studi  
 

P. Domenico Cancian f.a.m.

 

Cristo, rivelazione dell’amore e della misericordia del Padre

 

Riflessione di padre

Domenico Cancian f.a.m.

vescovo di Città di Castello

Collevalenza 8 febbraio 2012

 

 

 

Tutta la vita di Gesù è rivelazione e testimonianza dell’Amore misericordioso di Dio nei confronti dell’uomo. Possiamo riscontrare la verità di questa affermazione nei seguenti 10 punti.

 

1. Gesù, il Verbo (l’Amore) fatto carne

Gesù rivela fin da subito il suo Amore misericordioso nell’incarnazione. Gesù si fa uomo come noi. Colpisce nondimeno la modalità con cui si è incarnato.

L’evangelista Luca racconta semplicemente così: "[Maria] diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché non c’era posto nell’alloggio" (2,7). Nella più completa povertà, senza nessuna accoglienza. Gesù arriva e prende l’ultimo posto. Lo manterrà fino alla fine. La Madre Speranza parla della "cattedra del presepe".

L’evangelista Giovanni in modo teologico afferma: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (1,14). Carne (sarx) è l’uomo nella sua realtà più fragile, nella debolezza mortale.

Con ciò è chiaro il messaggio: amore significa anzitutto farsi come l’altro, condividere la condizione dell’altro nella modalità più povera. Gesù si è incarnato letteralmente, ha assunto la nostra miseria avvolgendola con la sua misericordia. Si è reso "in tutto simile ai fratelli per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede" (Eb 2,17). "Svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo… umiliò se stesso" (Fil 2,7-8).

 

2. Gesù, l’Emmanuele, il Nazareno, il falegname

L’evangelista Matteo sottolinea che Gesù è l’Emmanuele, il Dio-con-noi (cf Mt 1,23). Dio si fa compagno e amico dell’uomo. Non lo lascia più. Infatti l’ultima promessa di Gesù ai suoi prima di salire al cielo suona così: "Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). La presenza di Gesù ci accompagna sempre (cf 18,20; 25,40), dandoci immensa fiducia e coraggio. Come fece con i discepoli di Emmaus (cf Lc 24).

Gesù è con noi come uno di noi. Passò la grandissima parte della sua vita nell’oscuro paese di Nazaret, lavorando nella bottega di Giuseppe, come falegname. Tanto da essere conosciuto come "il falegname" (cf Mc 6,3). Fino ai trent’anni non ha fatto notizia. È stato un uomo che ha lavorato e vissuto come tutti. Amore vuol dire condividere l’esistenza nella forma più comune, senza nessuna enfasi, nella quotidiana fedeltà agli impegni di ogni pover’uomo che si guadagna il pane col sudore della fronte.

 

3. Gesù, maestro di verità e di misericordia

Gesù, nel tempo della sua vita pubblica, appare come il Maestro che sa unire in modo del tutto originale la verità e la misericordia.

Nella sua prima predica nella sinagoga di Nazaret, Gesù intende la sua vocazione-missione come compimento della profezia del Terzo-Isaia. Lo Spirito del Signore l’ha consacrato per evangelizzare i poveri, proclamare la liberazione dei prigionieri, la guarigione dei ciechi, la consolazione agli oppressi, l’anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19). In Gesù si compie il Vangelo dell’Amore misericordioso. Con Lui arriva il tempo del condono e del giubileo. Lui stesso è "pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14) e dalla sua pienezza tutti ricevono "grazia su grazia" (Gv 1,16).

In Mt 5-7 troviamo il discorso sul monte, il Vangelo dell’Amore proclamato dal Maestro Gesù alle folle: "Beati i poveri in spirito…" (5,3 ss). "Un insegnamento nuovo, detto con autorità" (Mc 1,27) il cui contenuto si incentra nel dono della beatitudine, ossia della pace e della gioia piena e assoluta, quella che ogni uomo desidera e che nessuno può togliere. Una beatitudine che attraversa le situazioni di sofferenza e di persecuzione, che riguarda il presente e il futuro, che è per tutti. È il Regno di Dio che Gesù è venuto a portare.

