pastorale familiare

Marina Berardi

 


Dai
piccoli...
una lezione di vita!

È uscito, di recente, un importante documento dei Vescovi italiani, dal titolo Educare alla vita buona del Vangelo, dove si conferma l’urgenza di mettere l’educazione al centro dei progetti culturali e pastorali della Chiesa per i prossimi 10 anni, con l’intento di "formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita" (n. 3).

Nonostante l’emergenza educativa e la precarietà di risorse a disposizione della famiglia, i Vescovi ribadiscono che questa "resta la comunità in cui si colloca la radice più intima e più potente della generazione alla vita, alla fede e all’amore" (n. 12).

Ogni genitore "compie il suo mandato anzitutto attraverso l’autorevolezza della sua persona. Essa rende efficace l’esercizio dell’autorità; è frutto di esperienza e di competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della vita e con il coinvolgimento personale. Educare è un lavoro complesso e delicato, che non può essere improvvisato o affidato solo alla buona volontà. Il senso di responsabilità si esplica nella serietà con cui si svolge il proprio servizio. Senza regole di comportamento, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, e senza educazione della libertà non si forma la coscienza, non si allena ad affrontare le prove della vita, non si irrobustisce il carattere" (n. 29).

Qui è racchiusa una grande verità che, soprattutto oggi, dovremmo tentare di scolpire nel cuore e nella mente. Viviamo, infatti, immersi in una cultura permissivista e qualunquista, dove è giusto tutto e il contrario di tutto, dove ogni cosa è relativa, dove è vero, bello e buono ciò che piace e fa star bene, dove conta chi vince, dove la competizione e l’affermazione del più forte sembrano essere leggi di vita.

Quante volte e in quanti modi i genitori educano a criteri di competitività? Quale è quel genitore che non vorrebbe che suo figlio fosse il primo, che emergesse… Da una parte questo desiderio esprime il naturale bisogno di successo, di "riuscita" ma... riuscire, avere successo in che cosa?

Solo pochi giorni fa ho ricevuto una telefonata di due genitori che desideravano condividere una grande gioia, ma anche… la grande e inestimabile lezione di vita che avevano ricevuto dalla loro prima figlia, V., di 10 anni! Sì, loro, come tanti genitori, avrebbero voluto vederla primeggiare nella ginnastica artistica, sport che segue da qualche anno. Nonostante l’impegno, i risultati non hanno permesso a V. di lasciare la squadra delle principianti e di seguire le sue compagne di un tempo che, proprio quest’anno, si sono qualificate per le gare nazionali.

Arrivato il giorno delle premiazioni, le istruttrici hanno chiamato le prime classificate per consegnare loro il meritato premio, frutto di impegno e di sacrificio.

Ma prima di concludere questo momento celebrativo e di festa, le insegnanti hanno scelto di assegnare un premio speciale a due bambine protagoniste e vincitrici di un’altra gara… quella dell’amicizia e della vita! V. e una sua compagna si sono, infatti, distinte - come hanno pubblicamente affermato le istruttrici – perché: - pur sapendo fare non hanno mai litigano per essere le prime; - hanno obbedito con docilità alle istruzioni che venivano loro date; - si sono mostrate amiche di tutte, senza arrabbiarsi quando le "nuove", inevitabilmente, commettevano errori; - hanno continuato ad allenarsi nonostante non si fossero qualificate per le nazionali; - hanno sempre giocato lealmente…

Tra l’altro, V. si era accorta del dispiacere che i genitori provavano per lei per il mancato passaggio con le sue compagne di corso al livello successivo e non aveva voluto che intervenissero con le istruttrici perché lei era felice così.

Dai piccoli, una grande lezione!

Ha avuto ragione V.: il sogno e il desiderio dei suoi genitori si è realizzato, superando ogni loro immaginazione ed aspettativa! V., insieme alla sua compagna, ha davvero primeggiato, vincendo il suo premio speciale e non quello che gli altri avrebbero voluto per lei.

Da questa esperienza un prezioso insegnamento: i genitori non sono i detentori dei loro figli, ma custodi, chiamati a disimpegnare la grande e appassionante arte educativa, perché esprimano al meglio loro stessi e diano il loro contributo all’umanità.

Aver generato biologicamente i figli non basta. Quella vita farà parte della nostra vita nella misura in cui saremo capaci di prendercene cura. Come diceva la volpe al Piccolo Principe: "E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".

Il "dare alla luce" è un’opera lenta, costante, paziente… non è l’evento di un momento.

Il "far crescere", l’"addomesticare" esige dedizione, fiducia, attesa che la pianta metta radici… Sono le radici a rendere possibile la vita: senza radici la pianta muore.

Noi generalmente siamo portati a godere ed ammirare la pianta nel suo rigoglio, senza pensare che il lavoro più importante è quello che è avvenuto nel nascondimento, sotto terra, magari senza che ne avessimo una chiara percezione.

Fuori della metafora: ogni genitore, fin dalla primissima infanzia dei propri figli, getta quel seme che, domani, sarà chiamato a mettere radici, a germogliare, a fiorire e a dare frutto.

Educare vuol dire promuovere il "senso delle scelte di vita" e condurre a comprendere ‘chi essere’". Educare vuol dire avere un progetto, un quadro di riferimento valoriale a cui attingere: non credo, infatti, alla neutralità educativa; vuol dire ispirarsi a un modello, e tutti ne abbiamo uno… Avete mai pensato a quale è il vostro?

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ultimo aggiornamento 13 giugno, 2011