fatto del male o hanno preteso di farlo, e ricevi a loro favore il mio dolore e le sofferenze patite per amore tuo in questi tre anni che ho vissuto separata dalle mie care figlie»11 

Il perdono che fa una festa incredibile

La gioia inattesa e traboccante è un’altra caratteristica evangelica del perdono di Dio. Forse è quella che più colpisce la nostra sensibilità, e la più paradossale per quel metro di giudizio con cui valutiamo le persone e le circostanze della vita. Il padre dei due figli perduti organizza una festa incredibile che, né il figlio scappato di casa, né quello rimasto si sarebbero mai sognati. Gesù sottolinea questo rapporto tra il pentimento, il perdono e «la festa in cielo»: il Padre fa festa come il pastore che si prende sulle spalle la pecora perduta e si rallegra con gli amici e i vicini (Cfr. Lc 15,4-7); come la donna che gioisce con le amiche e le vicine per la moneta ritrovata (Cfr. Lc 15,8-10); come il padre che prepara un banchetto per il figlio ritrovato (Cfr. Lc 15, 20ss).

Gesù stesso é il riflesso fedele, con il suo atteggiamento, di questa gioia del Padre: accoglie i peccatori e mangia con loro; partecipa al banchetto-festa di Levi con «molti pubblicani e peccatori», ed è in questa occasione che Gesù invita quelli che si scandalizzano del suo atteggiamento a «imparare cosa significa: misericordia io voglio» (Cfr. Mt 9,9-13).

Anche questo aspetto evangelico del perdono, il più commovente e sorprendente, lo ritroviamo fortemente sottolineato nell’esperienza che M. Speranza ha fatto del perdono di Dio. Parlando alle sue suore, raccontava di alcuni massoni che erano andati al Santuario dell’Amore misericordioso, in Collevalenza, e si erano convertiti. La percezione che lei ha avuto della gioia di Dio, quando un figlio lontano ritorna, viene espressa come un «perdere la testa» da parte di Dio.

«Questi qui io li chiamo ‘ladri del cielo’, perché non sono mai stati vicini al Signore, non si sono mai sacrificati per Lui, non hanno fatto mai niente per amore suo e poi, arriva uno di questi momenti e... io l’ho visto una volta, sembra che il Signore perda la testa quando in questi momenti arriva a Lui una di queste anime.

Ricordo che era un povero anziano di 76 anni, massone - ancora non c’era il Santuario – [...]. Ebbene, questo povero vecchio era molto indurito, non c’era modo che si convertisse, ma finalmente giunse il momento in cui, commosso, ebbe un attimo di generosità e il Signore sembrava aver perduto la testa, e gli diede il paradiso»12.

Forse quest’espressione «perdere la testa» ci avvicina, con un linguaggio necessariamente antropomorfico, al cuore del Padre che perdona. È un impazzire di gioia, che non riusciamo a capire né esprimere se non nebulosamente. Il perdono autentico fa valere le «ragioni» misteriose dell’amore. Solo «perdendo la testa» il cuore può impazzire di gioia.

Viene spontaneo chiederci il perché di questa festa incredibile. È la domanda che si fa il fratello maggiore della parabola, che all’udire la musica e le danze, chiede il perché di quella festa, e quando gli viene detto si adira e non vuole entrare. Il motivo fondamentale della gioia glielo rivela il padre stesso, perché solo lui lo conosce: «Bisognava far festa e rallegrarsi perché questo fratello tuo era morto ed é tornato in vita; era perduto ed é stato ritrovato» (Lc15,32).

Ma in questo motivo di fondo ne potremmo leggere anche un altro: la festa e la gioia del perdono consente a Dio di manifestare la pienezza della sua paternità, e all’uomo di scoprire la sua vera dimensione di figlio, cosi prezioso agli occhi del Padre che il suo ritorno ben vale una grande festa.

 

Un Dio che dimentica

La seconda caratteristica del perdono di Dio sottolineata da Madre Speranza, "un Dio che dimentica", getta una luce profonda e liberante su una delle dimensioni più misteriose della nostra esistenza.

Uno dei fattori che più pesano sulla vita di tante persone è costituito dalla "memoria" che ha registrato le esperienze negative del passato. Appartengono a questo campo i traumi antichi che influiscono negativamente sul presente, diventando spesso una fonte di ansia e angoscia con caratteristiche patologiche che investono tutta la persona. È in gioco qui la maturazione cosciente della persona, che deve integrare il più serenamente possibile il suo passato, se è necessario con una terapia psicologica o psichiatrica.