Gesù porta a compimento la Legge e i Profeti, interpretandola in modo profondo e positivo, partendo dal cuore dell’uomo e orientando ogni comportamento, anche piccolo. Gesù è venuto non solo a proporci la vita buona del Vangelo dell’Amore, ma anche e soprattutto a darci la reale possibilità di viverlo, donandoci lo Spirito Santo. Grazie allo Spirito, l’uomo è reso capace di vivere come Gesù, col suo stesso Amore.

Un Vangelo che fa i conti con l’uomo peccatore. Le parabole della misericordia mettono in luce che più forte del peccato è l’Amore misericordioso del Padre rivelato da Gesù (cf Lc 15; Lc 13, 6-9; Mt 13,24-30; 21,33-46). La santità di Dio si incontra col peccato dell’uomo e lo supera. Dio si avvicina all’uomo peccatore e gli offre la possibilità del perdono e della santità.

 

4. "Si è addossato le nostre malattie" (Mt 8,17)

Gesù nella sua vita pubblica annuncia il Vangelo e allo stesso tempo "guarisce tutti i malati" e scaccia i demoni per adempiere ciò che diceva il profeta Isaia: "Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie" (Mt 8,17). È questo il significato dei miracoli di Gesù. Egli prende su di sé le nostre sofferenze. Soffre al posto nostro. Morirà in croce carico di tutti i dolori e di tutti i peccati dell’umanità. Patì per noi. Amore è questo.

"Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno" (Eb 4,15-16).

Anche il modo con cui Gesù opera i miracoli mette in evidenza la sua piena partecipazione amorosa. Gesù vede e ascolta, ha com-passione (il verbo splanchnizomai significa coinvolgimento viscerale, materno), e poi risana il corpo malato, aggiungendo a volte anche il perdono.

Emblematica la guarigione del lebbroso, il primo dei 10 miracoli raccolti da Matteo nei capitoli 8-9. Gesù lascia avvicinare il lebbroso "tese la mano e lo toccò" (Mt 8,3). L’evangelista Marco aggiunge "ne ebbe compassione" (Mc 1,41). Gesù volutamente, si lascia guidare dall’amore, si contagia e prende su di sé il male1.

 

5. Misericordia io voglio (Mt 9,13)

Gesù, dopo aver chiamato Matteo alla sua sequela, accetta di sedere a mensa in casa del nuovo discepolo, in compagnia dei suoi amici, uomini riconosciuti come pubblici peccatori. La tradizione sinottica è unanime nel riferire che Gesù era solito mangiare con i pubblici peccatori (cfr. Mc 2,15; Lc 15,1-2); talvolta anzi, s’invitava lui stesso (cfr. Lc 19,1-10). Tant’è che lo accusavano di essere "un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori" (Lc 7,34 e Mt 11,19).

La legge ebraica vietava di stare a mensa coi peccatori: significava contaminazione (in forme diverse questo è vero anche per molte altre culture, nelle quali le persone perbene debbono frequentare le buone compagnie). Il buon israelita pensava addirittura di onorare Dio allontanandosi dai peccatori. Gesù, andando contro la tradizione, porta una diversa concezione di Dio. Per cui dietro la critica dei farisei vi è uno scontro teologico e non solo un diverso comportamento morale.

C’è anche un’altra aggravante. Gesù è accusato di essere "amico" dei peccatori, cioè di manifestare nei loro confronti affetto e simpatia, perfino preferenza, e di essere da loro ricambiato. Infatti tra Gesù e i peccatori si stabilisce un misterioso feeling, una reciproca attrazione, per cui Gesù cerca i peccatori e questi cercano lui. Gesù mangia con i pubblicani, come uno di loro (cfr. Mt 9,11).

Infine era inaccettabile il fatto che Gesù manifestasse amicizia nei confronti dei peccatori, senza nemmeno rimproverarli e senza pretendere, prima di andare da loro, la conversione. Gesù non li giudicava né li condannava, come diverse volte i farisei avevano preteso da lui (cf Gv 8,1-11; Lc 7,37-50).

Si può ben immaginare la sorpresa e quindi la dura critica dei farisei al nuovo maestro che, dopo aver proclamato un altissimo discorso morale con le beatitudini, osava addirittura chiamare tra i suoi discepoli, al suo seguito, Matteo il pubblicano, senza rimproverarlo e senza pretenderne l’immediata conversione.

Gesù risponde alla critica con due affermazioni costruite in modo parallelo, con la forma dell’antitesi: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori". (Mt 9,12-13 e par.). Gesù, presentandosi come medico, definisce se stesso come colui che è venuto per guarire le persone malate. Come dire che lui "ha bisogno" della nostra malattia e del nostro peccato, ma soprattutto che noi abbiamo bisogno di lui, delle sue cure.

Da tutto questo risulta evidente il senso fortemente ironico delle parole di Gesù nei confronti dei suoi accusatori; al punto che qualcuno traduce: "Perché io non sono venuto a chiamare quelli che si credono giusti, ma quelli che si sentono peccatori" 2.

Gesù contesta la divisione in buoni e cattivi. Per lui è chiaro che tutti gli uomini sono peccatori. Chi si ritiene giusto dice il falso, esalta se stesso, svaluta gli altri e, quel che è peggio, non accoglie la possibilità della salvezza offerta gratuitamente da Gesù (cf Mt 23,28; Lc 16,15; 18,9).

Ma l’evangelista Matteo va ancora più avanti. In mezzo alle due espressioni sopra ricordate, riportate anche da Luca, egli inserisce la citazione di Osea: "Andate ad imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrificio".

L’introduzione: "Andate ad imparare!" ripete una formula abituale presso i rabbini quando vogliono dare un insegnamento autorevole. In questo caso si tratta addirittura di un insegnamento proveniente dalla Parola di Dio per bocca del profeta Osea. Sia il gesto di Gesù di sedere a mensa coi peccatori, come la parola che sta dicendo, corrispondono all’esplicito volere di Dio.

Dio, più che una vita incentrata sul culto, vuole una vita fondata sul comandamento dell’amore. Sono due modi diversi di vivere: il primo era quello dei farisei, il secondo quella di Gesù.

Molto simili gli episodi di Gesù e Zaccheo (Lc 19,1-10), Gesù e la peccatrice (Lc 7, 36-50), Gesù è il buon ladrone (Lc 23, 39-43). In tutte queste relazioni Gesù misericordioso offre il perdono e provoca la profonda conversione dell’uomo.

 

6. Il cuore "compassionevole" di Gesù

È il cuore misericordioso di Gesù che detta e muove i suoi comportamenti nei confronti delle persone che incontra. A secondo della specifica situazione mette in atto ciò che è più espressivo della sua vicinanza amorevole.

"Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,36-38).

L’evangelista Matteo sottolinea ancora la compassione viscerale di Gesù nei confronti della gente che cerca guarigione e conforto (cf Mt 14,14; 15,30-32) e proprio per questo motivo, senza essere richiesto, moltiplica il pane per sfamarli.

Mosso dalla compassione il padrone della parabola condona il servo debitore ed esige che faccia altrettanto col suo compagno (cf Mt 18,27).