Ma c’è anche il campo costituito da quell’ombra che il male e il peccato personale gettano sulla nostra vita, che é una dimensione morale e pertanto radicata nel profondo del nostro spirito. Indubbiamente questo male che «nasce dal cuore», come dice Gesù, contamina tutto l’uomo, e provoca delle conseguenze anche di tipo psicologico e sociale.

C’è anche da dire che, spesso, questi due campi interferiscono e non è facile individuarne la linea di confine.

La guarigione che solo il perdono di Dio può operare in noi, ha la capacità non solo di cancellare, distruggere il male, ma anche di eliminare le conseguenze negative del suo ricordo. Quando M. Speranza insiste nell’affermare che Dio "dimentica", penso che stia sottolineando questa dimensione intimamente liberatrice del perdono di Dio. Non si tratta di amnesia o semplice rimozione dei ricordi. Alla persona schiacciata dal ricordo dei suoi mali, o tormentata dall’ombra dei suoi peccati, viene offerta una misericordia che gli ridà la pace del cuore.

E produce la convinzione che Dio non permetterebbe il male se non fosse capace di tirarci fuori del bene

Può capitare che il ricordo del male divenga un’autopunizione che ci si trascina appresso come una catena, e si trasformi di conseguenza in una fonte di disperazione. È una situazione tristissima perché chiude la porta alla fiducia e alla speranza. Che l’uomo, in tale stato, capisca che l’amore di Dio é più grande del suo peccato, che la misericordia di Dio può eliminare quel peso tremendo, dimenticandolo addirittura, questa é la liberazione più profonda che si possa sperimentare.

Il perdono che "dimentica" non genera tanto un vuoto mentale, una "negazione" che sarebbe patologica, quanto un’accettazione matura della realtà vissuta, una integrazione di tutto il bagaglio della nostra esperienza, positiva e negativa. E produce la convinzione che Dio non permetterebbe il male se non fosse capace di tirarci fuori del bene. Che Dio dimentichi il nostro male non é tanto un beneficio per Lui, dato che il peccato né gli giunge né gli toglie niente; è piuttosto un bene per noi. Il ‘dimenticare’ di Dio è la nostra
pace.

Si potrebbe obiettare che Dio dimentica, ma noi non possiamo dimenticare. Di fatto, anche i santi hanno pianto per tutta la vita i loro peccati. E tuttavia dobbiamo dire che questa é precisamente la sofferenza dell’amore. Quando S. Agostino dice nelle sue Confessioni: «Tardi ti ho amato, bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato», non sta dicendo una parola disperata; é al contrario, un canto d’amore, una confessione di quella misericordia che ha potuto dimenticare il suo passato e fare di lui realtà completamente nuova.

«Tu stavi dentro di me e io fuori di me ti cercavo; e, deforme com’ero mi precipitavo su queste cose belle che Tu hai creato. Tu eri con me, ma io non ero con Te. Mi trattenevano lontano da Te quelle cose che, se non stessero in Te, non esisterebbero. Mi hai chiamato e hai gridato e hai vinto la mia sordità; hai fatto splendere il bagliore della tua luce e hai guarito la mia cecità; hai esalato il tuo profumo e l’ho aspirato, e ora ti desidero; ho gustato di Te e ora ho fame e sete di Te; mi hai toccato e ho desiderato con ansia la pace che viene da Te»13.

Questa esperienza di Agostino è abbastanza emblematica riguardo al nostro assunto. Egli può contemplare il suo passato, senza angoscia né disperazione. Lo sguardo all’indietro diviene motivo per riconoscere la mano misericordiosa di Dio che lo ha guidato, e ora confessa, pieno di riconoscenza e di gioia, la grandezza e la sapienza di questo amore che guida la storia del mondo e di ogni persona. Chi ne ha fatto esperienza può dire con il re Ezechia: «La mia amarezza si cambierà in gioia, perché hai preservato la mia vita dalla fossa della distruzione, perché ti sei gettato dietro le spalle tutti i miei peccati» (Is 38, 17).

Per non sentirsi schiacciato dal peso del rimorso, l’uomo dovrà credere che, se anche lui non é capace di dimenticare il male commesso, l’amore di Dio può farlo. «In questo conosceremo che siamo dalla verità e rassicureremo davanti a Lui il nostro cuore, perché se il nostro cuore ci rimprovera, Dio é più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1 Gv 3,19s).

Capire questo, e credere in verità che Dio é più grande del nostro cuore e del nostro peccato, riconcilia l’uomo con se stesso, oltre che con Dio, e gli dà occhi nuovi per leggere la storia e la vita sua senza deformazioni pessimistiche né vittimismi sterili. La misericordia di Dio recupera il nostro passato e ce lo fa contemplare con serenità, mostrandoci la presenza misteriosa e provvidente che ci ha guidato e ci guida.