7. Gesù adotta uno stile "tutto per amore"

Potremmo descrivere tale stile con i seguenti 10 avverbi:

umilmente: cf Mt 11,29

liberamente: cf, Gv 10,18

gratuitamente: cf Mt 10,8

abbondantemente: cf Lc 6,38

cordialmente: cf Gv 19,34

ardentemente: cf Gv 13,1; Lc 12,49-50

prontamente: cf Mt 18,27

fiduciosamente: cf Gv 15,16

rispettosamente: cf Gv 6,10-11

gioiosamente: cf Gv 15,11

 

8. Gesù "offre tutto se stesso" in sacrificio

Lo sottolinea la Lettera agli Ebrei, mettendo in evidenza che ciò caratterizza il sacerdozio di Cristo, rispetto al sacerdozio antico (cf 9,25-28).

In questo senso è significativo il gesto della lavanda dei piedi (totale servizio). La totalità del dono appare evidente in modo straordinario nella passione-morte e nell’eucaristia.

La parola di Gesù morente sulla croce "Consummatum est" (Gv 19,30) esprime la totale consumazione dell’olocausto, il sacrificio che in antico veniva completamente bruciato.

 

9. "Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34)

Questo è il nuovo comandamento o il suo comandamento (cf Gv 15,12.17) che riassume tutto il Vangelo di Gesù. È il suo testamento. È il segno di riconoscimento del suo discepolo. È l’ultima consegna di Gesù: "Và e anche tu fa lo stesso" (Lc 10,37), così come ha fatto Lui, il buon Samaritano.

 

10. "La tua misericordia ci salvi"

È la preghiera di Madre Speranza che in fondo riassume il grido dell’uomo povero e peccatore, oppresso da una miseria che da solo non riesce a superare.

Ci salva la misericordia che dovremo imparare a ricevere sempre più e meglio dal Dio misericordioso e dai fratelli. Ma occorre, allo stesso tempo, che impariamo a donare tale misericordia, diventando misericordiosi anche noi. Questa è la vera conversione evangelica. "Siate (diventate) misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso" (Lc 6,36). "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10,8). "Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante" (Lc 6, 38).

Il giudizio finale sarà sulle opere di misericordia (cf Mt 25). E la Lettera di Giacomo avverte: "Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia" (2,13).

La vita cristiana può essere intesa come conversione permanente alla misericordia di Gesù, imparando a diventare misericordiosi come Lui.

Madre Speranza ha fatto esattamente questo percorso.


1 È molto interessante il commento che fa papa Benedetto XVI: "Gesù non sfugge al contatto con quell’uomo, anzi, spinto da intima partecipazione alla sua condizione, stende la mano e lo tocca – superando il divieto legale – e gli dice: "Lo voglio, sii purificato!". In quel gesto e in quelle parole di Cristo c’è tutta la storia della salvezza, c’è incarnata la volontà di Dio di guarirci, di purificarci dal male che ci sfigura e che rovina le nostre relazioni. In quel contatto tra la mano di Gesù e il lebbroso viene abbattuta ogni barriera tra Dio e l’impurità umana, tra il Sacro e il suo opposto, non certo per negare il male e la sua forza negativa, ma per dimostrare che l’amore di Dio è più forte di ogni male, anche di quello più contagioso e orribile. Gesù ha preso su di sé le nostre infermità, si è fatto "lebbroso" perché noi fossimo purificati.
Uno splendido commento esistenziale a questo Vangelo è la celebre esperienza di san Francesco d’Assisi, che egli riassume all’inizio del suo Testamento: "Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo" (FF, 110). In quei lebbrosi, che Francesco incontrò quando era ancora "nei peccati" - come egli dice - era presente Gesù; e quando Francesco si avvicinò a uno di loro e, vincendo il proprio ribrezzo, lo abbracciò, Gesù lo guarì dalla sua lebbra, cioè dal suo orgoglio, e lo convertì all’amore di Dio. Ecco la vittoria di Cristo, che è la nostra guarigione profonda e la nostra risurrezione a vita nuova!"
(Angelus di Papa Benedetto XVI, 12 febbraio 2012).

2 Parola del Signore. Il Nuovo Testamento. Traduzione interconfessionale in lingua corrente, LDC-ABU, Torino 1976, p. 28.

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ultimo aggiornamento 08 marzo, 2012