Tutto ciò ha una ricaduta molto importante sul tono con cui affrontare la vita, sia ad intra che ad extra. Infatti, chi non ha integrato serenamente il male della sua vita passata, difficilmente saprà scorgere il bene sia dentro di sé che fuori di sé, e correrà sempre il rischio di vedere la vita come nemica.

La misericordia di Dio si manifesta in questa delicata "dimenticanza", quasi che dicesse al peccatore angosciato: perché ti lasci torturare dal ricordo del tuo peccato, quando io l’ho scordato, sepolto, pestato, gettato in fondo al mare? (Cfr. Mich 7,18ss).

 

Un Dio che non tiene in conto

Quando una persona ha subito un torto e, passato del tempo, tira fuori il ricordo per rinfacciarlo a chi ha fatto l’offesa, é chiaro che non ha perdonato, non ha ‘dimenticato’ il male ricevuto, se l’é legato al dito come siamo soliti dire. L’ultimo aspetto che vogliamo considerare del perdono di Dio, secondo il detto di M. Speranza che guida la nostra riflessione, é questa magnanimità del cuore di Dio che «non tiene in conto» il nostro peccato.

La potenza rigeneratrice dell’amore di Dio si manifesta in una misteriosa distruzione del male. Dice il profeta Geremia: «In quei giorni e in quel tempo - oracolo di JHWH - si cercherà la colpa di Israele e non esisterà, il peccato di Giuda e non si troverà, perché sarò misericordioso con il resto che ho lasciato» (Ger 50,20).

Il salmo 31 canta: «Beato l’uomo a cui è tolta la colpa, il cui peccato é stato sepolto; beato l’uomo a cui il Signore non imputa (letteralmente "non registra", cioè non segna sul conto) il delitto» (Sal 31, 1-2). In un commento a questo salmo leggiamo: «In forma di beatitudine [il salmo] proclama la gioia essenziale di essere stato perdonato. Ogni uomo é peccatore, l’iniziativa di Dio si anticipa a salvare. ‘Registrare è un linguaggio giuridico, che suppone un registro di proprietà e di debiti con valore effettivo»14.

Quando diciamo che il perdono di Dio non tiene in conto, stiamo presupponendo una determinata concezione del peccato, assai frequente nella Sacra Scrittura, secondo la quale il peccato é un «debito».

la misericordia che supera abbondantemente la giustizia nel senso che abitualmente la intendiamo

Gesù stesso, utilizzando il vocabolario dell’epoca, annunzia ai peccatori che i loro peccati sono «rimessi». La «remissione» é un termine che indica il condono, lo scioglimento di un vincolo giuridico che lega la persona, la cancellazione di un conto che, per la giustizia, si deve pagare. Gesù stesso utilizza direttamente il termine «debito» per designare il peccato: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). «Il Regno dei cieli é simile a un re che volle aggiustare i conti con i suoi servi. Iniziati i conti, gli venne presentato uno che gli doveva diecimila talenti» (Mt 18,23ss). «Simone, ho una cosa da
dirti... un creditore aveva due debitori...» (Lc 7,36ss).

Non é casuale questa puntualizzazione di Gesù nel parlare del peccato come di un debito. Di fatto, considerare il peccato come un debito significa vederlo come un contravvenire alla giustizia essenziale che dobbiamo a Dio. Creati da Lui, gli apparteniamo totalmente, e la finalità essenziale di tutta la nostra vita e di ogni nostro atto libero é compiere la sua volontà, cercando la sua gloria. Se, con il peccato, ci allontaniamo da questo fine essenziale, ipso facto, stiamo contraendo un debito verso Dio. Il guaio, come attestano i brani evangelici sopra citati, é che il peccatore di fronte a Dio, non solo é debitore ma è debitore insolvente, incapace se stesso di pagare il debito contratto. Ma proprio questa incapacità radicale dell’uomo manifesta la grande misericordia di Dio, che non mette sul conto e cancella il debito con totale gratuità. Nell’episodio della peccatrice perdonata, riportato da S. Luca (Cfr. Lc 7,37ss), Gesù dà ad intendere a Simone che tutti siamo debitori di fronte a Dio, e che la cancellazione é gratuita tanto per chi deve 500 denari come per chi ne deve 50, e questo elimina qualsiasi pretesa di giudizio sugli altri.

Nel perdono di Dio che non mette sul conto il nostro peccato vediamo, infine, la ricchezza di una misericordia che supera abbondantemente la giustizia nel senso che abitualmente la intendiamo. La giustizia, infatti, esige una resa dei conti puntuale. Per sua natura, la giustizia deve tenere conto di tutto, non può dimenticare niente, non può cancellare i fatti imputabili, esige, anzi, che vengano giudicati e che i debiti siano pagati. Esige appunto che «si faccia giustizia». Questa é la giustizia secondo la «legge».

La giustizia di Dio é qualitativamente diversa. Essa è a servizio dell’amore, e non c’é contraddizione in questo, perché «pienezza della legge é l’amore».

Il perdono di Dio é la manifestazione suprema del suo amore misericordioso che non annulla le esigenze della giustizia15, ma le porta a pienezza (cf Mt 5,17-48). E questa pienezza del perdono misericordioso di Dio, che compie le esigenze della giustizia, ci è data una volta per sempre in Cristo, che «ha cancellato il documento del nostro debito, quello delle prescrizioni con le loro clausole sfavorevoli, e lo ha soppresso inchiodandolo sulla croce» (Col. 2,14). «In Cristo, Dio stava riconciliando il mondo con sé, non tenendo in conto le colpe degli uomini» (2 Cor 5,19).

Anche nella parabola dell’uomo che aveva piantato un fico nella sua vigna (Cfr Lc 13,6-9), vediamo l’atteggiamento di Dio che si attende, "giustamente", dei frutti da parte dell’uomo. La parabola mette in risalto la pazienza misericordiosa di Dio, che dimentica e non tiene in conto la mancanza di quei frutti che gli son dovuti, e attende «ancora un anno», coltivandoci con amore, nella speranza che portiamo frutto. Questo «anno ancora» é tutto il tempo della vita che ci é concessa.

Ha ragione S. Pietro, quando dice, nella sua seconda lettera, che «la pazienza di Dio, é la nostra salvezza» (2 Pt 3,15).

Desidero concludere con un altro testo di M. Speranza, preso dal 7º giorno della sua Novena all’Amore misericordioso, dove commenta le parole del Padre nostro «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori».

Gesù mio, so che Tu chiami tutti senza eccezione, abiti negli umili, ami chi ti ama, giudichi la causa del povero, hai pietà di tutti e niente odi di quanto il tuo potere creò; dissimuli le mancanze degli uomini e li attendi a penitenza e ricevi il peccatore con amore e misericordia16.

È una preghiera che riprende letteralmente alcune parole del Libro della Sapienza:

Prevalere con la forza ti è sempre possibile;

chi si opporrà alla potenza del tuo braccio?

Tutto il mondo, infatti, davanti a te è come polvere sulla bilancia,

come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.

Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,

chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,

aspettando il loro pentimento.

Tu infatti ami tutte le cose che esistono

e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;

se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata.

(Sap. 11, 21-24)


1 M. Esperanza de Jesús, Diario, Archivo Congregaciones Amor Misericordioso, Collevalenza 2000, p. 5. Le traduzioni dall’originale spagnolo, anche quelle di seguito, sono nostre.

2 M. Esperanza de Jesús, Exhortaciones, Archivo Congregaciones Amor Misericordioso, Collevalenza 2001, p. 85. I testi riportati delle Exhortaciones, sono trascrizioni di esortazioni verbali registrate di M. Madre Speranza.

3 Ivi, pp. 187-188.

4 Benedetto XVI, Luce del mondo, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2010, p. 47.
Chiarissimo in proposito è il pensiero di Giovanni Paolo II: "È ovvio che una cosi generosa esigenza di perdonare non annulla le oggettive esigenze della giustizia. La giustizia propriamente intesa costituisce per cosi dire lo scopo del perdono. In nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l’oltraggio arrecato. In ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell’oltraggio sono condizione del perdono" (Dives in misericordia, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1980, pp. 75-76).

5 F. Nietzsche, La Genealogia della morale, 1887.

6 Cfr. Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1980, pp. 73-74.

7 M. Esperanza de Jesús, Cartas Circulares, Archivo Congregaciones Amor Misericordioso, Collevalenza 2001, p. 90-91.

8 Ivi, p. 34.

9 Ivi, p. 205.

10 M. Esperanza de Jesús, Diario, Archivo Congregaciones Amor Misericordioso, Collevalenza 2000, p. 141-142.

11 Ivi, p. 179.

12 M. Esperanza de Jesús, Exhortaciones, Archivo Congregaciones Amor Misericordioso, Collevalenza 2000, p. 256.

13 S. Agostino, Le Confessioni, libro X, 27.

14 L. A. Schökel – J. Mateos, Salmos, Ediciones Cristiandad, Madrid 1972, p. 88. Nostra traduzione dall’originale spagnolo.

15 Cfr. Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1980, pp. 75-76.

16 M. Esperanza de Jesús, Novena all’Amore Misericordioso, VII giorno. 

 

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ultimo aggiornamento 19 aprile, 2011